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Autore: Laylath    12/10/2017    4 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 30. Rebecca.

 


 
 
Con tutto quello che era successo a partire dalla festa del primo dicembre, quando c’era stata una prima brusca rottura tra Rebecca e altri componenti del gruppo, i ragazzi non erano ancora riusciti a tornare compatti come al solito. Nonostante ci fossero stati riavvicinamenti era come se mancasse quel senso d’unione che li aveva da sempre caratterizzati. Influiva sicuramente l’assenza di Heymans che, spesso e volentieri, aveva fatto da tramite per risolvere i problemi interni tra i suoi amici e a questo si andava ad aggiungere non solo il momento difficile di Kain, Riza ed Elisa, ma anche le condizioni fisiche di Roy. Insomma era come se ciascuno pensasse solo ai fatti propri o solo a determinati amici.
“Qualcosa tra di noi non va” commentò Rebecca, mentre lei e Jean sedevano tranquillamente nel cortile di casa Havoc a godersi il primo tiepido sole di inizio marzo.
“Tra di noi?” chiese il biondo con sospetto, accendendosi una sigaretta.
“No, tra di noi va tutto bene” rispose lei laconicamente, giocando con un filo d’erba che coraggiosamente spuntava dopo il freddo invernale.
Nonostante quello che si poteva pensare di loro due, era vero: le cose andavano bene. In quelle settimane non c’era stato nessun colpo di testa che aveva riportato al riesplodere della passione. Rebecca aveva ripreso a lavorare all’emporio, recuperando buona parte della sua vitalità: sembrava che le problematiche a casa sua fossero in buona parte appianate, come se sua madre si fosse in buona parte rassegnata al fatto che la figlia lavorasse nell’emporio degli Havoc. Quanto alla sua relazione con Jean, avevano entrambi rispettato il patto di non correre: dopo un primo imbarazzo iniziale erano riusciti a trovare un compromesso e ora si parlavano con tranquillità, godendo della reciproca compagnia senza ancora cercare altro che andasse oltre un eventuale sfiorarsi la mano ogni tanto. Si poteva dire che in quel breve arco di tempo i due giovani fossero maturati più di quanto avessero fatto negli ultimi cinque anni.
“E allora cosa intendi con tra di noi?” chiese ancora Jean.
“Intendo con gli altri. Insomma, se ben ci pensi questa settimana è già tanto se sei passato a trovare Roy mentre ti trovavi in paese. Mentre io…” non terminò la frase e scosse il capo, come ad allontanare un pensiero fastidioso.
Jean annuì, il fumo della sigaretta che veniva allontanato bruscamente da una folata di vento, come se capisse perfettamente il problema. Ovviamente a Rebecca pesava ancora lo strano distacco che aveva con Elisa e soprattutto con Riza: dopo l’emergenza sulla sua presunta gravidanza era come se entrambe si fossero dileguate. Sulle prime il giovane Havoc non ci aveva fatto troppo caso, teso com’era a ricostruire le basi del suo rapporto con la sua più o meno fidanzata, ma ora che ci pensava si rendeva conto che la compattezza del gruppo era venuta a mancare, specie da parte femminile.
E ovviamente, per quella mentalità buona e sincera che era quella degli Havoc, se qualcuno di caro aveva un problema automaticamente diventava un qualcosa da risolvere. Anche se questo voleva dire addentrarsi nel pericoloso mondo delle amicizie femminili.
“Perché non vai a trovare Riza? – propose – sono sicuro che le farebbe piacere”.
“No, meglio di no”.
“Come mai?”
“Non so se sono gradita a casa sua”.
“Per via di quello che è successo a dicembre? Oh, andiamo, Reby! Sono i Fury: vedrai che avranno già lasciato tutto alle spalle e saranno ben felici di rivederti”.
“Dici? Non lo so, può anche darsi che sia così… ma non mi sento pronta per una cosa simile”.
“Vuoi che parli con Riza?”
“Ma no. Tutto sommato credo di dover risolvere la cosa da sola… solo che non so come fare. Senza contare che ultimamente la vedo pochissimo anche in paese”.
A quelle parole Jean si limitò ad annuire: Rebecca aveva messo dei paletti oltre i quali era impossibile andare, pena il rischio di una litigata. A parer suo, specie conoscendo Riza e avendo la vaga impressione che sarebbe stata la prima felice del riavvicinamento, si stava complicando la vita, ma non osava farglielo notare.
