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Autore: Applepagly    15/10/2017    6 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Avvertenze: cose tristi e Bloom da prendere un po’ a schiaffi.
Beh, più del solito, s’intende.

 
V
 
The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything
Johnny Cash, Hurt
 

Da quella fredda sera in cui alcune verità erano venute a galla erano trascorse delle settimane; ma ancora nessuna buona notizia, per Tecna e le altre.
La biblioteca sembrava essersi ammutolita, di fronte alle esasperate richieste della fata che, d’altronde, non era nemmeno certa di quale pista avrebbe dovuto seguire.
Talvolta le sembrava di aver intrapreso una buona strada; ma poi, inevitabilmente, scopriva di aver fatto un buco nell’acqua. Il poco materiale che era riuscita a recuperare nascondeva le risposte dietro un contenuto alquanto sibillino, e non era certa di come avrebbe dovuto interpretarlo.
Aveva condiviso con la principessa Aisha quel che aveva scoperto e anche lei aveva iniziato a darsi da fare per essere d’aiuto, senza però grandi risultati. La velocità con cui gli occhi di Faragonda seguivano i loro movimenti, poi, certamente non giovava.
Per non parlare del fatto che, per tutto quel tempo, parte delle sue facoltà mentali era rimasta ancorata a quel curioso invito rivoltole da Stella, cui non era ancora stata in grado di fornire risposta.
Una festa. Era stata invitata ad una festa.
Proprio lei? Non sapeva se fosse meglio declinare o meno; ed il tempo stringeva.
I preparativi per quel giorno proseguivano; Bloom si ritrovava sempre più spesso a Fonterossa, e altrettanto frequentemente trascorreva quei pomeriggi con la sola compagnia dei gemelli lunatici.
Nonostante le loro stranezze, aveva iniziato ad apprezzarli. I motti e le frecciatine argute di Alan compensavano bene il quasi mutismo dell’altro.
Nonostante i loro bruschi e talvolta indecifrabili caratteri, le giornate si rivelavano molto meno luminose, se non aveva a che fare con quei due.
Nonostante Sem fosse sempre refrattario all’aiuto e schivo, Bloom non poteva negare a se stessa di esserne profondamente incuriosita.
Aveva scoperto diverse cose, sul suo conto. Piccolezze che custodiva, in maniera forse un po’ infantile, come fossero segreti.
Sem, a discapito della pessima reputazione che si era guadagnato quando era tornato a scuola con una nuova collezione di tagli, non era affatto sgradevole, se si era in grado di prenderlo per il verso giusto.
Non si era mai effettivamente scusato per quella sua reazione, ma talvolta lo coglieva sul punto di dirle qualcosa che lo imbarazzava molto. E poi si ammutoliva.
Una volta Alan le aveva confessato, non senza rammarico, di aver notato che quando era con lei il fratello sembrava diverso. Sembrava quasi che non pensasse proprio a nulla e, per qualche istante, tornava il vecchio Sem, quello che era prima della grande battaglia dell’estate precedente.
Bloom non sapeva con certezza cosa fosse successo ma, a quanto pareva, da allora non era stato più lo stesso. E, d’altronde, non le avevano detto qualcosa di simile, quando gli aveva malauguratamente rovesciato in testa quel secchio d’acqua e lo aveva fatto ridere?
«Qualcuno si sta innamorando…» la ripeté Stella, quel giorno.
«Quante volte dovrò dirlo?» sbuffò lei. «Non mi piace Sem. Dico davvero»
«Ma se non fai altro che parlare di lui tutto il giorno!» rise Musa, intenta a spalmare della marmellata su una fetta di pane. «È stata la prima cosa per cui hai aperto bocca, qualche domenica fa. Ho sentito che ti lamentavi di lui, quel giorno; ed è stato lo stesso, questa mattina»
Bloom arrossì fino alla punta dei capelli, farfugliando sillabe sconnesse.
«Cercate di capirla, su!» le canzonò Flora. «Trascorre insieme a lui quasi ogni pomeriggio; è ovvio che non parli d’altro»
«Ma dai, Flora! Ti pare che ne parli come parlerebbe di uno qualsiasi?» insistette la principessa. «Secondo te, perché non usa quasi mai la magia per sistemare le cose, quando è lì? Se lo facesse non avrebbe chissà quale motivo per stargli appiccicata»
«E tu come fai a saperlo, visto che non ci sei mai? Siamo sempre io e Looma, a fare tutto!» sbottò Bloom. «Qualche volta vedo Musa e quella fata del terzo anno; ma per il resto non c’è nessuno, all’infuori dei ragazzi»
Stella sbatté le palpebre un paio di volta, pensando ad una scusa valida da rifilarle. «Beh… io devo cercare il mio vestito, scusa! È un’impresa impegnativa, cosa credi? Anzi…» ghignò, nel tentativo di indirizzare il discorso verso tutt’altra direzione. «Credo che dovresti preoccupartene anche tu. La festa è tra quattro giorni»
La fulva sgranò gli occhi.
