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Autore: effe_95    12/10/2017    1 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
60. La cosa più preziosa, Pancake con il sale e Farò
 

Maggio

Sonia detestava quel lavoro part-time.
Lo detestava, ma non osava lamentarsi perché i soldi le servivano.
Era stata dura all’inizio convincere i suoi genitori a farla lavorare, ma quando aveva spiegato loro che quel lavoro avrebbe interessato solo i weekend, senza compromettere lo studio, avevano ceduto. Sonia non capiva quale fosse il motivo di tanta ostinazione, i suoi voti erano sempre stati bassi, lavorare non avrebbe peggiorato una situazione già critica.
Si passò distrattamente una mano sul collo sudato e guardò con disgusto i resti della cena di altre persone. Detestava fare la cameriera in quel pub, lavorava lì solo da un paio di settimane, ma ancora non si era abituata alla puzza di frittura e carne che usciva dalla cucina o alla maleducazione di alcuni clienti.
Una con il suo carattere tollerava difficilmente certe espressioni, Sonia aveva dovuto mordersi la lingua parecchie volte per rimanere in silenzio, erano soprattutto le avance che non sopportava, anche se con la sua reputazione non l’avrebbe mai ammesso.
Cominciò ad impilare sommessamente i piatti, raccogliendo solo con pollice ed indice, in una esplicita espressione di puro disgusto, i tovagliolini usati. Le luci del pub erano soffuse e basse, con colori caleidoscopici e scuri che rendevano tutto l’ambiente misterioso e tetro.
A volte era talmente scuro che non riusciva nemmeno a vedere i propri piedi, aveva rischiato di cadere parecchie volte i primi tempi.
Non aveva detto a nessuno che lavorava in quel posto, era in periferia, lontano dai posti frequentati dai suoi compagni di classe. Sonia si bloccò di colpo quando si ricordò del forte desiderio che aveva provato, i primi tempi a lavoro, di confessare tutto a Miki.
Ovviamente non l’aveva fatto, perché nonostante tutti i difetti che aveva non era mai stata incoerente. Non le aveva detto nulla, nonostante morisse dalla voglia di gridare il marasma di sensazioni che le stavano esplodendo in petto.
Mentre raccoglieva i piatti in una pila ordinata Sonia sentì un’insensata voglia di vedere Cristiano. Le capitava spesso da quando aveva parlato con Gabriele, ma non aveva il coraggio di confessarlo davvero a se stessa.
Di confessare il desiderio che aveva di lasciarsi andare con lui ancora una volta.
Di dirgli quel si tanto agognato che lui stava tacitamente aspettando.
Forse Cristiano non l’avrebbe delusa una seconda volta, forse le cose sarebbero andare molto diversamente, e Sonia era stanca di scappare da qualcosa che alla fine aveva continuato a seguire incessantemente fin dai suoi quindici anni.
Strinse con forza le dita attorno ai bordi del piatto, sbiancando i polpastrelli, non era quello il momento di pensare a Cristiano.
Se avesse continuato a pensare a lui in quel modo, avrebbe finito per sentirne una tale mancanza da percepire il cuore frantumarsi nella cassa toracica.
Doveva concentrarsi sul lavoro.
Posizionò la pila di piatti sporchi nel cestello che si portava dietro, indicò un tavolo libero a quattro persone appena entrare e si diresse con passo pesante verso la cucina, dove lasciò il carico di stoviglie sporche. Le facevano male le gambe a furia di stare in piedi tutto quel tempo, la sua insegnante di ballo l’avrebbe sicuramente rimproverata.
Era qualcosa che sapevano poche persone; mentre si avviava a prendere le ordinazioni, Sonia ricordò di averlo detto solo a Miki che studiava danza classica dall’età di quattro anni.
Era qualcosa che non aveva preso seriamente all’inizio, si era impegnata solo per rendere contenta sua madre, quando poi Cristiano l’aveva lasciata, Sonia aveva smesso di ballare.
Aveva ripreso solo quell’anno, senza sapere nemmeno lei perché, e non l’aveva detto a nessuno. Non aveva detto a nessuno che voleva fare sul serio quella volta.
Che al suo futuro ci aveva pensato , almeno in parte.
Mentre si aggiungeva una ciocca di capelli dietro l’orecchio, correndo a consegnare l’ordinazione appena presa, Sonia pensò che avrebbe tanto voluto dirlo a Cristiano.
