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Autore: lady lina 77    15/10/2017    0 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quindici


Dopo la proposta degli abitanti di Pennes, era partito quasi subito, affidando a Falko e a Drago la gestione dei suoi affari, lasciandogli l'incombenza di vendere le sue creme e le sue tisane curative durante la sua assenza; si fidava ciecamente di loro due, sapeva che non l'avrebbero mai né derubato né imbrogliato. A ben pensarci, era qualcosa di strano per lui, fidarsi di qualcuno, ma con i nani prima e poi anche con Elke, gli era venuto talmente naturale da stupirsene egli stesso. Era stato fortunato ad incontrare quei tre, erano brave persone, il suo istinto lo aveva capito da subito. Era partito alla chetichella, di mattino presto, per non vedere nessuno. Si sentiva strano: aveva sempre amato la sua baita, ci si era sempre sentito protetto e a suo agio, ma sentiva il bisogno di allontanarsi un po’ da Pennes e da quella vita per ritrovare le sue origini. Non ne capiva il motivo, ma da quando aveva combattuto con Lucius non aveva fatto altro che pensare a Ratschings, alla Val Ridanna ed alla sua casa natale. Forse era normale sentirne il richiamo di tanto in tanto e ancora più normale era che succedesse dopo una battaglia come quella che aveva combattuto, che aveva risvegliato in lui antichi ricordi e riaperto vecchie ferite. Lucius era stato il grande nemico del suo maestro e ogni cosa successa fra loro in passato aveva rivissuto attraverso il loro duello. Jakob era stato la sua infanzia, il suo passato, la fonte della sua conoscenza ed anche della sua magia; era il profumo di casa, dei prati verdi della Val Ridanna, della torre di Sterzing, dei pascoli di capre e dei sentieri di montagna che si inerpicavano fino alle vette di quei monti che tanto bene aveva imparato a conoscere da bambino, della neve e del gelo che imperavano per lunghi mesi, del camino acceso e dei pomeriggi passati ad imparare da lui.

A Ratschings aveva amici e conoscenze, nessuno si era dimenticato di lui ed ogni volta che era tornato era stato accolto con calore, per questo pensava che tornare per qualche settimana gli avrebbe fatto bene. Lasciata la sua casa di Pennes, aveva pagato una carrozza per portarlo fino alla Val Ridanna; ci era sempre andato a piedi ma non era abbastanza in forze per poterlo fare e non aveva alcuna voglia di faticare, tanto che per la prima volta in vita sua aveva pagato il cocchiere senza battere ciglio. Era ricco, e per una volta poteva viaggiare comodamente.

Gli spiaceva non portare con se i nani, gli avrebbe fatto piacere mostrar loro il luogo da cui proveniva e che considerava il più bello al mondo, ma gli affari venivano prima di tutto: se volevano continuare a mantenere il tenore di vita comodo che conducevano, qualcuno doveva mandare avanti l'attività di vendita dell'acqua magica del lago e loro erano gli unici a poterlo fare.

Mentre la carrozza proseguiva placidamente il suo viaggio, fra monti innevati e prati su cui spuntavano i primi timidi fiori primaverili, il pensiero corse ad Elke. La notte di Natale le aveva promesso che l'avrebbe portata nella Val Ridanna, e compiere quel viaggio da solo gli lasciava in bocca un sapore amaro che non gli permetteva di gustare appieno il suo ritorno a casa.

Scosse la testa cercando di pensare ad altro, soprattutto agli aspetti pratici del suo ritorno a Ratschings: doveva dare una sistemata a casa sua, erano anni che nessuno vi rimetteva piede e anche alla casa di Jakob, che era abbandonata da molto tempo. Non sarebbe stata una vacanza riposante, avrebbe dovuto sgobbare più che a Pennes.

Il pensiero delle case sue e di Jakob lo fece sorridere, ricordava la prima volta che era entrato nella baita del suo maestro, il loro primo colloquio, i suoi capricci insistenti finché lui non lo aveva zittito. Era un giorno piovoso d'autunno di tanti anni prima, lui aveva sei anni e si stava annoiando terribilmente, quando quell'uomo incrociò il suo cammino, cambiandogli la vita. Un vecchio del suo villaggio che aveva sempre visto in giro per la loro minuscola comunità, ma a cui non aveva mai rivolto la parola perché schivo e solitario, benché sempre mite e gentile con chi si rivolgeva a lui.


