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Autore: Old Fashioned    13/10/2017    17 recensioni
Siamo nel 1230. Un gruppo di pellegrini tedeschi che sta attraversando la Palestina si imbatte in una santa reliquia e decide di portarla in patria. A scortare il prezioso carico ci sono anche due cavalieri dell'Ordine Teutonico, che si troveranno, una volta raggiunto il paese d'origine dei pellegrini, a fronteggiare le incursioni di una misteriosa belva assetata di sangue e nello stesso tempo i sospetti di un inquisitore alla ricerca di vittime.
Seconda classificata al contest indetto da E.Comper sul sito, ‘Cronache di Cacciatori’.
Genere: Azione, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao cari/e,
per prima cosa vorrei ringraziare chi ha avuto l’abnegazione di sciropparsi il precedente capitolo, ovvero morgengabe, fiore di girasole, Saelde_und_Ehre, Syila, molang, Jordan Hemingway, innominetuo, LyaStark, miciaSissi, Crilu_98 e Dark_sky114.
Spero che resisterete, io faccio il tifo per voi!^^






Capitolo 3

Le ultime miglia prima di arrivare a Dürnau furono un tripudio di campane che suonavano, fiori gettati sulla strada e case ornate di drappi colorati come per la processione del Corpus Domini.
La voce era corsa, complice anche il messaggero che era stato inviato a portare la notizia, per far sì che fosse tutto pronto all'arrivo della santa reliquia, e la gente festante salutava il passaggio del convoglio.
Fratello Adalrich e fratello Hermann procedevano ai due lati del carro che trasportava la cassa, anch'esso ornato e inghirlandato per l'occasione.
Il primo era particolarmente torvo. A Starkenberg, più o meno tutti si erano abituati al suo aspetto, ma nei mesi di viaggio da San Giovanni d'Acri alla Germania era stato un continuo di gente che indietreggiava spaventata o si faceva il segno della croce al suo passaggio. E quello era il più piccolo dei problemi.
L'altro – il maggiore – era il suo personale rapporto con quello che c'era, o si supponeva ci fosse, all'interno della cassa.
I suoi sogni erano andati peggiorando con il passare dei giorni. Rimanevano sempre indistinti, ma adesso riusciva in qualche modo a coglierne gli elementi principali: c'era qualcosa che uccideva delle persone, e lui per qualche motivo non riusciva a fermarlo.
Aveva smesso di parlarne per non far preoccupare Hermann, ma notte dopo notte il carico di angoscia si faceva sempre più pesante da sopportare.
La preghiera peraltro non lo aiutava. Vi si dedicava con regolarità, ma a parte un sollievo momentaneo, non riusciva a trarre da essa altri vantaggi.
Fece girare intorno uno sguardo cupo. Il ragazzo, Konrad, trottava su e giù lungo la colonna salutando e stringendo le mani che si protendevano verso di lui, specialmente se si trattava di mani femminili. Il barone von Obesntein invece dava prova di maggiore compostezza, forse a causa della sua età. Procedeva in testa al gruppo, limitandosi a ringraziare quando qualcuno gli porgeva fiori o li infilava nei finimenti del suo cavallo.
Tutti gli animali peraltro, anche i buoi che tiravano il carro, erano così adornati di rose e margherite che quasi non si vedeva più il colore del loro manto. Anche i soldati ricevevano abbracci e pacche sulle spalle dalla gente festante.
Gli unici che rimanevano in un certo senso preservati da tali manifestazioni di entusiasmo erano proprio lui e Hermann. Il manto bianco, la croce nera e l'usbergo mettevano in soggezione, e nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi troppo ai loro imponenti destrieri.
Solo una ragazza, più spavalda delle altre, con le trecce bionde raccolte sul capo e ornate con i nastri della festa, si svincolò dalla presa di quella che doveva essere la madre, corse verso Hermann e gli tirò piano la falda del mantello. Quando il cavaliere abbassò lo sguardo su di lei, ella gli porse timidamente un mazzetto di fiori di campo.
L'altro rimase per un attimo interdetto, non sapendo se prenderlo o no, poi le rivolse un sorriso e accettò il piccolo omaggio, giusto un attimo prima che la madre afferrasse la giovane per una manica e la tirasse bruscamente indietro.