Quattro giorni?
Dovevano aver fatto male i calcoli… eppure, le sembrava che…
«Lo troverò» affermò, con tono falsamente fermo.
Si conosceva, e sapeva bene che ci avrebbe impiegato secoli a trovare qualcosa che le piacesse, o che le stesse bene.
Si alzò, afferrando i suoi libri. Fortunatamente, quello sarebbe stato l’ultimo giorno di lezione, così avrebbe potuto dedicarsi a quel compito gravoso che…
«Bloom, questo pomeriggio io e la fata del terzo anno dovremmo andare a Fonterossa per le ultime prove acustiche» la chiamò Musa, prima che scomparisse oltre la porta. «Se sei già lì, potremmo… andare a Magix insieme. Per il vestito»
Lei annuì, sorridendo.
Non seguì quasi per nulla le spiegazioni di quella mattina, né il discorso che le fece Du Four sulla sua ricerca, su quanto fosse stata disastrosa e su quanto fosse deludente la sua preparazione… non prestò attenzione nemmeno all’assemblea d’istituto che si tenne dopo pranzo.
Continuava a rimuginare sulle parole delle sue amiche.
Avevano ragione? Eppure, Sem… era così diverso da Sky.
Scosse la testa, come formulò quel pensiero.
Sarebbe stato sciocco, paragonarli. Sky non c’era più.
Forse si stava solo lasciando trasportare troppo dalle insinuazioni delle altre che, seppur con le migliori intenzioni del mondo, non capivano quanto poco lei desiderasse provare quel tipo di emozioni per qualcun altro, in quel momento.
Avrebbe solo finito per farsi del male e per farne a quel povero malcapitato.
Eppure, loro non sembravano in grado di comprenderlo.
Già il secondo giorno di quell’anno scolastico, quando Alfea era stata invitata all’inaugurazione di Fonterossa restaurata, Stella aveva cercato di appiopparle un tipo con cui nessuna delle due aveva mai nemmeno parlato.
Quello sciocco di Helia, poi, doveva essersi lasciato deviare da Flora, perché più volte aveva tentato di fare da mezzano tra il suo compagno di stanza e la fata.
Proprio non capivano.
Apprezzava le loro preoccupazioni, ma forse avrebbero fatto meglio ad accorgersi dei suoi sorrisi forzati in quei giorni in cui si svegliava dopo aver visto Sky nel suo sonno; avrebbero dovuto accorgersi di quanto singhiozzasse alcune notti, quando la freddezza di quel corpo che aveva stretto a sé prendeva ad abbracciarla, ed il ricordo di Solo, di Helia, di Levi e di tutta quella sofferenza si impossessava di lei.
Ma forse, forse avevano ragione. Forse avrebbe davvero dovuto cercarsi qualcuno che potesse distrarla, farle dimenticare i suoi mali e regalarle il bello.
Non era ciò che Alan aveva detto che lei faceva a Sem? Dunque era solo una distrazione?
E lei? Sarebbe mai stata capace di illudere qualcuno solo per illudersi, a sua volta, di stare bene?
Scesa nei sotterranei, spalancò il portone con gran fragore.
Come vide Sem, ripensò a quel che le sue amiche le avevano detto a colazione. Perché sentiva un groppo in gola?
«Oggi siamo solo tu ed io» fece il ragazzo appena lei mise piede nella stanza.
Oh…
«E Alan?» chiese, non capendo perché l’idea la turbasse tanto.
«Non saprei. Sarà con Aibao» replicò il ragazzo, intento a rimuovere dalle pareti alcuni rimasugli di carta da parati.
Aibao… doveva essere quel ragazzo che aveva visto di sfuggita un paio di volte. Alto, dai tratti vagamente esotici; sembrava avere uno stretto legame con Alan. «È quello a cui tuo fratello ti aveva detto di rivolgerti per le ferite? A proposito, come vanno?»
«Non c’è male. Ne ho una nuova, però» rispose, concentrato.
