Prologo
Se
l'inciuc a vò semp vinciut
"C
peccat a nun u rà fiduc"
Penseraj
quann me ne so juto
Napoli, 2015.
Il tipico
ragazzo che crede di essere meglio degli altri.
Fabrizio era così.
Bello era bello, con i riccioli scuri che gli ricadevano sulla fronte e
quegli occhi
verdi, profondi come due pozzi. E quell’aria
scanzonata…
Ad Aurora piaceva da morire, quel ragazzo.
Frequentava con lei la facoltà di Lettere, ed era veramente
bravo.
Aveva una voce che la faceva impazzire. Ogni volta che interveniva a
lezione un
brivido di eccitazione le scorreva lungo la schiena, mentre lo stomaco
le si
contorceva.
Profonda, graffiante, nostalgica, affascinante.
Nella sua città natale, Roma, di ragazzi che le avevano
fatto perdere la testa
così non ne aveva mai visti. E con quella voce, con quel
dialetto, con quelle
labbra.
Non riusciva a pensare ad altro.
Ogni giorno Aurora si svegliava alle sette per prepararsi alle lezioni.
La facoltà di lettere della Federico II le piaceva molto, ma
c’era un problema
che accomunava tutte le università; troppa gente. Spesso era
costretta a
sedersi sul pavimento per seguire, altre volte non si sedeva proprio,
perché
anche il pavimento era zeppo.
E una cosa che le faceva pensare “li mortacci
vostri” erano quelle cazzo di
borse che servivano a prendersi tutti i posti. E pure era una delle
prime ad
arrivare, ma trovava l’aula e le sedie piene zeppe di zaini e
quaderni, che
mannaggia la miseria! Ribolliva di rabbia solo a pensarci, era una cosa
che
proprio non riusciva a sopportare.
Aveva preso una stanza in affitto presso
l’università, al così detto “Rettifilo”, a prezzi
stracciati. Questa
era un’altra cosa che amava di Napoli, era infatti una
città molto economica.
Anche quel giorno Aurora si era svegliata presto.
Aveva lezione alle nove, ma alle sette già era sveglia e
pimpante, con un
sorriso dipinto sul viso alla prospettiva di vederlo.
Non era mai stata una ragazza frivola, e non si era mai curata
granché. In
realtà si truccava molto raramente, ma da quando lo aveva
conosciuto le piaceva
indossare vestiti carini e almeno un po’ di mascara, per
sembrare un po’ più
bella, e magari farsi notare. Alle sette e trenta era già
pronta, vestita e
“pettinata” tra virgolette, perché la
criniera bionda e riccia che aveva al
posto dei capelli non era particolarmente in ordine.
Recuperò il cellulare mandando un messaggio a Mary, sua
sorella minore.
“Buongiorno tesò, tutto bene?” le
scrisse su Whatsapp. Recuperò un po’ di
denaro da sotto al materasso infilandolo nel portafogli, poi lo zaino,
ed era
pronta. Il cellulare vibrò. Chiuse la sua stanza a chiave,
salutò la
coinquilina polacca e si avviò sulle scale, recuperando il
cellulare mentre
scendeva. “Sì tt bn, tu? <3
<3” Un brivido le corse lungo la schiena.
Leggere le abbreviazioni era sempre qualcosa di spaventoso.
“Ma perché scrivi
in codice morse? Tutto bene comunque, vado a buttare il sangue sul
pavimento
dell’aula Piovani” le rispose. Infilò il
cellulare nella tasca del jeans, senza
leggere la sua risposta e uscì dal palazzo. L’aria
era frizzante. Nonostante
fosse ottobre inoltrato faceva ancora caldo tanto che non aveva bisogno
di
indossa nulla sopra la t-shirt a mezze maniche. Si fermò al
bar, dove prese un
caffè delizioso ed un cornetto al pistacchio che
“mio Dio, orgasmo” ad ogni
morso. Una delle sue compagne di corso la salutò
avvicinandosi. “Ue bella” le
disse. Dopo qualche settimana era riuscita ad abituarsi al forte
accento
napoletano e riusciva a capire anche frasi intere in dialetto,
però alcune cose
le risultavano ancora difficili.
“Buongiorno Anna. Come va?” le chiese immergendo il
cucchiaino nel caffè
bollente per sciogliere lo zucchero. “Tutto bene ja, non mi
lamento. Mamma mia
sta mattina ho visto quel chiavatone di Fabrizio su quella
motocicletta. Mamma
mia, non hai idea di cosa gli farei” ridacchiò
Anna, sbocconcellando una
graffa. Aurora le lanciò un’occhiataccia gelosa.
