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Autore: Scarlet Endless    15/10/2017    3 recensioni
Quando dichiarare il tuo amore incondizionato per mezzo del cugino It non è il massimo della genialità:
''Vi erano solo loro: un principe azzurro, un giovane le cui maniere di azzurro avevano ben poco e lui, nascosto in una postazione sicura che non lo esponesse troppo a rovinare quella scena d’incanto. Coniglio.
«Levati di torno, pivello, da qui in poi faccio da solo!» intuì strepitare il più piccolo che, intanto, cercò di aggrapparsi in un modo molto poco giudizioso alla paratia. Cadendo rovinosamente al suolo.
L’altro scoppiò in una risata talmente cristallina che gli fece sussultare il cuore nel petto, procurandogli una serie di insulti volanti e minacce in russo dal suo compare.
E fu così che iniziò la sessione di stalking intensiva di colui che scoprì chiamarsi Victor Nikiforov. – o, come lo chiamava lui, Victor Splendiforov.''
Ispirato da In a Heartbeat (Mute!Victor)
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ispirata da In a Heartbeat, quel piccolo cortometraggio che ci è rimasto nel cuore!

Giusto due paroline:
QUESTA FANFICTION E' STATA SCRITTA A 4 MANI,
da me (Scarlet Endless) e pine_apple. Per tutte le precisazioni, ci vediamo di sotto!
Buona lettura da Scarlet e Pine! /(^ -^)/ <3

 

Prologo

Victor Splendiforov

 

Non era una serata particolare quando Yuuri, per un insolito sesto senso “katsudonesco”, si era avviato sulla strada che portava al palaghiaccio di quella città straniera.

Avvolto nel piumone nella sua minuscola camera del college, aveva ordinato una pizza usufruendo di quei vaghi, incomprensibili vocaboli che conosceva in quella lingua, generando solo che una tremenda confusione al tipo che stava dall’altra estremità della cornetta. Gli venne in soccorso l’inglese – o un sostituto molto rottamato, per meglio dire – quando s’accorse che quel poveretto ci capiva ancora meno che niente. Sospirando pesantemente, riagganciò senza nemmeno salutare, scivolò in qualche indumento abbandonato malamente sulla sedia davanti alla scrivania ed uscì.

Il freddo della Russia gli punse le guance voracemente e cominciava ad avvertire una lieve sensazione di torpore propagarsi dalla punta delle sue dita in tutto il resto del corpo, mentre camminava per le vie deserte e impastate di neve di San Pietroburgo. Non aveva intenzione di digiunare solo perché, da solito sconclusionato qual era, si vergognava troppo per pronunciare anche una semplice parola. No, stavolta si sarebbe fatto valere e avrebbe preso in mano la situazione anche a costo di balbettare l’insignificante termine di “cibo”.

Tuttavia, dopo aver vagato per più di un’ora con lo stomaco brontolante e le traveggole per il freddo, Yuuri fu richiamato da quella condizione pietosa da un vociare allegro e pimpante. Si fermò davanti a una struttura dalle dimensioni autorevoli, che si ergeva da una base rettangolare con solennità.

Cosa esattamente gli fece scordare il suo obbiettivo originale – ossia, uscire di casa col solo intento di riempirsi la pancia – non lo seppe mai. L’unica cosa di cui fu consapevole era che fu attirato da quel timbro cristallino come un marinaio sarebbe stato dal canto di una sirena mentre le sue gambe varcavano l’entrata dell’edificio e si bloccava mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Ma non era per il freddo stavolta.

L’architettura ospitava un’immensa pista di pattinaggio al suo interno, la cui area ghiacciata era abbracciata dalle tribune. Ora. Yuuri non era tanto affascinato dal posto in sé – sebbene gli parve di ritrovarsi in una magnifica favola di ghiaccio e la cosa non lo disturbasse affatto, anzi -, quanto da ciò che quella piattaforma conteneva.

Slittava sulla lastra d’acqua congelata quasi stesse volando, setosi capelli di un argento pallidissimo che ondeggiavano nell’aria con ogni suo più impercettibile movimento e un sorriso sereno a ornargli il viso affilato. Occhi acquamarina scintillavano con una punta d’ilarità mentre cercava di insegnare a un ragazzo al suo seguito – leggiadro fanciullo dal vaffanculo facile – a mettere i piedi in un certo modo mentre lo trasportava, etereo e senza peso, dall’una e dall’altra parte della pista.

Vi erano solo loro: un principe azzurro, un giovane le cui maniere di azzurro avevano ben poco e lui, nascosto in una postazione sicura che non lo esponesse troppo a rovinare quella scena d’incanto. Coniglio.

«Levati di torno, pivello, da qui in poi faccio da solo!» intuì strepitare il più piccolo che, intanto, cercò di aggrapparsi in un modo molto poco giudizioso alla paratia. Cadendo rovinosamente al suolo.

L’altro scoppiò in una risata talmente cristallina che gli fece sussultare il cuore nel petto, procurandogli una serie di insulti volanti e minacce in russo dal suo compare.

E fu così che iniziò la sessione di stalking intensiva di colui che scoprì chiamarsi Victor Nikiforov. – o, come lo chiamava lui, Victor Splendiforov.

 

LA NEVE E' SILENZIOSA QUANDO CADE

Ovvero, quando dichiarare il tuo amore incondizionato per merito del cugino It non è esattamente il massimo della genialità

 

Nonostante le basse temperature di dicembre, a Yuuri le mani nascoste nelle maniche della giacca sudavano. Stringeva la stoffa raggrinzendola tra le dita, reputandola come la giusta vittima su cui sfogare l'ansia che l’opprimeva da interminabili minuti, testimoniata dal battito cardiaco fuori controllo.

Vedeva la figura di Victor muoversi con i suoi passi tranquilli, a una decina di metri davanti a lui. Come sempre, Yuuri l’osservava sentendosene lontano anni luce, non solo in termini di distanza materiale, quanto di distanza empatica. Victor era quell'essere umano che a vederlo non sembrava venir scalfito dai lati negativi del mondo, dallo sporco delle persone. Lo pensava ogni volta che si perdeva a riflettere sul suo ricordo, intuendolo ancora più fortemente mentre lo fissava in quel momento portarsi una mano dietro la nuca, dove i capelli più lunghi carezzavano quelli più corti alla base del capo. I suoi movimenti erano tanto delicati da sembrare talvolta femminei, così tranquilli, come se fosse perennemente perso in pensieri che lo tenessero lontano dalla contaminazione del mondo materiale.

Quella mattina, alle 6.25, Yuuri Katsuki si era ripromesso che quel giorno avrebbe finalmente parlato a Victor Nikiforov. Quello stesso giorno, alle 8.24, Yuuri Katsuki aveva le scarpe totalmente incollate alla ghiaia del viale del college e un irrimediabile dislivello tra corpo e mente che gli impediva di muovere le gambe e camminare accanto al ragazzo russo.

Dopo tutti quei giorni di silenziosa indagine, aveva appreso e archiviato alcune abitudini del giovane, come quella di arrivare una mezz'ora di ritardo rispetto agli altri studenti, anche se non ne conosceva il motivo. Sperava di sfruttare a suo vantaggio i frutti di quel lungo e dettagliato studio, per avvicinarsi a lui in un momento tranquillo, per parlargli senza che qualcos’altro o qualcun altro potesse interporsi nelle sue intenzioni.