«E immagino che tu non l’abbia fatta vedere a nessuno…» sospirò Bloom, andandogli vicino. Conosceva la risposta. «Su, dammi una spatola»
Sem interruppe il suo lavoro, guardandola con un cipiglio curioso. Le porse una spatola, senza staccare gli occhi da lei quando questa si accovacciò per aiutarlo.
«Cosa c’è?» ridacchiò la ragazza, ad un certo punto.
«Niente» biascicò lui, riprendendo subito da dove si era interrotto. «Mi chiedo solo per quale motivo ti ostini a non usare la magia. Anche per le decorazioni dell’altro lato della stanza non la usi. Ci impiegheresti di meno»
«Secondo te, perché non usa quasi mai la magia per sistemare le cose, quando è lì? Se lo facesse non avrebbe chissà quale motivo per stargli appiccicata»
Maledisse Stella con tutta se stessa. Di sicuro non era per quel motivo.
«Rischierei di combinare un disastro, con la magia. E poi… ci sono abituata» balbettò, imbarazzata. «Sulla Terra non… beh, non l’ho usata per sedici anni»
Sem non disse nulla per un po’; poi, si decise a parlare. «Conoscevo una ragazza… era una fata. Nemmeno lei voleva risolvere certe cose con i suoi poteri»
Una fata amica di Sem? Sem aveva amiche? «La conosco?»
«Non credo… no, lei…» si ammutolì nuovamente, riflettendo.
Ad un tratto, sembrava lo stesso Sem con cui aveva avuto a che fare i primi giorni. Qualcosa era appena mutato, nel suo umore; poteva capirlo dal modo in cui aveva serrato la mascella, o dall’improvvisa freddezza dei suoi occhi.
Cos’aveva detto, di sbagliato?
Forse era una ragazza di cui era invaghito? Il pensiero la urtava abbastanza, ma non riuscì a trattenere la curiosità.
Sem invaghito? Sem invaghito?
«Dai, Sem… è una che ti piace, vero? Non lo dirò a nessuno»
Lui non rispose. Accumulò in un angolo ciò che aveva rimosso dalle pareti, alzandosi poi per prendere un sacco che aveva adagiato all’unica finestra da cui si intravedevano stralci di un paesaggio.
Forse si era esposto troppo.
«Dimmi almeno come si chiama. Se frequenta la mia stessa scuola posso scoprire qualcosa di più, su di lei» insistette, decisa. «Dai, Sem… a me puoi dirlo!»
Lo Specialista sembrava a disagio, ma non trovava le parole per chiederle di chiudere lì quello scherzo.
«Vi conoscete già? Siete amici? Oppure lei non sa chi tu sia? L’hai vista all’inizio dell’anno e dopo non hai più avuto sue notizie?» continuò lei.
Sem le gettò un’occhiata tagliente, d’avvertimento; e, se solo lei non fosse stata tanto ostinata a saziare quella sua curiosità pungente, forse avrebbe inteso che era arrivato il momento di fermarsi.
Ma Bloom voleva sapere; perché, nel profondo, le sue domande celavano qualcosa di simile al timore e non sapeva spiegarsene la ragione.
«È per quello che non vuoi dirmelo?» fece, senza smettere di ridere. «Non è che lo sa e non ricambia?»
«Dovresti tacere, ogni tanto» sbottò, laconico.
Bloom raggelò sul posto. Non era sarcastico.
«Credo che faresti una figura migliore» continuò lui, guardandola ora dritto negli occhi.
Lei provò il desiderio di nascondersi, di fronte a tanta glacialità.
Si sentì sciocca; come tutte quelle volte che Stella non sapeva tenere a freno la lingua e finiva per offenderla. Perché non si era accorta di aver fatto lo stesso? «Non volevo…»
«Si chiamava Vesela»
Strinse i pugni, e Bloom rimase con il fiato sospeso.
Si… chiamava?
«È morta»
Oh…
«È morta durante la grande battaglia. Un lampo di una di quelle streghe l’ha folgorata»
Oh, mio Dio…
Strinse convulsamente le mani, sentendosi uno straccio.
Ora non sapeva cosa dire.
«Sei soddisfatta?» fece, nervosamente.
«Scusa, Sem. Avrei dovuto smetterla…»
«Già, avresti proprio dovuto. Forse eri abituata a straparlare, quando uscivi con il principe Sky» disse, chiudendo il sacco che aveva riempito. «Non mi sorprende»
Le si avvicinò pericolosamente, un triste sorriso dipinto sul volto. Bloom non riusciva più a respirare.