Il discorso si bloccò lì: cinque minuti dopo terminò la loro pausa e tornarono a lavorare all’emporio. L’imminente arrivo della primavera e dei nuovi ordini li tenne impegnati fino al momento in cui lei dovette tornare a casa prima che il buio la cogliesse durante il cammino. Tuttavia nella mente di Jean ormai il seme era stato piantato: volente o nolente si trovava a rimuginare sui problemi relazionali della sua più o meno fidanzata.
“Fratellone, senti – lo chiamò Janet, mentre dopo cena salivano le scale per andare ciascuno nella sua camera – hai idea di cosa voglia Rebecca per il suo compleanno?”
“Compleanno?” fece con aria stranita.
“Il quattordici marzo, no? Tra una settimana, non mi dire che te ne sei scordato! – la ragazzina lo fissò con aria indignata – Comunque, dicevo, credi che potrebbero piacerle dei fazzolettini nuovi? In paese ho visto che ce ne sono anche con l’orlo rosa”.
“Compleanno… ma certo!”
“Certo cosa? Che la settimana prossima è il suo compleanno o che le potrebbero piacere i fazzolettini ricamati? Jean… Jean! Insomma mi ascolti? È importante!”
“Cosa? – il giovane osservò la sorellina con curiosità, come se fosse comparsa all’improvviso – entrambe le cose, Janet. Sono sicuro che i grembiuli le piaceranno tantissimo”.
“Fazzoletti, vorrai dire”.
“Ma sì, quelli. Adesso scusa, ma devo proprio andare in camera a pensare ad una cosa”.
“Tu che pensi?” fece sarcasticamente Janet.
Ma se in un momento normale Jean avrebbe ribattuto con stizza a quella presa in giro, in quell’occasione manco si girò a guardare la ragazzina. Ormai la sua mente stava elaborando un piano che non aveva niente da invidiare a quelli fatti da Roy Mustang quando era all’apice della sua inventiva adolescenziale.
 
Mentre il resto del gruppo aveva maturato un certo modo di agire, Jean aveva tenuto una certa spontaneità che spesso portava le sue azioni ad essere considerate infantili. Allo stesso modo in cui aveva ben pensato di fare un gesto eclatante durante la festa del primo dicembre, per il compleanno di Rebecca decise di farle una sorpresa che avrebbe di gran lunga superato qualsiasi regalo materiale che avrebbe potuto comprarle in paese.
“Devi farmi da regalo – disse il giorno dopo ad una stupefatta Riza che se l’era ritrovato davanti non appena aveva aperto la porta – non pretendo che tu ti metta un fiocco in testa, sarebbe ridicolo. Però devi essere la sorpresa per la festa di compleanno di Rebecca”.
“Aspetta, prendi fiato, Jean – cercò di calmarlo la ragazza, accorgendosi che l’amico si doveva esser fatto una bella corsa per arrivare sino a casa sua – spiegati meglio. Perché non entri?”
“No, non ho molto tempo a disposizione – scosse il capo lui con impazienza – tra nemmeno mezz’ora Rebecca arriverà all’emporio e io dovrò essere lì. Per farla breve – prese fiato come se fosse imperativo dire il tutto il più in fretta possibile – lei è triste per il fatto che il vostro rapporto non è più come una volta. Le ho detto che dovrebbe parlarti, ma credo che tema un tuo rifiuto, del resto era successo un bel casino tra di voi, me lo ricordo bene. Però, insomma, la vostra è un’amicizia di lunga data e sarebbe un peccato buttarla via… certo, alla fine dev’essere una tua decisione, ma se ci rifletti bene ammetterai che Reby non è così stronza come può sembrare… non sempre… insomma, in questo periodo non lo è di certo”.
“Jean, senti…”
“La settimana prossima è il suo compleanno e sarebbe brutto se non ci fossi almeno tu a festeggiarlo. Forse una cosa come ai vecchi tempi, ovvero tutti assieme, sarebbe esagerata, ma credo che la tua presenza le farebbe davvero piacere. E prima che tu me lo chieda… lei non ha la minima idea di quello che sto facendo, con tutta probabilità mi direbbe che sono un idiota e forse lo sono. Ma lei è la mia…”
“… la tua?” adesso un primo accenno di sorriso appariva sulle labbra di Riza.
