12
Scuola
La cena venne servita
giusto un'ora dopo. Nemeria aveva ancora gli occhi umidi quando Bahar
venne a chiamarla per andare a tavola. Inghiottì un gemito
mentre si alzava e passò accanto alla serva, che nonostante
l'occhiataccia che le aveva lanciato era rimasta sulla soglia ad
aspettarla. Nemeria la superò a capo basso e fu
così che si accorse dei sandali appoggiati al muro.
- Il padrone desidera che li indossi. - la informò
prontamente Bahar.
“E se non volessi?”
- Hai bisogno di una mano a infilarle? Ridotto come sei non deve essere
facile. -
-Faccio da sola. - borbottò stizzita.
La serva sgranò gli occhi per un istante quando finalmente
capì che Nemeria non era un ragazzo, ma non
commentò.
La bambina sbuffò e si sedette sul pavimento dandole le
spalle. Avevano una spessa e pesante suola in cuoio e i lacci erano
molti. Con il destro riuscì a destreggiarsi e a legarli
attorno alla caviglia e al centro del piede, mentre con il sinistro
fece un po' di fatica, il braccio stretto al petto le era d'intralcio.
Poi Bahar la prese sotto le ascelle e l'aiutò a rimettersi
in piedi.
- Andiamo, o il padrone se la prenderà con me. - la
incitò con un colpetto sulla spalla, - Sempre dritta, segui
il corridoio. -
Nemeria non voleva incontrare Tyrron, non voleva cenare assieme a lui,
ma non aveva scelta: le occhiate di prima erano state sufficienti a
farle capire che non avrebbe tollerato alcun capriccio. Tirò
su col naso e deglutì un paio di volte, le unghie piantate
nei palmi delle mani. Il calore che si irradiava dalla pietra di luna
le aveva pervaso il petto e le asserragliava i polmoni in una gabbia
infuocata.
Stando al quantitativo di portate che aveva visto, Nemeria rimase
stupita quando si accorse che la sala da pranzo era stata apparecchiata
solo per due persone. I letti erano stati spostati contro le pareti ed
era stato aggiunto un altro tavolo, dove erano stati deposti diversi
piatti, tutti ricchi di cibo. Nonostante i tentativi di Nemeria di non
volgere lo sguardo in quella direzione, era bastato il profumo della
carne speziata a risvegliare il suo appetito.
- Siediti vicino a me. - Tyrron le indicò il posto alla sua
sinistra, - È compito di Adel e Imar servire gli ospiti. -
Nemeria si concesse un breve momento d'esitazione. Le sembrava di avere
le ossa di piombo tanto le era difficile camminare. Quando
arrivò a capo tavola, prima che lo facesse lei, Bahar
scattò e le spostò la sedia per permetterle di
sedersi.
- Ti faccio assaggiare un po' di tutto. - riprese Tyrron, - Sei un
insetto stecco, se vuoi sopravvivere nell'arena devi mettere su un po'
di peso. In questo stato, persino un bambino ti stenderebbe. -
“Come se potessi scegliere.”
Due servi fecero il loro ingresso nella sala con altre due portate. In
quello più giovane Nemeria riconobbe il ragazzo che le aveva
dato le indicazioni per arrivare allo studio privato. Aveva le spalle
strette, la vita sottile e le orecchie leggermente appuntite appena
nascoste dai riccioli. Le lanciò uno sguardo gentile
accompagnato da un sorriso, prima che il suo compagno, un uomo col naso
a patata e il labbro sporgente, gli ordinasse con un cenno della testa
di sbrigarsi.
Nemeria si sforzava di restare calma. Il collare le sembrava
più stretto, sebbene non l'avesse più toccato
dopo l'episodio di qualche ora prima, e il calore liberato dalle
placche di metallo passava attraverso il cuoio e le arroventava la
pelle. Tyrron aveva detto che era oricalco. Il nome non le era nuovo.
Frugò nella memoria, ricercando l'informazione nelle
conversazioni avute con Etheram o Fakhri, ma non le venne in mente
nulla di più di ciò che aveva potuto scoprire da
sé: con quel metallo era stata realizzata la fibbia e le
placche e, in un modo che ancora non capiva, riusciva a interferire nel
suo richiamo degli elementali.
“Perché nessuno ci ha mai messo in
guardia?”
La risposta emerse limpida, ancor prima che avesse tempo di
arrabbiarsi: nessuno nella tribù, probabilmente, aveva mai
pensato che fosse necessario informarle perché non lo
sapevano. O forse, come i mortali pensavano che le Jinian fossero solo
una leggenda, neanche loro non avevano mai creduto all'esistenza di un
metallo con tali proprietà.