La guardò come se avesse voluto riversare su di lei tutto il male del mondo.
Eppure, i suoi occhi erano lucidi.
«Era patetico, il modo con cui giostrava tra te e tutte le altre. Forse avresti dovuto ascoltarlo, invece di vomitare parole» continuò. «Allora avresti saputo sin dall’inizio quanto fosse viscido»
Lo schiaffo risuonò per tutto il salone ed abbastanza a lungo perché si imprimesse nella mente del ragazzo.
Bloom aveva sbarrato gli occhi, mentre lui li aveva sgranati, incredulo. Abbassò lo sguardo, scuotendo la testa.
«Scusa, io… non…» biascicò, passandosi le dita tra i capelli. «Scusa»
La ragazza si ammutolì, mordendosi le labbra forse più per il male che sentiva dentro che non per quello che provava alla mano con cui aveva schiaffeggiato lo Specialista.
Aveva sbagliato lei; lui s’era solo difeso, e lo sapeva.
Ma, anche così, non riuscì a non fuggire via, disgustata dalle parole che Sem aveva detto su Sky; disgustata dall’idea che potessero essere state vere; inorridita da se stessa e dalla facilità con cui nutriva i suoi dubbi e, soprattutto, delusa da se stessa per avere scioccamente ferito qualcuno, ancora una volta.
Si odiò con tutte le proprie forze ancor di più quando, mentre usciva dall’accademia, andò a sbattere contro qualcuno.
Si scusò, non riconoscendo neppure quella voce un po’ sorpresa che la chiamò. Alzò lo sguardo e, con le lacrime ancora impigliate tra le ciglia corte, si rese conto di aver urtato Musa.
Quest’ultima non sapeva mai come comportarsi, quando qualcuno piangeva. Lì per lì provava solo un senso di fastidio ed imbarazzo; eppure, se si trattava di una sua amica, avvertiva più una sensazione di odiosa impotenza.
«Bloom…» mormorò, non sapendo se abbracciarla, stringerle le mani o fare qualsiasi altra cosa. Era, però, certa che la cosa migliore fosse non domandarle cosa fosse successo.
Le rivolse una sorta di sorriso e, avvoltole un braccio attorno alle spalle, decise di regalarle qualcosa che potesse aiutarla.
Non era molto brava a condividere ma, in quei momenti, sapeva che l’unica pace che si potesse trovare fosse nei suoni della natura.
La guidò verso quello sprazzo erboso che dava sul lago di Roccaluce; il luogo in cui, qualche tempo prima, aveva trovato conforto dopo aver riflettuto, dopo aver considerato con quale stupido criterio il mondo sembrasse desiderare di far soffrire e gioire i suoi figli, mentre lasciava i suoi paesaggi sempre forti e risoluti.
Quel giorno, aveva pensato di arrendersi all’idea che le cose stessero così, che non le fosse possibile cogliere il bello perché non c’era.
Eppure, cercando meglio nelle voci più lontane del suo cuore, Musa aveva realizzato che il bello non ci sarebbe stato finché lei stessa non avesse deciso di aprirsi e cercarlo.
E non era forse vero che quella musica che l’accompagnava sempre era, già di per sé, motivo di meraviglia e felicità?
Non sapeva se stare lì potesse aiutare anche Bloom ma, qualsiasi cosa le fosse successo, lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie e i sussurri sottili non avrebbero potuto lasciarla sola.
Si sedettero e, ancora una volta, Musa trovò la terra maternamente accogliente. Talvolta aveva l’impressione di capire Flora meglio di altri.
Bloom si strinse le ginocchia al petto, obbligandosi a non lasciare che altre lacrime dimostrassero quanto lei fosse debole e sciocca. Si detestò per aver costretto l’amica a perdere il suo tempo con lei, ad assistere a quel patetico teatrino che pretendeva che lei le offrisse una spalla su cui lagnarsi.
Eppure, aveva dimenticato che nessuno, meglio della fata della musica, poteva comprendere l’orgoglio. Quella, non sapendo quali parole potessero confortarla, preferì restare in silenzio.
Dopo un po’, rivolse una rapida occhiata all’altra e si rese conto che sembrava più serena. «Musa, tu… pensi mai che…» iniziò, torturandosi le mani. Non sapeva esattamente come esprimere ciò che era così chiaro nella sua mente. «Provi mai odio per te stessa?»
Tutte le volte che lui si apre ed io non riesco ad addentrarmi nei suoi pensieri. Tutte le volte che mi chiudo io.
