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Autore: Out Of The Blue    15/10/2017    4 recensioni
[Shōya/Shōko]
Libera interpretazione di un momento del manga (cap. 51-54), in cui Shōya e Shōko si incontrano al ponte dopo che Shōya si risveglia dal coma. Forse leggermente Angst, ma non ne sono sicura.
Dal testo:
Aveva provato tante volte a tendere le mani verso gli altri, sempre fallendo miseramente. Quando era stata sul punto di rinunciare per sempre, Ishida era comparso davanti a lei come un fulmine a ciel sereno, con in mano il suo vecchio “quaderno per comunicare”, ed aveva buttato giù tutti i muri che si era costruita addosso.
Storia partecipante al concorso Mille modi di esprimerlo, senza mai dirlo (Ti amo) indetto da AleDic sul Forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname sul forum: out of the blue

Nickname su EFP: Out Of The Blue

Pairing: Shōko/Shōya

Momento scelto: capitoli da 51 a 54

Numero parole: 1996

Note dell’autrice: Alcune parti della mia storia, se letta con di fianco i capitoli, possono dare l’impressione di riprendere le stesse parole dell’autrice. Onde evitare di essere accusata di plagio, vorrei sottolineare che innegabilmente mi sono molto ispirata al testo del manga, ma che ho cercato di fare una libera traduzione in italiano da una (suppongo) libera traduzione in inglese, adattando però le parole a ciò che avevo bisogno di esprimere. In questo ho cercato di fare del mio meglio, considerando che il contest chiedeva di riprendere un momento del canon e sottolineare tramite l’introspezione la relazione tra i due protagonisti. 

Per quanto riguarda la conclusione, aggiungo una nota in calce, per non spoilerare.

Link del concorso: Mille modi di esprimerlo, senza mai dirlo (Ti amo)

 

Col cuore in mano

 

    Shōko si svegliò di colpo, con gli occhi pieni di lacrime. Forse, pensò, le cose sarebbero state diverse se lei fosse stata come gli altri. Non avrebbe causato problemi a tutti per la sua inadeguatezza e Ishida sarebbe rimasto esuberante e sicuro di sé, com’era prima che lei arrivasse nella sua classe a rovinargli la vita. 

    Ancora non capiva bene come mai lui l’avesse cercata di nuovo e come fossero riusciti a diventare amici, nonostante tutto ciò che era successo. Dopo tanti anni, quando si erano incrociati quasi per caso dopo una lezione di linguaggio dei segni, aveva stentato a riconoscerlo, tanto il suo atteggiamento era cambiato.

    Stava giusto ricordando quel momento quando, improvvisamente, il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da una voce titubante.

    «Eccoti!» esordì Ishida, spuntato fuori da chissà dove. «Stavo pensando di venire a trovarti, prima di morire. Volevo chiederti scusa… sai, per tutti i problemi che ti ho causato».

    Shōko voleva fermarlo, dirgli che lui non c’entrava niente, che le cose sarebbero andate così qualunque cosa lui o lei avessero fatto. Erano bambini, dopo tutto, ogni cosa sembrava uno scherzo… Ma, per quanto si sforzasse, dalla sua gola secca non usciva alcun suono e le sue mani erano come pietrificate. Nel frattempo Ishida continuava, con la voce che si faceva più ovattata e distante ad ogni secondo.

    «Sono successe un sacco di cose, ma, alla fine, non è cambiato niente. In verità, forse è meglio così, significa che stai vivendo una vita normale, no? Andrà tutto bene, Nishimiya. Anche senza di me, starai bene lo stesso». Sembrava voler evitare il suo sguardo… lo stava perdendo?    Forse non si sarebbe mai più risvegliato, era in coma da un sacco di giorni e non sembrava dare segni di miglioramento. Forse stava sognando, poteva essere un sogno premonitore, un’addio prima che l’anima di Ishida se ne andasse per sempre. 