Dirgli che anche una come lei aveva un sogno stupido da voler realizzare.
Sonia avrebbe tanto voluto chiedergli se sarebbe stato dalla sua parte, se sarebbe stato disposto a sopportare.
Oppure se scappare era ancora tra le sue opzioni.
Si era fermata solamente un istante, persa nelle sue preoccupazioni, e si accorse che il fracasso infernale che aveva regnato fino a quel momento era sparito.
Il pub ospitava ogni sera una band o un cantante emergente che pagava una miseria o niente, e che solitamente di musica ne capiva davvero poco.
Quella sera era toccato ad un gruppo di metallari che aveva fatto un chiasso tremendo per tutto il tempo. Per Sonia fu scioccante tutto quel silenzio improvviso; rivolse uno sguardo in direzione del palco improvvisato, un rialzo di legno nell’angolo più lontano della sala, e vide qualcuno seduto su uno sgabello.
Doveva essere un ragazzo, ma le era difficile dirlo con certezza, era girato di spalle per collegare l’amplificatore alla chitarra e l’intensa luce fluorescente gli deformava i tratti rendendoli poco visibili. Sonia lo vide passarsi una mano tra i ricci scuri, suppose, per il nervosismo e stiracchiare le dita.
Manteneva la chitarra come un principiante, ed era vestito in maniera piuttosto anonima per essere uno che voleva farsi notare, jeans scuri e stracciati, sneaker rosse ai piedi e una tshirt anonima tutta bianca che sembrava fluorescente sotto le luci al neon.
Sonia si ritrovò a pensare che fosse un poverino un po’ anonimo, sospirò, rimproverando se stessa per essersi distratta, e girò le spalle al palco per tornare al lavoro.
<< Ehm, prova – Si, funziona … >>
Sonia si bloccò di colpo quando sentì quella voce, roca, calda e annoiata.
L’avrebbe riconosciuta ovunque, ma non poteva essere davvero lui.
Si girò di scatto e spalancò la bocca.
Cristiano sembrava estraneo sul quel palco, come un pugno su un bel viso.
Aveva le gote arrossate sotto la luce, chiunque non lo conoscesse abbastanza bene avrebbe pensato che fosse dovuto al caldo, ma era un rossore dato dall’imbarazzo, Sonia lo sapeva.
La stava guardando in quel momento, la guardava negli occhi, e siccome nessuno stava prestando davvero attenzione al ragazzo, era come se fossero solo loro in quella stanza.
Loro e dei tavoli vuoti e scuri a dividerli.
<< Non sono un cantante >> Biascicò Cristiano grattandosi la fronte << In realtà ho imparato a suonare la chitarra giusto un paio di settimane fa. Ho avuto un insegnante testardo e severo, che mi gridava contro e schiaffeggiava le dita ogni volta che sbagliavo. Ho cerotti ovunque >> Mentre avanzava con le parole Cristiano si faceva sempre più audace, era con Sonia che stava parlando.
Era lei che stava guardando.
 Sollevò addirittura le dita per far vedere i graziosi cerottini con gli smile che gli aveva regalato la piccola Lisa, quando l’aveva visto sanguinare a causa dei calli.
<< Ho imparato una sola canzone, e anche male se per questo. Non lo dico per giustificarmi. È giusto un’informazione che vi do nel caso vogliate lasciare il locale >>.
Sonia ridacchiò nel sentire quelle parole, si portò una mano sulle labbra e premette per contenersi. Avrebbe voluto non indossare quei jeans neri e smessi e quella t-shirt grigia con il grembiule sporco, o avere quei capelli disordinati stretti nel codino.
Non era nemmeno truccata, aveva le occhiaie.
Sonia non ricordava nemmeno l’ultima volta che Cristiano l’avesse vista conciata in quel modo. Naturale come non lo era mai stata.
Nemmeno prima che lui le rubasse l’innocenza.
<< A dire la verità, non so nemmeno dove ho trovato il coraggio per farlo. Né da dove mi sia venuta l’idea – o forse è colpa del mio migliore amico dopotutto … >>.
Cristiano sospirò e si passò una mano tra i capelli, tentando di ignorare un gruppo di ragazzine che avevano cominciato a prestargli attenzione.
Sonia si sentì chiamare da una sua collega con insistenza ma non si mosse.