Annuì. «Immagino succeda un po’ a tutti»
Tutte le volte che vorrei chiarire le questioni irrisolte, ma sono troppo scioccamente orgogliosa per capitolare…
«Però, in quei momenti, la cosa più importante forse è…»
E tutte le volte che non so cosa voglio e la mia indecisione ha delle ripercussioni sugli altri…
«…non dimenticarsi che ciò per cui ci odiamo è solo l’altra faccia di ciò per cui ci amiamo» rifletté. «Che ci rende quel che siamo e che ci sprona ad essere migliori di giorno in giorno»
La guardò, e poi scoppiarono a ridere.
«Cavolo, dovrei scrivermela da qualche parte!» esclamò la fata della musica.
Bloom riuscì a sfogarsi e, per un attimo, pensò che quelle parole e quelle risate valessero più di qualsiasi altra cosa che qualcuno avesse mai fatto per aiutarla.
«Che ne dici…» fece Musa, tra uno spasmo e l’altro. «…di andarci adesso, a Magix? Credo che trovare un vestito sarà un’impresa dannatamente lunga»
Bloom annuì e, per il resto del pomeriggio, il pensiero di Sem la sfiorò solo una volta.
Magix era sempre piuttosto gremita ma, verso quell’ora del pomeriggio, iniziava lentamente a svuotarsi; le voci dei passanti lasciavano spazio a quelle delle saracinesche che si abbassavano, ai sussurri di giovani innamorati accovacciati all’ombra di un albero, sotto il fruscio delle sue foglie, tra cui restavano incastonati gli ultimi raggi del Sole.
Per Musa, si trattava del momento migliore per passeggiare per le strade della città senza schiamazzi e rumori; per Bloom, invece, la desolazione che veniva a sostituirsi alla vitalità, in quelle ultime ore di luce, era fonte di ricordi spiacevoli.
Vedere le vetrine sbarrate e nessuno che ci passasse davanti riproiettava in lei la stessa visione di quella debole Magix che aveva sofferto.
«Alla fine, è stato inutile…» sospirò l’altra, accartocciando il sacchetto di patatine che aveva tra le mani e gettandolo in un cestino.
«Mi dispiace… te l’avevo detto. Io non trovo mai niente che mi stia bene o che mi piaccia» fece Bloom, desolata. «Non dovresti andare a fare spese con una come me. Insomma, i pantaloni non cadono mai nel modo giusto e spesso sono troppo stretti sui fianchi. Per non parlare delle magliette e dei vestiti…»
«Non dicevo che è stato inutile a causa tua. Io ho… lo stesso problema» ammise, con qualche difficoltà.
Si andarono a sedere sul bordo della fontana della piazza minore, appena dietro quella delle Nove Muse. «Ci riproveremo domani… anche se credo che Stella pretenderà di venirci. Mi ha mandato circa dieci messaggi intimandomi di non azzardarmi a fare spese senza di lei…»
«Quella è proprio fissata…» Musa scosse la testa. «Lei e Looma partono con il cervello, quando si parla di vestiti»
Bloom rise, e non poté non pensare che avesse perfettamente ragione. Di Looma sapeva poco e niente, in effetti, se non che avesse una smodata passione per la moda. «Conosci Looma da molto?»
«Mh, dalla metà dell’anno scorso» rifletté l’altra, specchiandosi ora nell’acqua cristallina dietro di loro. «In realtà, ogni tanto suonavo con una sua amica e compagna d’appartamento, Vesela; perciò mi trovavo spesso a parlare anche con lei»
Vesela?
Disprezzo e dolore sul viso di Sem; associò questi al nome di quel fantasma che pareva aver lasciato una sorta di solco. «Che tipo era… Vesela?»
Musa si strinse nelle spalle, concedendosi qualche momento per pensarci. Come avrebbe potuto definire quella ragazza?
Non l’aveva sicuramente frequentata abbastanza da poterne dare un giudizio. E poi, detestava dover sintetizzare le sfaccettature di chiunque in un paio di miseri aggettivi che potevano assumere diverse sfumature a seconda del caso.
«Un tipo da conoscere» disse, senza sforzo; perché era la verità. «Non era solo la sua musica, a renderla speciale… c’era qualcosa, in lei…»
Si interruppe, non sapendo come proseguire.
C’era stato qualcosa, in lei, che le aveva sempre reso facile entrare nel cuore di chiunque. Era stata capace di comprenderla fin dai primi giorni, quelli in cui le aveva prestato uno spartito e lei, ringraziandola, le aveva letto dentro e l’aveva capita.