    Non voleva pensarci, ma il senso di colpa l’attanagliava più forte che mai. Perché era lui a chiederle scusa? Era lei, invece, che avrebbe dovuto implorare perdono. Era colpa sua se lui ora ora era steso in un lettino d’ospedale. Si sentiva terribilmente in debito per quanto era successo: sporgendosi dal balcone per impedirle di cadere, Ishida era riuscito a controbilanciare, in pochi attimi, la morsa della depressione che da anni, ormai, le corrodeva l’anima, come un atroce buco nero che, sempre più potente, la spingeva ineluttabile ad abbandonarsi al vuoto. 

    Nelle due settimane in cui Ishida era stato incosciente, invece, la paura di non vederlo sorridere mai più l’aveva fatta aggrappare alla vita come mai prima d’allora, come se allontanando da sé ogni pensiero di morte potesse restituire forza anche a lui e tenerlo ancorato alla vita.

    Ma sembrava essere tutto inutile: lo rincorse fin sul ponte, con le lacrime agli occhi, solo per afferrargli il braccio e sentirlo inconsistente, freddo e malinconico come il suo sguardo. Era ora un bambino dal corpo evanescente, quello che la guardava, e una voce bianca a porgerle l’ultimo saluto prima di svanire nel nulla.

 

    Di nuovo, Shōko si svegliò. Non sembrava trattarsi di un incubo, questa volta. Quel giorno, ricordò con la mente ancora annebbiata, non era andata al ponte. Col cuore in gola lanciò uno sguardo alla sveglia, sul comodino. Trepidante, lesse che segnava mezzanotte meno dieci. Il cuore le martellava nel petto: la giornata non era ancora finita, era ancora martedì.

    Senza realizzare bene come, si ritrovò a correre, con sopra il pigiama solo una leggera mantella, lungo le strade deserte della città, lasciandosi guidare dai piedi su un percorso istintivo e familiare, rischiarato dalla luce sfarfallante dei lampioni. 

    Giunta al ponte lo trovò deserto e i suoi piedi si fermarono, spaesati. Gettando attorno a sé sguardi frenetici e angosciati, constatò che non c’era nessuno. Non aveva fatto in tempo. 

Certo che non c’era nessuno, si riscosse, Ishida era inconscio su un letto d’ospedale, come avrebbe potuto venire? I suoi occhi si fissarono sull’orizzonte, perdendosi vacui e ciechi nel buio indefinito della notte. 

    Svuotata, si accasciò a terra e per la prima volta in tanti anni si ritrovò a piangere tutto il suo rammarico e la sua impotenza. Aveva provato tante volte a tendere le mani verso gli altri, sempre fallendo miseramente. Quando era stata sul punto di rinunciare per sempre, Ishida era comparso davanti a lei come un fulmine a ciel sereno, con in mano il suo vecchio “quaderno per comunicare”, ed aveva buttato giù tutti i muri che si era costruita addosso. Dopo di lui, Sahara, Nagatsuka, Ueno, Mashiba e Kawai erano riusciti, nel bene e nel male, ad occupare ciascuno un posto nel suo cuore, ma lei come li aveva ripagati? Si era buttata giù dal balcone, troppo codarda per riconoscere di essere veramente riuscita a diventare loro amica. Alla fine, a pagare il prezzo della sua vigliaccheria era stato Ishida, che più di tutti meritava di vivere una vita senza preoccupazioni. Il suo, si rese conto, non era un pianto di impotenza, ma di frustrazione. Era rabbia quella che doveva sfogare, rabbia per la sua cecità e per le scuse con cui si era permessa di isolarsi dal mondo. Solo allora, tra quelle prime vere lacrime di consapevolezza, Shōko Nishimiya riuscì a trovare la forza per reggersi da sola sulle sue gambe.