Adalrich si voltò a guardarla e la vide ridacchiare con un'altra ragazza, forse una sua amica, fiera dell'impresa compiuta.
In quel momento, qualcosa come una vertigine lo costrinse a chiudere gli occhi per un attimo. Quando li riaprì, c'era una vecchia che con la mano ossuta teneva una redine del suo destriero. La cosa lo stupì, perché di solito l'animale non si faceva avvicinare dagli estranei. L'anziana donna, con i capelli grigi raccolti in una treccia e un lungo abito nero, sollevò lo sguardo fino a incontrare il suo e sussurrò: “Cavaliere di Ghiaccio, figlio dell’inverno, io vedo i tuoi sogni. Lui arriverà, ma la tua croce non potrà fermarlo.” Rapida intrecciò qualcosa alla testiera del cavallo, e poi scomparve.
Di nuovo, Adalrich scosse il capo stranito mentre la vista gli si annebbiava per un attimo. Fece per cercare la donna, ma non ve n'era più traccia. Legati ai finimenti c'erano dei fiori gialli: iperico, o erba di San Giovanni, un noto rimedio popolare contro le influenze del Demonio e la stregoneria.

Fu quasi grato al barone von Obenstein, quando decise che si sarebbe fermato a Waldheim perché invitato a pranzo dal castellano del luogo.
Naturalmente avrebbero dovuto partecipare al pasto anche lui e Hermann, mentre i soldati e il resto della scorta avrebbero trovato ristoro presso il convento, ma almeno si sarebbero fermati un po'. Lo strano incontro con la donna vestita di nero l'aveva lasciato scosso. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che fissare i fiori gialli che dondolavano appesi alle redini, e si sentiva esausto come se avesse combattuto per ore e ore.
Smontò da cavallo e per un istante dovette afferrarsi alla criniera. I fiori continuavano a ondeggiargli davanti agli occhi come lingue di fuoco.
Cos'hai?” la voce preoccupata di Hermann lo fece quasi sussultare.
Niente, non preoccuparti.”
Hai l'aria di uno che ha visto un fantasma.”
Adalrich fece un sorriso tirato. “Per caso mi vedi pallido?”
E dai.” Hermann gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. “Lo sai cosa intendo.”
L'altro si tolse l'elmo alla normanna, si fece scivolare all'indietro il cappuccio di maglia e per un attimo rimase a occhi chiusi con il capo piegato all'indietro. “Ho incontrato una strana donna,” disse infine, “che mi ha guardato e ha detto che vedeva i miei sogni. Poi mi ha dato quei fiori.” Indicò l'iperico. “Da allora mi sento così.”
Hermann lo scrutò preoccupato. “Stregoneria?” mormorò. Si guardò intorno con aria guardinga, come se temesse di veder spuntare da qualche parte la vecchia vestita di nero.
Adalrich scosse la testa. “Io credo che volesse aiutarmi. L'erba di San Giovanni è benefica. Mi ha detto anche una cosa strana.”
Che cosa?”
Che lui arriverà, ma la mia croce non potrà fermarlo.”
Lui, chi?”
Non lo so.”
Hermann aggrottò le sopracciglia. “Non mi piace,” ringhiò. Stava per aggiungere altro quando si udì una vigorosa voce maschile che chiamava: “Cavalieri!”
Si voltarono: un uomo alto, dall'aspetto raffinato, in paramenti da ciambellano, li stava fissando. “Fratelli cavalieri,” ripeté, “il mio signore, il barone Otto von Neitschütz, sarebbe onorato se voleste sedere alla sua tavola.”
L'onore è nostro,” rispose Hermann per entrambi, “dite al vostro signore che arriveremo non appena avremo controllato la sistemazione dei soldati e della santa reliquia.” Quando l'uomo se ne fu andato, chiese al compagno: “Te la senti di mangiare?”
Sì, non preoccuparti.”

Tra portate e racconti, il pranzo si protrasse fino al pomeriggio inoltrato, e il barone von Neitschütz volle offrire a tutti ospitalità per la notte.