"Mamma, mi sto annoiando! Nonna, gioca con me!".

Sua nonna scosse la testa, interrompendo il suo lavoro di uncinetto. "Mattheus, fai il bravo, su. Sto lavorando, non vedi?".

"Se non giochi con me, io non ti vorrò più bene" – aveva detto, mettendo le mani sui fianchi.

Sua madre gli si era avvicinata, dandogli una leggera pacca sulla testa. "Non essere maleducato! Fra poco non ti annoierai più, te lo garantisco. Guarda alla finestra, sta arrivando il papà. Con una sorpresa per te".

"Un regalo?".

Sua madre scosse la testa. "Non proprio. Meglio, molto meglio di un regalo".

"Un pony?".

In quel momento la porta si aprì e suo padre entrò in casa, bagnato fino al midollo, in compagnia del loro anziano vicino di casa. Jakob... Il suo amico Werner, ogni volta che lo incrociava, gli faceva le boccacce, ora che gli veniva in mente.

"Mattheus, vieni quì" – lo chiamò suo padre.

Lui ubbidì e si avvicinò, studiando il vecchio che era entrato in casa sua. "Sarebbe lui il mio regalo?".

Suo padre si inginocchiò davanti a lui. "Jakob sarà il tuo maestro. Sa leggere e scrivere e gli ho chiesto di insegnarlo anche a te. Ti servirà, piccolo".

"Io non voglio leggere e scrivere".

Sua madre sospirò. "E invece dovrai farlo. Ti servirà per saperne sempre un pò più degli altri e non essere sottomesso o preso in giro da nessuno".

"Non ci sono persone quì che sanno leggere e scrivere! Perché io dovrei farlo, scusa?" - aveva protestato, inutilmente.

Jakob gli si avvicinò, prendendolo in braccio. E in quel momento si accorse che era terribilmente forte, pur essendo così vecchio. "Tuo padre ha detto che devi fare questa cosa, mi ha chiesto il favore di essere il tuo insegnante e io ho accettato. Quindi tu, da bravo bambino, farai quel che ti è stato detto".

Per tutta risposta, lui lo aveva guardato storto e poi si era messo a scalciare per cercare di liberarsi dalla sua presa. Ma Jakob non lo aveva lasciato, la sua stretta pareva essere d'acciaio."Lasciami, lasciami! Papà, ti prego, farò il bravo ma per favore, la scuola noooo".

Jakob aveva guardato i suoi genitori, incurante delle sue urla. "Ma fa sempre così, vostro figlio?".

Suo padre annuì, alzando gli occhi al cielo. "Vi avevo avvertito, signore, è un bambino difficile".

Jakob non si fece scoraggiare. Lo bloccò nei movimenti, alzandogli il mento con la mano per costringerlo a guardarlo negli occhi. "Ascolta bene, Mattheus. Io sopporto poco i bravi bambini e ancor meno quelli che strillano. Se te lo ricorderai, forse potremo andare d'accordo nelle ore che passerai da me per imparare. Sono stato chiaro?".

No, non era stato chiaro per niente. E urlò di nuovo. Ma Jakob, dopo un cenno ai suoi genitori, gli aveva messo la mano sulla bocca per impedirgli di strillare ancora e lo aveva portato fuori, sotto la pioggia, diretto a casa sua per la prima lezione.


"Signore, siamo arrivati".

Si svegliò di soprassalto al suono di quella voce. Il cocchiere gli aprì la porta della carrozza, invitandolo a scendere. "Siamo nella piazza della torre, come da voi richiesto". Mattheus si stiracchiò, Era arrivato a Sterzing dopo un viaggio lungo tre giorni, , e da lì si potevano raggiungere la Val Ridanna e Ratschings. Lui amava quel posto in cui spesso era stato da bambino assieme con suo padre e sua madre quando scendevano al paese per commerciare i loro formaggi. Conosceva ogni pietra del selciato, ogni bottega, ogni sapore di quel posto, di quel piccolo paese dalle case tutte colorate in tinte pastello incastonato nella sua valle natia. Per un attimo gli sembrò di tornare bambino, tanto che non si sarebbe stupito di veder arrivare suo padre con un panino imbottito di speck, preso per farlo pranzare mentre lui lavorava. Sapeva che non era possibile, ma per un attimo, trovandosi in quella piazza, fu come se passato e presente si fondessero in unico istante: rivide il piccolo carro dove i suoi genitori appoggiavano i prodotti da vendere, sua madre col foulard in testa e suo padre col cappello e il bastone. Rivide anche Fia, una cucciola di cane dal lungo pelo bianco che aveva trovato sola nel bosco, smarrita e senza mamma, e che avevano tenuto con loro per tanti anni. Fia stava sempre con lui e lo seguiva ovunque, attenta e premurosa come una madre col suo cucciolo. Crescendo era diventata imponente e massiccia, come ogni cane di montagna che si rispetti.


