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Autore: piccina    11/10/2017    0 recensioni
"Sono strani i casi della vita. Ero sicuro che Amanda fosse la donna sbagliata. Finalmente quella sera avevo aperto gli occhi. Rientravo a casa, i miei passi echeggiavano sul selciato del vicolo deserto."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Giulio Tommasi, Patrizia Cecchini, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Ciao nonno.”
“Pulcino! Ciao” Scosto la sedia, Nina si insinua e si arrampica sulle mie ginocchia.
“Ciao papà, disturbiamo? Il brigadiere ha detto che eri libero …”
“Non disturbate affatto, anzi. Come mai da queste parti? E perché tu, birbante, non sei all’asilo?”
“Sono andata a fare i vaccini. Non ho neppure pianto, così la mamma mi ha comprato questa” Mi mostra fiera, una bambolina di non so quale serie. Faccio finta di riconoscerla, mi spiace fami prendere in castagna dalla puffetta di cinque anni appena compiuti.
Laura, mia figlia, si siede. Accavalla le lunghe gambe che si scorgono dalla gonna e in questo gesto mi ricorda tanto sua madre. Assomiglia moltissimo ad Amanda quando aveva la sua età, credo che guardando mia figlia, negli anni, potrò immaginare come sarebbe diventata se avesse avuto il tempo di invecchiare.

“Nina è voluta passare. Come va? Sei pronto? Manca poco Signor Generale a tre stellette”
Nina ha preso una penna dal porta penna e si accinge a scarabocchiare. “No, non qui. Aspetta.” Apro il cassetto e ne prendo un foglio di carta riciclata. “Tieni”
Fra tre settimane è il mio ultimo giorno. La terza stella zigrinata, d’argento, è arrivata sei mesi fa, vado in pensione come Generale di Corpo d’Armata. L’ultima promozione come commiato, un regalo per rendere più pesante quanto lo Stato mi riconoscerà tutti i mesi.

“Si manca poco e ti dirò, per ora non mi dispiace. Il mio l’ho fatto, adesso è l’ora che mi tolga dai piedi.” Sorrido. “Finalmente avrai un baby sitter gratis, sei contenta?” “Certo! Anche perché se aspetto la mamma, campa cavallo… lei ne ha ancora un bel po’ davanti. Cerca di non essere troppo rompi e datti da fare in casa, mi raccomando.” “Oh bimba, ma con chi credi parlare?! Mi sono sempre dato da fare io!” “Vero, quando c’eri … “ridacchia bonariamente, ma la stoccatina intanto me l’ha tirata. Diciamo che quando erano piccoli lei e i suoi fratelli, sono stato un po’ tanto preso dal lavoro e dalla carriera e quella che c’era, quella che c’era, sempre e comunque, era la mamma. La mia seconda moglie, quella che anche Laura chiama mamma. 

Sono strani i casi della vita. Ero sicuro che Amanda fosse la donna sbagliata. Finalmente quella sera avevo aperto gli occhi. Rientravo a casa, i miei passi echeggiavano sul selciato del vicolo deserto. Stringevo con rabbia la scatoletta con l’anello nella tasca della giacca. Un saluto veloce con Patrizia che avevo incrociato per caso, rifiutai il passaggio, avevo bisogno di camminare.
Arida, egoista, prepotente, dittatoriale. Quante volte me le sono ripetute queste parole ripensando ad Amanda? Tante, anche mentre firmavo la richiesta di trasferimento. Cambiare. Cambiare aria, cambiare, vita, cambiare Comando.  Salutai Nino, Pietro, i miei uomini, con il groppo alla gola, ma avevo deciso. Mi accomiatai dalla famiglia Cecchini con dispiacere. Mi ero affezionato a tutti loro, al Maresciallo ovviamente e con la figlia più grande negli ultimi tempi, dal suo rientro dall’Erasmus, era incominciata a nascere una bella amicizia. Mi ripromisi di non lasciarla cadere. Non fu così. Con Patrizia ci perdemmo di vista. Ho saputo, per caso, da Cecchini che si era laureata in medicina ed era ripartita per gli USA, per una specializzazione in medicina forense. Fui traferito a Lucca e non fu un brutto periodo. Non ho più messo piede a Urbino in quegli anni.

