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Autore: _armida    15/10/2017    2 recensioni
Ade si chinò sul suo volto, quasi volesse sfiorarglielo con il proprio. “Lo sentì il sole sulla tua pelle, Persefone?”, soffiò sulle sue labbra. Un gesto elegante della mano e le foglie secche ancora attaccate ai rami sopra le loro teste si staccarono, permettendo così ad un raggio di sole di penetrare all’interno del cerchio, finendo a lambire le loro due figure.
“Il bell’Apollo, il tuo caro Dioniso, loro parlano del sole, del suo calore sulla pelle, ma tu ti limiti a sorridere ed annuire, fingendo di sapere di cosa parlano ma in realtà non lo sai. Senti solo un leggero torpore, niente a che fare con la sensazione divorante che provano loro. La pelle delle divinità che conosci si scurisce e diventa ambrata, la tua rimane invece sempre pallida. Ti sei mai chiesta il perché di tutto questo?”
Parlava davvero di lei? Oppure c’era anche un pochettino di sé stesso in quelle parole?
“Io e te non siamo poi così diversi”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VII: La profezia

Appena la nuvola di fumo si fu diradata, appena fu certa che Ade non fosse più lì, Persefone si lasciò cadere a terra, bocconi. Non avrebbe mai dato a quel dio arrogante la soddisfazione di vederla crollare davanti a lui, ma in quel momento, finalmente certa di essere sola, la giovane dea non riuscì a trattenere il mare di emozioni che pareva travolgerla e schiacciarla dall’interno: sul suo petto era come se fosse calato un peso, un enorme macigno che le impediva di respirare.
Il forte dolore alla gola, invece, era sintomo dei singhiozzi che da lì a poco non sarebbe più riuscita a trattenere.
Si piegò su sé stessa, come un giunco sferzato dal vento, mentre le ginocchia affondavano nel soffice terreno, simili a radici.
Ade le aveva mostrato chi era veramente: lei non era semplicemente la figlia di Zeus e Demetra, una divinità minore che viveva all’ombra dei due potenti genitori. Lei non era semplicemente un’immortale.
Se solo lui si fosse limitato alle parole non avrebbe esitato a bollare il tutto come una bugia, ma quel tutto era corredato da prove, prove più che convincenti: il Dio degli Inferi le aveva mostrato il suo vero potenziale. Quando le aveva tolto quel bracciale, in quella manciata di secondi Persefone si era sentita finalmente completa. Aveva sentito il Sole scottarle la pelle e la natura le aveva parlato, le aveva ubbidito senza battere ciglio, come se si fosse trattata della loro divinità.
Era avvenuto allo stesso modo in cui suo madre richiamava le messi durante il periodo del raccolto, oppure come suo padre creava fulmini e tempeste.
Guardò a terra, affondando le mani nel terreno umido ed accogliente: i germogli di asfodelo crescevano rigogliosi proprio come…. a primavera.
“Sì”, si disse, probabilmente in Superfice lei sarebbe potuta essere la dea della Primavera.
A quel pensiero però ne seguì un secondo e le parole di Ade le tornarono nuovamente alla mente.

“Saresti dovuta essere una dea in bilico tra due mondi”

