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Autore: Red Owl    12/10/2017    2 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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Colle di Hudwill - Germanica Inferiore, 342 a.U.c., 30 Aprile

«Ecco, Lidia, questo è il confine» sussurrò Donna Giulia, posando una mano sulla spalla della figlia e scrollandola piano.

«Mh» grugnì la ragazza, lanciando uno sguardo apatico fuori dal finestrino del carro automatico sul quale stavano viaggiando. Non c’era praticamente nulla, lì: solo un ammasso di casupole che si perdevano nell’atmosfera grigia e umida di quella che, in teoria, avrebbe dovuto essere una giornata primaverile. Il solo pensiero di abbandonare il tepore del carro le faceva venire il mal di stomaco.

«Sei sicura di non volerti fermare a prendere qualcosa?» insistette la donna più anziana, con una nota di preoccupazione nella voce. «Non voglio niente» bofonchiò compostamente Lidia, senza nemmeno girarsi verso la madre. Donna Giulia esitò qualche istante, poi si lasciò ricadere sul proprio sedile con un sospiro preoccupato.

Lidia ci aveva provato, a seguire il consiglio di Lucilla. Ci aveva provato, a vivere con uno spirito più positivo quella nuova fase della sua vita, ma proprio non ci riusciva. Man mano che il carro proseguiva verso nord, si sentiva sopraffare sempre più da un’angoscia difficile da contrastare. Erano in viaggio da un giorno intero e il paesaggio fuori dai finestrini non aveva più nulla di simile alle verdi, dolci colline e ai campi di grano che aveva lasciato lontano, in quella che avrebbe per sempre chiamato casa. Forse era anche colpa del tempo: da un paio di ore aveva infatti iniziato a piovere. Non una pioggia forte, tipo temporale, ma una pioggerellina insistente e sottilissima, accompagnata da una nebbia persistente che rendeva il paesaggio uniforme e ben poco attraente.

A Roma non c’era mai questo nebbione, pensò Lidia, afflitta. Non era vero, naturalmente, ma quel clima tutt’altro che primaverile, in netto contrasto con il sole splendente che aveva lasciato nella grande metropoli, le pareva di pessimo auspicio.

Appoggiando la fronte al finestrino freddo, la ragazza lasciò scorrere uno sguardo assente sul paesaggio che sfilava davanti ai suoi occhi, senza badare alla nuvoletta di condensa che il suo fiato aveva disegnato sul vetro. Campi bagnati, prati costellati di pozzanghere, strade di terra nera, alberi scuri, contadini avvolti nei loro pesanti pastrani, orti ancora desolatamente spogli e…

«Madre!» esclamò Lidia, rianimandosi tutta d’un tratto. «Guarda! Quel carro è trainato da dei cavalli!» La fanciulla sapeva che non ovunque si usavano i carri automatici che erano tanto diffusi a Roma, ma quella era la prima volta che vedeva con i propri occhi un mezzo di trasporto che non sfruttava l’energia del sole, ma quella degli animali. Donna Giulia si sporse per guardare le bestie indicatele dalla figlia. «Già» confermò. «Non se ne vedono tanti giù dalle nostre parti…»

«In compenso qui non ho visto carri automatici» notò con preoccupazione la ragazza. «Dici che non li usano?» Sua madre si strinse nelle spalle, incerta. «Non lo so, piccola, forse qui non c’è abbastanza sole per alimentarli e quindi questa gente è costretta a ricorrere ai cavalli…»

«Ma no, stupide!» sbottò il senatore Prisco, sollevando il naso dai comunicati che stava studiando. «I carri automatici sono poco adatti per muoversi sulle strade di montagna: sono troppo strette. Un carro automatico sarebbe solo una spesa inutile, da queste parti. Il sole non c’entra niente.»

Il rimprovero del padre soffocò lo sprazzo di curiosità di Lidia, che tornò a rinchiudersi nel suo mutismo e a scrutare torva il paesaggio.