Squilla il telefonino di Laura, si china e lo cerca nella borsa. Nel farlo i lunghi lisci capelli neri le cadono sul viso, li riporta indietro con la mano. Uguale. Come sia possibile che sia così identica, un mistero. Eppure Amanda se ne è andata che lei aveva tre anni, non può essere emulazione.
Arida, egoista, prepotente, dittatoriale. E mi mancava, ma piuttosto che cercarla mi sarei fatto torturare. Avevo fatto sparire qualsiasi riferimento a lei dalla mia vita. Nulla che me la ricordasse. È che era piantata nel mio cuore e non se ne andava.

Arida, egoista, prepotente, dittatoriale. Mi ripetevo. E non vuole quello che vuoi tu. Mi giravo su un fianco e mi dicevo: dormi. La sera solo nel letto, quando il desiderio di lei e la sua assenza si facevano più forti. I mesi passavano, la vita andava avanti e pure abbastanza bene. Quel tarlo era sempre li, che mi prendeva a tradimento, quando non me l’aspettavo. Nel profilo di una donna che fa la spesa e le assomiglia, nella sagoma di una ragazza che scende da un taxi, in un profumo che mi arriva alle narici mentre sto entrando al cinema. Incominciavo a pensare di non essere tanto normale, come si può stare così per una donna che ti ha respinto, che ti ha trattato come uno zerbino per anni, per una donna arida, egoista, prepotente, dittatoriale? Il fatto è che io non mi ero innamorato di quella donna, ma di una ragazza allegra, divertente, bella, felice, che mi correva incontro, che mi aspettava fuori dall’accademia. Che cambiava i turni, che faceva tratte pazze per rubare i momenti per stare insieme. E Amanda era spiritosa, ironica e intelligente. Era spigliata e diretta, anche per me che ero imbranato e timido. Era cambiata, è vero, però io la trovavo ancora quella ragazza quando lei si dimenticava di recitare la parte che, chissà perché un giorno, aveva deciso di dover interpretare sul palcoscenico della vita. Erano sprazzi, erano momenti, quando i suoi occhi ridevano di nuovo, quando la beccavo a guardami di nascosto come tanto tempo prima, come quando mi reggeva comunque il gioco con il Maresciallo anche se secondo lei era una cazzata e lo faceva guardandomi con lo sguardo ridente, benché la faccia fosse truce, quando comunque riusciva a tornare da Pechino per non lasciarmi solo al ballo dell’Arma. Troppo poco, Giulio.

Troppo poco. Dormi.

Un sabato mattina, era abbastanza presto, in tuta, stavo uscendo per andare a correre sulle mura. Fuori dal portone c’era lei. Struccata, in jeans e maglietta, con i capelli stretti in una coda di cavallo che sembrava fatta in fretta e furia. Non l’ho neppure salutata e ho iniziato a correre. Via veloce, velocissimo. Non volevo pensare a cosa volesse, ma solo che se ne andasse. Stare lontano il tempo sufficiente per non ritrovarla. Ho corso per circa due ore, quando sono rientrato ero stanchissimo, tutto sudato. Era ancora lì. Seduta sullo scalino del portone. Ci siamo fissati, poi l’ho scansata e sono entrato. Mi sono fatto la doccia e mi sono cambiato. Ho bevuto due bicchieri d’acqua e poi ho sceso piano le scale. Ho aperto il portone. Era ancora seduta sullo stesso scalino “Sali” le ho detto. Si è alzata e mi ha seguito.
“Mi manchi”
“Ne prendo atto”

Mi aspettavo che si mettesse a piangere. Invece niente, mi guardava fissa negli occhi. Cercava qualcosa che io non volevo trovasse, ma c’era, dannazione, c’era. “Ho sbagliato tutto e non quella sera. Ho iniziato a sbagliare anni fa. Scusami. Non so più chi sono diventata e non so come tu abbia potuto chiedere di sposarti alla donna che sono diventata. Sono venuta solo per ringraziarti per non avermi più cercata da quella sera. Per le prime settimane sono stata bene, mi pareva di stare bene. Poi Capitano hai iniziato a mancarmi come l’aria e nell’enorme superbia in cui ero caduta ero sicura che saresti tornato a supplicarmi. Grazie di non averlo fatto. Grazie di avermi fatta stare male. Male Giulio, male come erano anni che non stavo. Ora non sto meglio, ma forse ho iniziato a ritrovarmi e lo devo a te. Ecco volevo dirti questo. Ciao Giulio. Buona fortuna.” Tutto mi sarei aspettato. Tutto, ma non questo.