"Mattheus, sta attento a Fia. Spaventa le persone e ci fa scappare i clienti. Legala da qualche parte".

"Ma mamma, non fa niente a nessuno. E' buona, lo sai".

Sua madre scosse la testa. "Certo che lo so, ma la gente di Sterzing non la conosce. E' un cane grande e tutti ne hanno paura. Se proprio non vuoi legarla, portala da qualche parte a fare un giro. I prati fuori Sterzing sono perfetti per voi due, giocherete e non disturberete nessuno".

Annuì. "Sì, va bene". Accarezzò la testa bianca di Fia, che di tutta risposta gli leccò la guancia. "Dai, seguimi! Andiamo a giocare".

"Mattheus, mi raccomando!" - lo richiamò sua madre – "Se incontri qualche altro bambino, non fare come al solito e non minacciarlo di farlo mordere dal cane se non ti cedono i loro giochi o il loro cibo!".

"Ma mamma...".

"Niente ma! Fia è buona ma tu non lo sei per niente, certe volte!".


Decise di salire per la montagna lasciandosi alle spalle la strada centrale di Sterzing, costellata di baite e case variopinte, ed i ricordi ad essa legati. Nel passeggiare per il paesino si era sentito un estraneo: nessuna delle persone che aveva incrociato gli aveva risvegliato dei ricordi nonostante da bambino, in quel paesino fosse stato di casa; ricordava la fornaia, la lattaia, i pastori che transitavano con le loro greggi di pecore dalla piazza diretti ai pascoli, l'anziana che gli dava di nascosto i biscotti al burro che cucinava per i bimbi del paese. Di quelle persone non c'era più nessuno e, se qualcuno era rimasto, probabilmente era anziano e chiuso in casa e difficilmente si sarebbe ricordato di lui.

Comunque ora aveva fretta di raggiungere Rachstings, avrebbe avuto tempo per tornare con più calma; il freddo era pungente e c'era aria di neve, se non si fosse sbrigato sarebbe stato sorpreso, strada facendo, da una tormenta: la Val Ridanna era una valle chiusa e fra quei monti il freddo sapeva essere crudele e infido per molti mesi anche in primavera.

Camminò a passo spedito fra i boschi di abete, conosceva uno a uno quegli alberi, impressi indelebilmente nella sua memoria. In quelle montagne era cresciuto correndo fra le baite e le piante ed in estate aveva sguazzato nel corso d'acqua che attraversava tutta la valle; Case, alberi e persone di quei luoghi erano da lui conosciuti oggi come allora e questo gli procurava una sensazione strana, piacevole e malinconica allo stesso tempo. Aveva amato tante persone, ed altrettante gli erano state vicine, ma ormai queste persone non c'erano più; di fatto la sua vita ora era Pennes, coi suoi abitanti a volte chiusi e ottusi, ma che nel corso degli anni aveva imparato a conoscere, riuscendo anche a ridere delle loro debolezze e dei loro caratteri. Ora invece, in quei posti che lo avevano visto nascere, si era sentito un estraneo. Sperava che questa sensazione di disagio sarebbe passata una volta giunto a Ratschings ,ma sapeva che ad ogni suo ritorno, col passare degli anni, le cose sarebbero andate sempre peggio. Lo scorrere del tempo sa essere inesorabile, nella piccola vita degli esseri umani. Le montagne erano meravigliose ed erano sempre le stesse, ma le persone che gli avevano insegnato a conoscerle e ad amarle, pian piano sarebbero sparite inesorabilmente, una dopo l'altra: nascite, matrimoni, eventi piccoli e grandi a cui non aveva potuto partecipare a causa della lontananza, lo avevano reso un estraneo nella sua terra natia, ma nonostante questo avrebbe sempre amato quel posto più di qualsiasi altro al mondo; negli anni aveva visitato città e regioni straniere vendendo la sua acqua, ma nessun luogo gli era parso bello come la Val Ridanna. "Dovrei tornare qui più spesso, credo" – pensò distrattamente, mentre osservava grosse nubi che coprivano il cielo.