Erding - Germanica Inferiore, 342 a.U.c., 1 Maggio

L’alba che stava sorgendo su Erding era umida di rugiada e di pioggia cessata da poco. Lidia poggiò esitante un piede fuori dal carro e fu grata di avere indossato degli abiti più pesanti di quelli che portava di solito. Faceva freddo, molto più freddo di quanto si sarebbe aspettata e, anche se l’aria era tersa e piena del cinguettio dei primi uccelli, la fanciulla non poté fare a meno di osservare preoccupata le montagne che si ergevano tutt’intorno alla stretta valle. Sapeva che non erano le più alte della regione, ma a lei, abituata alle dolci colline romane, parvero dei giganti neri che la scrutavano con occhi malevoli.

Non essere melodrammatica! La voce di Lucilla risuonò chiara nelle sue orecchie e la ragazza ebbe l’assurdo impulso di guardarsi attorno per sincerarsi che l’amica non fosse effettivamente lì con lei. La notte insonne passata sul sedile del carro le aveva irrigidito tutti i muscoli e la giovane si stiracchiò, discretamente, nel tentativo di sciogliere i nodi dolorosi alla schiena e al collo. Immediatamente, un refolo d’aria fredda le si infilò sotto la mantella che le cingeva le spalle e lei se la strinse addosso, tremando violentemente. In cerca di protezione dalla brezza gelida – e forse, inconsciamente, dal destino che stava per compiersi – Lidia si avvicinò al fianco della madre, guardandola da sotto in su e cercando di spiare una qualche reazione sul suo volto. Donna Giulia se ne stava rigidamente in piedi di fianco al carro, aspettando che suo marito facesse ritorno in compagnia del Legato Quinto Anicio Libo, davanti alla cui domus si trovavano al momento.

«Madre?» Lidia andò in cerca di una parola di conforto, ma negli occhi scuri della madre – quegli occhi che assomigliavano tanto ai suoi – non lesse altro che un affetto triste. La ragazza sapeva che la donna non poteva fare nulla per cambiare la sua sorte, tuttavia avrebbe apprezzato un piccolo incoraggiamento.

Era una donna quieta, Giulia, e Lidia le assomigliava molto. La fanciulla si chiese se anche sua madre provasse di tanto in tanto quel senso di ribellione e quella rabbia che le facevano venir voglia di urlare fino a farsi bruciare i polmoni; e se, soprattutto, fosse altrettanto brava a soffocare quegli impulsi e a relegarli nell’angolo più remoto del suo essere, sepolti sotto strati di cortesia e timidezza. Glielo avrebbe chiesto, forse, consapevole che quella era una delle ultime occasioni che aveva per parlare a quattr’occhi con Donna Giulia. L’arrivo di suo padre e del Legato, tuttavia, la costrinse a desistere.

Quinto Anicio Libo non era un uomo particolarmente giovane, con ogni probabilità andava ormai per i cinquanta, ma era alto e asciutto e aveva un viso dall’espressione gentile, con due occhi buoni che rincuorarono un poco Lidia. Nel vederlo, la fanciulla pensò di aver forse trovato un volto amico anche in quel villaggio buio e umido.

«Donna Giulia, Lidia», disse il Legato, allargando le braccia per accogliere le due donne, «benvenute a Erding. Siete arrivate giusto in tempo: negli ultimi giorni ha piovuto molto, ma ora il tempo dovrebbe volgere al meglio… o così mi dicono.» Donna Giulia gli rivolse un sorriso cordiale e Lidia la imitò, cercando di evitare che il suo nervosismo si manifestasse nel sorriso che rivolse all’uomo. I suoi tentativi non ebbero successo, perché Quinto si rivolse a lei, divertito: «Sei nervosa?»

La fanciulla annuì. «Un po’» sussurrò, con gli occhi bassi.

«Solo un po’, eh?» Il sorriso sul volto del Legato si allargò, ma non era un sorriso di scherno e Lidia riuscì a ricambiarlo un’altra volta. «È normale», cercò di rassicurarla l’uomo, «ma vedrai che la paura passerà una volta che ti sarai ambientata un pochino e avrai visto che non c’è nulla da temere, qui.»

La ragazza lo guardò con due occhi enormi. «No?»