Aveva come la sensazione che se si fosse distratta proprio in quel momento qualcosa di estremamente importante le sarebbe scivolato per sempre tra le dita.
Qualcosa che Cristiano non le avrebbe detto mai più, qualcosa che avrebbe fatto per solamente quella sera.
Un’unica, irripetibile, sola volta.
<< Questa canzone non l’ho scelta a caso. Questa canzone, tutta questa pantomima imbarazzante, sono l’unico modo che trovato per poterti dire quello che con le sole mie limitate parole non riesco >> Sonia spalancò leggermente gli occhi quando Cristiano le si rivolse direttamente, attirando così su di se anche gli sguardi di altre persone prima distratte << Non ci sarà un’altra volta. Non ci sarà una seconda occasione. Questa è l’ultima volta che te lo chiederò. È l’ultima volta che mi farò mettere in imbarazzo per te. Sarà l’ultima volta per tutto, Sonia >> Quando pronunciò il suo nome, con quella cadenza sulla vocale finale che lei aveva sempre amato, Sonia sentì lo sguardo di quasi tutti i suoi colleghi addosso, la ragazza che fino a poco prima l’aveva chiamata ora era ammutolita, anche lei sorpresa e con lo sguardo sul palco. Cristiano e Sonia si guardarono negli occhi per quelli che furono solamente secondi, ma che a loro sembrarono durare una vita.
Una vita fatta dei ricordi di due ragazzini inesperti che si volevano bene giusto un pochino, una vita fatta di cattiverie e frasi velenose sussurrate nei momenti di maggiore vulnerabilità per ferire. Una vita fatta di perseveranza, ma di paura.
Sonia stava raccogliendo tutto ciò tra le braccia, Cristiano le stava tenendo aperto il cassetto perché tutto vi venisse gettato dentro e conservato per sempre.
Chiuso a chiave con il lucchetto.
Quando Cristiano cominciò a cantare, con quella voce roca e nasale, Sonia si sorprese, nell’ascoltare parola dopo parola con avidità, di quanto fosse piacevole ascoltarlo nonostante fosse stonato come una campana.
Era nell’intensità il trucco, era nel sentimento.
Tutto quello che Cristiano diceva aveva un senso, aveva importanza, aveva valore.
“ Tu sei quel cagnolino ignaro che ho lasciato per la strada e da quel giorno pago caro e che mi segue ovunque vada …”
Sonia tirò sul con il naso e si coprì gli occhi.
Tutto quello che aveva fatto non aveva alcun senso.
Tutto quello che lei e Cristiano erano stati non aveva più senso.
“Tu sei il senso che ho di me …”
Era quello il senso.
Erano quello, loro due.
Due persone che avrebbero trovato il bene solo nell’altro.
Avrebbero fatto bene solo all’altro.
Perché nessuno altro gli aveva insegnato, perché nessun altro avevano amato.
Quando Cristiano smise di cantare, rosso in faccia per la tensione, aveva gli occhi di tutti puntati addosso. Applaudirono nonostante la performance scadente.
Cristiano scese dal palco e il suo viso, alla luce di un faretto, divenne chiaro e distinto, con i tratti che Sonia tanto amava ben chiari.
Le si avvicinò infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, gli occhi delle persone puntati addosso che lentamente cambiavano rotta, distraendosi.
Quando si ritrovarono faccia a faccia, e Sonia fu costretta a sollevare lo sguardo per fissarlo negli occhi, Cristiano si accorse che la ragazza aveva il viso bagnato e la solita espressione feroce, selvaggia << Non mi aggredisci questa volta? >> Esordì, aveva la voce roca per il cantare << Non mi prendi in giro? >>.
<< No, mi hai dato un ultimatum >>.
Cristiano non replicò nulla, rimase a fissarla.
Sonia si limitò ad afferrargli una mano, sfilandogliela dalla tasca, gliela strinse, forte.
<< Lo sai che non ho mai smesso di amarti >> Gli disse, e l’espressione di Cristiano non mutò <>.
<< Non sono lo stesso ragazzino di allora >>.
Erano parole banali, parole che chiunque avrebbe potuto dire, ma non banali per un ragazzo come Cristiano, non banali per un ragazzo che aveva vissuto come lui.