Ma ancora una volta, Yuuri Katsuki incassava passivamente la delusione verso se stesso, mordendosi il labbro e sentendosi morire in bocca le poche parole in russo che sapeva e si era preparato. Ancora una volta, Yuuri Katsuki non era all'altezza delle aspettative di se stesso, restando fermo in quel viale a rinunciare un'altra volta al suo più grande desiderio.

Almeno avesse avuto il coraggio di attuare una ritirata definitiva, smettere di fissarlo nel mezzo del viale non più ghermito di studenti data la tarda ora e fingere completo disinteresse, così da evitare che qualcuno – purtroppo non la persona che davvero voleva – notasse le sue attenzioni verso Nikiforov.

Cosicché non venisse sbattuto a terra da una furia bionda di un metro e sessanta.

Fece giusto in tempo ad emettere un flebile gemito poco dopo il violento impatto delle sue natiche contro il terreno che il suo misterioso aggressore gli premesse, senza delicatezza alcuna, una mano sulla bocca. Non riusciva a vederlo chiaramente in volto per via del cappuccio della felpa calato e il ciuffo biondo a coprirgli metà del viso, ma era evidente che stesse scrutando Victor in maniera, però, del tutto diversa da come Yuuri lo stesso mirando un attimo prima. Se lui l’osservava con un misto di opprimente angoscia e adorazione, questo ragazzo era palesemente spaventato dal fatto che potesse notarli. Non seppe se fu più una fortuna o una maledizione.

Quando sembrò stabilire che il ''pericolo'' fosse scampato e, finalmente, si voltò verso di lui, Yuuri si ritrovò davanti la faccia più traboccante di disprezzo e insulti mal contenuti che gli avessero mai rivolto.

 

 

- Grida una sola parola e ti incollo al terreno. - sibilò il nuovo – incazzatissimo – arrivato, facendogli rizzare i peli alla base del collo. Aveva due occhi verdi perlacei estremamente magnetici, quasi in grado di perforargli l’anima.

- C-cosa scusami?! - balbettò fuori Yuuri, sicuro di aver capito male. Illudendosi di aver capito male. Perché, prima di tutto, aveva più che una ragione per pensare che in terre straniere non si parlasse fluentemente un’altra lingua se non quella madre. E, se il mondo non si era ribaltato improvvisamente dal sotto al sopra, era indiscusso che la lingua madre in Russia fosse il russo. Ma allora perché diavolo quei centosessanta centimetri di rabbia incarnata gli si stava rivolgendo in giapponese?

- Cos’è, sei sordo? - lo scosse tenendolo per il bavero del cappotto, facendogli roteare le pupille nelle cornee - Ti avverto, se stai cercando un modo per cazzeggiare con mio cugino, nipponico di merda, non la passerai liscia. Già perché non ha avuto abbastanza cazzi per la testa durante il suo periodo all’orfanotrofio! Se stai elaborando un piano per gettargli ulteriore fango sulla testa, stai attento perché non ci penso mica due volte a cuocerti in padella, te e quel lardo che ti porti appresso ostentandolo come se fosse un trofeo. Victor potrà pure avere difficoltà a rispondere ai tuoi cazzo di insulti, ma non ho nessun problema a farlo io per lui! -. Si bloccò, sfiatando calde nuvolette sulla faccia di Yuuri e sembrò, per un attimo, contemplare un’idea. Poi lo mollò di colpo, passandosi una mano fra le bionde ciocche in preda a un inaspettato nervosismo - Cazzo! Non avrei dovuto dire tutte quelle cose! Victor mi ammazzerà, me lo sento! -.

Intanto, succitato ‘nipponico di merda’, schiena schiantata contro terra, continuava a snocciolare quelle parole in un turbinio vorticoso e caotico nella sua mente. “Cazzeggiare”, “orfanotrofio”, “difficoltà”, “rispondere”… Cosa mai gli aveva detto quel tipo? Ma soprattutto, come faceva a conoscere il giapponese così bene?

Si mise a sedere, lasciandosi sfuggire un flebile gemito di dolore. Guardò l’altro di sottecchi, studiandolo cautamente e cercando di non darlo troppo a vedere. Ma quello era già perso in un giro tutto suo di guerre, amori, tragedie, tradimenti e peste nera di cui Yuuri riusciva a stento a raccapezzare qualche vocabolo sensato.

- Mi ucciderà! Mi prenderà e mi fisserà con quello sguardo che mi fa raggelare il sangue, quello sguardo da “che cosa hai fatto tu?” costringendomi a-brrr… non voglio nemmeno pensarci! Parlare delle sue turbe spirituali e psichiche a un completo sconosciuto, ma come cazzo mi è venuto in mente?! Che poi, wow, che sconosciuto! Un suino! Un porco! Una giapponesissima buzhenina nemmeno capace di difendersi! Ma chi me l’ha fatto fare?! Forse dovrei cominciare a dare più campo libero a Victor… si… basta comportarsi da cuginetto protettivo con i miei 6 anni in meno di differenza! Ma chi cazzo vado a prendere in giro! Anche se, avrà ancora bisogno di me quando dovremo andare a pranzo fuori, perché non è capace di parlare con gli altri. E poi, avrà necessità di qualcuno con cui stare il fine settimana! Si! Allora non sono così inutile! Dopotutto, posso anche io fare qualco-

- Ecco… - cominciò incerto Yuuri, avendo intuito da quelle poche battute scambiate con quel buffo interlocutore che tentare di dialogare era come camminare su un campo minato.

- Che cazzo vuoi? - tuonò il giovane. Appunto.

Yuuri squittì, ma sollevò il mento fissando gli occhi nei suoi. Dopo settimane passate a parlare un inglese alla soglia del paralitico e un russo che poteva ridursi alla semplice enumerazione dei fonemi presenti in cirillico, non poteva lasciarsi scappare l’occasione di sapere riguardo un argomento che gli stava così a cuore. Gli avrebbe tenuto testa, in un modo o nell’altro - Ecco… prima avevi detto che Victor - l’occhiata fulminante che gli lanciò quell’altro fu abbastanza per farlo ghiacciare - Ni-Nikiforov-kun! P-prima avevi detto che N-Nikiforov-kun potrebbe avere d-difficoltà a rispondere a-a-a-a-a-ai m-miei... c… c-azzo d’insulti… -. Per quanto si costringesse a non incrinare la voce quando parlasse e a mantenere sempre un tono abbastanza neutro, tutti i suoi sforzi venivano vanificati nel momento stesso in cui dovesse proferire un qualsivoglia termine leggermente scurrile. Il tono si sollevava e sembrava rimarcare quella parola con forza.

Il giovane davanti a lui lo osservò per un lungo minuto. - E a te che cazzo dovrebbe importare?! - strepitò poi - Se hai intenzione di spalare quintali di merda su di lui allora-

- N-non ho intenzione di spa-spalare m… merda su Victor! - lo interruppe bruscamente, il timbro alzatosi di un’ottava - I-io… se c’è… se c’è qualcosa che io posso fare per lui, t-ti prego dimmelo! - gli indirizzò uno sguardo carico di talmente tanta intensità che l’altro sussultò per un secondo.

