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Autore: merty_chan11    11/10/2017    1 recensioni
Ambientata prima degli eventi svoltisi in Lady Midnight.
Dal testo:
[...]
Percepiva le risa delle fate attorno a lui, le loro urla di scherno e di gioia mentre l’arma continuava ad incidere il suo corpo, lì dove un tempo vi erano state tracciate le rune donategli dall’Angelo.
Cercò di dimenarsi, i suoi riccioli biondi che andavano a posarsi delicatamente sugli occhi, nascondendo il terrore che stava provando in quell’istante.
Sì, perché Mark Blackthorn aveva paura come mai ne aveva sentita prima.
[...]
Buona lettura!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kieran, Mark Blackthorn
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Crudeltà e pace
 
 
Le lame bruciavano.
Fu questa la prima sensazione che che Mark provò, un dolore acuto e fiammeggiante che si propagava lungo la sua pelle, corrodendone ogni lembo, ogni minima parte. 
Sentiva il coltello percorrere lentamente i contorni dei marchi corvini disegnati sulla sua carne, lentamente, senza fretta alcuna e con l’unico obbiettivo di fare solo del male. Percepiva le risa delle fate attorno a lui, le loro urla di scherno e di gioia mentre l’arma continuava ad incidere il suo corpo, lì dove un tempo vi erano state tracciate le rune donategli dall’Angelo.
Cercò di dimenarsi, i suoi riccioli biondi che andavano a posarsi delicatamente sugli occhi, nascondendo il terrore che stava provando in quell’istante.
Sì, perché Mark Blackthorn aveva paura come mai ne aveva sentita prima. Sarebbe potuto apparire quasi pietoso, un figlio dell’Angelo che mostrava ai vili Nascosti l’orrore che albergava nel suo animo. Ma non avrebbe potuto fare altrimenti. Il terrore lo aveva attanagliato nella sua spirale di gelo e oscurità, impedendo la sua fuga.
Nemmeno quando Sebastian Morgerstern l’aveva rapito dall’Istituto di Los Angeles si era sentito in quel modo, in preda ad un’ansia cieca incapace di permettergli di compiere un singolo movimento. Perché quella volta lui era stato quasi conscio del fatto che i Nephilim sarebbero accorsi a salvarlo. Si era aggrappato totalmente a quella vana speranza per poi ritrovarsi catapultato in un mare ghiacciato di consapevolezza che aveva lasciato cicatrici ben peggiori di quelle che le fate gli stavano procurando in quell’istante. 
Nessuno sarebbe mai tornato a prenderlo. 
Quell’unico pensiero, un chiodo fisso nella sua mente che aveva minacciato di farlo affogare. Troppa la delusione, ancora maggiore la disperazione che lo attanagliavano.
La sua gente l’aveva abbandonato, lasciandolo in balia dello spietato Popolo Fatato che lo trattava alla pari di un giocattolo. 
Si divertivano, quegli esseri, a torturarlo, a deriderlo, a sbattergli in faccia la realtà per farlo cadere sempre più in basso, in un luogo dal quale non sarebbe mai riuscito a risalire.
Il coltello continuava a tracciare dei solchi sulla pelle candida, inarrestabile nonostante il fatto che cercasse di dimenarsi dalla presa dei suoi carnefici, nonostante le sue grida. Aveva iniziato ad urlare senza nemmeno essersene reso conto, il labbro sanguinante nel tentativo di non far uscire alcun verso dalla sua bocca. Ma a niente era servito quel vano gesto, piegatosi anch’esso alla crudeltà del Popolo Fatato.
Mark non ricordò cosa accadde dopo. Ricordo semplicemente di aver continuato ad urlare fino a quando non aveva avuto più voce, e di essere svenuto pochi minuti dopo.
La schiena gli doleva, come anche le sue braccia, la sua testa, tutto il suo corpo. Sangue scorreva lento da alcune delle sue nuove ferite, dai tagli più profondi rispetto agli altri.
Lo stilo infranto era davanti al suo viso, quasi a sbeffeggiarlo.
“Questo non ti serve” gli avevano detto le fate una volta che l’avevano sequestrato. Poi l’avevano spezzato come fosse stato un ramoscello. 
“Non sei più un Nephilim.”
Portò istintivamente le mani alla tasca dei pantaloni, lì dove teneva la stregaluce datagli da Jace poco tempo prima. Sembrava passata un’eternità da quel giorno. Giorno in cui aveva capito di essere ormai rimasto da solo.
Strinse l’oggetto tra la sua mano con cautela, il braccio che doleva ad ogni minimo movimento. 
Mark chiuse gli occhi, e subito le immagini dei suoi fratelli fecero capolino nella sua mente. Vide il piccolo Tavvy e il luccichio innocente nei suoi occhi color acqua marina, Dru e i suoi sguardi timidi, Livvy e la sua fierezza da guerriero nonostante fosse ancora una bambina, Ty con i suoi occhi capaci di analizzare ogni cosa, Julian con la sua espressione tranquilla e rilassata che aveva sempre quando disegnava. E poi vide Helen, quella a cui più teneva più di tutti. Sangue del suo sangue, l’unica che l’avesse sempre compreso perché erano simili, perché sapevano entrambi cosa volesse dire non sentirsi accettato in nessun luogo. Perché sarebbero sempre stati troppo Nephilim o troppo fate in qualsiasi posto si recassero.
Helen, quella che gli cantava sempre qualche canzone per farlo addormentare, Helen, colei che lo aveva sempre difeso e che gli aveva insegnato a sua volta a difendersi da sé. Helen, la sorella che era stata anche un po’ sua madre, in assenza della loro vera genitrice.
Una tristezza assoluta lo invase proprio in quel momento.
Non sarebbe mai riuscito a tornare indietro dalla sua famiglia. I Nephilim lo avevano abbandonato, lasciandolo al suo destino. Non avrebbe mai trovato alcun aiuto dal popolo che gli aveva inferto tutto quel dolore.
Non sarebbe mai vissuto abbastanza nella terra delle fate, senza nessuno che gli fosse amico, senza un qualcuno o qualcosa che potesse definire come casa.
Sarebbe stato dimenticato da tutti.
Sarebbe morto da solo.
 