“… beh, non lo so bene che cosa sia. Ci stiamo riavvicinando ma non siamo ancora tornati assieme. Però, a prescindere da quello che lei è, vorrei che faceste veramente pace e tornaste quelle di prima. Credi sia fattibile o ti sto chiedendo troppo?”
Questa volta Riza non riuscì a trattenere una risatina.
“Oh, Jean, fossero tutti come te il mondo sarebbe decisamente un posto migliore – dichiarò, prendendo la mano dell’amico – a dire il vero sulle prime ero tentata di dirti di no, del resto io e Reby non ci siamo parlate per tutto questo tempo dopo quell’emergenza…”
“… la stai chiamando Reby e non Rebecca: lo prendo come un buon segno”.
“Sicuro che lei voglia fare pace con me? Intendo in maniera definitiva”.
“Sono sicuro che è quello che vuole, anche se… a ben pensarci, forse toccherà a te guidare la conversazione. Insomma, sai quelle cose dove in teoria dovrebbe iniziare una, ma invece lo fa l’altra: come fanno le ragazze già da quando sono a scuola. E ti prego di darmi una risposta in fretta: per quanto corra veloce il tempo a mia disposizione è davvero poco. La festa è tra una settimana, a casa mia, di primo pomeriggio… e se non vuoi… insomma, lo sai quanto è difficile per me pensare ad un regalo. Figurati per una persona che non è ancora la mia fidanzata… non di nuovo, almeno”.
L’esitazione di Riza durò solo per qualche secondo, ma alla fine non poté fare a meno di annuire. Questo bastò al giovane Havoc per sorridere soddisfatto, rivolgerle un cenno di saluto ed iniziare la sua folle corsa verso casa, quasi avesse paura di un improvviso ripensamento.
 
Jean, inconsapevolmente o meno, aveva fatto i calcoli nel modo giusto: era Riza la chiave di volta da cui partire per consentire a Rebecca di tornare a far parte del gruppo. Una volta sanato il litigio tra le due amiche il resto sarebbe venuto di conseguenza, proprio come a volte succedeva tra gli altri componenti: bastava il perdono di chi aveva subito il torto per riportare l’ostracizzato nelle grazie della restante compagnia.
E aveva fatto i calcoli nel modo giusto anche nell’anticipare alla bionda che con tutta probabilità sarebbe toccato a lei il compito di iniziare il discorso con l’amica. Del resto bastava conoscere un minimo Rebecca per sapere che molto spesso dalla sua bocca non erano in grado di uscire le famose parole giuste al momento giusto.
Rebecca infatti costituiva l’elemento forse più incomprensibile del gruppo, specie in confronto alle altre due componenti femminili che invece erano pacate e sensibili. In lei c’era qualcosa della malizia di Roy, della sfrontatezza di Jean, ma questi caratteri venivano enfatizzati e forse storpiati dall’impronta materna.
Di conseguenza se possedeva indubbio fascino e sapeva essere più che gradevole, bastava che la luna le girasse storta per avere un completo ribaltamento di fronte.
E sembrava che quei pochi giorni che precedevano il suo compleanno facessero pare di quest’ultima categoria. Le giornate all’emporio scorrevano tranquille, ma a casa la situazione era tornata un po’ ai ferri corti per via di sua madre: sembrava che questo diciannovesimo compleanno rappresentasse una sorta di scadenza entro la quale lei dovesse decidere che cosa fare della sua vita.
“Ancora non riesco a capire come sia riuscita a trasformare la questione della torta in una tragedia – sbottò Rebecca, sdraiandosi sul letto della sorella maggiore e cercando di sbollire la furente litigata avuta guache minuto prima in cucina – non mi pare che per te abbia mai fatto qualche problema. Sai che ti dico? Mi sa che rinuncio del tutto all’idea di festeggiare a casa… farò direttamente da Jean. Gli chiedo se puoi venire anche tu, ma non penso che ci saranno problemi: assieme a papà ti considera la parte sana della famiglia Catalina”.
“Oh, non dar troppo peso a mamma – sospirò Polly, finendo di sistemarsi i capelli con un nuovo nastro – è di pessimo umore per conto suo e non perde occasione per farlo presente a tutti”.