Si guardarono per un interminabile minuto. Erano spariti i dintorni, il freddo era relativo. Sotto il cielo nuvoloso di San Pietroburgo, due giovani continuavano a mirarsi mossi da sentimenti divergenti. Alla fine, il più piccolo sospirò - Victor non ha avuto una vita facile - sentenziò con voce sostanzialmente placida… amara, quasi - Fino ai suoi undici anni, è dovuto sottostare a un ambiente che non gli piaceva, con regole che limitavano enormemente la sua indipendenza, se così la si poteva chiamare. Pensa che una volta mi ha raccontato di aver dovuto pulire tutte le aule dell’istituto solo perché aveva fatto qualche secondo di ritardo. - l’altro scoppiò a ridere, ma era più che altro una risata gelida, fredda come la neve che volteggiava tutt’intorno - I bambocci però erano la cosa peggiore: lo prendevano in giro dalla mattina alla sera, gli dicevano che sembrava una ragazza solo perché teneva i capelli un po’ più lunghi degli altri e, per un ragazzino in pieno sviluppo, non c’è niente di peggio di sentirsi paragonare ad una bambina quando invece è un bambino. Erano freddi e scontrosi: per lui era come vivere in una gigantesca gabbia la cui chiave era stata gettata via. - strinse i pugni. Yuuri fissò quel giovane dal volto corrucciato come se fosse una sottospecie di letale angelo della morte. Le pieghe della pelle, insieme all’espressione infelice, gli conferivano almeno 10 anni in più di quelli che già aveva.

L’altro aspettò un attimo prima di parlare di nuovo - Quando lo portarono via dall’orfanotrofio Yakov e Lilia, era già tanto se in un giorno riusciva a spiccicare sì e no due parole. Non parlava mai ma ascoltava sempre. Esattamente il contrario di me. - assottigliò gli occhi, come se stesse cercando di trattenere le lacrime - Una volta mi arrabbiai a morte per questo atteggiamento. Entrai come una furia nella sua stanza e misi ben in chiaro che non mi piaceva questo suo modo di comportarsi, faceva tanto il santerellino con questa sua aura calma e controllata ma sapevo bene che in realtà era un demonio.

- E sai cosa fece? Si mise a ridere. Genuinamente. Mi disse che ero buffo, che lo facevo sbellicare. Fu forse la cosa più lunga che disse da quando era arrivato. Io sbroccavo e lui rideva. Così fu l’andazzo per 14 anni. - e solo a quel punto Yuuri si accorse che lo stava squadrando, un misto di circospezione e un’altra emozione che non riusciva bene a decifrare nelle iridi limpide. Si tirò su di tutta fretta, ancora un po’ scioccato da quel carico immane di nozioni. Victor aveva davvero sofferto così tanto? Avvertì il cuore stringersi in una morsa dolorosa - Io… -.

- Stammi bene a sentire perché non lo ripeterò un’altra volta: sta’ lontano da mio cugino. Anche se volessi parlargli non riuscirebbe a risponderti, lo metteresti solo in grande imbarazzo perché odia quest’aspetto di sé. E’ molto sensibile, motivo per cui riesce ad esprimersi solo con la sua famiglia e con pochissimi altri. Vedi di mostrare un’altra volta il tuo culo a porcello in prossimità di Victor e ci ritroverai me, intesi? - e sillabando quell’ultima, minatoria frase, lo tirò giù alla sua altezza, felini occhi verdi che scrutavano negli intimiditi suoi bruni. Dopo un farfugliato cenno di assenso, lo lasciò andare, girando sui tacchi e facendo per andarsene.

- Sen-senti! - lo richiamò indietro Yuuri.

Quello si fermò e voltò la testa quel tanto che serviva per guardarlo da sopra la sua spalla - Che cosa vuoi ancora? -.

L’altro, nitidamente impacciato, spostò il peso da un piede all’altro, rigirandosi i pollici - E-ecco… come… come fai a sapere che io parlo giapponese? E co-come fai a conoscerlo?-.

Yuuri, di tutte le reazioni che potevano esserci a quella domanda, non si aspettò di certo quella: il giovane sembrò un attimo preso in contropiede, tanto che per un attimo gli vide la schiena irrigidirsi. Poi scoppiò in una risata non tagliente velenosa, ma divertita. Di gusto. Come se gli avesse appena detto di aver visto Stalin con un tutù.

- Dio, ma allora sei veramente un imbecille. - se ne venne fuori dopo un po’, asciugandosi qualche lacrimuccia scappata alla trappola delle ciglia - Voglio dire, non sei uno di quei fottuti cartoni animati orientali con gli occhi enormi che sembrano sfiorare il metro e ottanta. Ti si vede la forma a mandorla da almeno 100 miglia e l’altezza da poppante da almeno 1000! E non guardarmi con l’aria del ‘senti chi parla’, ci metto un nanosecondo a strapparti quel ghigno dalla faccia, testa di cazzo! - enfatizzò quelle ultime parole, punto evidentemente nel vivo. Doveva essere un argomento assai delicato la sua basse- altezza - E comunque studio giapponese, demente. Non mi sembra una cosa di cui essere così sorpresi, studiare una lingua straniera. - si voltò facendo qualche passo, per poi fermarsi nuovamente e voltarsi con l’impressione di aver appena valutato un’idea - E tanto per la cronaca, mi chiamo Yuri, non dovevi preoccuparti di chiedertelo. - e scappò via.

Yuuri sbatté un paio di volte le palpebre per accertarsi che non stesse sognando. Un nanetto, con visibili problemi di irascibilità, lo aveva appena minacciato di stare alla larga da quello che era l’uomo della sua vita e se l’era presa quando non si era minimamente curato di chiedergli il nome.

E il tutto mente gli spezzava crudelmente e irrimediabilmente il cuore.


 

Spese i giorni seguenti a quell'incontro a non sapere letteralmente come consumarsi: viveva rintanato in quel minuscolo appartamento nel college di San Pietroburgo come un animale affetto dai sintomi di un letargo precoce, aumentando il livello di indecenza della camera da passabile a assolutamente invivibile, nutrendosi di ramen istantaneo e qualche schifezza recuperata da nemmeno lui sapeva dove - nemmeno controllando da quanto fosse scaduta -, trascinando il suo corpo in quei 4 metri quadri con un pigiama un tempo bianco e azzurro oramai grigio al seguito.

Quello che sentiva dentro - oltre alla rivolta interna delle sue povere viscere causata da tutto quel cibo spazzatura - era un orchestra cacofonica di pensieri insistenti e martellanti. Alcuni erano contro le identità indistinte che componevano un gruppo di bulletti russi, grassi e biondi che tiravano i capelli di un Victor bambino; altri contro le personificazioni altrettanto confuse della noncuranza e superficialità della società moderna che non muoveva un dito nella sensibilizzazione delle masse; ma la maggior parte erano - tanto per cambiare - contro quel maialotto rintanato sotto il piumone da giorni che era se stesso, contro la sua maledetta ingenuità che lo aveva spinto a stalkerare un povero innocente ragazzo senza sapere che avrebbe potuto fagli incassare l'ennesimo trauma della sua vita. Inutile dire però che, a fare più male, era l'umiliazione che il discorso di Yuri gli aveva incollato addosso e la consapevolezza che l'unica cosa buona che avrebbe potuto fare sarebbe stata non avvicinarsi, né guardare, né pensare mai più a Victor Nikiforov. E questo gli insidiava, più di ogni altra cosa, un grande senso di vuoto e solitudine nel cuore e nella testa, dopo tutti quei viaggi mentali su quei capelli d'argento e con la loro – presunta, ma attendibilissima – morbidezza.