Ai cavalieri era stata assegnata una stanza molto semplice, con due letti, un tavolino e lo stretto necessario. L’unico ornamento che essa conteneva era un’immagine della Vergine appesa alla parete, sotto la quale si trovava una piccola mensola con un vaso che conteneva dei fiori d’iperico.
Rispetto alla camerata di Starkenberg, ai due parve comunque di un’opulenza straordinaria.
Adalrich si guardò intorno, poi tastò il letto con l’aria di non averne mai visto uno in vita sua.
Che c’è?” volle sapere Hermann.
È… molle.”
L’altro emise un sospiro. “È un normalissimo letto. Vacci dentro e dormi.”
Ma il confratello continuava a indugiare. Versò altro olio nel lume, controllò che la finestra fosse chiusa. Raddrizzò l’immagine sacra, che secondo lui era un po’ storta.
Adalrich?”
Sì?”
Si può sapere perché non ti decidi ad andare a letto? Eppure dovresti essere stanco.”
Io… penso che andrò a prendere una boccata d’aria.”
Mettiti il mantello, qui non siamo in Terra Santa.”
A quelle parole, l’altro si sedette finalmente sul letto, giunse le mani in grembo ed emise un sospiro. “Lo so.”
Hermann si mise a sedere a sua volta, appoggiando i piedi sul pavimento in modo da essere faccia a faccia con lui. “Ti dispiace di non essere più là?” gli chiese con voce sommessa.
Il confratello chinò la testa. “Sì.”
Perché?”
Non lo so. Qui non mi sento più a casa mia. Forse non mi ci sono mai sentito.”
Seguì un lungo silenzio, così profondo che l’unico suono che si udiva era il lieve crepitare della fiammella. Alla fine Hermann buttò lì: “Quanto tempo è che ci conosciamo? Quattro anni? Cinque?”
Di più. Eravamo novizi insieme.”
E quante volte ci saremo salvati la vita a vicenda? Tu più di me, per la verità.” Sorrise.
Non mi ricordo più.”
Parecchie, vero?”
Adalrich annuì. “Già.”
E non so nemmeno qual è il nome della tua famiglia.”
L’altro alzò gli occhi e li fissò nei suoi. Aggrottò appena le sopracciglia, le sue labbra si strinsero fino a diventare una linea sottile. “È importante?” chiese alla fine.
Hermann distolse lo sguardo. “No, è che io... insomma, ci conosciamo da tanto tempo, siamo come fratelli, e...”
Nell'Ordine siamo tutti fratelli,” lo interruppe Adalrich con voce fredda.
Di nuovo calò il silenzio. Hermann fissò l'amico, quindi si alzò, si rivestì sommariamente, si mise sulle spalle il mantello e propose: “Vogliamo andare a prendere quella famosa boccata d'aria?”
Senza attendere risposta mise anche a lui il manto sulle spalle e lo tirò per un braccio per convincerlo ad alzarsi. Adalrich lo lasciò fare. Pensieri indegni di un cavaliere gli saettarono per la testa: che Hermann gli stesse vicino per carità cristiana, che volesse conoscere le sue origini per qualche forma di morbosa curiosità, per capire da dove mai potesse arrivare uno con il suo aspetto. Si obbligò a distogliere la mente.
Ora andiamo,” si fece udire la voce dell'altro, richiamandolo alla realtà.
Lo seguì docile, quasi vergognandosi di quello che aveva pensato solo un attimo prima: Hermann era una persona troppo limpida per attribuirgli sentimenti così meschini. Si chiese se fosse la sua natura distorta a suggerirgli idee così malsane.
Sei sempre il solito: non mi stai ascoltando.” La voce dell'amico lo richiamò ancora una volta alla realtà.
Scusami.”
Stavo dicendo che questi corridoi sembrano il labirinto di Minosse.”
Già. Certo.” Adalrich notò che l'altro aveva abbandonato l'argomento delle ascendenze non appena aveva capito che la cosa gli dava fastidio.
Trovarono finalmente una porta che conduceva all'esterno. Nonostante fosse primavera inoltrata, la notte era fresca. Spirava una brezza leggera, carica di profumi ai quali ormai non erano più abituati. Raggiunsero gli spalti, e da lì rimasero a contemplare il paesaggio, morbide colline coperte di foreste, illuminato dalla luce lunare.