Mentre il suo ruolo in Superfice le appariva più chiaro, quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo nel Sottosuolo?
Pensò ancora a lui e a quell’ossessione per lei in apparenza così inconsueta dal momento che prima di quel ballo non si erano mai incontrati; eppure l’idea di reclamarla in moglie al Signore dell’Averno doveva essere venuta in mente molto tempo prima di quella fatale sera.
Sarebbe stato dunque quello il suo ruolo? Essere regina di un regno oscuro e sconosciuto ai più?
Osservò la campanella a terra, sporca di terriccio: nemmeno si era accorta che le fosse scivolata di mano. La raccolse, togliendole di dosso lo sporco dalla superfice brillante.
Si rese conto di avere diverse domande da fargli.
E di non essere sazia delle sensazioni che aveva provato prima: nonostante si trovasse al Sole, ora avvertiva solo gelo. Provò a stringersi di più addosso il proprio mantello, ma fu tutto inutile.
C’era il silenzio, un assordante silenzio che pareva volerla portare alla pazzia: era stata così bella quella manciata di secondi, con quell’esplosione di suoni nuovi nella testa!
In un impeto di rabbia cercò in tutti i modi di togliersi di dosso il proprio bracciale. Cercò di aprire il meccanismo di chiusura. Era stato in apparenza così facile per Ade farlo, perché ora a lei sembrava bloccato?
Abbandonata l’impresa, tentò allora di sfilarselo, ma esso finì solamente per graffiarle la pelle sensibile del polso.
Urlò spazientita quando all’ennesimo tentativo alcuni riccioli le ricaddero sul viso, impedendole di vedere cosa stesse facendo. Si lasciò cadere all’indietro sul terreno soffice, senza fiato per lo sforzo.
Perché Zeus e Demetra, perché i suoi genitori, avevano scelto un simile supplizio - sentirsi incompleta, inutile, come fuoriposto - per lei? Nessun genitore avrebbe mai scelto volontariamente di far soffrire i propri figli.
Improvvisamente quella solitudine che tanto aveva bramato mentre era in compagnia di Ade le parve insostenibile. Avrebbe accolto con sollievo persino una nuova entrata in scena del Dio degli Inferi. Forse.
L’unico modo che il suo corpo le suggerì per alleviare quel senso di gelo alla bocca dello stomaco fu quello di mettersi in posizione fetale.
Si rese conto che nonostante non fosse via da casa da nemmeno un giorno, la sua famiglia le mancava moltissimo: avrebbe dato ogni cosa pur di avvertire la presa rassicurante con cui Apollo l’abbracciava, oppure Dioniso che in gesto scherzoso le scompigliava i capelli; sarebbe stata felice persino di ascoltare i pettegolezzi che Afrodite ed Ebe si scambiavano sottovoce nel loro salotto.
Sollevò appena il capo da terra quando udì un rumore di zoccoli, seguiti immediatamente da un acuto nitrito: il suo  fedele cavallo alato si trovava appena al di fuori del cerchio di betulle secche, con le ali spiegate, pronto a prendere il volo.
Quello della creatura pezzata pareva essere un chiaro invito sulla prossima mossa da fare.
 
***

Sull’Olimpo, nel frattempo…

“Le fucine di Efesto funzionano a pieno regime, presto saremo in grado di armare la maggior parte dell’esercito prima che la battaglia abbia inizio”, disse Zeus in un tono deciso, sovrastando il brusio di fondo che aveva invaso la stanza da ancora prima che quel concilio avesse inizio.
Si trovavano nell’ampio salone delle conferenze. Dei, semidei e qualsiasi altra creatura che avesse deciso di dare il proprio appoggio al Re dell’Olimpo era presente in quella sala, riuniti intorno ad un immenso tavolo dalla superficie d’ambra.
Il chiacchiericcio in sottofondo si fece più intenso, sintomo di una generale disapprovazione.
“Dovremmo aumentare i ranghi del nostro esercito se vogliamo avere la superiorità numerica. Se necessario dovranno combattere anche gli umani che hanno consacrato le loro città a noi”, proseguì.
Erano ormai ore che sproloquiava sull’avere la vittoria in pugno e sull’avere una strategia per sconfiggere Ade e il suo esercito.
Atena si massaggiò le tempie, stanca.
La verità che nessuno in quella sala voleva ammettere ma che tutti sapevano? Non c’era alcuna speranza di vincere la guerra che si prospettava davanti a loro. Zeus era accecato dalla rabbia e dall’orgoglio, fomentati anche da Demetra, la quale avrebbe dato in pasto alle Arpie ognuno di loro senza alcun rimpianto pur di salvare la sua unica figlia.
Li osservò entrambi, seduti su comodi scranni a capotavola. Due illusi, ecco cosa la dea della sapienza vedeva. Tre, se si contava anche Poseidone, seduto alla loro destra; il dio del mare era sempre stato un animo irrequieto, incapace di restare con le mani in mano, e aveva preso l’affronto di Ade nei confronti di Zeus come proprio.
Da verso il fondo del grande tavolo si udì lo stridere dei piedi di una sedia sul marmo candido del pavimento: Ares si era alzato, chiedendo il permesso di parola. Indossava la propria armatura, come se la battaglia dovesse essere combattuta da un momento all’altro. Tanto fiero e possente sul campo, tra i corpi e il sangue dei caduti, ora appariva fin intimorito a parlare davanti a tutte quelle facce che lo osservavano curiose. Forse era così, o forse era per la spinosa domanda che intendeva chiedere al dio del tuono.
“Come possiamo condannare a morte certa i mortali che hanno consacrato la loro vita a noi?”, chiese.
“Gli spartani sono un popolo valoroso a cui piace fare la guerra, a loro basti sapere che scenderanno su di un campo di battaglia”, fu la pronta risposta di Demetra.
“Questo è un inganno!”, urlò indignata Artemide, alzandosi di scatto dalla propria seduta.
Atena sospirò, ben consapevole di ciò, ma anche cosciente che a suo padre – e a Demetra, soprattutto - non sarebbe importato. Osservò tutte le facce presenti, leggendo disappunto e timore; solo una dea presente nella sala era in apparenza tranquilla: Estia se ne stava seduta in disparte, come se trovasse tutti quei discorsi inutili. Non aveva mai preso la parola da quando si trovava lì.
I loro sguardi si incrociarono.