I primi due giorni si era limitato a rimanere a letto, metà del piumone a terra metà sopra, a fissare il soffitto e la muffa che iniziava a campeggiare ai bordi. Non andò a lezione. Si alzò che erano passate le quattro del pomeriggio e, ingurgitata la prima porzione di SuperSoba - di cui, da bravo nipponico in terra straniera, teneva sempre in casa una scorta formato famiglia -, per poi riciabattare indietro da dove era venuto. Il secondo giorno non variò molto dal primo – se non che di SuperSoba ne mangiò tre e trovò degli orsetti gommosi sotto una pila di vestiti sporchi di due settimane prima. Il terzo giorno il suo letto era oramai una tana di coperte deformi in cima a cui campeggiavano le ciabatte, e nemmeno lui sapeva come ci fossero finite. Sua madre chiamò diverse volte, ma non rispose mai. Intorno a mezzanotte iniziarono a ronzargli nella testa i sensi di colpa per tutte quelle lezioni trascurate e i soldi spesi a vuoto dei suoi genitori per mantenere all'estero un figlio di ventidue anni che da solo si lasciava morire di depressione cronica in un angolo, e la crisi di pianto e ansia che lo colse non volle placarsi fino alle tre di mattino.

Il quarto giorno non aveva più una parvenza lontanamente umana, tanto sbattuto e smunto era di viso. Stavolta di SuperSoba ne mangiò gli ultimi 4 insieme a un pacchetto di patatine rinvenuto come un reperto archeologico, per poi vomitare il tutto quando la quantità di schifezze nel suo corpo rischiò di superare quella del sangue. Quando le sue interiora terminarono il processo per quella necessaria liberazione, abbandonato contro il muro e il pavimento del bagno e finalmente disintossicato, iniziò a ponderare l’idea che, di questo passo, la sua sopravvivenza non sarebbe stata così scontata: aveva appena rischiato di essere il primo giapponese nella storia a morire per intossicazione di noodles. Tuttavia, sapeva che non avrebbe trovato consolazione nel buttarsi via in quella maniera, non avrebbe perdonato sé stesso per la sua stupidità se fosse sceso ancora più in basso di così.

Stavolta il suo strisciare di piedi non lo condusse a letto a nascondersi dal mondo, ma davanti all'uscio, a gettarsi addosso il cappotto e cercare a tentoni gli occhiali e le scarpe, per poi aprire la porta d'ingresso e avviarsi verso le strade dominate dalla neve di San Pietroburgo.


 

La neve è silenziosa quando cade. Quella era forse la constatazione più scontata e banale a cui fossero giunte le sue meningi, per quanto queste fossero ancora convalescenti da uno stato precomatoso. Eppure… nella sua testa quella ovvietà acquisiva un’accezione vagamente delicata e poetica.

Forse stava fermo contro la paratia di quel ponte da troppo tempo oramai, tanto che la neve aveva già iniziato a ricoprire il suo cappotto, a bagnargli i capelli e probabilmente anche il cervello, rendendoli parte di quel paesaggio bianco. Insomma, tutti amavano le nevicate, forse non quando ostruivano le strade causando incidenti e disastri, ma i fiocchi di neve, candidi e leggeri, erano ammirati per la loro soavità da chiunque. Non facevano rumore, non si facevano sentire: scendevano in movimenti lenti e pacati, studiati avrebbe potuto dire, con la stessa morbida signorilità con cui i petali dei fiori di ciliegio si staccavano dai rami in primavera, nel suo lontano paese d’origine. Le persone si fermavano, chi solo per pochi secondi e chi per ore, ad ammirare coi propri occhi quella danza delicata ed aggraziata. Proprio come... Victor.

Per Yuuri, Victor Nikiforov non aveva mai avuto bisogno di parole per catturare completamente la sua attenzione e diventarne protagonista indiscusso. Victor ammaliava di una luce naturale, gli bastava scivolare sulla lastra ghiacciata con le lame ai piedi per divenire l'unica creatura degna di nota, il fulcro del mondo a sé stante che diventava il palaghiaccio quando lui vi era all'interno. Yuuri avrebbe accettato di stargli vicino anche solo per continuare a osservarlo, perché quel ragazzo trasmetteva una profondità e dei sentimenti che nient'altro e nessun altro, in ventidue anni di vita, era riuscito a dargli. La sua semplice esistenza nell'insieme delle cose a lui note faceva sorgere in lui le più belle intenzioni e i più bei pensieri, come se la sua testa fosse sempre stata un albero spoglio in balia dell'inverno perenne che avesse appena iniziato a dare alla luce i primi boccioli. "Sarebbe così importante se non potesse rispondermi?''.

Cercò di muovere le dita delle mani intorpidite dal freddo, pentendosi di non aver recuperato un paio di guanti. Anche volendo però, non sarebbe riuscito a farli rinvenire date le condizioni penose in cui versava il suo appartamento. Sospirò, generando una nuvola candida di fiato nell'aria fredda della Russia. Era stato proprio un idiota: invece di farsi un serio esame di coscienza e giungere a quella conclusione palesemente ovvia sin dal principio, aveva preferito sfoggiare tutta la demenza che nemmeno la prima fase di depressione preadolescenziale comportava e gettare la sua vita a peso morto nel cesso. Letteralmente.

Finalmente, un minimo risoluto, si staccò da quella paratia che dava sulle scure e mosse acque del canale, impiegando una buona dose di tempo a sfilare i piedi dall'ingente strato di neve che vi si era raccolto sopra. Accompagnato da quei fiocchi eleganti che tanto gli ricordavano il suo principe d'argento, si avviò verso casa preparandosi ad affrontare a ritroso quella strada che aveva percorso due ore prima. Non avrebbe parlato a Victor Nikiforov, proprio no.

Ma forse, avrebbe provato a salutarlo con la mano.


 

Yuuri aveva veramente trovato un equilibrio: erano passate già due settimane da quell'evento che era passato alla memoria come il giorno della distruzione dei suoi sogni e per ora aveva rischiato di morire solo una volta, con solo quattro giorni di panico e depressione e complessivamente sette di vaga tristezza. Non aveva più rischiato intossicazioni alimentari, ma questo probabilmente era dato dal fatto che per la SuperSoba avesse sviluppato un vera e propria repulsione e che in Russia trovare del katsudon fosse praticamente impossibile. La sua salute fisica era quindi al sicuro, e quella mentale stava facendo grandi miglioramenti. Aveva ripreso una routine di vita “normale”, andando a lezione negli orari abituali, emulando una sorta di russo molto personalizzato e un raffinatissimo inglese trogloditico in caso di necessità, chiamando sua madre per rassicurarla che “si, stava bene, era solo scomparso causa studio molto intenso”, di cosa però, se lo tenne per sé.

E qualora i suoi occhi si posassero accidentalmente su una corta e ordinata chioma d'argento, Yuuri aveva trovato il modo di aggirare crisi ormosentimentali con un metodo che avrebbe fatto invidia a qualunque ragazzina di tredici anni in preda alla sua prima cotta adolescenziale: su una carta da lettere azzurra con dei barboncini, aveva riversato tutta la sua anima da poeta incallito scrivendo le sue ossessive – talvolta insensate, ma sincere – parole d'amore verso la sua Beatrice. L'idea di consegnarla alla donna-angelo in questione però, non lo aveva mai nemmeno lontanamente sfiorato. No, quella lettera era unicamente il suo salvagente personale al quale aggrapparsi: la prova esistente del suo amore incondizionato, della sua ammirazione sincera e delle sue non cattive intenzioni. Tramite quelle parole su carta, Yuuri era riuscito a perdonarsi la sua stupidità e le sue azioni passate da stalker provetto. Ma non per la sua codardia. Quella, ne era certo, lo avrebbe accompagnato fino alla tomba.