“Non voglio saperlo” le
rispose, sorseggiando il suo caffè bollente. Alle otto e un
quarto le due
varcarono la soglia dell’aula e come al solito borse e
quaderni occupavano
tutti i posti. Aurora sbuffò scocciata e si
accomodò sul pavimento di marmo,
freddo e scomodo, e pure un po’ sporco. Fabrizio se ne stava
lì, seduto a
parlare con un gruppetto di ragazzi del Napoli e di quanto Hamsik possa
fare la
differenza. Pfff, la Roma è molto meglio, pensò.
Perché la sua voce le faceva quest’effetto? Come
al solito i brividi lungo la
schiena la destabilizzavano. “Se continui a guardarlo
così lo disintegri” le
disse Alessandra, da poco arrivata in aula. Aurora
ridacchiò. “Come fai a
guardarlo diversamente?” le disse.
Il professore
entrò in classe e la lezione iniziò. Aurora si
trovata in una posizione perfetta per osservare le spalle ampie di
Fabrizio ed
i riccioli scuri.
Prese il cellulare e cercando di non farsi notare gli scattò
una fotografia.
Proprio in quel momento però il ragazzo si voltò
e la osservò con un
sorrisetto.
Aurora sgranò gli occhi imbarazzata, raccattò le
sue cose e uscì zitta
dall’aula, dopo poco più di un’ora di
lezione.
“Che figura di merda, che figura di merda!”
sbottò vergognandosi come una
ladra.
Doveva fumare per sbollire il nervosismo. Recuperò filtri e
cartine e si
confezionò una bella sigarettina. Le mani le tremavano
terribilmente e l’ansia
iniziò a stringerle lo stomaco in una morsa. Uscì
dall’università sedendosi
sulle scale dell’entrata principale.
Non aveva il coraggio di rientrare, assolutamente no, anzi. In
realtà non aveva
il coraggio di farsi rivedere. Recuperò il cellulare e
chiamò sua sorella,
ancora le dita che tremavano.
“Auri ero in classe, è successo
qualcosa?” rispose lei, sorpresa. “Mary, ho
fatto una foto a Fabrizio ma lui mi ha visto ed ho fatto una
figuraccia. Ora
penserà che sono una bambina stupida o una stalker, adesso
mi sfotterà a vita o
penserà che sono pazza. Come farò?”
piagnucolò disperata. Mary iniziò a ridere.
“Smettila di ridere!” sbottò lei.
“Ma è vero che sei una stupida pazza
stalker”
le rispose. “Smettila brutta stronza!!”
sbottò Aurora, nervosa. Non si
aspettava si girasse proprio in quel momento. Non era mai capitato! E
gli aveva
fatto parecchie fotografie. “Beh, sta tranquilla, se magari
ti chiede qualcosa
dì che riprendevi la lezione” le disse Mary ed
Aurora si illuminò. “Ottima
idea, lo sai?” disse, il cuore più leggero. Poteva
funzionare. “Devo andare, la
prof deve interrogarmi. Ci sentiamo più tardi”
disse e riattaccò subito dopo.
Aurora sospirò ed iniziò a chiudere
un’altra sigaretta, sperando che almeno
questa riuscisse a distenderle in nervi.
“Ciao” sentì una voce roca alle sue
spalle. La ragazza sobbalzò sgranando gli
occhi e facendo cadere del tabacco sul jeans. Fabrizio si sedette
accanto a lei
sullo scalino. “Ciao” bisbigliò lei,
intimidita, continuando a rollare. Non
fissarlo come un’allocca. “Non ti
mangio mica, sai? Piacere Fabrizio” disse porgendole la mano.
Oh mio Dio, sto per toccarlo. Represse
a stento un lo so. “Aurora,
piacere
mio” disse poi porgendogli la mano. Che mani lisce e
forti…
“E ro sij?” le chiese. Aurora lo fissò
alzando il sopracciglio, mentre leccava
la colla della cartina. “Eh?!” gli chiese.
“Di dove sei?” disse il ragazzo. “Io
sono di Roma” bisbigliò distogliendo lo sguardo
dai suoi occhi, magnetici come
pochi altri. “Io sono della Sanità” le
rispose lui. “Non è che mi dai questa
sigaretta?” le chiese, poi, con un sorrisetto. Aurora, che
aveva la sigaretta
spenta tra le labbra, glie la passò immediatamente.
“Ma te ne faccio un’altra,
questa è sporca di rossetto” gli disse, poi. Lui
si alzò dallo scalino,
recuperò il pacchetto di Davidoff* stracolmo dalla tasca e
ci infilò la sua sigaretta
sporca di rossetto. Le fece l’occhiolino. “A me
piace questa” le rispose. E se
ne andò.
E Aurora si sentì
avvampare.