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Autore: Neverwas    14/10/2017    0 recensioni
Napoli, città d'amore, città romantica, città del cibo, del sole, del sesso e della camorra.
Napoli città di delinquenti.
Aurora è una studentessa furoisede di Roma, che frequenta l'università di Napoli Federico II alla facoltà di Lettere moderne.
Fabrizio è uno studente, frequenta anche lui la Federico II, facoltà di Lettere. Fabrizio, però, ha qualcosa da nascondere.
Genere: Azione, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Universitario
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Prologo

 Si vuò nu legam ca è cecat
Se l'inciuc a vò semp vinciut
"C peccat a nun u rà fiduc"
Penseraj quann me ne so juto

Napoli, 2015.

Il tipico ragazzo che crede di essere meglio degli altri. Fabrizio era così.
Bello era bello, con i riccioli scuri che gli ricadevano sulla fronte e quegli occhi verdi, profondi come due pozzi. E quell’aria scanzonata…
Ad Aurora piaceva da morire, quel ragazzo.
Frequentava con lei la facoltà di Lettere, ed era veramente bravo.
Aveva una voce che la faceva impazzire. Ogni volta che interveniva a lezione un brivido di eccitazione le scorreva lungo la schiena, mentre lo stomaco le si contorceva.
Profonda, graffiante, nostalgica, affascinante.
Nella sua città natale, Roma, di ragazzi che le avevano fatto perdere la testa così non ne aveva mai visti. E con quella voce, con quel dialetto, con quelle labbra.
Non riusciva a pensare ad altro.
Ogni giorno Aurora si svegliava alle sette per prepararsi alle lezioni.
La facoltà di lettere della Federico II le piaceva molto, ma c’era un problema che accomunava tutte le università; troppa gente. Spesso era costretta a sedersi sul pavimento per seguire, altre volte non si sedeva proprio, perché anche il pavimento era zeppo.
E una cosa che le faceva pensare “li mortacci vostri” erano quelle cazzo di borse che servivano a prendersi tutti i posti. E pure era una delle prime ad arrivare, ma trovava l’aula e le sedie piene zeppe di zaini e quaderni, che mannaggia la miseria! Ribolliva di rabbia solo a pensarci, era una cosa che proprio non riusciva a sopportare.
Aveva preso una stanza in affitto presso l’università, al così detto “Rettifilo”, a prezzi stracciati. Questa era un’altra cosa che amava di Napoli, era infatti una città molto economica. Anche quel giorno Aurora si era svegliata presto.
Aveva lezione alle nove, ma alle sette già era sveglia e pimpante, con un sorriso dipinto sul viso alla prospettiva di vederlo.
Non era mai stata una ragazza frivola, e non si era mai curata granché. In realtà si truccava molto raramente, ma da quando lo aveva conosciuto le piaceva indossare vestiti carini e almeno un po’ di mascara, per sembrare un po’ più bella, e magari farsi notare. Alle sette e trenta era già pronta, vestita e “pettinata” tra virgolette, perché la criniera bionda e riccia che aveva al posto dei capelli non era particolarmente in ordine.
Recuperò il cellulare mandando un messaggio a Mary, sua sorella minore.
“Buongiorno tesò, tutto bene?” le scrisse su Whatsapp. Recuperò un po’ di denaro da sotto al materasso infilandolo nel portafogli, poi lo zaino, ed era pronta. Il cellulare vibrò. Chiuse la sua stanza a chiave, salutò la coinquilina polacca e si avviò sulle scale, recuperando il cellulare mentre scendeva. “Sì tt bn, tu? <3 <3” Un brivido le corse lungo la schiena. Leggere le abbreviazioni era sempre qualcosa di spaventoso. “Ma perché scrivi in codice morse? Tutto bene comunque, vado a buttare il sangue sul pavimento dell’aula Piovani” le rispose. Infilò il cellulare nella tasca del jeans, senza leggere la sua risposta e uscì dal palazzo. L’aria era frizzante. Nonostante fosse ottobre inoltrato faceva ancora caldo tanto che non aveva bisogno di indossa nulla sopra la t-shirt a mezze maniche. Si fermò al bar, dove prese un caffè delizioso ed un cornetto al pistacchio che “mio Dio, orgasmo” ad ogni morso. Una delle sue compagne di corso la salutò avvicinandosi. “Ue bella” le disse. Dopo qualche settimana era riuscita ad abituarsi al forte accento napoletano e riusciva a capire anche frasi intere in dialetto, però alcune cose le risultavano ancora difficili.
“Buongiorno Anna. Come va?” le chiese immergendo il cucchiaino nel caffè bollente per sciogliere lo zucchero. “Tutto bene ja, non mi lamento. Mamma mia sta mattina ho visto quel chiavatone di Fabrizio su quella motocicletta. Mamma mia, non hai idea di cosa gli farei” ridacchiò Anna, sbocconcellando una graffa. Aurora le lanciò un’occhiataccia gelosa. “Non voglio saperlo” le rispose, sorseggiando il suo caffè bollente. Alle otto e un quarto le due varcarono la soglia dell’aula e come al solito borse e quaderni occupavano tutti i posti. Aurora sbuffò scocciata e si accomodò sul pavimento di marmo, freddo e scomodo, e pure un po’ sporco. Fabrizio se ne stava lì, seduto a parlare con un gruppetto di ragazzi del Napoli e di quanto Hamsik possa fare la differenza. Pfff, la Roma è molto meglio, pensò.
Perché la sua voce le faceva quest’effetto? Come al solito i brividi lungo la schiena la destabilizzavano. “Se continui a guardarlo così lo disintegri” le disse Alessandra, da poco arrivata in aula. Aurora ridacchiò. “Come fai a guardarlo diversamente?” le disse.