<< E io non sono la stessa stupida di allora >> Replicò Sonia afferrandolo bruscamente con entrambe le mani per la maglietta, lo attirò a se e il suo respiro caldo le solleticò il viso, Cristiano sapeva di menta e sudore << Non te la caverai facilmente questa volta, adesso ti amo molto di più. Adesso non è più un gioco >>.
Quelle ultime parole Sonia le pronunciò ad un centimetro dalle sue labbra screpolate e carnose, Cristiano sollevò l’angolo delle labbra in un lieve sorriso, per nulla turbato da quella vicinanza, come se il suo corpo non la percepisse.
<< Io non gioco con la cosa più preziosa che ho>>.
Senza sciogliere la stretta sulla sua maglietta, Sonia cominciò a spingerlo velocemente verso una porta che si trovava alle sue spalle. Cristiano l’assecondò in ogni movimento, cominciò a camminare all’indietro, tastando la parete con le mani quando le spalle gli si aderirono contro. La stanza in cui entrarono era semibuia, il ragazzo notò solo fugacemente che si trattava di una sorta di spogliatoio, probabilmente dove i dipendenti si cambiavano.
Non appena la porta si richiuse dietro con uno scatto, Sonia si avventò sulle sue labbra.
Si diedero baci famelici, mordendosi a vicenda, Cristiano la teneva talmente stretta tra le braccia che Sonia avrebbe dovuto provare difficoltà a respirare se non fosse stato per l’adrenalina che le infiammava il corpo come benzina vicino al fuoco.
Quando restarono a corto di fiato, Cristiano la prese per i fianchi e senza troppi complimenti la mise seduta su un tavolo ingombro di vestiti e altre robacce.
Sonia vi si stese sopra scalciando con i piedi per adagiare meglio la schiena, non fece nemmeno in tempo che Cristiano le era già addosso, frenetico le aveva sollevato il lembo della maglietta scoprendole la pelle bianca del ventre tonico e piatto.
Sonia sollevò le braccia e la maglietta volò per terra, da qualche parte.
Avevano entrambi l’affanno mentre si toccavano dappertutto con enfasi, spogliandosi,  Sonia gli aveva intrecciato le gambe dietro la schiena, Cristiano era a torso nudo.
I jeans di entrambi già abbassati, le scarpe ancora ai piedi.
Erano entrambi sudati, si baciavano dappertutto, ansimavano, le dita di Cristiano viaggiavano senza sosta nei posti più sensibili, come se stessero tracciando, seguendo il filo dei ricordi, tutti quei posti che un tempo aveva esplorato senza riserve.
Il corpo di Sonia, nudo nella penombra, gli era familiare ed estraneo contemporaneamente.
Cristiano non fu gentile quando entrò dentro di lei, Sonia gridò.
E gli si strinse addosso, le dita nei capelli, il fiato corto, seguendo il movimento frenetico dell’uomo che amava. Gli occhi bagnati di lacrime.
Non aveva mai provato emozioni intense come quelle con nessuno, non ricordava nemmeno quanto fosse bello stringerlo in quel modo, sentirlo così prepotentemente suo.
Nella sua irruenza c’era il dolore, nella sua fretta la meraviglia e lo stupore di sapere che la stava stringendo tra le braccia; Cristiano non aveva mai parlato molto, quasi mai dei suoi sentimenti, ma in quel momento, tra i gemiti di entrambi confusi e fusi, Cristiano parlò più di quanto avesse mai potuto fare con le parole.
 
Zosimo avrebbe voluto smettere di respirare.
Avrebbe voluto poter allungare le dita e accarezzare lo zigomo spigoloso di Alessandra senza farle aprire gli occhi o disturbare il suo riposo. Avrebbe voluto che il tocco fosse incorporeo.
Avrebbe voluto che lei se ne restasse lì, stesa accanto a lui sul pavimento cosparso di spartiti, vestiti e tazze del modesto salotti di casa sua.
Alessandra aveva le ciglia più lunghe che avesse mai visto, erano scure alla radice ma diventavano bionde sulle punte, il naso era ricoperto di lentiggini chiarissime e le labbra socchiuse si incurvavano leggermente agli angoli.
Non stava davvero dormendo, ma Zosimo non osava fiatare né toccarla, nonostante lo spazio sotto la giacca di jeans con cui si erano coperti fosse pochissimo.