- La cena è servita. -
La voce di Tyrron la ridestò dai suoi cupi pensieri. Nemeria
osservò la ciotola, appartenente allo stesso servizio di
quelle in cui erano state conservate le olive, lo yogurt e diversi
pezzi di verdure con vicino una frittata di patate che ancora
sfrigolava. Deglutì e osservò di sfuggita come
Tyrron mangiava quest'ultima, quindi la spezzettò pure lei e
la immerse nella salsa. Il sapore dei cetrioli e delle carote le
accarezzò la lingua e le aprì lo stomaco. Non si
gettò sul piatto soltanto perché non voleva che
Tyrron vedesse quanta fame avesse, da quanto non assaporava una cena vera
in una vera casa.
- Hai gradito. - notò lui con un sorriso, mentre Imar
portava via i piatti.
Nemeria annuì piano e tornò a fissare il tavolo.
Solo allora le saltò all'occhio che, bicchieri e brocca di
terracotta a parte, non c'erano posate.
Subito dopo vennero serviti con del riso affiancato da uno spezzatino
con ceci speziati. A Nemeria venne l'acquolina in bocca. Lo
mangiò con le mani, come faceva Tyrron, aiutandosi con il
pane. Anche quando ebbe finito tutto, ripulì il piatto dagli
ultimi residui di sugo. Lo avrebbe fatto con la lingua se non ci fosse
stata altra gente.
Quando Adel tornò in cucina per riempire la caraffa con
l'acqua, Nemeria tirò il fiato. La fame si era placata e
adesso le domande affioravano in superficie, tutte ugualmente
importanti, tutte che ancora pretendevano una risposta. L'incendio che
avvertiva dentro di sé persisteva e crebbe finché
le fiamme non avvilupparono l'immagine della Famiglia, di Kimiya e i
suoi occhi vitrei. Quel ricordo fu una pioggia sulle fiamme.
- Cos'è successo nell'arena? - trovò la forza di
domandare in un sussurro.
Tyrron la fissò come se gli avesse chiesto una cosa ovvia,
poi però alzò le sopracciglia e si
appoggiò contro lo schienale. Imar gli mise davanti delle
alette di pollo con una salsa densa e rossa.
- Mi ero dimenticato che eri svenuta. Beh, non c'è molto da
raccontare. Quando sei stata dichiarata vincitrice, i Kalb hanno fatto
irruzione e hanno catturato quante più persone potevano,
così come avevamo deciso. -
- Quindi tu sapevi cosa stava accadendo? -
- Non solo io. Purtroppo c'è una grande concorrenza nel
settore, ognuno di noi lotta per accalappiarsi i gladiatori migliori.
In ogni caso, io ho fatto un attimo affare. Tu e la tua amica siete
degli ottimi elementi, anche se tu più di lei necessiti di
essere allenata. - addentò la pelle del pollo e la
strappò assieme alla carne, - Ha quasi steso due Kalb a
colpi di pugni quella ragazzetta lì. È stato un
acquisto imprevisto, ho sborsato più di quanto pensassi, ma
non potevo farmi scappare una Dominatrice dell'aria.-
La testa di Nemeria scattò verso l'alto e lo
scrutò con tanto d'occhi. Non stava parlando di Zahra, non
l'avrebbe mai difesa, né tanto meno di Kimiya, Il'ya o
Dariush.
Davanti alla sua espressione sorpresa, Tyrron piegò le
labbra in un mezzo sorriso.
- Stai parlando di Noriko? -
- Sì, proprio lei. Una vera furia. Quando ha liberato
l'elementale dell'aria si è scatenato un vero putiferio. Ci
sono voluti quattro Kalb per immobilizzarla e due sono usciti dalla
cisterna con un occhio nero e una mandibola slogata. - il sorriso si
allargò sulle sue labbra fino a trasformarsi in una sonora
risata, - Chi se lo aspettava! Due tra le Dominatrici più
rare, una più strana dell'altra. Tu con i tuoi occhi e lei
con quei capelli rossi, piacerete sicuramente al pubblico. -
Nemeria incassò il capo nelle spalle e si strinse un
ginocchio per tenere a bada l'agitazione e il panico. Già se
lo immaginava, una folla urlante stipata sugli spalti, inebriata dalla
violenza e dal lezzo di sangue. Era una scena molto nitida, i colori
così accesi da conferirle l'impressione di una visione. Si
morse l'interno della guancia e incontrò di nuovo lo sguardo
di Tyrron. Quello di lui non si era mai spostato da lei, ne aveva
sentito il freddo sul collo.
- E dopo? Cosa è successo dopo? -
- Nulla di che. I Kalb hanno catturato più persone possibili
e chi aveva comprato si è semplicemente limitato a prelevare
la merce. - sorseggiò un bicchiere di vino fruttato, - Cosa
vuoi sapere per l'esattezza? -
- I Kalb... cosa sono? E che ne è stato della... merce in
più? -
Tyrron la fissò come se avesse le fosse spuntata un'altra
testa. Nemeria si sforzò di non distogliere lo sguardo,
sebbene l'imbarazzo per la sua ignoranza le chiazzasse le guance di
rosso.