Accelerò ulteriormente il passo mentre la spalla ricominciava a dolergli. Neve, neve e ancora neve. Una cosa non si era dimenticato l'odore acre e pungente dell'aria quando stava per arrivare una bufera.

Costeggiando il torrente Ferner percorse i chilometri che lo separavano da casa. Sullo sterrato, di tanto in tanto, veniva sorpassato da carri di minatori che facevano ritorno alle loro abitazioni dopo la giornata di lavoro nelle miniere, stanchi e sporchi fino alla punta dei capelli di polvere e terra.


"Io da grande non voglio fare il minatore, Jakob. Ci si sporca troppo, non voglio diventare come quei signori. Mamma dice che ho il carattere di un principe e i principi non vanno sotto terra a lavorare. I principi non si sporcano mai".

Jakob scosse la testa, prendendolo per mano. "Ah Mattheus, sì, sei un principe! Viziato e capriccioso come solo un nobile sa essere. Ma ti dico una cosa, sai come devi fare per non diventare un minatore?".

"No".

Jakob sorrise, scompigliandogli i ricci rossicci con la mano. "Stare attento alle mie lezioni e studiare".

Sbuffò. "Lo sapevo che lo dicevi. Ma... se studio che cosa potrò fare?".

"Tutto quello che vorrai, Mattheus".


A quei ricordi sorrise. In effetti grazie agli insegnamenti di Jakob non era diventato un minatore,. Era stato un bambino viziato, capriccioso ed ingestibile fino al loro incontro e se il suo maestro non l'avesse preso sotto la sua ala, nella vita avrebbe combinato ben poco. A quell'uomo doveva tutto ciò che era e ciò che aveva. Era riuscito prima zittirlo ed ammonirlo coi suoi modi bruschi per poi condurlo verso la conoscenza e la maturità, insegnandogli molto di più di quello che aveva chiesto suo padre: lo aveva reso una persona migliore e aveva saputo sviluppare le sue attitudini e le sue capacità, facendolo diventare una persona forte, colta ed a suo modo potente, nonostante quel loro burrascoso primo incontro, quando Jakob lo aveva preso di forza in braccio e portato via dai suoi genitori per diventare il suo maestro. Ricordava quelle poche ore come se fossero appena successe:


Udì la porta di casa sbattere dietro di loro, mentre il vecchio lo portava ancora di peso fra le braccia, impedendogli di scappare. Con modi di fare tutt'altro che gentili Jakob lo lasciò cadere su una delle due sedie che possedeva in casa sua e lo spinse fino al tavolo, precludendogli ogni via di fuga. Era una baita minuscola, con le pareti di pietra e il tetto in legno e con una sola stanza che fungeva da cucina e da camera da letto "Ti ho detto di non strillare! Mi stai distruggendo i timpani".

"Io voglio andare a casa mia, non ci voglio stare qui! Lasciami, lasciami, lasciamiiii!!!".

Per nulla intimorito dai suoi pianti e dalle sue urla Jakob si era avvicinato al camino, prendendo un bastone di legno fra le mani. "Lo vedi questo, Mattheus?".

"Sì, e allora?".

Jakob prese il bastone, appoggiandolo sul tavolo. "I maestri usano spesso bastoni come questo con gli allievi che non collaborano. Ti assicuro che mi basterebbe picchiartelo sulle mani una volta per avere la tua ubbidienza".

"Cosa?".

"Oh, tranquillo, non lo farò". Jakob riprese in mano il bastone e con un gesto secco lo ruppe in due, buttandone i resti nel camino. "Preferisco essere più incisivo, io". Si avvicinò all'armadio, lo aprì e ne estrasse una lunga spada affilata.

A quella visione, lui rise. "Ah, non lo farai mai! Non mi colpirai di sicuro con quella, lo so che stai barando solo per spaventarmi. Nessun vecchio farebbe mai male a un bambino con la spada".

"Dici sul serio?". A passo spedito si avvicinò e con un gesto veloce e inaspettato conficcò la spada nel legno del tavolo a pochi millimetri dalle sue mani, sfiorando le sue piccole dita da bambino. "E allora Mattheus Hansele? Cosa dicevi, a proposito?".