Ma questo, Musa, preferì tenerlo per sé. «È stato difficile vederla andare via»
Bloom deglutì un boccone amaro.
Il solo fatto che perfino Musa, mentre ne parlava, fosse animata da una viva luce che le riempiva gli occhi…
Quella Vesela era rimasta un nome sconosciuto fino a qualche ora prima; uno dei tanti che qualche volta aveva sicuramente scorto attraversando i corridoi del dormitorio, vagando per le targhette colorate affisse alle porte.
Sì, ora ricordava. Si era soffermata proprio sulla sua, su quel cartoncino in cui il bianco ed il lilla si fondevano in una grafia tonda e bassa.
Vesela.
Da fantasma a viva grazie a due ricordi. Il potere delle parole…
Si sentì stupida e ancor più insulsa, ripensando alla propria lingua lunga e biforcuta.
«Bloom, ma… quella…» Musa la ridestò. Con gli occhi sgranati e le labbra schiuse per la sorpresa, guardava verso un vicolo a lato della panetteria. «Non è Darcy?»
Avvolta nel suo manto di ciocche lunghe e fosche, assorta e distante, Darcy scrutava il cielo oltre le sottili lenti che celavano uno sguardo ancor più sottile.
Sembrava non si fosse accorta di loro, né di nient’altro.
La osservarono abbastanza a lungo da essere certe che fosse proprio lei. Più provata e, forse, serena?
A ben pensarci, dopo l’epilogo con cui si era no salutate, era risaputo che le Trix sarebbero state impegnate da qualche parte per rimediare alle loro atrocità, ma nessuna delle Winx aveva mai pensato che si potesse trattare proprio di Magix.
Per tutto quel tempo, dunque, erano rimaste in città senza farsi sentire?
«Pensi che dovremmo…?» iniziò Musa, dubbiosa.
Non era certa dei modi che avrebbero dovuto assumere in presenza di… beh, di chi aveva distrutto buona parte di ciò che erano state.
«No… forse è cambiata; forse lo sono tutte e tre» rispose Bloom, alzandosi. «Forse stanno imparando, adesso»
Sospirò, questa volta piano.
Guardò anche lei le nuvole sopra le loro teste; e le sembrò surreale che stesse davvero per mettersi a piovere. «Capisco il motivo per cui abbiano agito in quel modo. Lo capisco bene» continuò l’altra. «Ma non lo posso perdonare»
Bloom annuì, sospirando impercettibilmente.
A pensarci bene, forse, Musa poteva capire quelle tre meglio di chiunque altro; lei, che aveva perso la stessa cosa.
«Alle volte l’affetto porta a fare cose così stupide che dopo, quando ci si rende conto di quel che si è fatto, ci si odia» constatò la fata della musica.
L’altra ebbe l’impressione di sentire l’eco di quelle parole per tutto il resto della serata e, quando poggiò finalmente il capo sul cuscino del suo letto, comprese il vero significato di ciò che Musa aveva detto.
 
Secrets I have held in my heart
Are harder to hide than I thought
Maybe I just wanna be yours
I wanna be yours
Arctic Monkeys, I Wanna Be Yours
 
 

Musa ci prova e ce la fa!
In origine, dopo quello sfogo di idiozia, Bloom doveva incontrare Flora; ma poi ho riflettuto e, spesso, confidarsi con chi è diverso può proporre prospettive diverse da cui osservare la verità.
Vesela non è un martire, è una ragazza che è stata travolta dalle vicende prima che potesse sbocciare per il fiore che era; è un po’ come le tante ragazze di cui sentiamo parlare nella quotidianità. La vedo un po’ come una luce silenziosa che ricorda a tutti quanto siano stati fortunati a sfuggire alle ombre.
Ma Bloom era troppo ingenua per arrivarci subito… stendiamo un velo pietoso. Oh, ma Sem non le piace per niente.
Per quel che riguarda Darcy, come si intuiva dall’epilogo de “I volti del fuoco” (o, per chi non lo sapesse), lei e le sue amate sorelle erano finite da qualche parte a scontare le loro malefatte. Sono a Magix; sta a voi decidere a fare cosa!
Il prossimo è uno dei miei preferiti. Looma in azione!
Ah, sì… ho cambiato nickname perché, beh, dopo quattro anni iniziava ad essere troppo altisonante, quello vecchio; Applepagly è più demenziale.
Però “7th” resta “7th”, quindi…
Appuntamento al 29 ottobre!
7th
  
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