 
Le dita di Kieran si facevano strada con una dolcezza quasi bizzarra tra i suoi riccioli, andando a sciogliere con cura i nodi che incontravano sul loro cammino.
Mark sentiva le palpebre pesanti, ormai impotenti contro il sonno che preannunciava di sorprenderlo a breve. Era stata una giornata pesante, quella che avevano appena trascorso. Erano stanchi, entrambi. E Mark aveva riportato numerose ferite che l’avevano reso esausto.
Kieran non aveva perso tempo a medicarlo, come tante altre volte precedenti aveva fatto dentro il calore della loro tenda.
Le mani del principe ora avevano iniziato a scorrere lungo la sua schiena nuda, andando a ripercorrere tutte le vecchie cicatrici infertegli tanti anni fa, quando le lame prive di pietà delle fate avevano disegnato sulla sua pelle dei macabri marchi dell’Angelo permanenti.
Mark non rabbrividì al contatto, non si ritrasse. Lasciò invece che Kieran esplorasse quei segni con le dita, un gesto tanto semplice quanto delicato rispetto alla brutalità celata dietro quelle cicatrici.
-Kier- la sua voce impastata di sonno lo tradì. Poté vedere le labbra del principe tendersi in un lieve sorriso, i suoi capelli che assumevano ora il colore dell’acqua del mare.
-Dormi, Mark Blackthorn- non era un ordine, quanto più un invito. Mark rimase sorpreso dalla dolcezza velata del suo tono, ma suppose fosse più uno scherzo della stanchezza. Non c’era dolcezza nella Caccia Selvaggia.
-Questa è stata una giornata faticosa.
Il Nephilim non se lo fece ripetere due volte. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle carezze dell’altro, mentre i volti dei suoi fratelli e sorelle passavano nuovamente in rassegna davanti alla sua mente.
Ora ne era quasi un po’ più certo, ma aveva ancora timore ad aggrapparsi ad una speranza vana.
Sarebbe tornato, prima o poi.
Non sarebbe morto da solo.








N.d.A.
Salve a tutti! Sono riapprodata in questo fandom dopo la lettura di Lord of Shadows, devo ammettere che mi ha lasciata senza più lacrime da versare ;^;
Comunque, era da tempo che volevo tentare di riscrivere qualcosa a tema Shadowhunters, quindi perchè non farlo con uno dei miei personaggi preferiti? Adoro tantissimo Mark e la sua storia, e spero che questa one-shot possa esservi piaciuta^^ 
Grazie per aver letto,

Merty
  
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