Era quindi fermo e sereno nella sua convinzione che la sua vita fosse ritornata piatta e regolare, con solo quel foglio di carta a testimoniare che, si, forse un po’ stalker lo era ancora, ma di cui lui solo conosceva l'esistenza.

O meglio, questo era ciò che credeva.

Che Yuuri Katsuki non fosse mai stato un acuto osservatore, era un dato di fatto. Non c'era da stupirsi quindi che non si fosse mai accorto di quella tappa e bionda entità che non faceva effettivamente parte di quell'affollato college ma gli teneva perennemente i furenti occhi verdi puntati addosso, come un cane da caccia su una lepre. Inutile dire dunque quanto semplice ed elementare fu per tale entità ammantata di felpa leopardata avvicinarsi e rubare da sotto il naso – letteralmente – del ragazzo giapponese, seduto da solo a un tavolino del bar del college, quella lettera azzurra con barboncini che rigirava da una buona mezz'ora tra le dita, lo sguardo perso e trasognato degno della migliore principessa Disney. E quando Yuuri si rese conto che il suo prezioso salvagente mentale non si trovava più tra le sue mani ma in quelle di un diciottenne basso, biondo e iracondo, questi ne aveva già letto una buona parte.

L'urlo strozzato che seguì, accompagnato da un tuffo con mani avanti aggraziato quasi quanto quello di un ippopotamo, portò solo a fargli puntare addosso gli sguardi stralunati degli altri studenti ai tavoli circostanti. Arrossendo fino alla cute, Yuuri si levò in piedi intento a riprendersi quel che era suo dalle grinfie di quel malefico nanerottolo che, imperturbabile, si limitò ad allontanarlo con un calcio ben assestato, continuando a tenere gli occhi incollati ai kanji tracciati sulla carta mentre un ghigno sinistro faceva capolino su un faccino dai lineamenti tanto delicati quanto bellicosi.
- Ma bene, mia cara Pig Lady! - esordì, facendogli perdere un battito. - Vedo che il concetto ''stai lontano da mio cugino o ti ammazzo'' è troppo complicato per il tuo cervello lardoso -.
- Y-Yuri, ridammela... è mia! - cercò di strappargliela dalle agili dita che, in quel momento, gli parvero artigli di una tigre feroce.
- Oh no, da quello che vedo, questa è per Victor -.

Yuuri si immobilizzò, deglutendo a vuoto.
- E visto che sono due settimane che la tua mole grassa e disgustosa va sventolando ai quattro venti questo aborto sdolcinato senza aver concluso un cazzo, ora ci penso io! - si ficcò la lettera i tasca senza alcuna gentilezza, voltandosi e iniziando a correre a perdifiato verso l'uscita del bar. - Vuoi conoscere Victor? Dichiarare le tue buone, giuste, stomachevoli intenzioni? Bene, allora si fa a modo mio, suino! -.

Le porte di vetro sbatterono con violenza prima che Yuuri, dopo un minuto buono speso a boccheggiare scongiurando un arresto cardiaco, si lanciasse nella disperata rincorsa di quella leggiadra fatina.


 

In realtà, non è che Yuri Plisetski fosse un freddo punk russo senza cuore affetto da bipolarità cronica che provasse piacere a incasinare l'esistenza di un povero studente straniero già alquanto disagiato. La verità è che la coscienza, sebbene molto raramente e con voce anche troppo debole, talvolta doleva anche a lui.

Non che avesse avviato la precedente missione punitiva contro quel suino senza un valido motivo, ma sarebbe inutile negare che, nonostante la maschera di totale indifferenza e disgusto impressa sul volto, Yuri non avesse iniziato a domandarsi se avesse fatto la cosa giusta o meno nei confronti di quell'essere. Era stato scontato ed elementare per lui che quel prosciutto parlante nipponico volesse attentare ai fragili e delicati sentimenti del suo prezioso cugino e, quando l’idea che così non fosse cominciò a farsi spazio nella sua testolina bionda, il danno era ormai fatto.

Sia chiaro: non che provasse pentimento, affatto. Aveva solo quella vocina fastidiosa tra i pensieri che lo teneva sveglio quei tre minuti di troppo ogni sera. E se inizialmente era solo una sensazione vaga e tranquillamente ignorabile, col passare dei giorni divenne sempre più martellante. Fu esattamente una settimana dopo che, ritrovandosi ad osservare dalla porta semiaperta Victor steso sul letto a fissare il vuoto con sguardo completamente assorto in pensieri solo e unicamente suoi, si rese conto che, per quanto amasse suo cugino e volesse tenerlo lontano da qualsiasi cosa potesse arrecargli dolore, non sarebbe stata una gabbia d'oro a farlo uscire dal suo guscio. E con tutto il disgusto e la scocciatura che ne seguì, Yuri iniziò a prendere seriamente in considerazione l'idea di ripescare il lardo giapponese da qualche parte, giusto per rendersi conto se le sue conclusioni potessero – cosa assolutamente poco probabile a detta sua – essere errate.

Fu così che, nel suo eterno vagabondare tra i corridoi di una facoltà non propria, i suoi occhi andarono a cercare sempre più insistentemente una chioma nera e spettinata. E quando finalmente identificò il suo obbiettivo, esattamente dopo otto giorni dall'incontro di fuoco, Yuri si sbatté la mano sulla faccia per celare ai suoi poveri occhi l'espressione di adorazione palese e lampante espressa dal ragazzo alla sola vista di suo cugino. Assolutamente innocuo.

Una volta valutato che le sue considerazioni fossero effettivamente errate, Yuri Plisetky si rese però conto che la sua missione intimidatoria della settimana precedente aveva funzionato fin troppo bene: sopracitato lardo nipponico aveva un vero e proprio timore reverenziale di avvicinarsi a Victor. E sa da un lato si complimentava con se stesso per l'efficacia delle sue gesta, dall'altro malediceva la codardia cronica dell’altro che rendeva estremamente ardua e complicata quella nuova impresa che si era appena imposto.

Per questo motivo, quando aveva intravisto quel pezzo di carta dalle imbarazzanti stampe e aveva intuito di cosa potesse trattarsi, a Yuri non parve quasi vero. Evidentemente, il suino non aveva rinunciato a sbavare come un lumaca dietro a Victor, semplicemente non gli si appiccicava addosso perché troppo terrorizzato da... beh, da lui – e non poteva nemmeno negare che la cosa non lo rendesse fiero –. Poco male, era certo di poter riparare al danno. E nonostante quello che aveva appena letto su quella lettera fosse la roba più imbarazzante, diabetica e stomachevole su cui i suoi poveri occhi si fossero mai posati, aveva quello stesso modo contorto di esprimere sensibilità che tanto piaceva a Victor.

Ma purtroppo, non sempre quello che prova il cuore viene correttamente interpretato dalla testa. Per questo motivo Yuri Plisetski si stava scapicollando verso l'aula dove sapeva essere diretto il suo tanto prezioso e agognato cugino, con una traduzione dal giapponese al russo fresca fresca sulla lingua e un’urlante e sgraziata Lady Porchetta appena derubata che, tra una botta contro il muro e l'altra, cercava di stargli disperatamente alle calcagna.