 

***

 

    Shōya aveva fatto un sogno, un sogno dove parlava normalmente con Nishimiya. Nel sogno, tutto sembrava andare bene per lui: le elementari, le medie e le superiori passavano, senza intoppi, tra scherzi e risate. Era andato a dormire, felice, quando tutt’a un tratto si era sentito tirare la mano ed era stato trascinato via da quel paradiso fittizio. Una volta fuori, aveva iniziato a domandarsi che senso aveva, per tutti, lottare per la vita, se tanto dovevano morire lo stesso. Poi gli era venuta in mente Nishimiya, e la risposta gli arrivò senza farsi attendere. Lei non poteva morire, una ragazza così angelica ed innocente aveva diritto a vivere nella spensieratezza e lui doveva fare in modo che ciò accadesse, fare ammenda per l’inferno in cui aveva trasformato la sua infanzia. La rivide davanti al ponte, con le spalle curve e la testa china, e di nuovo se la figurò che per poco non finiva sfracellata sul letto del fiume. Nel panico cercò di correre verso il ponte, per fermarla, ma le sue gambe non gli rispondevano. Voleva buttarsi un’altra volta? Con la gola secca, disperatamente, cercò di chiamarla:

    «N-Nihimiya!». 

    Il risveglio fu brusco: si ritrovò seduto, con la gola secca e il respiro ansante, ma finalmente libero e padrone di sé. Non aveva idea di dove fosse, sapeva solo di essere vivo, in qualche modo. Si ricordò di Nishimiya sul ponte, e il cuore gli balzò in gola. Scansò le coperte, doveva andare subito da lei, ma con orrore vide grovigli di tubicini sbucargli fuori da tutte le parti del corpo e sentì i liquidi entrargli nelle vene. Allarmato, cercò di strapparseli di dosso, ma accanto al suo letto una macchina si mise a suonare, attirando un’infermiera che gli venne incontro, con un irritante sorriso in volto. 

    «Ah, Ishida-san! Ti sei svegliato!»

    «Nihimiya! Nihimiya ha ene?» chiese, preoccupato. C’erano cose più importanti in quel momento, Nishimiya aveva cercato di suicidarsi!

    «Non preoccuparti, stai bene! Non ti sei fatto niente, Ishida-san!»

    Aveva la bocca secca come un’aringa, ma quell’infermiera non capiva di cos’avesse bisogno e non era d’aiuto. Impiegò qualche minuto a liberarsi di lei, ma una volta rimasto solo finalmente riuscì a liberarsi dai fili delle flebo, andò a bere nel primo bagno che riuscì a trovare e si fiondò fuori dall’ospedale.

    Avrebbe voluto correre, doveva correre fino al ponte e assicurarsi che Nishimiya stesse bene, ma le gambe gli facevano male, era senza energia e trascinarsi avanti gli costava una fatica immane. Lo spingevano solo il timore e l’adrenalina e, passo dopo passo, arrivò al ponte. Una volta lì, però, le forze lo abbandonarono improvvisamente: non c’era nessuno. 

    Sospirò, scoraggiato. Uscire di notte era stata un’idea idiota, era ovvio che a quell’ora non l’avrebbe trovata. Cosa avrebbe fatto adesso? Doveva vederla al più presto, era troppo preoccupato. Dentro di lui, il pensiero che lei fosse morta, senza che lui fosse riuscito a fare niente, si faceva strada inesorabile. O forse, ancora peggio, era stato lui a spingerla a buttarsi giù dal balcone? 

    Non riusciva più ad immaginare, ormai, la sua vita senza i martedì che passavano insieme, su quel ponte, a dar da mangiare alle anatre, ma dall’altro lato aveva paura di peggiorare la situazione andando da lei. Si sentiva inadeguato, forse era destino che ogni suo tentativo di avvicinarsi a Nishimiya avesse esiti disastrosi. Era stato così quando erano bambini e cercava di attirare la sua attenzione con i dispetti ed era così anche ora, quando, invece di rendere la sua vita più felice, aveva finito per spingerla al suicidio. 

    Lei, al contrario, era stata capace di salvargli la vita, quel primo martedì in cui si erano incrociati all’associazione presso cui studiava i segni. Era andato alle lezioni, inizialmente, per scusarsi con lei: voleva farlo con un linguaggio che lei capisse, per dimostrarle che le sue scuse erano sincere, poi avrebbe posto fine alla propria vita. Quando era giunto il momento, però, qualcosa nel suo sguardo l’aveva messo a nudo ed aveva capito che, se voleva davvero farsi perdonare, doveva fare di più. 