La afferro per un braccio prima che varchi la soglia di casa. “Mi manchi anche tu.” La spingo dentro. La guardo in viso. Mi fa impressione senza trucco, quanti anni erano che non succedeva? Non lo ricordo neppure più. Pieno giorno e Amanda non è in tiro. “Sembri una ragazzina” le dico. Sorride.  “Come quando ci siamo conosciuti …” e questa volta la voce è strozzata. “No, allora eri una ragazzina, adesso lo sembri” scherzo. Si mette a ridere ed è di nuovo lei. La mia Amanda. La tiro a me e la abbraccio. Stiamo fermi per un po’ poi le accarezzo i capelli. Dopo qualche minuto alza il viso. Muove leggermente una spalla: “me l’hai detto tu, tante, troppe volte, negli ultimi anni, senza che io ti rispondessi e adesso, anche se magari sarai tu a non rispondere, te lo dico io: ti amo, Giulio. Ti amo”.
Probabilmente avrei dovuto fare il duro, invece mi sono commosso. Ho sospirato e con gli occhi lucidi le ho risposto: “pure io”
Mi stringe fortissimo e non parla più. Sono io che le alzo il viso con la mano “ehi … “poso le mie labbra sulle sue. Mi prende il viso fra le mani e mi bacia con una passione che era così tanto che non ricevevo da lei, che un brivido mi attraversa. La prendo per mano e la porto in camera.
“E adesso?” mi chiede dopo.
“E adesso non lo so …” rispondo sincero, mentre continuo ad accarezzarle la schiena. “Tu cosa vorresti, se potessi scegliere?” le domando.  La risposta mi lascia senza parole, per la seconda volta Amanda mi spiazza completamente.
“Vivere con te, ma lo so che non è possibile, però magari, se ti va, possiamo ricominciare a vederci ogni tanto.” La faccio girare. Sono serio. “Dipende da quanto hai intenzione di fare la stronza”

È più seria di me, quando risponde “Mai più stronza, te lo prometto. Magari litigheremo, ma da pari a pari, come era un tempo. Te lo giuro Giulio.” Sei mesi dopo ci sposavamo. Siamo stati felici, per cinque anni. Fino a quando quel maledetto aereo non è caduto e insieme a lei si è portato via il nostro futuro.
Laura che adesso mi sta dicendo che vanno, distogliendomi dai miei ricordi, stava per compiere tre anni. Non mi dimenticherò mai quella telefonata. “Maggiore una chiamata per lei dalla Farnesina, c’è stato un incidente aereo, si teme un attentato.” Non avrebbe dovuto essere su quel volo. Era stata una sostituzione dell’ultimo minuto. Avevamo chiamato la baby sitter, ringraziandola infinitamente di essersi resa disponibile così all’improvviso per andare a prendere Laura all’asilo e poi aspettare che io rientrassi a casa alla sera. Amanda sarebbe dovuta rincasare in nottata. Né io né Laura l’abbiamo più rivista. È stata durissima. Non sono stato all’altezza della situazione, non i primi tempi almeno. Sua madre, i miei, tutti intorno a me mi dicevano che dovevo farmi forza, che dovevo farlo per mia figlia. Io guardavo Laura e sapevo che era giusto, ma neppure la mia bambina mi pareva una buona ragione per andare avanti. Ero morto anche io. Intendiamoci facevo tutto, andavo a lavorare, mi coordinavo con la babysitter e non mi sono mai dimenticato di andare a prenderla all’asilo, alla sera le preparavo la cena, la lavavo e la mettevo a letto, ma se non ci fosse stata per me sarebbe stato meglio. Lei si ostinava a vivere e io ero morto. Insieme a sua madre.

  
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