Deglutì, spalancando gli occhi. E per la prima volta in vita sua si piegò a qualcuno, smettendo immediatamente di piangere. No, quell'uomo non scherzava, era evidente. Non seppe cosa fu, se paura o rispetto verso Jakob e i suoi modi di fare così poco ortodossi e così diversi da quelli dei suoi genitori e di sua nonna, a cui era abituato. Seppe solo che da quel giorno smise di strillare e strepitare e fece sempre quel che lui gli chiedeva.


Superò il nucleo principale di Ratschings, dirigendosi verso Flading, la piccola frazione dov'era nato. Questa era casa sua: un piccolo agglomerato di baite in legno collegate fra loro da una sola via sterrata ed abitate da pastori e spaccalegna, siutato in fondo alla valle, con una minuscola chiesetta, il cui tetto aguzzo che scorgeva da lontano gli aveva fatto martellare il cuore nel petto, che poteva contenere una ventina di persone al massimo. Era, un luogo semplice, chiuso e dalla vita dura, sferzato dalla neve e dal gelo in inverno e coperto da fiori e da vellutata erba in estate ma dove tutti si conoscevano ed erano .. come un'unica grande famiglia.

Si guardò intorno, mentre ogni piccolo angolo di quel pezzo di mondo gli ricordava qualcosa: i prati intervallati da splendidi abeti che svettavano fino al cielo e che sembravano quasi volerlo toccare gli ricordavano i giochi infantili e le corse con gli altri bimbi del villaggio all'inseguimento delle greggi che i loro padri conducevano al pascolo; il ruscello che bagnava il villaggio, regalando acqua pulita agli abitanti e pesce con cui rimediare pranzi e cene, suo principale compagno di giochi nelle calde giornate estive quando si tuffava dentro quell'acqua zampillante e fredda.

Dal piccolo gruppo di baite il fumo fuoriusciva dai camini; ormai imbruniva e non c'era più nessuno in giro. Il freddo era pungente e i primi fiocchi di neve avevano cominciato a cadere. "Sono arrivato appena in tempo". Si massaggiò la spalla, faceva un male cane, tanto che non gli sarebbe dispiaciuto rotolarsi nella neve per trovare sollievo nel torpore indotto dal ghiaccio, ma l'unica cosa che fece fu trascinarsi fino al delimitare di Flading, dove due piccole baite, buie e senza camini accesi, sembravano aspettarlo; casa sua e casa di Jakob, vuote ormai da anni e bisognose del suo ritorno per aprire porte e finestre e fare entrare un po’ di aria e di luce.

Si avvicinò dapprima alla casa del suo maestro, ma nonostante avesse le chiavi per aprirla non lo fece; si sedette sul gradino di pietra davanti all'ingresso, rapito dal paesaggio maestoso che lo circondava. Era felice di essere tornato, ma si sentiva infinitamente solo; forse avrebbe dovuto portare con se Falko e Drago, fregandosene dei guadagni, a loro sarebbe piaciuto visitare la Val Ridanna. Forse avrebbe potuto chiedere addirittura a Jutta, se fosse rimasta in forma umana avrebbe potuto essere fattibile tanto più che lei probabilmente era stata già a Flading quando Jakob era giovane e loro due erano innamorati ed inseparabili. Avrebbe potuto essere felice di farci ritorno.

Prese un legnetto fra le mani, smuovendo distrattamente terra e neve, incerto su cosa fare. La logica avrebbe suggerito di entrare in casa sua, accendere il camino, scaldarsi e medicarsi la spalla, ma uno strano torpore gli impediva di farlo. "Era con Elke che sarei dovuto tornare... Glielo avevo promesso, dannazione".

Alzò gli occhi al cielo guardando i piccoli fiocchi di neve che venivano giù con dolcezza ed eleganza. Capiva bene cosa fosse a renderlo così di malumore: ora che era giunto alla sua meta gli era tutto terribilmente chiaro. A Flading le persone a cui aveva voluto bene in passato non c'erano più ad aspettarlo, e la persona che era stata il suo presente fino a pochi mesi prima se n'era andata e non desiderava altro che rivederla. Il motivo del suo viaggio era stato il bisogno di tornare a casa sua, come aveva fatto altre volte in passato e la solitudine non gli era mai pesata, né a Flading né a Pennes, perché stare solo era la normalità allora. Questa volta era diverso: non era partito per una rimpatriata coi suoi vecchi compaesani e questo gli faceva capire che quello che stava cercando ora non era il passato che aveva vissuto in quella valle da bambino perché ora casa sua era a Pennes: quello che lui cercava era la sensazione di benessere e calore che aveva perso nel preciso istante in cui aveva lasciato andare via Elke e di certo non l'avrebbe potuta ritrovare a Flading come in nessun altro posto.