Per lunghi minuti rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, poi, come parlando a se stesso, Adalrich cominciò: “Non ti ho mai detto il nome della mia famiglia semplicemente perché non so quale sia. Fui abbandonato in fasce davanti alla chiesa di Dachwig, in Turingia, e furono il conte e la contessa von Hohenberg ad allevarmi come loro figlio. Lo sa Dio quello che hanno dovuto sopportare per causa mia.”
Perché?”
L'altro emise uno sbuffo infastidito. “Lo vedi anche tu come sono fatto. Se quei due bravi cristiani avessero ricevuto un Pfenning per tutte le volte che sono stato definito figlio di Satana e frutto di stregoneria, e per tutte le volte che si sono sentiti consigliare di annegarmi nel fiume, a questo punto abiterebbero in un palazzo tutto d'oro come l'Imperatore di Bisanzio.” Emise un sospiro. “Comunque, evidentemente la Vergine Maria ha voluto ricompensare quelle brave persone per la loro carità cristiana: poco tempo dopo il mio arrivo, la contessa riuscì finalmente a concepire e partorì un maschio. Nemmeno allora si liberarono di me.”
Lo credo bene,” replicò Hermann, “sei loro figlio.”
Adalrich si voltò verso di lui, e lapidario rispose: “Non direi proprio.” Fece un cenno a due sentinelle, che avevano interrotto il loro giro di ronda per scrutarli da lontano, poi riprese: “Fui io a liberarli della mia presenza appena ebbi l'età sufficiente per farlo. Dopo tutto quello che avevano fatto per me, glielo dovevo. Scelsi di entrare nell'Ordine, un po' perché la mia infermità a quanto pare non mi impedisce di brandire una spada, e un po' perché speravo che nell'Ordine avrebbero fatto meno caso al mio aspetto.”
Ed è stato così?”
Penso di sì. Ho dovuto sopportare nomignoli come 'neve', 'infarinato' o 'ricotta', ma perlomeno nessuno ha mai proposto di affogarmi o di bruciarmi vivo.”
Hermann gli appoggiò una mano sulla spalla. “Adesso però non ti chiamano più così.”
Non in mia presenza.”
L'altro sorrise. “Lo credo bene.” Poi, dopo una pausa: “E i tuoi li senti ancora?”
Non sono i miei. Comunque sì, mando loro delle lettere. Li informo di come sto e li ringrazio di tutto quello che hanno fatto per me. Non voglio che mi credano un ingrato.”
Non li hai più rivisti?”
No.”
Tornarono a rivolgere la loro attenzione alle campagne. Da qualche parte stava cantando un gufo, si udiva un latrare lontano di cani. Nel cavo dei fossi e sotto gli alberi si vedeva già qualche lucciola.
Dopo un po' Adalrich si rivolse al confratello e con voce sommessa chiese: “E tu, Hermann?”
Cosa?”
Perché sei entrato nell'Ordine?”
L'altro sorrise. “Ora che ci faccio caso, in tutti questi anni non me l'avevi mai chiesto. Sono il terzo figlio di un piccolo feudatario nemmeno tanto facoltoso, mi piace viaggiare e non ho la minima voglia di sposarmi, per cui eccomi qui.” Si inchinò con fare teatrale.
E tu li senti i tuoi?”
Il necessario per non fare la parte del figlio degenere. Adesso è l'Ordine la mia famiglia.”
Anche la mia.”
Hermann sorrise. “Quindi potremmo dire che siamo parenti. Saremo l’uno la famiglia dell’altro, che ne dici?”

§

Il giorno dopo, in pompa magna, la santa reliquia fu traslata finalmente a Dürnau. La strada era più carica di fiori che mai; tutti i paesani, con addosso gli abiti della festa, si assiepavano ai lati di essa; persino nobili di feudi vicini erano accorsi con tutto il loro seguito, e i vivaci colori di cotte d'armi e gualdrappe brillavano sotto il sole.
Preavvertiti dalle missive inviate in Patria, erano presenti sia il vescovo di Norimberga che quello di Fulda, che avrebbero concelebrato il servizio divino.