Avevano entrambi le spalle scoperte, e le gambe intrecciate spuntavano fuori sul vecchio pavimento completamente nude fin dalla coscia; Alessandra era minuta e spariva sotto la giacca di jeans del ragazzo coprendo tutte le sue esili forme, Zosimo si sentiva estremamente nudo ed estremamente grosso, nonostante fosse in realtà non troppo alto e piuttosto magro.
Si chiedeva se fosse normale sentirsi inadeguato come faceva in quel momento.
Non sapeva nemmeno dire come fossero finiti sul pavimento.
Era stato più o meno facile come respirare, pensò.
Alla fine non ce la fece a tenere ferme le dita e accarezzò la curva della spalla di Alessandra illuminata dal sole del primo pomeriggio, sul collo, riversa di lato e ferma vicino la clavicola se ne stava la collana con le loro iniziali che Zosimo le aveva regalato per il suoi sedici anni.
Alessandra aprì gli occhi lentamente, e le ciglia si mossero come farfalle, erano di un verde stupefacente sotto la luce del sole che inondava la stanza, pagliuzze di un castano dorato li rendevano ancora più luminosi e vivi, allegri e innocenti.
<< Mi fai il solletico >> Commentò lei ridacchiando, mentre si accoccolava in posizione fetale sotto la giacca di jeans, le loro gambe si serrarono maggiormente, intrecciate.
Zosimo sorrise mettendo in mostra i candidi denti e le fossette.
<< Ho provato a tenere le mani ferme, ma non ci sono riuscito >> Confessò ridacchiando a sua volta, poi si fermò a guardarla incantato, come fosse un miracolo meraviglioso.
Alessandra era felice e allegra, tranquilla e serena come sempre.
Fare l’amore, per la prima volta, quel pomeriggio, era stato normale per entrambi.
Era stata una semplice conseguenza del loro amore, qualcosa che era venuto naturale.
Non ne avrebbero nemmeno parlato, sarebbero stati semplicemente loro stessi.
<< Mi piace quando mi accarezzi >> Mormorò timida Alessandra, Zosimo allargò ancora di più il sorriso e fece per rispondere qualcosa quando il suo stomaco brontolò.
Si guardarono negli occhi per un breve istante, poi scoppiarono a ridere.
<< Hai fame mio tesoro? >> Lo prese in giro Alessandra, infilando le dita della mano destra nella matassa di ricci disordinati del suo fiabesco fidanzato.
Zosimo annuì solennemente, senza guardarle il seno piccolo e sodo sfuggito alla protezione della giacca di jeans. Il sorriso sul viso di Alessandra si fece molto più tenero quando se ne accorse, avvicinò il viso a quello del fidanzato e appoggiò la fronte sulla sua.
<< Prepariamo i pancake? >> Gli propose con un sussurro, occhi negli occhi.
<< Certo che si >> Mormorò a sua volta Zosimo.
Rimasero in silenzio per altri pochi secondi, poi entrambi scattarono in piedi senza pensarci due secondi. Zosimo infilò velocemente mutande, jeans e maglietta, poi aiutò Alessandra a tirare su la zip del vestitino a fantasia fiori che aveva indossato quel giorno.
Avevano entrambi i capelli in disordine, sembravano sconvolti, ma scalzi e incuranti si precipitarono in cucina con l’entusiasmo di due bambini.
Alessandra aprì il frigorifero canticchiando, tirò fuori latte, uova e burro andando a sbattere contro Zosimo quando si girò di scatto. La farina che il ragazzo stringeva tra le mani, insieme a quello che sembrava zucchero, esplose lerreralmente ricoprendoli da capo a piedi.
Chiunque altro avrebbe dato di matto, ma Alessandra e Zosimo scoppiarono a ridere.
<< Ne è avanzata un po’ ? >> Si limitò a commentare la ragazza divertendosi a disegnare dei baffi alla Naruto sulle guance spigolose del suo fidanzato.
Zosimo controllò i resti nella busta squartata e annuì solennemente.
<< Cosa manca? >> Domandò Alessandra contando mentalmente gli ingredienti, mentre Zosimo risorgeva da un armadietto con padelle e scodelle tra le braccia.
<< Il lievito per dolci >> Commentò calpestando amabilmente con i piedi nudi la farina finita sul pavimento, sia lui che Alessandra avevano rischiato di scivolare un paio di volte.