«No» confermò Quinto. «E comunque c’è un manipolo di legionari di stanza alle porte della città, per cui la pace è garantita.» Lidia avrebbe voluto chiedere perché ci fosse bisogno di così tanti soldati, se la situazione era davvero così tranquilla, ma non disse nulla: del resto, la sua unica, remotissima possibilità di fuga era legata proprio a quei militari, quindi non l’avrebbero certo sentita lamentarsi della loro presenza. «Bene» disse il Legato, battendo le mani e indicando ai servitori di scaricare i bagagli. «Volete riposarvi un po’ o preferite visitare il paese?»

«Visitiamo il paese!» rispose subito Lidia, che voleva conoscere il prima possibile il luogo in cui avrebbe passato il resto della vita, ponendo così fine alla logorante attesa che durava ormai da più di una settimana.

Annuendo, Quinto li condusse fuori dalla sua proprietà e attraverso le strade sconnesse di Erding. Definirla città, scoprì Lidia, era assolutamente troppo lusinghiero. Si trattava piuttosto di un grosso villaggio, con case in legno e pietra, tutte uguali, tutte scure, con le travi annerite dall’esposizione al sole e il muschio che si arrampicava su dal terreno a causa dell’umidità eccessiva. Nel giro di una decina di minuti, il sole fece capolino da dietro le creste e l’atmosfera si sarebbe anche potuta definire relativamente piacevole, se non fosse stato per il disagio che la fanciulla provava per la calma surreale che regnava in quel luogo. Le strade erano completamente deserte e, fino a quel momento, non avevano incontrato anima viva. «Ma non ci abita nessuno, qui?» chiese, ad un certo punto.

Quinto ridacchiò. «Certo che ci abita qualcuno… in questo momento però se ne stanno tutti in casa, a spiarti da dietro le finestre e a spettegolare su di te.»

Lidia sbiancò. «E perché dovrebbero fare una cosa del genere?»

Il Legato la guardò con un sorriso. «Non sai molto della vita di paese, vero?» La ragazza storse appena il naso davanti alla canzonatura non troppo velata dell’uomo, ma fu felice di notare che il sapersi spiato non fece piacere nemmeno a suo padre, che improvvisamente prese a lanciare occhiate feroci tutt’attorno a sé.

Il gruppetto giunse in una piccola piazza circolare, dove, finalmente, ebbero modo di incrociare i primi abitanti del luogo. Si trattava soprattutto di donne e Lidia guardò stupita le loro semplici vesti di lana e i loro lunghi capelli, che portavano sciolti, in un’acconciatura che la giovane non aveva mai visto sfoggiare a nessuna donna di buona famiglia. Sebbene provasse una certa curiosità nei confronti di quelle persone, che già al primo sguardo le parvero terribilmente diverse da quelle con cui era solita avere a che fare, Lidia distolse lo sguardo in preda all’imbarazzo quando sentì su di sé i loro occhi: tra la piccola folla radunata nella piazza, c’era chi pareva condividere la sua stessa curiosità, ma alcuni di loro – soprattutto una manciata di uomini – sembravano guardarla quasi con ostilità.   Nel tentativo di sfuggire a quelle attenzioni, la ragazza si finse interessata alla statua che dominava il centro della piazza. «Chi è quello?» chiese, indicando la raffigurazione di un giovane da capelli ricci e con uno strano elmo in testa, immortalato nell’atto di levare al cielo una spada.

«Quello è Arminio, il più grande degli Dèi germanici» le spiegò Quinto, seguendo la direzione del suo sguardo. «Stai attenta a non parlarne male: sono piuttosto suscettibili, quando si tratta di religione.» Lidia annuì, prendendo nota di quanto le aveva detto il Legato, e poi si affrettò a seguire i suoi genitori, che si stavano già allontanando dalla statua del giovane guerriero.

Il resto della mattinata passò più rapidamente di quanto si sarebbe aspettata. Erding era piccolo, ma Quinto riuscì comunque a scovare diversi luoghi d’interesse da mostrarle: la piazza in cui, un giorno alla settimana, si teneva il mercato, il macellaio con la carne migliore, la bottega alla quale rivolgersi per ottenere dei tessuti di qualità. La fanciulla faceva segno di sì con il capo e sorrideva in silenzio, cercando di nascondere il proprio disagio e l’imbarazzante realtà che lei non la sapeva nemmeno cucinare, la carne.