- Sono la guardia personale del governatore della città e si
occupano esclusivamente di andare a stanare quelli come te. - le
spiegò con calma e le lanciò un'occhiata
penetrante, - Per quanto riguarda gli altri, i non-Dominatori, non so
cosa sia successo. Se nessuno ha avanzato un'offerta prima della
sortita, è probabile che siano finiti al mercato degli
schiavi. -
- E se nessuno li compra? Cosa succede? -
Iman portò a tavola un vassoio con delle palline impilate in
una piramide. Erano state spolverate con la farina di cocco ed
emanavano un intenso profumo zuccherino e delicato d'acqua di rose.
Tyrron ne morse uno e la frolla si sbriciolò tutta in bocca.
- C'è sempre qualcuno che vorrà un uomo per fare
la spesa, pulire, cucinare, o per spedirlo di qua e di là a
fare le commissioni. - sospirò, si appoggiò allo
schienale e intrecciò le dita sulla pancia, - Nella maggior
parte dei casi, gli uomini di Kalaspirit delegano qualsiasi impegno ai
servi, se non è di primaria importanza. Per questo motivo il
commercio degli schiavi va a sempre a gonfie vele. -
Nemeria trattenne il respiro: - Ricordi se tra la folla c'era una
ragazza alta così, con i capelli lunghi, molto piccola e
magra... -
Tyrron parve rifletterci seriamente. Prese un altro dolcetto e sospinse
il vassoio verso di lei.
- No, non mi dice niente. C'era molta gente e una volta prelevate voi
me ne sono andato. -
Nemeria abbassò lo sguardo. Improvvisamente i dolcetti
avevano perso tutta la loro attrattiva.
- Vai a dormire, ti conviene. Hai bisogno di riposare, così
le ferite si rimargineranno presto. - prese il calice e lo
inclinò, facendo ondeggiare la superficie del vino, - Se hai
bisogno di qualcosa, Bahar sarà subito da te. -
La ragazza in questione si staccò dal muro e le si fece
vicino. Aveva le mani dietro la schiena e sorrideva tutta impettita, lo
sguardo fiero di chi ha ricevuto il compito più importante
della propria vita. Nemeria non comprendeva il suo entusiasmo e,
sinceramente, non gliene importava un fico secco in quel momento.
Perciò scivolò dalla sedia, fece un rapido
inchino e si avviò verso il corridoio.
- Nemeria. - la richiamò l'uomo, un attimo prima che
varcasse la porta.
La bambina si bloccò sul posto, ma rifiutò di
fronteggiarlo.
- Io ti sto tendendo la mano, e ti suggerisco di fare altrettanto.
Rimarrai qui per tutto il tempo che ti serve a riprenderti, ma se il
curatore mi riferirà che non ci stai davvero provando, a
guarire intendo, sarò io stesso a buttarti nell'arena,
chiaro? -
La sua voce era dura, inflessibile, e i suoi occhi le trapassavano la
nuca come spilli. Un brivido le corse lungo la spina dorsale e le
accapponò la pelle.
- Farò del mio meglio. -
- Era quello che volevo sentirti dire. Ora va'. -
Nonostante il dolore alle gambe, Nemeria quasi corse fino alla sua
stanza.
Tre settimane passarono in fretta. Ogni giorno il guaritore, un
Dominatore dell'acqua giovane, con gli occhi viola e il naso largo a
patata, le regalava un sorriso gentile e le domandava come si sentisse.
Si chiamava Kamyar e sembrava davvero interessato a sapere se stava
migliorando, se le faceva male quando usava il suo potere per
rinsaldare le ossa e per rimarginare le ferite. Fu da lui che apprese
di aver dormito quasi tre giorni prima di riprendere conoscenza, e che
durante quel periodo lui aveva ricongiunto le ossa fissandole con del
ghiaccio.
- Avevi il naso e il labbro spaccato. - le disse mentre si occupava del
dolore al braccio, - Anche le costole erano messe male. È
stato un miracolo che non abbiano trapassato i polmoni, altrimenti
saresti morta. -
Nemeria era rimasta in silenzio fino a quando la visita non era
terminata. Aveva trascorso il pomeriggio stesa sul letto a guardarsi il
palmo della mano, la cicatrice dura, liscia, lucente, di colore rosso
acceso. Le sarebbe rimasta per sempre, le aveva detto Kamyar, anche se
lui aveva fatto di tutto per guarirla, la pelle era troppo danneggiata
per ricostruirla. Nemeria si era limitata ad annuire e a far cadere il
discorso.
Non parlava spesso, non ne aveva voglia. Viveva alla giornata,
mantenendo per quanto possibile un basso profilo. Si alzava, mangiava,
si faceva un giro della casa e poi passeggiava in giardino o si
rintanava in biblioteca. Quest'ultima era stata una concessione di
Tyrron, che aveva interpretato il suo silenzio come un indizio di noia.