Ma non aveva la minima importanza per loro.
Zosimo non sapeva davvero fare i pancake, cosicché, dopo aver recuperato anche il lievito, si mise seduto su uno sgabello dell’isola, sempre sporco di farina, e appoggiate le mani a pugno sulle guance contemplò la sua fidanzata preparare il composto e muoversi per la cucina come fosse un girasole luminoso ricoperto inaspettatamente di zucchero a velo.
Alessandra faceva ogni singola cosa sorridendo, era un qualcosa che aveva imparato da Zosimo. Vivere non era mai stato così bello da quando lo aveva conosciuto.
Non era mai stato così importante.
<< L’impasto è pronto, vuoi cuocerle tu? >>.
Zosimo saltò su come un grillo alla proposta di Alessandra, scese dallo sgabello rischiando di scivolare per l’ennesima volta sulla farina e si mise scalzo ai fornelli.
A quel punto toccò ad Alessandra osservarlo e vegliarlo.
Non gli disse nulla quando Zosimo bruciò senza pietà i primi tre pancake.
Gli faceva così tanto bene al cuore trovare familiare ogni singolo aspetto del suo uomo.
Entrare in quella pizzeria, in quel freddo inverno che era sembrato appartenere a secoli prima, era stata la cosa migliore che le fosse mai capitata in tutta la sua vita.
Zosimo aveva le maniche della maglietta, infilata tutta storta, sollevate fino al gomito sul braccio sinistro, e fin quasi alla spalla sul braccio destro, i ricci spruzzati di farina gli davano ancora di più l’aria da folletto insieme alle orecchie leggermente a punta che spuntavano a tradimento in quella matassa aggrovigliata.
<< Ecco, mon amour, i pancake più buoni del mondo per te! >>.
Zosimo la risvegliò dalle sue fantasticherie quando le mostrò il piatto che stringeva tra le mani come un tesoro prezioso, dove una pila di pancake bruciacchiati faceva bella mostra di se; Alessandra riuscì a stento a trattenere una risata divertita a quella vista.
Zosimo sembrava un bambino infarinato ed estremamente contento di esserlo.
Non avevano lo sciroppo d’acero per guarnirli, né cioccolata o marmellata, ma Zosimo ci spolverò sopra una buona dose di zucchero a velo e si mise seduto accanto alla fidanzata.
Addentarono il primo pancake contemporaneamente, e contemporaneamente lo sputacchiarono dappertutto.
<< Ma c’è il sale! >> Esclamò Alessandra scoppiando a ridere.
<< Si, è sale! >> Constatò Zosimo guardando il suo pancake come fosse qualcosa di raro.
<< Hai preso il sale invece dello zucchero? >> Domandò Alessandra afferrando tra le mani il barattolo che Zosimo aveva tirato via dalla credenza mentre prendevano gli ingredienti.
Il ragazzo infilò un dito nei granelli bianchi e se lo portò alle labbra, leccandoselo.
Arricciò il naso e sorrise.
<< È sale >> Dichiarò, Alessandra ripose il barattolo sul ripiano tutto sporco e afferrò il viso del fidanzato tra le mani ancora macchiate di impasto e farina.
<< Amore, ma hai inventato una ricetta nuova! Sei un genio! >>
Lo lodò, Zosimo catturò le mani della fidanzata tra le sue, allontanandole dal suo viso, su cui rimasero le impronte a causa della farina, e le stampò un bacio a timbro sulle labbra.
<< No Ale, in realtà esistevano già i pancake salati >> Le rivelò piegando le labbra in un equivocabile broncio finto che poco gli si addiceva, Alessandra stava per rispondere prontamente quando Zosimo la baciò di nuovo zittendola << Me li faceva la mamma >> Confessò timidamente, guardandola negli occhi e facendo scivolare le dita tra quelle di lei.
<< E oggi te li ho fatti io >> Replicò Alessandra facendosi più vicina.
<< Già … >>.
<< E te li farò io da adesso in poi, tutte le volte che vorrai >>.
Si sorrisero, e senza sapere ancora una volta come, troppo vicini anche solo per rendersene conto, scivolarono nuovamente sul pavimento.
Emilia, dalla mensola più alta della cucina, sorrideva.
 
<< A Settembre me ne vado, Cristiano >>.