“Atena”

Fu poco più di un sussurro quello che la dea della sapienza udì. Si voltò improvvisamente alla ricerca di chi l’avesse chiamata, ma nessuno in quella stanza pareva averlo fatto.
Tornò a massaggiarsi le tempie: quello che all’inizio era parso come un leggero mal di testa dovuto alla stanchezza, si stava ora trasformando in un’emicrania dalle dimensioni inaudite.

“Atena”

Fantastico, ora dal gran male di testa sentiva pure le voci.

“Atena”

Ora basta, però.
“Atena, hai sentito la mia domanda?”
La dea della sapienza si voltò verso il padre, osservandolo con un’espressione stralunata: no che non aveva ascoltato la sua domanda, troppo distratta dal quell’emicrania. Nemmeno si accorse di essersi alzata in piedi. “Padre, ho bisogno di una boccata d’aria. Nike risponderà ad ogni tua domanda durante la mia assenza”
La dea alata della vittoria, nonché sua assistente, impallidì di colpo per essere stata chiamata in causa, lei, troppo abituata a fare da ombra e con nessuna dimestichezza nel parlare di fronte a una tale moltitudine di divinità. Cercò un poco di sostegno in Atena, ma quest’ultima aveva lasciato la sala a passo spedito, senza mai voltarsi.

L’aria fuori da quell’affollato salone era più pura, meno viziata, e la fece stare per qualche istante subito meglio. Si concesse qualche secondo immobile, ad occhi chiusi mentre le voci concitate provenienti da oltre il pesante portale diventavano solo un lontano brusio. Pensò di dirigersi verso i giardini, dove il silenzio e la tranquillità avrebbero senz’altro calmato l’emicrania. Imboccò il corridoio che l’avrebbe portata direttamente all’oliveto, dove crescevano le sue piante predilette.

“Atena”

Questa volta non si era trattato di un semplice sussurro, aveva sentito chiaramente una voce chiamarla. Si voltò di scatto alla propria destra, da dove le pareva che il rumore provenisse.
Ma al suo fianco non vi era nulla a parte un lungo corridoio deserto e poco illuminato: le imposte erano tutte serrate e le tende completamente tirare, non lasciando aperto nemmeno uno spiraglio di luce.
Se di primo acchito non le sembrò di notare nulla di strano, osservandolo meglio dovette ricredersi: era pieno giorno, perchè quel corridoio era stato lasciato completamente al buio? Si mosse per scostare una delle tende, ma non appena la sfiorò dovette ritrarre la mano: essa emanava freddo, ma non era la classica sensazione di gelo che si poteva avvertire ad esempio in alta montagna. No, essa aveva più a che fare con il freddo... della morte.