- Ci sono molti libri illustrati, puoi sfogliarne quanti ne vuoi, basta
che li rimetti a posto dopo. - le aveva detto e, subito dopo pranzo,
l'aveva condotta nella stanza antistante il suo studio.
Era parecchio grande, con gli scaffali carichi di libri. Non erano
impolverati, ma quando Nemeria ne aprì uno, un trattato
sulla geografia della Jogaila, le pagine crepitarono, staccandosi le
une dalle altre. Bahar restò con lei quando Tyrron se ne
andò, ma si appisolò su una sedia con la testa
appoggiata sul petto. Successe ogni pomeriggio che andarono
lì e, nonostante le chiedesse di svegliarla, Nemeria non lo
fece mai.
Nella solitudine della biblioteca, avvolta dal silenzio degli antichi
volumi, riusciva a ritrovare se stessa e la pace che la notte le
negava. Di giorno le bastava guardare il collare riflesso nello
specchio perché la rabbia le montasse dentro, per poi
infrangersi contro il senso di colpa e la vergogna per averla scampata
ancora una volta.
Nonostante fosse una schiava, Tyrron non la trattava male, anzi, se non
fosse stato per il collare, non si sarebbe sentita tale. Ma gli altri
dov'erano? L'impossibilità di uscire dalla villa per
raccogliere informazioni la tormentava e il dubbio le mangiava il
cervello come un tarlo, instillando in lei le fantasie peggiori.
Gli incubi non arrivavano tutte le sere, ma le facevano visita
abbastanza spesso da farle temere di addormentarsi. Al risveglio non
ricordava cosa avesse sognato; nei suoi occhi non era impressa alcuna
immagine, ma il dolore e la paura che insanguinavano le sue notti erano
impresse nella pelle, in ogni livido e cicatrice in rilievo. In quei
momenti, Nemeria avrebbe tanto voluto avere qualcuno al suo fianco. La
consistenza morbida del materasso le ricordava che non era
più nel deserto o nelle catacombe, che aveva perso un'altra
famiglia. Allora si stringeva tra le braccia e si raggomitolava sotto
le coperte come poteva.
Per quanto provasse a rievocare i bei ricordi, la paura strisciava
nelle sue memorie e le avvelenava, uccidendo qualsiasi gioia, oscurando
ogni luce. E, per quanto Nemeria facesse di tutto per non farle morire,
sopraggiungeva sempre quella vocina cattiva che le soffiava
all'orecchio “Non c'è più nulla che tu
possa fare”. Il buio diventava una gabbia soffocante e ogni
ombra, anche la più piccola, una minaccia pronta ad
attaccarla non appena avesse chiuso di nuovo gli occhi. Ben presto
Nemeria si rese conto di essere diventata davvero una schiava, sia
dentro che fuori, prigioniera di Tyrron e della paura. E sapeva, con
orribile certezza, che un giorno la luce del sole non l'avrebbe
più protetta.
Il ventiduesimo giorno, Bahar venne a chiamarla prima del solito.
Nemeria era già sveglia da un pezzo, non attendeva altro che
un motivo per alzarsi.
- Ti ho portato degli abiti puliti. Vestiti in fretta, il padrone ti
aspetta per fare colazione. -
Depose la kandys sul letto, era quello il nome della tunica lunga che
indossava spesso Tyrron, e le porse gli endromìs. Nemeria
prese i sandali e si sedette sul materasso, legando i lacci attorno al
polpaccio. Il braccio era quasi del tutto andato a posto, resisteva
solo un fastidioso pizzicore quando compiva dei movimenti bruschi.
Kamyar aveva insistito perché tenesse la fasciatura ancora
per un paio di giorni, anche se Nemeria non ne capiva il motivo: stava
bene, a suo modo.
- Vieni. -
Bahar le fece un lieve cenno del capo e le rivolse un sorriso
d'incoraggiamento. Era sempre allegra, troppo per i suoi gusti. La sua
esuberante gentilezza le ricordava continuamente la Nemeria che era
morta nell'arena.
- Qualcosa non va? -
Nemeria sbatté le palpebre e tornò in
sé. Le capitava spesso di incantarsi, erano quelli i momenti
in cui la paura si rannicchiava e la mente si assopiva.
- Va tutto bene. Ero solo persa nei miei pensieri. -
- L'avevo notato, sembravi un cane che fissa un osso. -
La bambina fece spallucce e si allacciò la cintura poco
sotto il seno. Non le stringeva più sulle costole, non come
le prime volte che l'aveva indossata. Lo specchio alla parete le
rimandò il riflesso delle ginocchia ossute e della pelle
tirata sui muscoli delle braccia e sugli zigomi del viso.