“Sai, a volte vorrei davvero che Jean mi sposasse – confidò la mora, guardandosi la mano sinistra ed immaginando un cerchietto d’oro attorno all’anulare – finalmente me ne andrei di casa e non avrei più a che fare con lei… almeno non quotidianamente. Non capisco come tu non senta quest’esigenza”.
“La sento pure io, fidati, ma non per i motivi che credi. Ringraziando il cielo la mamma sa che con me certe critiche non attaccano: me le faccio scivolare addosso”.
“Certe critiche non attaccano con te perché non te ne può muovere: sei la figlia perfetta, Polly. Non hai mai creato un problema a casa. Credo che la mamma ti consideri come l’angelo del focolare che sarà il bastone della sua vecchiaia e cose simili, mentre io…”
“Ho ricevuto una proposta di matrimonio”.
A Rebecca sarebbe tanto piaciuto bere qualcosa in quel momento, così avrebbe potuto esibirsi nel classico farsi andare storto il sorso per la sorpresa ricevuta. Ma si dovette accontentare di balzare a sedere sul letto, con una mossa a dire il vero poco elegante, e guardare la sorella maggiore con aria incredula. Penny Catalina che riceveva una proposta di matrimonio? Era qualcosa di altamente impensabile se si considerava che in tutti quegli anni non aveva avuto uno straccio di corteggiatore. Non era tanto l’aspetto fisico: sebbene non fosse bella come la sorella minore, Polly era comunque piacevole con il suo viso rotondetto ed i luminosi occhi scuri; era più che altro l’atteggiamento molto riservato che non aveva mai incoraggiato i ragazzi a fare qualche passo verso la sua direzione.
“Hai detto proposta di matrimonio? – riuscì a dire Rebecca dopo qualche secondo di silenzio – Senza nemmeno un minimo di corteggiamento? Polly Catalina questa è la storia più assurda del mondo, a meno che tu non sia stata fidanzata per anni riuscendo a nascondere la cosa persino a me”.
Polly le sorrise con tenerezza, un lieve rossore che le appariva sulle guance: di colpo apparve molto più carina del solito, come riescono ad esserlo le ragazze felici e realizzate della propria situazione sentimentale.
“Si tratta di Buck Chester, dovresti conoscerlo”.
“Il secondo figlio dei Chester? – Rebecca fece mente locale per visualizzare quel giovane che doveva avere qualche anno in più della sorella – Non mi sembra di avervi mai visto assieme… oh, cielo! Non vorrai dirmi che hai una relazione clandestina con lui! Insomma… è il secondo figlio di un contadino”.
“Lo sottovaluti – scosse il capo Polly – ha ottime doti di amministratore. Sai, aiutava suo padre nella gestione dei terreni del vecchio Lyod che pare debba tornare in paese a breve. A quanto pare Buck si è occupato di buona parte dell’amministrazione negli ultimi due anni, da quando il genitore ha avuto quel brutto incidente a cavallo che l’ha costretto con la stampella…”
“… questi dettagli non sono quello che mi interessano. Spiegami come Buck Chester ti ha fatto una proposta di matrimonio!” la interruppe Rebecca.
“È stato il mese scorso – confessò lei – mi ha detto che il signor Lyod, data la sua bravura, gli ha proposto di andare ad occuparsi dell’azienda della sua famiglia, sai il paese oltre il fiume… a ottanta chilometri da qui. Si tratta di un ruolo di grande fiducia e dovrebbe partire entro questa primavera. Mi ha detto che vorrebbe sistemarsi prima di partire e così mi ha chiesto se volevo sposarlo e andare assieme a lui. Del resto un uomo ammogliato dà di sé un’impressione decisamente più seria, specie se giovane”.
“Oh, santo cielo, Polly! – Rebecca era incredula – Ti stai sposando per interesse?”
“Buck è un bravo ragazzo – si difese la maggiore – è un gran lavoratore, onesto e apprezzato. Mi rispetterà e mi vorrà bene come moglie perché è quel tipo di persona, è risaputo. Senza contare che io non ho… qui non ho nessuna aspettativa, Reby, ne sono consapevole da parecchio tempo ormai. Fa paura, certo, si tratta di andare in un posto completamente nuovo, ma un treno simile non ripasserà mai più”.
“Ma tu non lo ami!”
“È una brava persona, certo non molto loquace… anche se ci conosciamo poco arriveremo a volerci bene in fretta se non ad amarci veramente. Forse ti sembra quasi un matrimonio combinato, ma a me non dispiace come idea”.
