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Autore: Vago    14/10/2017    3 recensioni
Questo mondo è impazzito ed io non posso farci nulla.
Non so cos'hanno visto in me, ma non sono in grado di salvare chi mi sta vicino, figurarsi le centinaia di persone che stanno rischiando la vita in questo momento.
Sono un allenatore, un normale allenatore, non uno di quegli eroi di cui si parla nelle storie sui Pokémon leggendari.
Ed ora, isolato dal mondo, posso contare solo sulla mia squadra e sulle mie capacità, nulla di più.
Sono nella merda fino al collo. No, peggio, sono completamente fottuto.
Non so perchè stia succedendo tutto questo, se c'entrino davvero i leggendari o sia qualcosa di diverso a generare tutto questo, ma, sicuramente, è tutto troppo più grande di me.
Hoenn, Sinnoh, due regioni in ginocchio, migliaia di persone sfollate a Johto dove, almeno per ora, pare che il caos non sia ancora arrivato.
Non ho idea di come potrò uscirne, soprattutto ora che sono solo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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Mi sarei voluto scattare una foto, in quel momento.
Stavamo sorvolando la fascia di mare in burrasca che divideva la regione dall’isola di Ceneride.
I miei piedi pendevano verso il basso, venendo fatti oscillare dal vento che ogni tanto ci raggiungeva.
Le mie braccia erano saldamente avvinghiate all’avambraccio nero di Darkrai, i cui artigli stringevano la mia giacca.
Sul lato opposto del corpo di quel leggendario, Karden sembrava tranquillo, con lo sguardo fisso verso est.
Davanti a noi era appena visibile il bianco cratere vulcanico che si innalzava dalle onde.
La pioggia si fece sempre più battente man mano che andavamo al largo.
Un baluginio chiaro, simile a quello di un arcobaleno primaverile, mi lasciò immaginare dove potesse essere la Cresselia di Mary in quel banco di nebbia notturno che ci avvolgeva.
Avrei voluto avere il PokèNav funzionante, in quel momento.
Mi sarei sentito molto più sicuro potendo comunicare in qualsiasi momento con Rocco.
Dovevamo essere rapidi a prendere i feriti ed andarcene, non volevo lasciare a nessuno il tempo di poterci fermare o attaccare.
Strinsi la mia presa sul corpo del leggendario che mi teneva sospeso, cercando di non permettere alle gocce di pioggia di insinuarsi sotto le mie braccia e farmi perdere quella poca sicurezza che avevo.
Il sole sarebbe sorto a momenti, per lo meno.
Gardevoir sarebbe arrivata a momenti, se mia madre non ha fatto casini.
Una volta arrivati Darkrai e Cresselia, assieme al pokémon volante di Rocco avrebbero potuto portare tre squadre almeno fino a Ciclanova. Gardevoir, con teletrasporto, avrebbe potuto portare una persona per volta fino a Ciclamipoli, città comunque più sicura di dove si trovano ora.
Avrei anche potuto far portare più persone per volta al mio pokémon, ma si sarebbe stancata inutilmente e il carico le avrebbe fatto rallentare il viaggio.
No, meglio molti viaggi rapidi con una sola persona.
Guardai verso nord, pur sapendo che con la luce quasi nulla della luna non sarei riuscito a distinguere Rocco tra le nubi nemmeno per sbaglio.
Sorvolammo il largo cratere bianco, discendendo al suo interno quasi in verticale.
I pochi lampioni che l’imponente gruppo elettrogeno riusciva a mantenere accesi facevano riflettere la loro calda luce arancione sul livello dell’acqua, che, ne ero quasi certo, era aumentato dall’ultima volta che ero stato in quella cittadina.
I terrazzamenti erano vuoti, silenziosi.
La pioggia cadeva incessante, ma non particolarmente fitta, al punto da non risultare particolarmente insopportabile.
Finalmente i miei piedi riuscirono a toccare nuovamente il suolo fangoso.
Avevo le gambe intorpidite, le ginocchia mi si piegavano appena, ma cercai di non farci troppo caso.
Guardai verso l’alto, verso il punto dal quale proveniva il ronzio costante del gruppo elettrogeno e il bagliore freddo delle luci che dovevano illuminare i corridoi del centro medico principale, la cui struttura appariva arroccata sulla parete interna del vulcano.
Mi voltai verso i miei compagni di viaggio. Concedendomi qualche secondo per osservare per bene i leggendari che li accompagnavano.
Non saremmo riusciti a passare inosservati in nessun modo. Quei due pokémon non potevano non balzare subito all’occhio.
Sospirai, cercando di scrollarmi di dosso la stanchezza che mi assaliva. Percepivo le palpebre volersi chiudere e la fronte pesante, ma dovevo rimanere sveglio ancora per qualche ora.
Muovermi mi avrebbe fatto bene, decisi.
- Rimanete indietro e cercate di nascondervi il più possibile. Rocco dovrebbe arrivare a momenti. Io, mentre lo aspettiamo, vado a controllare la situazione all’interno del centro medico. –
- Nail… - mi rispose Mary incrociando le braccia sul petto – Non vorrei mai passarti davanti, ma ti vorrei ricordare che ho lavorato per più di una settimana, qua dentro. Vado io, prendo in consegna i tuoi feriti, ve li porto fuori e torniamo a Ciclanova. –
- E Cresselia? – chiesi con un filo di voce, ammutolito.