Nel silenzio assoluto di quello spazio, dove il tempo sembrava essersi dilatato a dismisura per inghiottire ogni cosa, ogni respiro e ogni battito esitate di cuore, le parole di Sonia avrebbero dovuto echeggiare e rimbombare tra le pareti.
Far tremare ogni cosa ed esplodere come fuochi d’artificio.
Invece non fecero nulla di tutto ciò, risuonarono sorprendentemente risolute e aspettate.
I loro respiri si erano ormai tranquillizzati da un pezzo, la pelle ancora calda pizzicava di meno, il tavolo si era spostato di qualche centimetro e tutti i vestiti che un tempo lo ricoprivano erano finiti sul pavimenti, insieme ad ogni altra cosa.  
Cristiano stava provando a farle una treccia quando Sonia aveva parlato, non aveva ancora infilato la maglietta ma se ne stava solo con la canottiera sul reggiseno nero che aveva rimesso da poco.
Quando stavano insieme, Sonia l’aveva tormentato affinché lui imparasse a farle code di cavallo e varie trecce, Cristiano si era lamentato, ma giocare con quei capelli in realtà gli era sempre piaciuto.
Poterlo tornare a rifare era una sensazione così piacevole, gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, a quando si nascondevano nella palestra, sui materassi, per parlare, scherzare o amarsi a seconda dell’umore.
Quei ricordi che aveva creduto di aver dimenticato erano così vividi che gli sembrava quasi di poter percepire ancora, sulle braccia scoperte, il calore del sole che gli accarezzava la pelle. Poteva farlo anche in quella stanza semibuia, con la porta chiusa a chiave.
<< Non mi dici niente? >> La domanda di Sonia lo risvegliò, senza rendersene conto aveva fermato le mani a mezz’aria, con le sue ciocche di capelli tra le dita.
Cristiano si limitò a fare spallucce, sebbene in quella posizione, dandogli la schiena, Sonia non potesse vederlo affatto in volto, e non avrebbe potuto farlo comunque con quel buio.
<< Certo che no, me ne vado anche io >>.
Sonia irrigidì la presa delle braccia intorno alle gambe quando sentì quelle parole.
Cristiano riprese ad intrecciarle i capelli con cura, un riccio alla volte per non farle i nodi, avrebbe voluto chinare il viso e darle un bacio dietro la nuca, o magari sulla spalla spigolosa scoperta, o sulla vertebra più altra per farle venire i brividi.
Era da tantissimo tempo che non stava con una donna con tanta voglia, la pelle gli scottava ancora se osava anche solamente pensarci, i nervi tesi come corde di violino.
<< Tuo padre non te lo lascerà fare, Cristiano >> Commentò Sonia facendo strusciare la punta delle scarpe, che non aveva mai tolto, sul tavolo, sporcandolo di nero.
Cristiano strattonò leggermente uno dei suoi ricci e le si fece più vicino, stringendole ancora di più i fianchi con le gambe, con intimità.
Sembrava che avessero smesso di toccarsi solamente ieri per la facilità con cui avevano ripreso a farlo, come una vecchia abitudine.
<< Mio padre non può dirmi cosa fare o meno. Non può pretendere nulla da me >>
Commentò Cristiano con voce apatica e annoiata, Sonia chiuse gli occhi e, cogliendolo di sorpresa, gettò la testa all’indietro adagiandola sul suo petto.
La treccia si sciolse quasi del tutto, tranne alla base, dove rimase fissa sulla sua schiena, lì dove Sonia vi aveva poggiato il capo chiudendo gli occhi.
<< E dove pensi di andare? Cosa pensi di fare? >>.
Gli domandò stanca, con gli occhi chiusi e le lunghe ciglia appoggiate sulle guance.
Cristiano posò le mani, fino a poco prima così indaffarate, sulle ginocchia e la guardò, desiderando imprimersi nella mente ogni singolo frammento importante di quel volto.
<< Lo sai dove andrò. Lo sai, non te lo dirò ad alta voce. Non lo dirò >>.
Sonia strinse le labbra per cercare di trattenere le lacrime, era sempre stata così brava a farlo. E non le fu difficile quella volta, perché un’ondata di serenità arrivò a travolgerla.
Andrò esattamente dove andrai tu.
Non c’era bisogno di dirlo, no davvero.
<< Non mi dici che diventerò la ballerina migliore del mondo? >> Domandò lei, aprendo i taglienti occhi verdi, selvaggi e maligni, Cristiano sollevò un sopracciglio.