Rebecca non poté far altro che fissare allibita la sorella: per lei quello era un matrimonio combinato bello e buono che andava totalmente contro tutto quello che riteneva giusto. A suo parere se due persone si sposavano dovevano come minimo volersi un gran bene, se proprio non si voleva usare la parola amore, altrimenti non era qualcosa di molto diverso da uno scambio di mucche al mercato annuale. Perché sua sorella si doveva sminuire in un simile modo? Se solo avesse osato di più avrebbe sicuramente trovato qualche altro giovane che l’avrebbe conosciuta un minimo prima di fare una simile proposta.
E magari uno che invece di partire se ne rimanga in paese.
“Come pensi di dirlo alla mamma?”
“Ne parlerò prima con papà – scosse il capo Polly – gli farò incontrare Buck e se per lui andrà bene le cose saranno in discesa. Ammetto che l’idea di andare via dal paese mi attira”.
“Un discorso simile me lo aspetterei più da me”.
“Papà viaggia spesso in quel paese per lavoro. Potrebbe venire a trovarmi e stare a casa nostra”.
“Insomma mi lasci sola ad affrontare il mostro che adesso ancora sputa fuoco in cucina”.
“Prima o poi anche tu ti sposerai con Jean, no? Le cose con lui non hanno ripreso ad andare bene?”
“Certo che vanno bene, ma ci vorrà ancora tempo per il matrimonio”.
Lo disse con troppa sicurezza, se ne rese contro subito e forse lo capì anche Polly. Ma le due sorelle non avevano mai avuto un grado di confidenza tale da parlare apertamente dei loro problemi. Per quello Rebecca si era sempre rivolta a Riza, ma i rapporti con lei non erano idilliaci come una volta, anzi erano quasi del tutto inesistenti.
A volte mi viene da chiedermi se siamo ancora amiche o se si è trattato solo di un momento di riappacificazione – pensò, ripensando con nostalgia al tempo in cui sarebbe corsa dall’amica per raccontarle questa grande novità e confidarle la paura che provava all’idea di non avere più la sorella maggiore a casa.
 
Dopo questa nuova rivelazione fu normale che l’umore della ragazza fosse sotto terra il giorno del suo compleanno. Se non fosse stato per l’impegno preso con la famiglia di Jean avrebbe preferito restare a letto a rimuginare su quanto fosse ingiusta la vita che le rovinava così quelli che in teoria dovevano essere dei momenti di festa. Sua sorella per fortuna decise di non partecipare alla festa: questo almeno avrebbe evitato di aver davanti uno dei suoi motivi d’apprensione.
Ma sì – si disse mentre bussava alla porta di casa Havoc, cercando di sfoggiare il migliore dei suoi sorrisi – in fondo si tratta solo di qualche ora. Posso anche passare una bella serata e lasciarmi alle spalle i guai.
“Ciao, son…” la frase le morì in bocca quando ad aprirle fu Riza.
La ragazza indossava uno dei suoi vestiti di festa, segno che non era una coincidenza il fatto che si trovasse lì. La osservava con espressione neutrale, come se aspettasse un suo segnale per decidere che atteggiamento assumere.
Ovviamente il cuore di Rebecca ebbe un balzo nel vedere quella persona che, assurdamente, sembrava uscita da un’esistenza molto lontana. L’immagine di loro due che passeggiavano confidandosi i loro segreti sembrava sbiadita ed irrimediabilmente perduta.
“Come stai, Reby?” le chiese la bionda dopo qualche secondo di silenzio.
“Io… beh, è il mio compleanno, no? – sorrise – Come posso stare se non splendidamente?”
“Bugiarda” rispose al sorriso Riza, come se avesse già capito tutto.
“Avrei decine di cose da raccontarti – sospirò Rebecca, prendendole la mano e stringendola con forza. Una volta tanto il suo grande orgoglio scompariva di fronte all’esigenza di riavere quella preziosa amica e confidente – non hai idea di quello che sta succedendo a casa…”
“Me lo potrai raccontare dopo la festa – Riza rispose a quella stretta con calore – anche io ho svariato da dirti”.
“Periodaccio, vero? Lo si capisce dalla faccia”.
“Siamo proprio dei libri aperti l’uno per l’altra, eh?”