- Lei sa cavarsela anche da sola. Non ha bisogno di qualcuno che le stia continuamente attaccato. Io vado, ci vediamo dopo. –
Mary, si incamminò senza dire altro lungo la scalinata che percorreva i terrazzamenti su cui era nata la città, lasciando me e Karden, soli, nel punto in cui eravamo atterrati.
- Quindi, che vuoi fare, ora? – mi chiese l’uomo dalla barba incolta, guardandomi con quei suoi occhi scuri.
Cazzo, avessi saputo cosa fare.
Mary aveva ragione, lei era la più indicata per andare a recuperare i feriti, ma questo non mi faceva stare meglio o sentire più sicuro.
Forse avevo viaggiato troppo da solo.
Avevo scelto poche persone di cui fidarmi, ma, in fondo, non riuscivo a credere davvero in loro.
Perfino in questo momento Karden potrebbe attaccarmi e io non sarei stato in grado di ribattere in tempo.
La mia mano corse alle sfere con un gesto automatico.
No.
Tu hai deciso di fidarti di lui.
- Per il momento aspettiamo che torni Mary. Poi sarà il nostro turno di lavorare. –
- E il tuo amico? –
- Rocco? Dovrebbe arrivare a momenti. –
I minuti passavano rapidi, o, per lo meno così mi sembrava, visto che le condizioni del mio stramaledetto PokèNav non mi permettevano di controllare neppure l’ora.

Il bagliore rossastro del sole cominciò ad intravedersi tra le nubi, riuscendo a superare la muraglia di roccia che ci circondava.
Le sette passate, probabilmente.
Mary ancora non era ricomparsa dal centro medico.
Rocco non era ancora arrivato e, in ogni caso, anche mi avesse provato a contattare non sarei riuscito a rispondergli.
Gardevoir ancora non si era fatta viva. Sapevo che mia madre avrebbe fatto qualche casino.
Ci eravamo nascosti in un piccolo corridoio tra i muri di due diverse case, protetti in buona parte dalla pioggia grazie ai due tetti che quasi si toccavano, sopra le nostre teste.
Lontano, in cima ai terrazzamenti, le porte antipanico del centro medico principale si aprirono, lasciandoci intravedere la figura in abiti scuri di Mary. La sua mano si alzò, facendoci un gesto rapido che pareva un invito ad avvicinarci.
La Custode rientrò, per poi ricomparire pochi istanti dopo spingendo un lettino ospedaliero su cui era adagiato il corpo di un ragazzo dal viso coperto per metà da una garza bianca.
La raggiungemmo di corsa, salendo gli scalini a due a due, seguiti dai due pokémon leggendari che fluttuavano a un metro di distanza l’uno dall’altro.
- Perché ci hai impiegato così tanto? – le chiesi non appena fu a portata d’orecchio.
- Non volevo che le infermiere mi facessero troppe domande. Ora datemi una mano, che rimangono altri sei là dentro. –
- Cosa ne hai fatto del personale medico? – le chiesi senza muovermi di un passo.
- Tranquillo, non li ho uccisi. Ho somministrato loro una dose di sonnifero. Ora, ho bisogno di un aiuto per portare fuori gli altri sei ragazzi e, già che ci siamo, dobbiamo trovare delle corde. Per ora gli unici che possono portare via i feriti sono Darkrai e Cresselia e, comunque, non possono farlo bene senza un’imbragatura adeguata.
Lavorammo per diversi minuti, prima per assicurare i feriti e le rispettive flebo alle barelle, poi i lettini tra di loro e, infine, il carico ai due pokémon.
Per quanto mi fosse stato sul culo fin dall’inizio, provai una nota di compassione per quell’Hasi deperito che mi ritrovai davanti.
- Karden, - dissi rompendo il silenzio laborioso che si era creato – vai con loro e comincia a sistemare i quattro feriti nel Laboratorio C. Io e Mary aspetteremo qui il ritorno dei vostri due pokémon e, spero, anche l’arrivo di Rocco. –
- Sei sicuro? Sai che se mi dovessi trovare in pericolo i feriti sarebbero il mio ultimo pensiero? – Il Custode dai pantaloni strappati sollevò un sopracciglio in segno di confusione.
- Si, lo metterò in conto. Ma voglio credere che non sarai costretto a scegliere tra voi o loro. Dai, vai. Noi ti aspetteremo qui. –
Darkrai e Cresselia si alzarono al di sopra dell’anello di pietra vulcanica che delimitava la città, scomparendo velocemente nel cielo scuro con il loro carico.
Mancavano ancora tre feriti. Solamente tre feriti e poi mi sarei potuto concedere una pausa.
- Stai giù! – mi urlò Mary, appoggiando la sua mano sulla mia nuca per poi spingerla verso il terreno.
Pochi centimetri sopra di me, quattro aculei violacei si conficcarono nel muro della struttura.
No, basta.
Non ne posso più di tutto questo!
Mary corse con la schiena bassa fin dietro al muro di una casa vicina, sporgendosi oltre quella salda protezione quel tanto che bastava per poter cercare di capire da dove fosse provenuta quella mossa.
Io la seguii, rimanendole appiccicato come la sua ombra.
Non sarei morto. Non avevo nessuna intenzione di farlo.
- Rimani qui. Dobbiamo capire dove si nasconde. –
- Ma tu non hai pokémon con te! – ribattei a bassa voce, afferrando la giacca nera della ragazza che mi stava davanti.
- Non ho bisogno di pokémon per rendere inerme un allenatore. –
Mary si liberò dalla mia presa, passando al muro contiguo, cercando di muoversi nella direzione dalla quale erano arrivati i colpi.
   
 
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