Il paese, normalmente quieto e laborioso, per l'occasione sembrava essersi trasformato nella piazza di una grande città: data la notizia che il feudatario avrebbe offerto un grande banchetto per ringraziare il Signore di avergli fatto trovare la santa reliquia, si erano dati convegno a Dürnau mendicanti, saltimbanchi e suonatori, venditori ambulanti e semplici curiosi provenienti dai paesi vicini. I bambini correvano su e giù eccitati dalla colorata novità, e senza capire nulla di quello che stava succedendo, cercavano comunque di intrufolarsi nei posti che offrivano una visuale migliore. Fin dal primo mattino, gli anziani avevano collocato sedie ai margini del sagrato, e pervicacemente le occupavano, in modo da non perdere il posto conquistato. Da tutte le finestre pendevano drappi colorati e ghirlande di fiori e foglie intrecciate con lunghi nastri; un chierico vagante era salito sul bordo della fontana e stava illustrando ai presenti, che già facevano capannello, le imprese del glorioso Santo Atanasio di Alessandria.
Apparentemente impassibili di fronte a tanta festosa confusione, i due cavalieri dell'Ordine Teutonico procedevano ai lati del carro che trasportava la cassa. Nel generale tripudio di colori, la severa sobrietà dei manti bianchi e delle croci nere metteva in soggezione. Quando passavano loro, gli strumenti musicali tacevano, i canti si affievolivano e i balli cessavano. Persino i bambini smettevano di fare chiasso, contagiati dal clima di rigore che sembrava circondarli come un’invisibile barriera.
Arrivarono davanti alla chiesa. Per l’occasione le porte erano state spalancate, e l’interno era illuminato da centinaia di candele. L’aria era opaca per le grandi quantità di incenso bruciate.
Padre Caspar, il parroco di Dürnau, si affannava dentro e fuori dal tempio, molto emozionato di avere ben due vescovi pronti a concelebrare una messa solenne.
Quando tutto fu pronto, la cassa fu scaricata con grande attenzione dal carro, e fu portata in chiesa da otto soldati.
A questo punto, arrivarono anche i due alti prelati. Uno si fece portare sul sagrato seduto su una specie di sedia gestatoria papale, l’altro arrivò a cavallo di una mula bianca, con un paio di servi che gli reggevano un parasole sulla testa e un terzo che conduceva la bestia per le redini.
La gente cominciò a sciamare in chiesa per la funzione.
Adalrich fece cenno a Hermann che si sarebbero messi ai lati della porta, ma uscì il barone von Obenstein in persona a chiamarli. “Senza di voi il corpo del santo non sarebbe mai giunto fin qui,” disse, sospingendoli verso la chiesa, “quindi ci tengo che siate al nostro fianco durante la messa.”

Adalrich approfittò dello svolgersi della cerimonia per osservare tutto. Era tornata la sensazione di inquietudine, più forte che mai. Era come trovarsi nel buio completo con la consapevolezza di avere alle spalle qualcuno che invece vedeva benissimo: lui poteva solo percepirlo, ma l’altro, chiunque o qualsiasi cosa fosse, sapeva perfettamente come muoversi per assalirlo.
Fece scorrere lo sguardo sulla navata gremita: davanti c’erano i nobili, vestiti con gli abiti più belli, e poi man mano gente di ceto sempre più basso, fino ai mendicanti, che avevano trovato a fatica un posto in fondo, verso la porta. Notò una giovane donna che si era rintanata in un angolo per allattare il figlio, e un vecchio che nonostante i cori si era addormentato, e se ne stava appoggiato a una colonna con il mento sul petto.
Vide un soldato fare un gesto repentino verso un ragazzotto che ostentava un’aria di perfetta indifferenza. Il giovane sussultò e fece per divincolarsi, ma l’altro gli piegò il braccio dietro la schiena, quindi gli frugò in tasca e ne trasse una scarsella, che restituì al legittimo proprietario. Soldato e ragazzo uscirono dalla chiesa.