    Allora aveva deciso che sarebbe vissuto per lei, sentiva il dovere morale di renderle la vita migliore e, a poco a poco, anche il suo mondo si era ampliato e aveva ricominciato a guardare in faccia gli altri. In alcuni casi era rimasto ferito, in altri era stato lui stesso a ferire, ma ciò stava a significare che la sua esistenza non era più vuota. Se ne rendeva conto benissimo, e sapeva anche che il merito era tutto di Nishimiya. Come avrebbe fatto senza di lei? Era certo che da solo non avrebbe mai trovato il coraggio di scusarsi con Nagatsuka e Sahara per come li aveva trattati, per non parlare di Mashiba, Ueno e Kawai. 

    Decise di andare a casa Nishimiya, non poteva trascorrere un’altra notte senza sapere se fosse viva o morta. Probabilmente la padrona di casa lo avrebbe sbattuto fuori a calci, ma in un modo o nell’altro sarebbe riuscito a vederla, fosse stato anche solo dalla finestra. 

 

    Era così determinato che, per poco, non balzò dalla sorpresa quando vide la sagoma della ragazza sbucare dalla ringhiera del ponte, ugualmente sorpresa di vederlo lì. Aveva gli occhi arrossati dal pianto.

    «Ehi» esordì, incerto. Era davvero lei? Incontrarsi lì sembrava troppo perfetto per essere vero. Stava ancora sognando? Si stropicciò gli occhi, incapace di credere all’evidenza, e anche lei lo guardava stralunata, non le sembrava possibile che Ishida fosse lì. 

    Titubante, Shōko si avvicinò e lo toccò timidamente, come per assicurarsi che non fosse un fantasma, e quando percepì il calore del suo corpo fece un balzo all’indietro, arrossendo. Nessuno dei due osava muoversi. Per un po’ si guardarono in faccia, col cuore in gola, finché improvvisamente non scoppiarono a ridere di sollievo.

    Un’attimo dopo, però, Shōko era di nuovo a terra in lacrime, sommersa dai sensi di colpa. Di nuovo, Shōya fu preso dal panico:

    «Stai bene?» le chiese.

    Come unica risposta, il ragazzo ricevette un tremolante gesto di scuse, pieno di rammarico. Sorrise, intenerito. Probabilmente avevano pensato le stesse cose. Probabilmente tutti e due si colpevolizzavano per ciò che era successo. Probabilmente, dopo sei anni, si erano incontrati ancora per sanarsi l’un l’altra le ferite e imparare a vivere di nuovo.

    Prese un respiro profondo, preparandosi a dire quelle cose che da troppi mesi continuava a tacere. C’erano stati troppi malintesi tra di loro, con conseguenze di volta in volta più disastrose. Non poteva aspettare ancora, doveva prendere il cuore in mano e lasciasse sgorgare tutto quello che aveva tenuto rinchiuso. Guardandola negli occhi, si fece forza ed iniziò a parlare. 

    Era come una liberazione, si accorse: per la prima volta nella sua vita si sentiva veramente sincero.

 

Note finali:

Ciò a cui faccio riferimento nelle ultime righe è il dialogo tra Shōya e Shōko del capitolo 54. Ho deciso di non parlarne perché a mio avviso non c’era niente da aggiungere a quanto disegnato e scritto dalla mangaka. È un pezzo molto emozionante e pieno di pathos, che vi consiglierei di rileggere per dare una spolveratina a questo manga, che ormai non è più nuovissimo, e rivedere uno dei momenti più belli della storia.

 

p.s.: essendo la mia prima storia su EFP, sarei molto grata a voi anime pie che bazzicate questa sezione (e che magari avete anche voglia di lasciare un commento) se nelle recensioni mi lasciaste qualche consiglio per migliorare, ci tengo molto e accetto di buon grado le critiche costruttive :)

  
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