Man mano che le ore passavano e il sole si alzava nel cielo, accorciando le ombre, Lidia sentiva crescere in sé l’inquietudine. Sapeva che avrebbe dovuto conoscere il suo futuro sposo, quel giorno, ma il fatto di non essere a conoscenza dell’orario in cui ciò sarebbe avvenuto la riempiva d’angoscia. Quando giunse l’ora di pranzo, la giovane aveva lo stomaco talmente chiuso che dovette farsi violenza per mangiare, per educazione, i manicaretti che Quinto fece servire loro. Quando, poco dopo, due ancelle vennero a chiamarla, stringendo tra le mani un pettine e delle vesti pulite, Lidia si sentì sul punto di svenire. Qualcosa, nel profondo del suo petto, le imponeva di ribellarsi, di rifiutare quello che le pareva un sopruso, ma le sue gambe si mossero in automatico, permettendo così alle due giovani di scortarla in un’altra stanza.

Le ragazze la lavarono e la vestirono; quando però le pettinarono i capelli e le proposero di lasciarli sciolti, alla moda delle donne germaniche, la fanciulla si oppose. No, li avrebbe raccolti, così com’era sempre stata abituata a fare. Senza le trecce arrotolate sul capo si sentiva quasi nuda, vulnerabile: in quel momento, non era disposta a rinunciare anche a quel misero conforto. Dopo quella piccola presa di posizione, però, Lidia fu colta da una sorta di senso di ineluttabilità e rinunciò a opporsi agli eventi. Seguì allora i suoi genitori e il Legato camminando per le strade di Erding quasi in trance, senza riuscire a concentrarsi su qualcosa che non fosse il battito del suo cuore e il suo respiro affannato. Dalla direzione che avevano preso era convinta che la stessero portando nella piazza con la statua; Quinto, tuttavia, deviò improvvisamente e si infilò in una via laterale, leggermente in salita, prima di fermarsi davanti a una casa che non aveva nulla di diverso da tutte le altre.

Il Legato bussò deciso alla porta di legno e immediatamente una vecchia donna venne ad aprirla. Aveva i capelli scarmigliati e bianchissimi e i suoi occhi azzurri, appannati dall’età, trapassarono Lidia da parte a parte. Non sembra particolarmente felice di vedermi, comprese la ragazza, con un brivido.

«Buongiorno, Donna Edda» la salutò Quinto. «Questa è la futura sposa, possiamo entrare?»

La donna annuì secca e si fece da parte brontolando a bassa voce. Lidia tese le orecchie per decifrare il senso delle sue parole, ma la vecchia parlava un dialetto germanico che alla ragazza non parve altro che un ringhio sordo.

«Sul retro» disse improvvisamente la padrona di casa, passando al latino: la sua voce era fragile, ma sorprendentemente tagliente. Attraversando la stanza senza nemmeno vedere quello che le stava attorno, quasi come se qualcuno le avesse stretto il volto in una coppia di paraocchi, Lidia si ritrovò in una sorta di giardino protetto da un alto muro di sasso. Lì, si accorse con un tremito, era riunita quella che con ogni probabilità era la famiglia del suo futuro sposo. La sua nuova famiglia.

Erano ancora peggio di quello che si era aspettata. Gli uomini le parvero tutti eccezionalmente alti e insolitamente robusti – sebbene, le fece notare la sua mente, era probabilmente colpa degli abiti pesanti che indossavano – e, cosa che la impressionò, portavano tutti una barba più o meno abbondante e capelli lunghi fino alle spalle.

Quando i quattro romani fecero il loro ingresso nello spazio recintato, tutti si voltarono a guardarli, ma Lidia si rese conto che c’era qualcuno che la fissava con più insistenza degli altri: si trattava di un uomo dall’età indefinibile, dai capelli grigi e gli occhi chiari. Anche se era seduto a parecchi metri di distanza da lei, la fanciulla riuscì a vedere la deformità della sua gamba destra, forse la traccia di un antico incidente che lo costringeva seduto sull’alta sedia di legno.