Spostò lo sguardo sulla cassa. Essa era stata posata su un supporto ornato di drappi colorati. Il coperchio era stato tolto, in modo che tutti potessero vedere la reliquia che conteneva, ma il corpo era stato coperto da un velo di vera seta di Bononia che celava la maggior parte delle sue fattezze.
Tutt’intorno ardevano i ceri, e la luce danzante delle fiammelle diede di nuovo al cavaliere l’impressione che la figura si stesse muovendo lentamente all’interno del sarcofago. Quasi sussultò quando vide il velo sollevarsi appena, ma poi percepì una leggera corrente d’aria, che faceva increspare l’impalpabile stoffa.
Sul pavimento, accanto al supporto, c’era un sarcofago tutto d’argento, ornato di pietre preziose. Per quanto ricco e splendido, Adalrich sapeva che quello non era il reliquiario definitivo. Nel viaggio di rientro dalla Terra Santa il barone von Obenstein aveva ordinato a Venezia dei vetri di particolare pregio, che in quel momento stavano venendo inseriti in una teca che avrebbe consentito anche la visione del santo.
Cercò con lo sguardo il barone e suo figlio. I due erano inginocchiati a mani giunte. Il primo con la postura ieratica di un padre della Chiesa, il secondo con lo sguardo furbetto di chi ormai ha già saldamente in pugno tutto ciò che si era prefissato di ottenere.
Il suo ruolo, ma soprattutto la Regola che aveva giurato di seguire, deprecavano il pensare male degli altri, ma quel ragazzo metteva a dura prova la sua volontà ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui.
Ricordava bene tutte le sue fandonie sul miracolo della Vergine Maria, e l’unica cosa che gli veniva in mente, guardandolo mentre ostentava a beneficio del genitore lo sguardo pio di un pastorello che contempla la Natività, era di frustarlo come avrebbe fatto con un servo sorpreso a rubare.
Era immerso in quei pensieri quando gli parve di notare in mezzo alla folla qualcuno vestito di nero. Si voltò in quella direzione e si trovò a fissare in viso la vecchia del giorno prima. Ella sollevò la mano ossuta, nella quale stringeva un mazzetto di fiori gialli. Fu solo un attimo, poi la gente ondeggiò, alcuni si spostarono e quando nel gruppo tornò la calma non si vedevano più né abiti neri, né trecce canute.

§

La messa era finita, ormai la liturgia aveva ceduto il posto ai festeggiamenti, che erano in corso un po' dappertutto.
Il parroco entrò nella chiesa accompagnato dall’orafo, dal fabbro ferraio, dal falegname con i suoi due apprendisti e dal macellaio. Seguivano alcuni frati del vicino convento.
Poiché ormai era calato il crepuscolo, egli accese due lumi. Uno lo tenne per sé e l’altro lo consegnò al più autorevole degli artigiani, ovvero l'orafo.
Si fermarono tutti intorno alla cassa con il corpo.
Il prete si fece il segno della croce, quindi si avvicinò e tolse il velo di seta, rivelando Sant'Atanasio in tutta la sua legnosa magrezza. Un mormorio passò fra gli astanti.
Ora bisogna metterlo nella teca,” disse.
Tutti si guardarono irresoluti. L’unico che dopo qualche istante si riprese fu il macellaio, che si fece avanti e osservò accuratamente la salma, poi la toccò con un dito e subito lo ritrasse con un’espressione indefinibile.
Che c’è?” gli chiese il fabbro.
Mi aspettavo che fosse rinsecchito.” Poi si girò verso il prete: “Con rispetto, padre.”
Certo, figliolo.”
Si avvicinò di nuovo alla cassa, ne osservò il contenuto con l’occhio dell’esperto, quindi proclamò: “Lo prendiamo in quattro, due dalle spalle e due dai piedi. Non dovrebbe rompersi. Sempre con rispetto, padre.”
Ho capito, figliolo. Fa’ il tuo dovere.”
Sì, padre.”
Sollevarono il corpo, che in effetti si rivelò docile come quello di un dormiente, e lo deposero nella teca ingioiellata. Con reverenza vi stesero sopra un drappo ricamato, quindi si apprestarono a chiudere la cassa con il coperchio.