“Atena”

Una mano di Atena corse fulminea alla propria cintura, dove solitamente teneva la propria daga, ma essa non si trovava lì: non l'aveva indossata quel giorno, pensando che avrebbe solamente dovuto partecipare ad un lungo concilio tra divinità. Cercò allora una delle torce appese alle pareti, ma i loro sostegni erano stranamente vuoti.
Se prima l'idea che qualcosa non andasse per il verso giusto era solo una sensazione, ora essa era diventata una certezza.
La scelta più logica – da Dea della Sapienza – sarebbe stata quella di correre a cercare le guardie e lasciare a loro il compito di indagare, ma per una volta la curiosità ebbe la meglio su di lei e dopo un lungo respiro si incamminò in quelle tenebre che parevano farsi ad ogni passo più fitte.
Alla sua sinistra vi era un susseguirsi di stanze, ma esse erano tutte chiuse a chiave.
Stava quasi per tornare indietro, quando notò che da sotto uno stipite proveniva un flebile spiraglio di una luce quasi azzurrina, spettrale.
Si avvicinò quasi non credendo che avrebbe trovato la porta aperta. Non potè non apparire stupita quando la maniglia si abbassò.
All'interno, esattamente al centro della stanza, era situato un braciere. Ma il fuoco all'interno di esso non irradiava calore, bensì la sua luce azzurrina emanava gelo. Un gelo talmente intenso che portò la dea a pentirsi di non avere portato con sé uno scialle per coprirsi.
Erano tanti i gesti di quel giorno di cui si stava pentendo.
Non esistevano fuochi di quel genere nell'Olimpo, di questo era certa. Ma negli Inferi sì.
Osservò la tenebra agli angoli della stanza: essa pareva essere intrisa nelle pareti stesse che, ormai sazie, la rigurgitavano sul pavimento. L'oscurità sembrava viva, pulsante.
Solo la luce di quel tenue braciere sembrava tenerla alla lontana dalla dea.
Tutto quel nero così intenso pareva lentamente prendere una forma umana: dapprima appariva simile ad un'ombra gettata dal sole su di un muro, poi i contorni di tre teste e altrettanti arti si fecero sempre più nitidi, fino a che tre esseri comparvero alla vista di Atena: le membra erano raggrinzite, gli arti nient'altro che ossa ricoperte di pelle cascante e rugosa e dei lunghi capelli bianchissi ricadevano sul viso, coperto da un usurata cappa nera ormai ridotta a stracci.
Si trattava di tre anziane.
Le divinità forse più temute dagli dei stessi. Senz'altro le più rispettate.
Atena cadde istintivamente in ginocchio, con il capo chino ad osservare il pavimento in segno di riverenza.
“Somme moire". Parlò con tono solenne.
“Divina Atena", risposero loro tre in coro.
La moira al centro, Cloto, allungò una mano ossuta verso la dea.  “Alzati, la tua saggezza ti rende nostra degna pari", le disse.
“Le vostre parole mi onorano”, ribattè Atena, facendo ciò che le era stato ordinato. Il suo sguardo vagò per la stanza, lanciando brevi occhiate alle tre anziane ed evitando di guardarle troppo a lungo. Pochi dei potevano vantare il privilegio di trovarsi al cospetto delle moire dal momento che esse non lasciavano mai gli Inferi... anche se in quel momento l'avevano fatto. La domanda le sorse naturale.  “Cosa vi porta sul monte Olimpo?"
Non aveva mai sentito che le tre anziane si fossero recate sull'Olimpo, eppure...
“Già una volta le nostre parole non furono ascoltate tra queste mura”, rivelò Cloto.
“Il tempo è ormai giunto", le fece eco Atropo in tono misterioso.
“Non possiamo più attendere", concluse Lachesi.
 La dea le osservò confusa e stava quasi per farfugliare qualcosa, ma le tre moire ripresero la parola.
“Ci sarà una guerra, divina Atena”
“Una guerra come non se ne sono mai viste su questo mondo"   
“Lasciate la pietà ai morti. I vivi non ne dovranno avere se vogliono sopravvivere"
Una guerra... che stessero parlando della guerra ormai imminente? La loro casa era l'Averno ed Ade era il loro re, perchè mai avrebbero dovuto farlo?
“Un compito di vitale importanza affidiamo a te", dissero in coro, facendo poi una pausa per amplificare le loro successive parole. “Se Persefone non sarà al fianco di Ade, tutti noi saremo perduti"   
Atena stava ancora cercando di elaborare quelle parole. Avrebbe voluto chiedere altro ma loro scomparvero in una nuvola di fumo nero. Il braciere tornò ad irradiare una luce rossastra, piacevolmente calda e dall'esterno la luce del sole inondava di nuovo il lungo corridoio.
Delle tre donne e degli effetti della loro permanenza non era rimasta traccia.
Anche la sua emicrania era scomparsa.
La Dea della Saggezza restò immobile alcuni istanti con lo sguardo apparentemente fisso sulle fiamme scoppiettanti all'interno del braciere. La realtà era che la sua mente era lontana, ancora ferma alle parole delle moire: c'erano troppi punti oscuri nella loro profezia.
Lei doveva saperne di più.
E c'era solo una persona che poteva darle delle risposte.
Cominciò a correre a perdifiato.