Sonia non gli aveva accennato della sua ripresa nel ballo, eppure era consapevole del fatto che lui sapesse già tutto, senza davvero avere il bisogno di indagare.
<< Mi hai preso per Ivan o Zosimo? Non diventerai la ballerina migliore del mondo Sonia. Sei pigra e hai cominciato ad impegnarti troppo tardi. Dovrai faticare >>.
Sonia scoppiò a ridere quando sentì quelle parole, qualcuno bussò alla porta con insistenza, ma entrambi ignorarono quel richiamo irritato.
<< Mi licenzieranno >> Commentò Sonia borbottando leggermente.
Cristiano sollevò l’angolo della bocca in un sorriso cattivo e sarcastico, nel suo sorriso.
<< Almeno potrai dire di esserti fatta una bella scopata sul tavolo della - >>,
<< Piantala porco! >> Lo zittì lei con una gomitata nelle costole, Cristiano tossicchiò per il dolore e si massaggiò il punto colpito scoccandole un’occhiataccia.
Rimasero in silenzio entrambi per un po’ a cullarsi e farsi cullare.
<< E tu cosa farai Cristiano? Cosa vuoi fare della tua vita? Uhm? >>.
La domanda di Sonia, ripetuta, arrivò proprio quando Cristiano se l’aspettava.
Aveva un’idea piuttosto precisa di cosa avrebbe voluto farsene della sua vita, ma non l’avrebbe mai detto ad alta voce, non avrebbe mai detto ad alta voce che era pienamente, sorprendentemente intenzionato a viverla.
Che era seriamente intenzionato a rispettare quella vita che sua madre gli aveva dato.
Nonostante tutto.
<< Farò >> Si limitò a rispondere.
E non lasciò altro spazio alle domande, non pensò a cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo, alla decisione che aveva preso, o a quel futuro che sembrava così terribilmente lontano.
Pensò più che altro a quello che aveva fatto quella sera, a quello che aveva ottenuto.
Pensò piuttosto, che per la prima volta da molti anni, in quel punto vuoto nel suo petto, in quella voragine spaventosa piena di veleno, avesse finalmente trovato un punto fermo.
Un piccolo appiglio a cui aggrapparsi per respirare.
Pensò piuttosto che, finalmente, dopo tanti anni, il cuore avesse cominciato a rifargli male.
E per una sera, per una sera soltanto, Margherita Serra non tormentò le sue ferite.
 
 
 
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Effe_95
 
Buonasera a tutti :)
Mi presento qui con la mia faccia tosta e non ci provo nemmeno a chiedervi scusa, ho fatto davvero un ritardo mostruoso questa volta. Non ho scuse.
Vi sarete sicuramente scocciati ad aspettare così tanto.
Ma mi devo laureare e la mia vita è diventata un piccolo inferno.
Passando al capitolo ad ogni modo, ho voluto mettere a confronto Zosimo e Cristiano in maniera quasi opposta, spero che si sia capito in qualche modo xD
Cosa ne pensate della ‘serenata’ di Cristiano? xD
Avevate capito cosa voleva combinare il nostro bel tenebroso? Oppure no?
Ad ogni modo, vi consiglio di ascoltare vivamente la canzone di cui ho riportato solo qualche frase per capire perché io l’abbia ritenuta così adatta per Sonia e Cristiano: “Niente più” di Claudio Baglioni.
Per quanto riguarda Zosimo e Alessandra, ho dovuto davvero imparare la ricetta per fare i pancake, nel tentativo di non scrivere stupidaggini (non sono sicura di esserci riuscita) quindi vi prego abbiate pietà di me e siate clementi xD
Anche questa volta, abbiamo visto due coppie avere un ultimo confronto insieme, e spero davvero che vi abbia soddisfatti. Come avevo accennato la storia sta per finire, anche se non sembra, ma conto di scrivere al massimo un’altra decina di capitoli.
Grazie mille come sempre a chi ha trovato il tempo di leggere, un grazie speciale a chi ha continuato a recensire, non avete idea di quanta forza per andare avanti mi diate.
Nonostante io sia fortemente demoralizzata e tutto quello che scrivo mi sembri pessimo.
Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile.
Grazie di cuore.
Alla prossima :)
 
 
  
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