Non sarà mica lui mio marito, vero? In preda a un panico improvviso, la ragazza retrocedette di un passo e si scontrò contro il petto di Quinto, che esalò bruscamente. Da qualche parte alla sua destra giunse una risata sommessa e voltandosi in quella direzione Lidia incontrò gli occhi glaciali di una giovane donna dai capelli così chiari da sembrare bianchi. La giovane la guardava con un ghigno tutt’altro che amichevole e, fissandola dritta in viso, disse qualcosa ai due uomini che le stavano accanto. I due annuirono e la fissarono a loro volta, uno con un’espressione di scherno sul volto, l’altro con palese disprezzo. Lidia rabbrividì e arrossì, distogliendo lo sguardo e pregando che nemmeno uno di loro fosse la persona che era obbligata a sposare. Voltandosi dall’altra parte incrociò lo sguardo curioso di un uomo bruno, che subito alzò gli occhi su Quinto con un’espressione interrogativa. Alle sue spalle il Legato scosse le spalle, come per dire che non importava, e poi fece un passo avanti, rivolgendosi direttamente all’uomo sulla sedia. «Gefrid, siamo qui per presentare a te e alla tua famiglia questa fanciulla, Lidia Aurelia Prisca, promessa sposa di tuo figlio Ulf.»

L’uomo annuì e, malgrado tutto, Lidia tirò un sospiro di sollievo. Meglio suocero che marito, pensò. Il Legato si voltò poi verso la fanciulla e le prese le mani nelle sue. «Lidia, ti presento tuo marito, Ulf. Forse potrai pensare che…» l’uomo si interruppe e si guardò attorno, confuso. «Ehm…»

In quel momento la porta alle loro spalle si aprì e un ragazzo fece il suo ingresso, precipitandosi nel giardino e piegandosi a metà come per riprendersi da una corsa. «Scusate» boccheggiò.

«Oh, eccoti qui!» esclamò Quinto, con un sorriso. «Mi stavo appunto chiedendo dove fossi finito. Bene, come stavo dicendo…»

Quinto riprese le mani di Lidia e ricominciò a parlare, ma la ragazza non lo ascoltava più. Quello era Ulf? Era giovane, all’incirca della sua età, e bello, con due grandi occhi verdi come l’acqua e un ciuffo di capelli scuri e scompigliati. Quando si accorse della sua attenzione le fece un sorriso che gli fece comparire due adorabili fossette sulle guance. Forse non sarà così dura come pensavo, si disse la giovane, mentre un sollievo caldo e liquido le colava nello stomaco.

«Lidia, se vuoi andare a stringere la mano al tuo fidanzato…» le disse gentilmente il Legato. Nell’udire quell’invito, la fanciulla si riscosse. «Oh, sì certo» disse, muovendo un passo verso il ragazzo dai capelli scuri. La mano di Quinto la fermò. «Cosa…?» l’uomo si interruppe, illuminandosi in volto. «Ah, no, scusa per il malinteso!»

Lidia lo guardò, cercando di afferrare la situazione. «Eh?»

«Quello è Hermann, il fratello minore di Ulf» le disse l’uomo, prendendola delicatamente per le spalle e facendola girare. «Tuo marito è lui

Seguendo la direzione indicata dal cenno di Quinto e arrossendo mortificata, Lidia incrociò lo sguardo del suo vero marito e si sentì morire.

Or dunque, facciamoci due conti. Prologo: 174 visualizzazioni; 1 commento. Primo capitolo: 89 visualizzazioni; 0 commenti. Secondo capitolo: 91 visualizzazioni; 1 commento. Terzo capitolo: 47 visualizzazioni; 0 commenti.

Io non sono una che venderebbe un rene per una recensione: del resto, questa storia è quasi del tutto scritta ed è pianificata nel dettaglio fino all’epilogo, motivo per cui non mi serve avere il supporto di chi legge per sentirmi motivata a scrivere. Però qualche domanda me la faccio lo stesso. Se un buon numero di gente legge quello che scrivo e non trova comunque un accidente di niente da dire, questo è sicuramente indicativo di un certo disinteresse. E se una cosa non interessa, se annoia, vuol sicuramente dire che c’è qualcosa che non va… purtroppo, però, io non sono in grado di identificarlo con chiarezza, quel qualcosa. Per migliorare e sistemare i dettagli (e non solo quelli) mi serve necessariamente un feedback di qualche tipo: qualcuno sarebbe così carino da darmelo?

   
 
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