“Meglio non approfondire la tipologia di libri. Allora, presumo di dovere a Jean la tua presenza, vero?”
“Presumi bene. Il tuo quasi ragazzo è un tesoro, lo sai bene”.
“Quasi ragazzo? Ora si definisce così?”
“Tu come lo definiresti?”
“Non lo so… dopo che ti ha fatto venire alla mia festa di compleanno ci devo riflettere”.
“Oh bene! – comparve proprio il quasi ragazzo – sei arrivata. Allora, ti piace il tuo regalo?”
“È stato delicato – commentò Riza con una risatina – mi ha concesso di non mettere un fiocco gigante nella testa. Però mi sono messa un abito da festa in modo che l’incarto fosse più che decoroso”.
“Hai fatto benone!” annuì Rebecca.
 
La festa fu un verso successo: nonostante fossero presenti solo tre dei componenti del gruppo fu come se ci fosse finalmente un’armonia che mancava da troppo tempo. Riza e Rebecca si comportarono come se nessun litigio fosse mai intercorso tra loro e questo, ovviamente, fece gongolare di soddisfazione Jean, lieto che il suo piano fosse riuscito alla perfezione.
Verso sera le due ragazze si congedarono dagli Havoc, ma mentre stavano per avviarsi Rebecca scambio qualche parola con Riza e poi tornò indietro verso Jean che ancora indugiava nel cortile.
“Dimenticato qualcosa?” chiese il biondo.
“Sì – rispose lei, con serietà – direi che è arrivato il momento di chiarire bene cosa siamo”.
“Uhm” Jean prese dalla tasca il pacchetto di sigarette, ma parve ripensarci e si limitò a tenerlo in mano.
“Un regalo come quello che ho ricevuto stasera non viene fatto da una persona qualunque, questo è chiaro: non ti ringrazierò mai abbastanza per aver convinto Riza a venire… per una volta tanto sono davvero felice che tu abbia preso l’iniziativa andando contro quello che volevo”.
“Non c’è di che”.
“Jean, la mia vita in questo momento è un pessimo disastro – confidò – quest’anno è iniziato nel peggiore dei modi, facendomi sentire un vero schifo: solo i quest’ultimo periodo ho recuperato un minimo di serenità… e se ho dei momenti di quiete lo devo solo a te”.
“Fidanzati o no lo sai che ci sarò sempre – borbottò Jean con fare imbarazzato – senti, Reby, non è da noi farci discorsi simili. Mi metti un po’ in difficoltà… mi stai chiedendo se ti amo ancora? Certo che ti amo, altrimenti non avrebbe senso che tu venissi qui ogni giorno, questo è chiaro ad entrambi. Per me va bene aspettare i tuoi tempi dopo tutto il casino successo”.
“Non mi va più di aspettare – scosse il capo la mora – ho bisogno di sentire di nuovo il tuo contatto, i tuoi abbracci, i tuoi baci… voglio fare l’amore con te come eravamo soliti fare, solo perché ci andava senza porci nessuna domanda…giuro che sarò prudente che chiederò ad Elisa qualche consiglio per non cascarci. Ma di una cosa sono certa: se la mia vita è un casino voglio avere un porto sicuro dove trovare sempre rifugio e quel porto sei tu, Jean Havoc… volente o nolente. Ecco, ho finito: mi ritieni una matta o cosa?”
“Ritengo che ho fatto bene a non accendermi la sigaretta” dichiarò lui prima di afferrarla per la vita e baciarla con foga, come se cercasse di recuperare tutti quei baci che non si erano dati durante quelle settimane, quando entrambi avevano troppo timore di andare oltre.
“Dannazione a te, se baci bene…” sospirò Rebecca staccandosi da lui.
“Perché? Tutto il resto non lo faccio bene? – le chiese Jean, rifiutandosi di lasciarla andare – Domani giuro che ti…”
“Devo andare, non posso lasciare Riza troppo tempo ad aspettarmi” si divincolò dalla sua stretta con un’agile mossa.
“Bastarda, mi provochi…”
“Lo so – strizzò l’occhio lei – e a te piace, non negarlo. A domani, fidanzato!”
“A domani, fidanzata”.






______________________
nda
Beh, diciamo che siamo in ripresa: questo capitolo non mi ha fatto soffrire come il precedente :D
Speriamo bene

 
  
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