"Cosa devo fare, Jakob?".

Ogni volta che si recava al lago di Valdurna aveva chiesto consigli al suo maestro su questo fatto, ma la risposta ai suoi dubbi non era mai arrivata: come gli aveva già detto Jutta, Elke era un aspetto della sua vita che doveva risolvere da solo ed il silenzio di Jakob era anch'esso da intendersi come una lezione di vita.

"Mattheus Hansele, sei proprio tu? Che mi prenda un colpo, sono anni che non ti fai vedere quì".

Preso alla sprovvista da quella voce giunta all'improvviso alle sue spalle Mattheus balzò in piedi. Credeva di essere solo, ormai era buio e nevicava e in giro non c'era anima viva. Si voltò, trovandosi davanti la prima faccia conosciuta della giornata: un uomo anziano dai capelli completamente bianchi e dalla lunga barba, vestito con abiti da contadino logori. "Andreas?". Non poteva essere che lui, il capo villaggio di Flading, colui che da decenni amministrava il territorio, sedava le liti e organizzava la vita comunitaria del borgo. Un uomo saggio e mite, ma che sapeva essere inflessibile ed irremovibile nelle decisioni quando era necessario esserlo. Suo padre e Jakob, ricordava, ne avevano una grande considerazione e rispetto. "Che ci fate in giro a quest'ora, con questo tempo?".

Il vecchio rise. "Dovrei chiederlo io a te! Cosa ci fai qui? Ero nella stalla a dare un po’ di fieno alle bestie quando ti ho intravisto. Non riuscivo proprio a credere che fossi tu! Cosa ti porta qui dopo tanto tempo?".

"Beh, niente di che. Sono solo venuto a fare una visita e a controllare la mia baita. Ci saranno lavori da fare, suppongo, sono anni che non ci metto piede e non vorrei crollasse a causa dell'incuria".

Il vecchio annuì, sedendosi accanto a lui. "Capisco. Ma perché te ne stai da solo, seduto fuori al gelo? Vieni a casa mia, ti faccio preparare qualcosa da mangiare da mia moglie. Ad Amelie farà sicuramente piacere".

Mattheus scosse la testa: nonostante l’invito e l’interesse di Andreas fossero genuini e non si stupiva della sua gentilezza, dato che in quel posto tutti si erano sempre adoperati per gli altri considerando ogni membro della comunità come parte della famiglia, non aveva molta voglia di fare conversazione:, inoltre si sentiva frastornato e spaesato senza contare che la spalla gli faceva talmente male da levargli il fiato... "Ti ringrazio davvero, ma come ben sai non sono un tipo da compagnia. A dire il vero vorrei solo andare a letto a dormire, sono distrutto dal viaggio".

Andreas annuì. "Vedo che non sei cambiato e che sei rimasto il lupo solitario di sempre".

"Così pare".

"Però Mattheus, ti trovo strano, cambiato. Va tutto bene?".

Lo stregone si massaggiò la spalla. Non aveva voglia di parlare con lui di quello lo tormentava, del duello con Lucius e di tutti i pensieri che gli giravano per la testa, ma allo stesso tempo non voleva allontanarlo bruscamente. "Ah, nulla di che. Ho una ferita alla spalla che mi dà il tormento e non sono molto in forma. Tutto qui".

Il vecchio sospirò. "Mi spiace. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi, vero? Per stasera ti lascio in pace, ma domani a pranzo ti voglio da me! Anzi, magari organizziamo un grande pranzo con tutti quanti. Il tuo ritorno da noi è sempre una gran festa".

A quella proposta, Mattheus sorrise, pensando a quanto fossero diverse le cose lì, rispetto a Pennes. A Ratschings era considerato da tutti una celebrità e per la gente della valle era un onore sapere di aver dato i natali a uno stregone potente come lui. A Pennes invece lo avevano evitato tutti come la peste per anni e lo avevano temuto come se fosse stato la peggiore delle calamità, anche se ovviamente lui ci aveva messo del suo divertendosi a spaventare e a tormentare gli abitanti della Val Sarentino per anni. Però trovava comunque piuttosto divertente questa disparità di trattamento che gli era riservata. "Ti prego, la festa comunitaria no! Sai che odio queste cose".