- Hai messo su peso, è una buona cosa. Adesso non sembri
più un insetto stecco, anche se sei ancora gracilina. -
commentò Bahar, - Non dartene pena: il padrone non ha mai
lasciato nessuno dei suoi gladiatori a digiuno, non dovrai
più patire la fame. -
“Kimiya era ancora più magra.”
A colazione venne servito yogurt e tè alla menta con alcuni
piccoli spicchi di mela essicata. Nemeria spalmò un po' di
formaggio di capra sul pane, il nan-e barbari, mescolato con qualche
goccia di miele. Non aveva molta fame, ma Tyrron la perdeva mai di
vista e lei non aveva la forza mentale per affrontare una discussione
con lui.
- Preparati, oggi ti porto alla scuola. - disse l'uom facendo un lungo
tiro dalla pipa e sputò il fumo dall'angolo della bocca.
Nemeria annuì e si pulì le labbra appiccicose.
- Appena finisci, vai in camera a raccogliere le tue cose. Se ti
dimenticherai qualcosa, Bahar o qualcun altro te la porterà,
ma cerca di prendere tutto. Nei prossimi giorni ho delle faccende da
sbrigare. -
- Va bene, non ho molto da portarmi. -
“Per non dire nulla.”
Tyrron inarcò un sopracciglio, come se avesse intuito i suoi
pensieri. Si umettò le labbra, trattenendo il fumo nella
guancia sinistra, e la squadrò attento. Aveva le pupille
leggermente dilatate e lucide e l'alone dorato che le circondava si era
assottigliato fin quasi a sparire in un sottile contorno. Nemeria non
sapeva cosa ci fosse nella pipa, ma intuiva dal rilassamento delle
spalle a cosa serviva. Abbassò lo sguardo, focalizzandosi
sulle foglioline di menta che galleggiavano nel tè.
- Vai, ti aspetto nell'atrio. -
Nemeria tornò in camera e prese la tunica che indossava
quando era giunta lì, le calige, la clamide e la fibula per
fissarlo. Erano stati regali di Tyrron, oggetti nuovi e senza storia.
“Potrai costruirne una tu.” si disse, ma non aveva
il coraggio di crederci davvero.
Sfiorò la pietra di luna e la infilò sotto la
tunica. Il contatto con la superficie fredda le procurò un
brivido. Etheram era lì, la sua famiglia era lì,
di tutto il suo mondo era l'unica cosa che sopravviveva. E Noriko...
non sapeva se era pronta a incontrarla: non era come i fantasmi che la
tormentavano ogni notte, era viva, reale, schiava. Come le avrebbe
spiegato che Kimiya non era più lì con lei? Che
non aveva idea di che fine avessero fatto gli altri?
“Madre, dammi la forza.”
Trasse un profondo respiro e uscì dalla stanza. Quando
arrivò all'atrio, Tyrron era già lì ad
attenderla con Morad, il canuto capo della servitù. Alto
quasi quanto il suo padrone, lo seguiva ovunque come un'ombra e sarebbe
potuto passare per un vecchio se non fosse stato per le braccia
muscolose e le mani come badili. Nemeria lo aveva visto portare un
quarto di bue sulle spalle senza alcuno sforzo.
Quando si fu avvicinata, Tyrron la studiò da capo a piedi.
Il barbaglio della luce sulla lama di oricalco che portava al fianco le
fece venire la pelle d'oca.
- Devo metterti le catene ai piedi o posso fidarmi che non scapperai? -
- Non avrei dove andare. -
Ed era la verità, fuori da lì non c'era niente
per lei: la libertà non era altro che una desolante promessa
di povertà e miseria.
Due servi aprirono le pesanti doppie porte e il vento le
accarezzò le caviglie mentre si avvicinavano. Fuori, la casa
aggettava su una strada lastricata che declinava dolcemente, per poi
immettersi in un vialone che Nemeria riconobbe subito. Le fanoos erano
spente a quell'ora, eppure con i loro mosaici colorati sembravano
ancora conservare una fiamma al loro interno. Mentre camminavano nella
strada affollata, Nemeria non faceva altro che guardarle, incurante
delle persone che le passavano di fianco urtandola e dei monelli che le
calpestavano i piedi. Riconobbe anche il venditore di cavalli di quella
notte: richiamava i clienti a gran voce, sperticandosi in lodi sugli
stalloni che, a sua detta, gli erano stati venduti da niente meno che
il Rajeh in persona.
Morad scosse la testa quando tentò di trascinarlo a vedere
gli esemplari più da vicino. Non che quell'ometto grassoccio
potesse davvero smuoverlo.
- Quel mercante ha la bocca larga. - borbottò seccato tra
sé e sé quando si allontanarono, - Quelli sono
stalloni tanto quanto io sono kalaspirese. -
Tyrron rise alla battuta.