 

Quella mattina, Victor Nikiforov si era svegliato con ancora il ricordo del solito sogno negli occhi e nella testa. Aveva sbattuto le palpebre più volte, finché non si furono allontanate del tutto. Solo a quel punto aveva ripreso a respirare regolarmente. Dalla sua mente, però, alcune figure albergavano ancora, nonostante il suo subconscio si auto-imponesse di non farvi caso. Ed erano proprio quei fotogrammi confusi, sfocati ma non troppo, che lo accompagnarono mentre con la solita calma apparente attraversava le imponenti porte in legno del college di San Pietroburgo.

Raggiunse l'aula senza incrociare altri studenti, ringraziando la sua buona abitudine di arrivare giusto un pelo prima dell'inizio delle lezioni. Non che a Victor Nikiforov piacesse stare solo: se possibile era una delle cose che più odiava al mondo. Ma ancora di più detestava non essere capito, anzi, a dire la verità era frustrante che qualcuno non capisse lui e si aspettasse da parte sua qualcosa che non sarebbe stato in grado di dare. Come, ad esempio, un saluto o la risposta a una qualsiasi domanda. Preferiva un viale in ghiaia e un corridoio deserti che un percorso che trasudasse di imbarazzo e tensione.

Prese posto in uno dei banchi più lontani, uno dei pochi ancora liberi, sfilandosi la tracolla con movimenti pacati. Non gli piaceva avere fretta. Preferiva confondersi con l'ambiente e non essere notato, non essere forzato. Da quando viveva con loro, Yakov e Lilia non avevano mai preteso da lui qualcosa che lo ponesse in una situazione scomoda. Lo avevano pazientemente accompagnato in un percorso che, gradualmente, gli aveva permesso di scoprire parti di se stesso che non lo facessero sentire troppo esposto nel mondo esterno. Aveva scoperto di amare il pattinaggio, di sentirsi più leggero quando indossava un paio di pattini, riuscendo a non pensare perché troppo concentrato sui propri movimenti. Si era aperto abbastanza da far entrare quello che considerava a tutti gli effetti suo cugino nel suo spazio sicuro, nonostante i modi bruschi e tutt'altro che amichevoli di quest'ultimo. E, se da un lato era immensamente grato alla sua famiglia, una parte di lui col tempo si chiedeva sempre più spesso se fosse perdonabile da parte sua non spronarsi, ormai a 24 anni, a uscire da quella bolla sicura che si era creato. Ma del resto, lui odiava il disagio. E il confine tra quella sua barriera e questi era troppo sottile perché Victor non ne fosse spaventato.


 

- Victooooooooooor! -
L'urlo bellicoso che irruppe dalle delicate labbra di suo cugino al suo incedere nell'aula fece già di per sé voltare non solo lui, ma anche buona parte, per non dire la totalità, degli studenti lì presenti intenti a prendere posto. E se la cosa fosse potuta essere scongiurata con un’occhiataccia ben assestata, l'urlo gemello del precedente, che stavolta di nome revocava quello del cugino in questione, seguito dalla venuta di un ragazzo palesemente prossimo a un infarto o a una crisi di panico, rese vana ogni sua speranza. Giacché poi la situazione già di suo sembrava strana così, la miscela incomprensibile di lamenti in giapponese e insulti in russo non la migliorò affatto, in particolar maniera quando il suo adorato Yuri si diresse deciso verso di lui iniziando a sventolargli sotto il naso un pezzo di carta azzurro con dei... barboncini?
- Victor, Victor! Sta a sentire cos...-
- Give it baaaaaack! - lo interruppe la voce disperata del ragazzo anonimo che si era gettato a banzai alle sue spalle
- Non interrompermi, porco! - berciò di rimando, cercando di scollarselo - Senti un po’, questa Lady Porchetta qui presente ti stalkera da mesi, ma è troppo coniglio anche solo per rivolgerti la parola! - e i lamenti incomprensibili che provennero dal suddetto, che era pericolosamente rosso in viso e tremava spiaccicato al muro, furono completamente ignorati.
A Victor tutta quell’assurda messa in scena iniziava a non piacere per niente, soprattutto da quando l'attenzione di tutti i presenti si era spostata su di lui. Ma, a quanto pareva, suo cugino in quel momento non sembrava leggere per niente la sue espressione lampante di disagio. E infatti, proseguì imperterrito.
- Mi fa talmente tanta pena che nemmeno io ce la faccio più a vederlo strisciare per i corridoi! Adesso ci penso io a porre fine a questo strazio! Vediamo cosa ha da dire Miss Piggy dei Muppet qui!-
Al che si schiarì la voce teatralmente, mentre l'altro allungava le mani disperato verso quella lettera che, a intuizione, doveva appartenergli. Ricevette solo un calcio ben assestato nel ginocchio da parte di Yuri, finendo a terra in preda a farfugli concitati dei quali non si capiva più nemmeno la lingua mentre un paio di studenti cercavano invano di tenerlo fermo e chiedergli delle spiegazioni. Altri ancora, invece, avevano iniziato a rivolgersi proprio a lui, chi scocciato chi solo curioso, per capire cosa stesse succedendo in quell'aula, col solo risultato di fargli stringere le mani intorno alla tracolla della borsa che aveva ancora in spalla fino a farle sbiancare.

''Caro Victor,

sebbene so che non troverò mai il coraggio per dirti queste esatte parole, ho un ingente necessità di mettere per iscritto questo torrente di emozioni e sentimenti che mi travolgono ogni qualvolta che i miei occhi si posano sui tuoi fili d'argento''

- Bleah, stomachevole! - storse il naso Yuri mentre il ragazzo giapponese, sempre rimasto contro il muro e placcato, si copriva la faccia con le mani e qualcosa di spaventosamente simile a un pianto si levava dalla sua gola. - E questa è solo la parte iniziale!- commentò prima di riprendere quella lettura che, Victor se lo sentiva, lo stava accompagnando al patibolo.

''Ricordo quella prima e unica volta in cui ho avuto il privilegio di vederti pattinare. Sei come un principe del ghiaccio, bellissimo e aggraziato, in un palaghiaccio che diventa castello solo per te. Mi vergogno davvero tanto, anche a ripensarci adesso, di averti spiato... Ma non avevo veramente il coraggio di uscire da dietro le tribune e venire più vicino. Avevo paura di interrom-''

-Si vabbè, tutte ste' smancerie da primo mestruo saltiamole pure!- Victor iniziava davvero ad agitarsi, l'ambiente intorno a lui era improvvisamente diventato troppo affollato e quella folla di mormorii e occhiatacce lo stavano seriamente turbando. Cercò con lo sguardo quel ragazzo di cui nemmeno sapeva il nome ma che probabilmente stava vivendo in quel momento il suo stesso inferno, trovandolo esattamente nella stessa posizione rannicchiata con la faccia nascosta tra le mani.

Iniziò a sentirsi male anche per lui. Avrebbe voluto dire a Yuri di smetterla, di fermasi, ma la sua gola era completamente secca e la sua bocca sigillata, mentre le mani non volevano saperne di staccarsi dalla tracolla.

- “amore della mia vita”, “occhi d’argento” bla bla bla... Oh, oh! Ecco ecco, sta’ a sentire qui eh!-

''La tua sola esistenza suscita in me i più bei pensieri'' e bla bla bla...''Sei la primavera nel mio cuore'' e di nuovo bla... oh, ecco qui! ''E anche se so che tu non potresti rispondermi, non mi importa, perché nel mio cuore io riesco ad amarti lo stesso, perché tu sei come la neve , che è silenziosa quando cade ma viene ugualmente contemplata da tutt-''

-Mollami suino!-

Senza che lui se ne rendesse minimamente conto, il ragazzo giapponese era saltato letteralmente addosso a suo cugino, ponendo fine a quella pubblica esecuzione e rovinando a terra entrambi, in un tripudio di calci e pugni scoordinati e urla isteriche di Yuri. Victor arretrò di qualche passo, mentre un gruppo di studenti evidentemente esasperato dalla situazione cercava di dividere quel groviglio umano formatosi sul pavimento.