***

“La merce non è in vendita, fratellino”, disse Afrodite, senza alzare gli occhi dall'unghia della mano che stava limando. “Almeno che tu non voglia avere a che fare con il mio focoso Dio della Guerra”, aggiunse maliziosa.
Dioniso, seduto sulla cima dello schienale del medesimo divano della Dea della Bellezza, distolse per un istante lo sguardo dallo spacco dell'abito di lei, che gli lasciava interamente scoperta una coscia... ma esso finì sul profondo scollo a V sul seno che, da quell'angolatura lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
Apollo, seduto di fronte a loro, sbuffò irritato: era loro sorella, dannazione! Non che i legami di sangue fossero mai importati molti: c'era stato un tempo, millenni e millenni prima, in cui si diceva che Zeus, Era, Poseidone, Estia, Demetra e Ade fossero stati fratelli e sorelle. Ma la memoria di ciò si era poi persa, facendo diventare alcuni di loro estranei, nemici persino. Sarebbe successo anche a loro giovani dei prima o poi?
Il pensiero corse in fretta alla sua sorellina, alla piccola Persefone: Helios e Selene ne avevano perse le tracce quella stessa mattina, non appena aveva messo piede in una foresta nelle vicinanze della città consacrata ad Atena.
Sospirò e quel suono angosciato non passò di certo inosservato alla Dea della Bellezza.
“Cosa c'è Apollo? Qualche ninfetta dei boschi ti ha mandato in bianco questa notte? Se vuoi posso insegnarti qualche trucchetto che sono certa la farebbe impazzire”, disse, osservando poi il Dio delle Arti con malizia.
Questo scosse la testa, abbassando poi lo sguardo sul basso tavolino al centro del salotto. Non si sarebbero dovuti trovare lì, lui e Dioniso: c'erano regole precise nella casa di Zeus e una di queste vietava alle divinità maschili di entrare negli ambienti dedicati alle loro sorelle. Il salotto su cui davano le loro camere era uno di questi. Ma quello era anche il luogo in cui Persefone si sarebbe diretta non appena fosse tornata a casa. Non poteva andarsene.
“Si tratta di Persefone”, mormorò alla fine.
I movimenti della lima che Afrodite teneva tra le mani si fecero più nervosi e Apollo si rese conto di quanto anche lei fosse preoccupata per la sorte della sorella.
Osservò Dioniso prendere dalla propria cintura il fiaschetto del vino ed aprirlo. Lo annusò e con un'espressione nauseata lo richiuse, lanciandolo poi sul basso tavolino. Ciò dava da intendere che anche il suo stato d'animo era simile a quello dei fratelli.
Seguirono dei lunghi minuti di silenzio e poi essi furono interrotti dallo sbattere della porta d'ingresso. Si alzarono tutti e tre all'unisono e si voltarono verso di essa, sperando in cuor loro che si trattasse di Persefone. Ma sulla soglia con il vestito fuori posto, i capelli in disordine e il volto pallido vi era Atena. Un leggero strato di sudore le imperlava la fronte.
Afrodite alzò un sopracciglio, perplessa dalle condizioni in cui la sorella versava. “Che ti è successo? Hai forse incontrato un satiro troppo voglioso?”
La Dea della Saggezza non la degnò nemmeno di uno sguardo, troppo presa a scandagliare la stanza, come se fosse alla ricerca di qualcosa... o di qualcuno.
“Dove è Persefone?”, chiese alla fine.
“Non è ancora tornata”, rispose con rammarico Apollo.
“Devo parlarle al più presto”, ribattè lei.
“Vostra sorella farà presto ritorno”