Andreas rise. "Oh, certo che lo so! Sei così differente dai tuoi genitori, tu! E credo fosse uno dei motivi che ti hanno fatto trovare a tuo agio con Jakob. Lui era chiuso e solitario come te. Invece tuo padre era una persona mite, aperta e gentile, così come tua madre. La loro perdita è stata una grave tragedia per la comunità, erano davvero brave persone".

"Anche Jakob era una brava persona". Lo disse di getto, quasi infastidito dalle considerazioni di Andreas sulla sua famiglia e sul suo maestro. Da bambino aveva amato più di tutti i suoi genitori, benché diversissimi da lui. In seguito Jakob era diventato un secondo padre e si era preso cura di lui quando era rimasto orfano, per cui non gli andava che Andreas li paragonasse perché tutti loro, in modo diverso, avevano contribuito a renderlo la persona che era adesso. I suoi genitori erano morti all'improvviso, quando lui aveva dodici anni, durante un viaggio a Innsbruck per vendere la loro merce. Lo avevano affidato a Jakob e sarebbero dovuti rimanere via per alcune settimane. Non avevano mai fatto ritorno e solo alcuni mesi dopo era venuto a conoscenza che erano morti, vittime di una epidemia di febbre che aveva decimato la popolazione della città.

Nel giro di una notte da bambino viziato e vezzeggiato si era ritrovato solo: sua nonna era morta di vecchiaia alcuni anni prima e se non fosse stato per Jakob, non avrebbe più avuto nessuno. Era stato proprio con la morte dei suoi genitori che la sua vita era cambiata e che aveva conosciuto il suo maestro per quel che era davvero.


"Mattheus, da oggi vivrai con me. Sei ancora troppo giovane per stare da solo a casa".

"Come vuoi" – aveva risposto freddamente, sopraffatto dal grande dolore che si portava dentro.

Jakob si sedette accanto a lui sull'erba. "Mattheus, sei anni fa tuo padre mi ha chiesto di essere il tuo maestro e di insegnarti a leggere e a scrivere. L'ho fatto, ti ho insegnato queste cose e altre ancora. La storia, la geografia, le scienze, la matematica e molto altro. Sei stato un buon allievo e ti sei dimostrato un bambino intelligente, anche se molto testardo. Ma ora che siamo rimasti soli, tu ed io, che ne diresti se ti insegnassi quel che so davvero? Non ho molto tempo a disposizione per farlo, ma se vorrai, ti donerò tutti i miei segreti e le mie vere conoscenze. Sarai l'erede di quel che sono stato io".

"Di cosa stai parlando? Che dovresti insegnarmi ancora?". Era stanco e non aveva voglia né di essere educato né di stare a sentire Jakob che straparlava. Voleva solo che per magia i suoi genitori tornassero da lui.

Il suo maestro non si fece intimorire dai suoi modi bruschi. "Ti ricordi la mia spada, quella che ho conficcato nel tavolo il primo giorno che sei venuto da me e strillavi come un'aquila?".

"Sì, e allora?".

"Era la mia spada. Ero un guerriero molto forte da giovane, ho girato il mondo combattendo ogni genere di guerra e ogni genere di nemico. Ho visto bimbi nascere e morire nel corso dello stesso giorno, se si trovavano nel mezzo di una battaglia, villaggi distrutti e dati alle fiamme e gente che moriva senza sapere spesso il perché. Ho appreso arte e culture straniere e ho imparato oltre il lecito tutto quello che c'era da sapere. C'è un mondo fuori dalla Val Ridanna che aspetta di essere scoperto. Un mondo che aspetta te, un mondo che puoi vedere a occhio nudo, con gli occhi semplici della gente comune. E un mondo nascosto, magico, che possono vedere solo persone speciali come me. E te, se lo vorrai. So che ne saresti capace".

"Che vuoi dire?".

Jakob lo guardò negli occhi con una serietà che non gli aveva mai visto. "Magia Mattheus. Uso la magia, la so veicolare e utilizzare a mio piacimento. So entrare in contatto con le forze della natura e farle confluire a me, le so comandare e da esse traggo il potere per ogni genere di incantesimo io desideri".

Spalancò gli occhi, per un attimo seriamente sorpreso. Ma poi scosse la testa, sicuro che Jakob fosse ammattito di colpo. "Mi stai prendendo in giro".