E il professore, in ritardo di almeno mezz'ora, scelse proprio quel momento per entrare. - Ma insomma! Si può sapere cosa sta succedendo? Signor Nikiforov, conosce questi due individui? -.

E la risposta, che non giunse mai, parve irritarlo ancora ulteriormente. - Insomma, Signor Nikiforov?! -.

Fu proprio in quel momento che il ragazzo corvino riuscì ad afferrare un lembo della lettera azzurra, levandosi in piedi e tirandolo verso di sé e strappandola tra le mani di Yuri che non demordeva a lasciare la presa. Il ragazzo guardò quel lembo rovinato con gli occhi spalancati e gli occhiali storti sul naso, prima di alzare lo sguardo e farlo combaciare col suo. Per un lungo secondo, riuscì a rispecchiarsi in quei grandi occhi scuri e umidi, prima che il ragazzo si voltasse di scatto e corresse fuori dall'aula, lasciando cadere qual lembo di lettera azzurra e cessando quel pietoso spettacolo creatosi. Nell'aula cadde un silenzio pesante, mentre lui continuava a fissare con sguardo perso il punto in cui il ragazzo giapponese era sparito.

Solo in quel momento Yuri, levandosi in piedi, parve rendersi conto dell'autentico casino che la sua venuta improvvisa aveva comportato. - Victor... -.

Non gli rispose, continuando a tenere gli occhi puntati verso la porta. - Oddio Victor, scusami io… -.

Si sentì scuotere per un braccio e poi trascinare in avanti, mentre i sussurii intorno a lui diventavano sempre più distanti e si ritrovò a varcare quella stessa porta che aveva fissato tanto insistentemente da quando il ragazzo giapponese era corso via. Solo quando fu abbastanza lucido da rendersi contro di essere ormai in un corridoio tranquillo e deserto, con Yuri con le braccia strette intorno a lui e il viso premuto contro il suo petto a pigolare scuse, spostò l'attenzione su suo cugino e la sua gola si decise a dar voce a uno dei mille pensieri che gli affollavano la mente.

- Yuri... Mi devi delle spiegazioni -.


 

Yuuri si aggrappò alle sbarre di ferro del cancello del college come se fossero l'unica cosa al mondo a garantirgli una stabilità sicura così da non crollare a terra, tanto forti erano i tremiti che lo scuotevano. Erano incredibilmente fredde contro la pelle nuda delle sue mani, ma quel contatto fu utile per farlo tornare in sé quel poco che serviva perché si imponesse di fare respiri profondi. Ma fu tutto inutile dal momento che, a metà dell'inspirazione, un singhiozzo si sollevò dalla sua gola, vanificando ogni suo buon proposito di calmarsi. Continuava a vorticargli in testa l’immagine nitida dei sussurri di quella massa informe di studenti e l'espressione spaesata di Victor si mischiava agli urli di Yuri, formando un’unica e persistente accusa contro se stesso. Aveva appeno coinvolto in una situazione scomoda una persona traumatizzata dal malessere, aveva buttato all'aria tutte le speranze e aspettative che aveva tanto coltivato in quegli ultimi tempi e aveva scavato un divario oramai incolmabile tra sé e il ragazzo. Sentiva le lacrime scivolare lungo il naso senza farci veramente caso, nemmeno mentre le fissava infrangersi in parte contro le sue lenti e in parte a terra. Si chiese se sarebbe mai potuto scendere più in basso di cosi, deludere di più se stesso e chiunque si aspettasse una qualunque cosa da lui. Sicuramente, non lo avrebbe mai perdonato, non gli avrebbe concesso una seconda possibilità. Non avrebbe potuto nemmeno più osservare da lontano Victor Nikiforov.

La voce nella sua testa era talmente persistente che non si accorse della presenza alle sue spalle finché quest’ultima non gli poggiò incerta una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare e voltare di scatto. Davanti a lui, Victor teneva la mano ancora sollevata e aveva il viso corrucciato in un espressione cauta quanto curiosa. Spalancò occhi e bocca in contemporanea, sentendo il viso avvampare e gli occhiali scivolare sul naso bagnato. Quello che seguì fu un silenzio pregno di tensione, durante il quale gli occhiali di Yuuri scesero oltre la punta mentre la sua testa recepiva finalmente i segnali visivi che le indirizzavano gli occhi.

- V-Victor... io non... so come… - al diavolo il russo, non sapeva prendere da mangiare in quella lingua, figurarsi chiedere perdono dopo una figura del genere.

- Mi dispiace! Non intendevo assolutamente fare... questo o farti sentire così o esporti in questo modo e tutto quello che è successo! In realtà ha fatto tutto tuo cugino ma, è colpa mia! Mi dispiace averti messo a disagio davanti all'intero corso e davvero non volevo! Volevo solo... parlarti e... sì, parlarti perché è da un po’ che ti vedo e ci penso ma lo so che beh... una… una conversazione potrebbe non essere il massimo e non so veramente come chiederti... - inspirò - Scusa. Con tutto me stesso -. Aveva le mani strette l’una nell’altra tanto da perderne la sensibilità, mentre abbassava il capo e serrava gli occhi dopo quella patetica esibizione in un inglese nemmeno qualificabile come tale.

Da parte sua, Victor tese nuovamente la mano che aveva tenuto sospesa durante tutto quel monologo di cui non poteva supporre di aver capito nemmeno un decimo, posandola stavolta tra gli spettinati capelli corvini del ragazzo più piccolo.

Yuuri sbarrò gli occhi di scatto alzando lievemente il capo, come timoroso di muoversi di un solo centimetro. Il viso delicato del ragazzo russo sembrava giusto appena corrucciato, mentre le labbra sottili erano curve in un sorriso leggero, dolce e comprensivo. Non sembrava arrabbiato, sembrava... stanco. E questo, al già provato cuore di Yuuri, fece ancora più male. Gli tornò alla mente quella volta in cui lo aveva visto di nascosto pattinare al palaghiaccio, libero come una rondine e raggiante come un firmamento. Avrebbe voluto rivederlo così, magari senza doversi nascondere, per potergli dire quanto fosse bravo ai suoi occhi. Avrebbe voluto risentire la sua risata limpida, ma questo non si sentiva in diritto di desiderarlo. Riaffiorarono le parole di Yuri, mentre gli diceva che Victor era muto selettivo poiché nella sua vita si era sentito, ed era stato fatto sentire, troppe volte fuori posto.

E mentre la sua mente elaborava tutto questo la sua mano, per la prima volta libera dall'ansia e dall'angoscia opprimente, andava a congiungersi con quella del ragazzo russo sul suo capo.


 

Yuri Plisetski non amava particolarmente le giornate soleggiate, ma doveva ammettere che dopo tanti giorni dal clima così rigido, quel tepore a San Pietroburgo non dispiaceva nemmeno a lui. O, per lo meno, non lo disgustava. Si sedette sui gradini d'ingresso del college, mentre con lo sguardo seguiva le figure di due ragazzi camminare vicini, uno in preda a chiacchiere lunghe quanto sconclusionate, l'altro che si limitava ad annuire col capo di tanto in tanto, senza però staccargli gli occhi di dosso. Disgustosi.