Il professore entrò in classe e la lezione iniziò. Aurora si trovata in una posizione perfetta per osservare le spalle ampie di Fabrizio ed i riccioli scuri.
Prese il cellulare e cercando di non farsi notare gli scattò una fotografia.
Proprio in quel momento però il ragazzo si voltò e la osservò con un sorrisetto.
Aurora sgranò gli occhi imbarazzata, raccattò le sue cose e uscì zitta dall’aula, dopo poco più di un’ora di lezione.
“Che figura di merda, che figura di merda!” sbottò vergognandosi come una ladra.
Doveva fumare per sbollire il nervosismo. Recuperò filtri e cartine e si confezionò una bella sigarettina. Le mani le tremavano terribilmente e l’ansia iniziò a stringerle lo stomaco in una morsa. Uscì dall’università sedendosi sulle scale dell’entrata principale.
Non aveva il coraggio di rientrare, assolutamente no, anzi. In realtà non aveva il coraggio di farsi rivedere. Recuperò il cellulare e chiamò sua sorella, ancora le dita che tremavano.
“Auri ero in classe, è successo qualcosa?” rispose lei, sorpresa. “Mary, ho fatto una foto a Fabrizio ma lui mi ha visto ed ho fatto una figuraccia. Ora penserà che sono una bambina stupida o una stalker, adesso mi sfotterà a vita o penserà che sono pazza. Come farò?” piagnucolò disperata. Mary iniziò a ridere. “Smettila di ridere!” sbottò lei. “Ma è vero che sei una stupida pazza stalker” le rispose. “Smettila brutta stronza!!” sbottò Aurora, nervosa. Non si aspettava si girasse proprio in quel momento. Non era mai capitato! E gli aveva fatto parecchie fotografie. “Beh, sta tranquilla, se magari ti chiede qualcosa dì che riprendevi la lezione” le disse Mary ed Aurora si illuminò. “Ottima idea, lo sai?” disse, il cuore più leggero. Poteva funzionare. “Devo andare, la prof deve interrogarmi. Ci sentiamo più tardi” disse e riattaccò subito dopo. Aurora sospirò ed iniziò a chiudere un’altra sigaretta, sperando che almeno questa riuscisse a distenderle in nervi.
“Ciao” sentì una voce roca alle sue spalle. La ragazza sobbalzò sgranando gli occhi e facendo cadere del tabacco sul jeans. Fabrizio si sedette accanto a lei sullo scalino. “Ciao” bisbigliò lei, intimidita, continuando a rollare. Non fissarlo come un’allocca. “Non ti mangio mica, sai? Piacere Fabrizio” disse porgendole la mano.
Oh mio Dio, sto per toccarlo. Represse a stento un lo so. “Aurora, piacere mio” disse poi porgendogli la mano. Che mani lisce e forti…
“E ro sij?” le chiese. Aurora lo fissò alzando il sopracciglio, mentre leccava la colla della cartina. “Eh?!” gli chiese. “Di dove sei?” disse il ragazzo. “Io sono di Roma” bisbigliò distogliendo lo sguardo dai suoi occhi, magnetici come pochi altri. “Io sono della Sanità” le rispose lui. “Non è che mi dai questa sigaretta?” le chiese, poi, con un sorrisetto. Aurora, che aveva la sigaretta spenta tra le labbra, glie la passò immediatamente. “Ma te ne faccio un’altra, questa è sporca di rossetto” gli disse, poi. Lui si alzò dallo scalino, recuperò il pacchetto di Davidoff* stracolmo dalla tasca e ci infilò la sua sigaretta sporca di rossetto. Le fece l’occhiolino. “A me piace questa” le rispose. E se ne andò.

E Aurora si sentì avvampare.

   
 
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