"Ti ho fatto una domanda ben precisa Mattheus! Vuoi imparare a usare la spada? Vuoi imparare a usare la magia?".

Sbuffò. Se cera qualcuno che aveva il diritto di essere fuori di testa era lui e non certo Jakob. Però... se non scherzava? In fondo Jakob non l'aveva mai preso in giro. "Se davvero ci tieni, proviamoci. Tanto non ho niente di meglio da fare".

"Inizieremo con la spada".

"E come farai? Cammini col bastone e sei vecchio, come pensi di insegnarmi ad usarla?".

Gli occhi di Jakob divennero improvvisamente vivi e penetranti, a quelle parole. "Conosco gnomi, troll, il demonio. Ho amato una fata e combattuto ogni genere di guerra. Di certo non sarà un dodicenne sospettoso a mettermi al tappeto. Stanne certo Mattheus, ti farò mangiare la polvere".

"Hai amato una fata? Jakob, sei sicuro di stare bene?". Stava cominciando a preoccuparsi seriamente per la salute mentale del suo maestro. Ma non ce n'era ragione. E lo avrebbe scoperto giorno dopo giorno, anno dopo anno, quanto il suo maestro fosse una persona fuori dal comune.


"Jakob ha cambiato la mia vita, in meglio. Se sono quel che sono, Andreas, lo devo a lui e a mio padre, che ha avuto l'accortezza di sceglierlo come mio maestro". Si sfilò lo zaino dalle spalle, porgendolo al capo villaggio. "Ci sono ampolle con la mia acqua, qua dentro. Le ho portate per voi. Distribuiscile a tutti, secondo necessità. Io credo che andrò a dormire e da domani sarò impegnato a sistemare le baite dei miei genitori e di Jakob".

Andreas prese lo zaino, annuendo. "E la tua spalla?".

"Guarirà! E' solo una ferita". Si alzò dal gradino, stiracchiandosi. "Ah, ovviamente domani, con tutta calma e senza troppa gente in giro, credo che potrei venire a pranzare da te e tua moglie. Ricordo che fa uno strudel di mele buonissimo".

Andreas sorrise. "Ti aspetto allora. Ma preparati, ti vorranno tutti, a turno, a pranzo da loro".

Sbuffò. "Lo immagino". Guardò Andreas allontanarsi e poi, prima di avviarsi verso casa sua, diede un'ultima occhiata alle montagne che lo circondavano. Maestose, selvagge, imponenti e coperte di neve. Le aveva scalate tante volte e aveva perso il conto delle camminate fatte con Jakob in quei boschi, quando era bambino. Lui, il suo maestro e Fia. Solo loro, la natura e la voce pacata di Jakob che gli spiegava il mondo che li circondava.


"Dimmi Mattheus, a cosa è utile il frutto del mirtillo?".

"Migliora la vista, giusto?".

"Bravo. Dovremmo mangiarne un po’, guarda quanti ce ne sono nel bosco. Che ne dici?".

Si grattò la guancia, ciondolando la testa. Erano ore che camminavano e le gambe gli facevano male, ma non osava lamentarsi perché sapeva quanto Jakob non sopportasse i bambini capricciosi. "Mh, non ho fame, grazie. E poi io ci vedo bene" – mormorò, appoggiandosi al tronco di un abete.

Il suo maestro gli diede una rapida occhiata. "Sei stanco Mattheus? Vuoi andare a casa?".

Arrossì. "Sì".

Jakob lo stupì. Si inginocchiò davanti a lui, prendendolo in braccio. Era la prima volta che lo faceva. "Beh, hai ragione, sono ore che camminiamo e tu hai solo sette anni. Tranquillo bambino, ti porto dai tuoi genitori adesso. I mirtilli li mangeremo la prossima volta".

"In braccio? Davvero mi porti in braccio?".

Jakob gli strizzò l'occhio. "Non farci l'abitudine, mi raccomando".

Sorrise e lo abbracciò. "Ti voglio bene Jakob".

Le braccia del suo maestro contraccambiarono l'abbraccio. "Beh, anche io! Capricci a parte – e vedo che li fai, quando sei coi tuoi genitori – sei davvero un bambino interessante. E essere il tuo maestro è la miglior avventura che mi sia capitata da anni. Ne faremo di strada io e te, piccolo Mattheus".


Di strada loro due ne avevano fatta molta da allora. E grazie al lago di Valdurna, quella strada continuavano a percorrerla ancora insieme.

  
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