Sfilò il cellulare dalla tasca della giacca leopardata, e avviò la chiamata col primo, oltre che l’unico, numero selezionato nella categoria dei preferiti. Il destinatario rispose al terzo squillo.

''Yura'' freddo e diretto come sempre.

- Beka, non indovinerai mai cosa sto per dirti! -

Faceva sempre un po’ di fatica - non che lo avrebbe mai ammesso - a passare dalla modalità russo a giapponese, ma Otabek conosceva solo quest'ultimo o il kazako, e decisamente Yuri aveva scelto il più semplice da imparare per parlare con il suo -ti amo ma non aspettarti che te lo ridica- ragazzo.

''Ha a che vedere con tuo cugino e la pancetta nipponica?''

- Maledizione, si! Praticamente se lo porta a casa sempre, ci passa tutti i giorni, 24 ore su 24... Ha già un cane, a che gli serviva adottare un maiale? - Otabek non sembrava affatto scomposto dalle sue urla appena berciate. Questione di abitudine, probabilmente.

''Non capisco di cosa ti lamenti. Prima eri tanto preoccupato che passasse troppo tempo da solo, che si deprimesse e bla bla bla... Dovresti essere contento che abbia finalmente trovato un amico''

- Amico?! - berciò Yuri - Sono pienamente convinto che quella cotoletta grassa ambulante sia molto più attratta dal suo culo che dalla sua compagnia! Non capisci, li ho visti... pattinare. Abbracciati. E' stato davvero disgustoso - concluse sbuffando.

''Gli ha mai parlato?''

Yuri storse la bocca a quella domanda - Si... Lo ha fatto. A dire il vero, succede sempre più spesso e beh, su questo non posso lamentarmi – Senza volerlo, avvertì le labbra arricciarsi appena verso l'alto. - Si è anche messo a cantare, quando Maialotto gli ha detto che aveva una bella voce ma, Dio, è stonato come una campana! Credo che tra i cori della messa lacera-coglioni e il sabato-karaoke passato con loro due, sceglierei probabilmente i primi -.

Otabek lasciò correre quella raffinata uscita dell’altro. ''E pensare che due mesi fa sembrava assurdo che Victor gli si fosse avvicinato, dopo quella scenata in aula''

Yuri si scostò il ciuffo biondo dall'occhio con fare infastidito. - Ha sorpreso anche me, ma… - gettò un’occhiata alla tubante coppietta di colombe disgustosamente innamorate - Penso che Yuuri sia riuscito in qualche modo a fargli capire che voleva solo conoscerlo, non importunarlo. Alla fine sotto tutto quel lardo, è una persona gentile -. Quello che giunse dall'altra parte fu un inaspettato silenzio.

-Beka?-

''Yuri Plisetski, hai appena definito qualcuno “gentile” subito dopo averlo chiamato per nome'' commentò, nel tono solitamente distaccato vi era una percettibilissima nota di stupore. ''Non ci posso credere''.

Gli occhi gli Yuri Plisetski si spalancarono per un attimo e ringraziò mentalmente che non potesse vederlo mentre dalle labbra delicate sbocciava uno dei suoi famosi “vaffanculo”, prima di riattaccare rischiando di sfondare lo schermo del telefonino.

E comunque, poteva anche essere il nuovo fidanzatino di suo cugino, ma stava di fatto che quel Maialotto rimaneva allo stesso modo disgustoso!

 
 


Avviso: nessuno Yuuri è stato maltrattato per la stesura di questa storia
 

 

ANGOLINO AUTRICI

Noi siamo Scarlet e Pine, due socie che hanno tentato un esperimento che hanno AMATO ma NON RIPETERANNO, motivo per cui questa storia è stata pubblicata sul profilo di Scarlet, che tornerà presto nel fandom, mentre Pine ha deciso di dedicarsi a quelli di Bungo Stray Dogs e Naruto (e in quest’ultimo arriverà presto anche Scarl).
Tornando a questa fic: è nata come ''una piccola cosina innocente'' ed è
diventata un autentico parto trigemellare parecchio complesso... Soprattutto perché viviamo a mezza Italia di distanza e abbiamo entrambe due vite parecchio incasinate oltre ad essere mostruosamente pigre.
Ma alla fine, eccola qua! Come avevamo già detto, è una fic ispirata al cortometraggio di In a Heartbeat e qui probabilmente sorgeranno 2 domande:
- Che fine ha fatto il tenero cuoricino? Ehm, noi abbiamo Yurio! Non proprio tenero ma egualmente efficace. Adorabile, vero?
- Perché il mutismo selettivo? Potremmo dirvi perché essendo In a Heartbeat un cortometraggio muto, abbiamo deciso di impostare un personaggio in modo che il rapporto tra i protagonisti non si sviluppasse tramite parole ecc... In realtà Scarlet ama le tematiche delicate e ha costretto Pine. Che crudele.
Quindi, questo è il nostro figlio dolorosamente partorito! Speriamo di avervi strappato almeno un sorriso e sia stato di vostro gradimento, almeno quanto lo è stato per noi scriverla!

Confessioni di Scarlet: Mi sento come se avessi appena avuto il primo figlio: questa storia è la mia presentazione nel fandom, nel quale conto di tornare presto con una piccola omegaverse, ma... si vedrà! E' presto per un secondo genito! Ero molto nervosa a trattare una tematica delicata, avevo paura di screditare un disagio serio e reale e farlo scendere nell'irrealismo, cosa che in quest'ambito mi da molto fastidio. Scrivere tutto questo è stata davvero una vita a sè stante: mi è anche dispiaciuto maltrattare in questa maniera il povero Yuuri, anche se ammetto che mentre scrivevo ridevo come una matta. Yurio... no comment. La parte più difficile è stata sicuramente cercare tutti quel sinonimi di suino e derivati. Alla fine, l'unico personaggio vagamente normale è rimasto proprio Victor, e pensare che non dice nemmeno una parola (e forse ne è proprio questo il motivo). Ma il personaggio che mi ha motivata di più è stata la SuperSoba... non sarebbe storia senza la SuperSoba! Deliri a parte (altrimenti Pine mi scaraventa un Rasengan addosso)... spero che il lavoro mio e di Pine sia stato il giusto mix tra sensibilità e comicità! A presto, e grazie per essere arrivati fino in fondo a questa storiella tanto importante per noi!

Confessioni di Pine: allooooooooraaa… da dove cominciare? Beh, prima di tutto inizio col ringraziare la mia sodale che mi ha spronato a continuare questa oneshot e a non perdermi d’animo mentre io stavo già rannicchiandomi in un cantuccio di casa mia ad asciugarmi le lacrime con le pagine del dizionario di greco.

Poi ringrazio voi, pazienti lettori/lettrici, per essere giunti fino a questo punto e non aver scaraventato il computer, il cellulare o qualsiasi altro mezzo abbiate avuto a disposizione. Una delle domande che potrebbe stazionare come un peso morto nella vostra testa è: ma come diavolo hanno fatto ‘ste due tipe a tirare fuori da una cosa casta, semplice e pura come In a Heartbeat un tale concentrato di roba simile?

Io, a questa domanda, mi faccio prontamente da parte (*voce di Scarlet in lontananza* stai forse dicendo che è tutto colpa mia?! Risposta: forse). Sappiate solo che, se questa shot è riuscita anche solo a tirare un quarto di sorriso di quello che ha tirato a noi componendola, ne saremo immensamente felici.

 
 
   
 
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