Il falegname mandò i suoi ragazzi a prenderlo. Certo, il mastro orafo l'aveva coperto di lamine d'argento, bravo lui, ma la struttura, quella solida che avrebbe sfidato i secoli, era fatta di buon legno di quercia lavorato nella sua bottega. Gli apprendisti arrivarono, reggendo con attenzione il pesante oggetto.
Mettetelo su,” ordinò. Poi si voltò verso il prete e, con l'intento di fargli cosa gradita, aggiunse: “E dite un padre nostro, mentre lo fate. Questa è una santa reliquia.”
I due cominciarono obbedienti a recitare la preghiera. Si chinarono per appoggiare il coperchio, ma Hans, quello che si trovava dalla parte della testa, non poté fare a meno di fermarsi a fissare incuriosito quel volto ieratico, così ben conservato che sembrava quasi vivo. Rimase a guardarlo come ipnotizzato, mente il padre nostro si affievoliva fino a diventare un sussurro stentato.
Che fai, dormi?” La voce del mastro falegname lo fece riscuotere bruscamente. Il movimento fu così repentino che gli sfuggì la presa del coperchio, il quale gli cadde imprigionandogli una mano contro il bordo della cassa. Il ragazzo emise un urlo di dolore così forte che riecheggiò in tutta la navata e cercò senza successo di ritrarre la mano. Subito accorsero il fabbro e il falegname, che spostarono il pesante pezzo di rovere liberando il ragazzo.
Hans si era procurato un profondo taglio, dal quale il sangue era sprizzato su tutta la reliquia.
Santo cielo, guarda che cos'hai fatto,” brontolò il suo maestro, fasciandolo alla meglio per arrestare l’emorragia.
Scusate, mastro Oswald,” balbettò il ragazzo, da una parte vergognoso per quello che aveva combinato, ma dall'altra prossimo allo svenimento perché impressionato dal sangue.
Va' in quell'angolo a sederti, mi sembri un cencio!”
Scusate,” ripeté Hans, quindi barcollò via alla meglio e si lasciò cadere seduto alla base di un pilastro. La fasciatura di fortuna si stava già arrossando.
Gli altri tolsero il coperchio. “Che disastro,” grugnì scontento l'orafo. Tutti si guardavano senza saper bene che fare.
Nemmeno il prete, cui i mastri artigiani si volsero in cerca di consiglio, seppe dare istruzioni.
Alla fine fu mastro Kurt, il macellaio, che con grande senso pratico cavò tutti d'impaccio. “A cercare di ripulirlo rischiamo di fare peggio,” disse, “e due gocce di sangue non hanno mai ammazzato nessuno. Ora chiudiamo, e poi ci penseremo quando arriverà la cassa più bella.”
Le gocce per la verità erano ben più di due, ma tutti approvarono con grande sollievo, e fecero come l'uomo aveva suggerito.

Ancora mezzo intorpidito, Hans seguì quello che i mastri artigiani stavano facendo con l'impressione di avere la testa dentro la bambagia. Si passò la mano sana sulla fronte, ritirandola coperta di sudore gelido. Gli mancava il coraggio di guardare cos'era successo a quella ferita.
Gli altri trafficarono ancora un po', poi il falegname si girò verso di lui e disse: “Ce ne andiamo, vedi di muoverti.”
Il ragazzo si alzò alla meglio, appoggiandosi al pilastro. Gli altri si stavano già dirigendo verso la porta, e man mano che le lanterne si allontanavano, la navata di faceva sempre più oscura. Gli parve di udire un cigolio come di legno, e poi un fruscio alle sue spalle. Si voltò e vide un cane.
Pussa via, bestiaccia!” urlò indignato.
Gli altri tornarono indietro. “Che c'è?” chiese mastro Oswald.
Un cane.”
L'uomo sollevò la lanterna per fare luce nella navata ormai buia. “Si sarà infilato dentro quando è entrata la gente. Dov'è andato?”
Di là.”
Nella direzione indicata non c'era nulla. “Sei sicuro di averlo visto?” chiese il falegname.
Il ragazzo accennò di sì con la testa. “Era grande come i mastini del cacciatore, giallo e con delle macchie nere su tutto il corpo.”
Mai visto un cane del genere, secondo me te lo sei sognato.”
   
 
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