Si voltarono tutti verso il corridoio, da cui quella voce era arrivata: Artemide ed Estia si trovavano a pochi passi; era stata la Dea del Focolare a parlare. Il concilio divino doveva essere finito e Zeus doveva aver congedato tutti.
“E tu come fai a saperlo?”, chiese Atena.
“Ho fiducia nel fato”, rispose la zia. “E rispetto le parole delle moire”, aggiunse.
Lei e Artemide entrarono nella stanza, chiudendo l'uscio alle spalle. I nipoti la guardarono nel frattempo confusi. Tutti tranne la Dea della Saggezza, che spalancò gli occhi dallo stupore.
“Tu lo sapevi?”, domandò.
Annuì. “Un fuoco avernale non può accendersi sull'Olimpo senza che io ne sappia nulla, credevo che tu, Dea della Sapienza, fossi a conoscenza di questo”
Sì, probabilmente se Atena avesse usato un po' più di razionalità ci sarebbe arrivata. Ma era stata troppo sconvolta per farlo.
Le prime parole pronunciate dalle moire le tornarono alla mente: loro avevano parlato di essere state sull'Olimpo già una volta, ma lei di questo non sapeva nulla...che Estia ne fosse invece a conoscenza?
“Le moire hanno accennato ad una loro visita passata sull'Olimpo, tu ne sai qualcosa?”
La zia annuì. “Avvenne il giorno in Persefone venne alla luce. Le moire predissero che lei non era destinata a vivere per sempre tra queste mura”. Si fermò, scrutando il volto della nipote per sondare le sue reazioni: non vi era stupore in lei. “Deduco dalla tua espressione che ciò che ti hanno detto oggi non diverga molto da quelle loro prime parole”
“Aspettate...”. Il viso di Apollo era corrucciato, come se non afferrasse a pieno il discorso delle due dee. “Le moire sono state qui?”
Ottenne poco più che un'occhiata sbrigativa e un cenno di conferma con il capo.
“Hanno parlato di una guerra”, riprese a dire Atena, il suo volto pareva titubante. “Ma non credo intendessero quella che Zeus si sta apprestando a combattere perchè...”
“...tutti noi saremo perduti”
“...hanno parlato come se fossero in pericolo anche loro. Dalla guerra che arriva non dovrebbero temere nulla come suddite dell’Averno”, ragionò.
“Ade non è nostro nemico, i nemici sono ben altri”, disse Estia. “Forse si riferiscono ad eventi futuri”
“Se qualcun altro deciderà di attaccarci, secondo le moire la nostra unica speranza sono Persefone e Ade”. La Dea della Sapienza fece una pausa per prendere un lungo respiro. “E perchè ciò avvenga dobbiamo sottostare alle sue condizioni”, aggiunse con rammarico.
In quell'istante la porta si spalancò nuovamente, sbattendo contro al muro.
Persefone era sulla soglia: anche i suoi capelli erano in disordine, con foglie secche e rametti incastrati tra i riccioli castani, la veste bianca che portava – chiaramente non sua – era stracciata e ricoperta di terra, proprio come il volto.
Afrodite alzò gli occhi al cielo. “Per Zeus, anche tu con l'aria da scappata di casa!”.
Ma nel dire quelle parole le labbra della Dea della Bellezza erano piegate in un sorriso.


Nda 
Eccomi di nuovo qui (Così presto? Eh già!) 
Da questo capitolo direi che possiamo intuire alcune cose:
- Demetra fa la dominatrice (e non mi stupirei se tenesse un frustino nascosto nell'armadio)
- quel poveretto di Zeus è il sottomesso
- Ares ha un problema  a parlare in pubblico (ma guai a toccargli Afrodite!)
- Apollo è in fase orsacchiotto abbraccia tutti
- Persefone è in piena crisi adolescenziale 
- Estia ne sa sempre una più di tutti. 
E Ade in tutto questo? Lui è negli Inferi che se la ghigna! 

 
   
 
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