- Un po' di tempo fa aveva messo in vendita un andalo niente male. -
- Anche quello doveva essere un regalo del Rajeh, no? -
- Poco ma sicuro. -
Mentre i due parlavano, Nemeria continuava a guardare in giro,
aumentando l'andatura ogni volta che rischiava di rimanere indietro.
Aveva la pressante sensazione di essere osservata, un disagio pungente
che le graffiava le spalle e le prudeva la nuca. Cercò tra
la folla, ma in mezzo a tutte quelle persone non riusciva a distinguere
le ombre.
“È una tua impressione.”
Strinse la pietra di luna attraverso la veste e puntò lo
sguardo in avanti, fingendo indifferenza. Dopodiché, alcuni
secondi più tardi, si voltò di colpo e con la
coda dell'occhio colse il lembo di un mantello sparire in un vicolo. Il
cuore le balzò in gola quando la luce del sole
rimbalzò sul bianco lucido del profilo di una maschera.
“No...”
La paura scavò un buco nelle sue viscere.
Affrettò il passo e affiancò Morad, le dita
sempre strette attorno al ciondolo. Se avesse deciso di attaccarli,
Morad era l'unico a poterla proteggere. Ma cosa avrebbe potuto un
semplice essere umano contro l'uomo che aveva assassinato l'Alta
Sacerdotessa?
- Sei pallida, non ti senti bene? -
Tyrron le mise una mano sulla spalla e la fermò. Un urlo di
rabbia e paura le andò di traverso.
- N-no... no, sto bene. -
- Sei bianca come un cencio. - la scrutò con i suoi occhi da
lince, stringendo appena la presa, - Se hai male da qualche parte, devi
dirmelo. Non capiterà nulla a Kamyar, mi aveva avvertito che
i dolori non sarebbero passati prima della fine del mese. -
Nemeria deglutì piano. Aveva le labbra secche, le gola
riarsa e i palmi sudati. Voleva scrollarsi di dosso quella mano,
strapparsi il collare e correre via, nelle catacombe, ma era
paralizzata. Il veleno della paura le aveva reso i muscoli di pietra.
- Ho... ho solo paura di rivedere Noriko. - inventò sul
momento, sforzandosi di mantenere lo sguardo su Tyrron. - Non vorrei
che fosse gelosa perché lei è stata subito
portata alla scuola, mentre io sono stata a casa vostra per tutta la
convalescenza. -
L'uomo non accennava a lasciarla. La pupilla si era dilatata e Nemeria
si trovò ipnotizzata a osservarle. Erano occhi magnetici,
quelli, vigili e penetranti, con lo stesso riflesso della luce sugli
steli d'erba nelle oasi.
- Ma lei non lo sa e... e potrebbe essere arrabbiata. - aggiunse
deglutendo.
Batteva il piede sinistro, incapace di controllarsi. Ai margini del suo
campo visivo, la folla si muoveva e le persone passavano loro a fianco
ignorandoli, come se non esistessero. Qualcuno, da una parte,
berciò che quella era una strada, che se volevano parlare,
potevano farlo altrove. Bastò un'occhiata di Tyrron che
nessuno osò più aprir bocca. Anche il pericolo
taceva, incombendo nascosto nelle ombre immobili delle case.
- È solo questo. - pigolò con voce tremante.
L'uomo la fissò ancora un momento e poi trasse un respiro
profondo.
- Se avrai problemi, non esitare a riferirmelo. Non ho intenzione di
lasciarti in panchina per altro tempo, ho speso troppo per nutrirti e
accudirti senza un introito. - incrociò le braccia sul petto
e le fece un gesto della testa, - Cammina, non voglio arrivare in
ritardo. -
Non se l'era bevuta, lo sapeva, eppure fu sufficiente che ritraesse la
mano perché il cuore di Nemeria si placasse un po'.
Annuì, raddrizzò le spalle e si
obbligò a tenere il loro passo. Non voleva rimanere
indietro, per nessuna ragione al mondo. Tutta quella gente gli era
d'intralcio, il predone non le sarebbe potuto saltare addosso neanche
volendo, ma bastava la certezza che la stesse seguendo per farla
tremare. Lui era lì, in attesa, come la sua seconda ombra.
“Calma, devi stare calma” si disse quando il cuore
rischiò di scoppiarle nel petto. Le faceva così
male che i dolori alle gambe quasi non li sentiva.
Quando si fermarono, quasi le cedettero le ginocchia e dovette
contrarre tutti i muscoli per mantenersi in piedi.
- Siamo arrivati. - la informò Tyrron.
A quelle parole, Nemeria si riscosse. La scuola dei gladiatori, la sua
nuova prigione, era davanti a lei, una promessa di salvezza in un mare
in tempesta. Oltrepassò l'ingresso in poche falcate,
precedendo Tyrron, e soltanto allora poté esalare un sospiro
di sollievo.
- Chiudi la bocca, altrimenti ti entrano le mosche e ti strozzi. -
scherzò Morad, ma il rumore del portone che si chiudeva alle
sue spalle fu l'unica cosa che Nemeria udì davvero.
L'edificio, costruito su due piani, era in laterizio e somigliava a una
caserma per la sua architettura austera e, a tratti, severa. Tutte le
finestre erano sbarrate e si affacciavano sul giardino circondato da un
quadriportico. Le colonne erano state stuccate e, fatta eccezione per
quelle centrali di ogni lato, erano dipinte alternativamente di rosso e
di giallo. Una coppia di uomini duellava con delle spade corte
nell'angolo sinistro, mentre altri due fronteggiavano un manichino di
legno con una lancia e un tridente. Le guardie erano vicine alle
pareti, sotto il quadriportico, le armi ben in vista.
- La tua amica è di là, seguimi. -
Tyrron le diede una pacca sulla schiena e Nemeria si
affrettò in un corridoio laterale, un portico arioso dove il
vento giocava a nascondino tra le colonne bianche per poi arrampicarsi
sui muri del campo d'allenamento, fino alla cupola fenestrata. Al
centro, seduta a gambe incrociate, c'era Noriko, le mani morbidamente
appoggiate sulle ginocchia e gli occhi chiusi. Non appena Nemeria mise
piede all'interno, sollevò le palpebre e appuntò
lo sguardo su di lei.
- Ci stavi aspettando? - esordì Tyrron facendosi avanti.
Morad lo seguiva a un passo.
- Sayuri aveva accennato alla possibilità che oggi sarebbe
arrivata una nuova gladiatrice. -
Noriko si alzò, ma rimase immobile senza staccare gli occhi
da Nemeria. Ai polsi aveva due bracciali borchiati in oricalco.
- A proposito, dov'è quella donna? - domandò
Tyrron.
- Non lo so, si è allontanata qualche minuto fa. -
L'uomo si massaggiò la radice del naso con un'espressione
che Nemeria poteva solo definire esasperata.
- Padrone, credo che per quel che riguarda la preparazione fisica basti
Reza. - suggerì Morad, - Io nel frattempo vado a cercare
Roshanai. -
Tyrron fece un cenno d'assenso col capo, la fronte appoggiata al pugno
chiuso.
- Seguimi. - sbuffò.
Nemeria si morse le labbra e abbassò il capo. Non riusciva a
guardarla: Noriko era lì per causa sua, aveva perso la
libertà per difenderla. Corse dietro Tyrron senza voltarsi
indietro.
- Reza! Vieni qui. -
Il combattimento si fermò e il gladiatore si
voltò. Era un poco più basso del suo avversario,
con i muscoli in rilievo sotto la pelle ebano. I capelli arruffati
coprivano la fronte alta e si appiccicavano al collo taurino, mentre
gli occhi neri erano sottolineati dalle sopracciglia sottili.
Scambiò un paio di battute col suo compagno d'allenamento e
poi si diresse verso Tyrron. A parte dei calzoni leggeri e delle
calighe, non indossava altro.
- Sì, signore? -
- Lei è il mio nuovo acquisto, una Dominatrice del fuoco.
Avrei bisogno del tuo parere per una valutazione fisica. - sospinse
Nemeria verso di lui, - Tu sei il Syad più anziano di tutti,
mi fido del tuo giudizio. -
Reza prese a girarle intorno, studiandola con aria critica. Nemeria
tenne gli occhi bassi finché lui non la costrinse ad alzare
il mento: le mani erano ruvide come travertino.
- Magra, molto. - le tastò le braccia, le spalle e le gambe,
- Ha le ossa sottili, si romperebbero facilmente con un colpo ben
assestato. I muscoli sono poco sviluppati, eccetto quelli dei polpacci
e delle cosce. Deve essere abituata a correre, oserei dire che potrebbe
combattere o senza armatura o al massimo con un'armatura di cuoio
leggera. - le prese le mani e le torse i polsi un paio di volte, prima
per fare le stessa con le ginocchia, - Mi sembra che le articolazioni
siano abbastanza elastiche per degli scatti fulminei e per disarmare
l'avversario con qualche trucchetto. Non ti so dire quanto
crescerà, è ancora molto giovane, ma suppongo che
anche raggiungendo l'altezza di otto spanne non metterebbe su
abbastanza muscoli per combattere contro gli animali a mani nude. -
- Non era mia intenzione gettarla in pasto ai leoni. È una
Dominatrice del fuoco, non una semplice ragazzetta. -
Reza annuì e indietreggiò. Dal corridoio alle sue
spalle fece il suo ingresso una Ver'ilef . Le
tipiche orecchie simili al guscio di un paguro erano adornate con
orecchini d'ossa che entravano e uscivano da una parte e dall'altra,
donandole un'aria truce che si rifletteva negli occhi rossi e nel
portamento minaccioso. Le pelle era squamata sulle nocche, sul collo,
sui gomiti e su buona parte della guancia sinistra, macchie rosee che
risaltavano ancora di più sull'incarnato altrimenti scuro.
Morad la seguiva a poca distanza, un paio di passi indietro.
- Sei stata molto gentile a presentarti, Roshanai. -
La voce di Tyrron trasudava sarcasmo. La donna chinò la
testa e il ciuffo le sfiorò la punta del naso.
- Perdonatemi, la mia nuova allieva è molto... ostica. -
Tyrron sollevò entrambe le sopracciglia, sorpreso.
- Mi è stata portata stamane da Tara, un'altra Dominatrice
del fuoco come la vostra. -
- Quest'anno il pubblico avrà da divertirsi, allora. -
sospirò e fece un cenno a Nemeria, - Reza l'ha
già valutata, credi di potermi dire qualcosa di
più a riguardo? -
- Farò del mio meglio. -
Non appena Tyrron toccò la fibbia, questa si aprì
senza alcuna resistenza. Nemeria si tastò il collo con tutte
e dieci le dita senza capire come fosse possibile. Aveva provato a
levarselo almeno una decina di volte durante quei venti giorni e non
c'era mai riuscita, mentre a lui era bastato sfiorarlo.
“Che razza di magia è mai questa?”
- Ragazzina, guardami. -
La Ver'ilef torreggiava su di lei, squadrandola dall'alto in basso con
un'espressione sdegnata dipinta in faccia. Le prese le mani e gliele
strinse, incatenando il suo sguardo a quello di Nemeria. Una fitta di
dolore si irradiò dal centro della fronte, le avvolse le
tempie e gli occhi e si impadronì di tutto il viso, una
maschera ardente che le premeva sulla faccia e le stirava la pelle.
Nemeria lasciò cadere i vestiti e provò ad
allontanarsi, a distogliere lo sguardo, ma la presa di Roshanai la
teneva immobilizzata sul posto e il collo non ne voleva sapere di
muoversi. Gemette impotente.
“Basta...”
- Non opporre resistenza. -
La maschera divenne una lama che penetrava nella fronte. Qualcosa che i
suoi occhi non vedevano stava facendo forza per entrare nella sua testa
e Nemeria non sapeva come fermarla, non capiva se Tyrron si aspettava
che lo facesse. Strinse le palpebre, contrasse la mascella sibilando
tra i denti serrati, ma la lama era appuntita e la sua carne era una
barriera debole. Quando sprofondò, il dolore esplose,
tingendo la realtà di rosso.
Spingila via.
La voce dell'elementale del fuoco le riempì le orecchie.
“Non so... non so come si fa...”
La lama incontrò una resistenza, rimase incastrata per un
istante e la mano che la guidava dovette estrarla appena per affondarla
di nuovo, con più forza. Nemeria riversò la testa
all'indietro, si dimenò, scalciò, urlò
con tutte le sue forze.
Spingila via con me.
L'elementale apparve alle sue spalle, una donna dai fianchi larghi e la
pelle rossa solcata da vene di lava. Le strinse le mani e gliele
distese davanti al viso. Il calore che emanava era intenso e
confortante come l'abbraccio di una madre.
Fallo, Nemeria. Mandala via, spingila.
Prima che la lama la trapassasse, Nemeria tirò su uno scudo
di fuoco. Il metallo divenne incandescente, ma continuò a
tentare di affondare, senza tuttavia passare oltre.
Più forte.
La bambina si puntò sui piedi e spinse. Le sembrava di star
facendo a braccio di ferro con un ariete, ma decise di non arrendersi.
Un passo, lento, faticoso, seguito da un altro. La pressione sullo
scudo diminuì e la lama arretrò sempre di
più.
Via!
La voce dell'elementale si fuse con i suoi pensieri liberandosi in un
grido carico di rabbia.
La lama venne spinta fuori e il velo rosso si squarciò.
Roshanai volò contro la colonna del quadriportico con una
tale violenza da farla incrinare. Rimase per una frazione di secondo
sospesa in aria, immobile, prima di scivolare a terra, disegnando una
tremula scia di sangue che sgocciolava dal punto d'impatto fino alla
sua testa.
Reza corse verso di lei, mentre Morad infilò il corridoio a
nord. Le guardie sotto il porticato circondarono Nemeria, le lance
alzate, pronte a infilzarla. Lei li fissò a sua volta con il
sangue che le colava dal naso e le bagnava le labbra. Se avessero
provato a toccarla, li avrebbe bruciati, tutti.
“Ma che sto pensando...?”
- Sì, sei davvero un acquisto interessante. -
Le parve di vedere Tyrron ghignare, al riparo dietro i soldati, prima
che uno di essi le saltasse addosso e la immobilizzasse a terra.