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Autore: Urban BlackWolf    15/10/2017    4 recensioni
Inesorabilmente trascorse settimane da quella giornata di fine giugno, di Haruka e Michiru non si hanno più notizie. Le hanno cercate ovunque, interminabili ore passate tra le sponde di quel corso d'acqua quasi irriconoscibile, ma di loro non c’è più alcuna traccia.
Ma quando la speranza sembra ormai stata vinta dalla rassegnazione, un giovane dalla zazzera dorata e gli occhi verdi come i prati delle montagne ai quali appartiene, comparirà al servizio di una delle famiglie più in vista di Berna deciso a scoprire cosa realmente sia accaduto dopo quella maledetta sera.
-Sequel de: le trincee dei nostri cuori-
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Makoto/Morea, Michiru/Milena, Minako/Marta, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il caso non esiste

 

 

Comune di Locarno – Masseria Buonfronte

Svizzera meridionale

 

“Prego signor Tenou, vi farà bene.”

Sorridendo prima al bicchiere d’acquavite e poi alla donna che glielo aveva appena messo davanti, Haruka ringraziò con un cenno del capo tirandone su un paio di sorsi. Al bruciare del liquido nei polmoni inalò ossigeno cercando di trattenere un colpo di tosse.

Appena aveva ricevuto la notizia della morte della ragazza che i Buonfronte avevano salvato dal FullerGraft Fluss si era sentita sprofondare rapidamente nello scoramento più profondo, cedendo a quel risucchio depressivo che sapeva di avere dietro alle spalle dal distacco con Michiru e che sentiva sempre pronto a ghermirla ad ogni passo falso. Quel buco nero nato non appena aveva riaperto gli occhi distesa su di un letto sconosciuto, davanti a persone estranee prodighe nel medicarle un corpo martoriato da mille lacerazioni, fisiche ed emozionali e che l’aveva seguita ovunque, da Altdorf a Berna, da Bellinzona a quella masseria isolata in una campagna come tante. Ora l’aveva catturata e la bionda ne avvertiva la negatività ad ogni respiro o battito del cuore, sapendo intimamente che per continuare a sopravvivere avrebbe dovuto accettarne la compagnia per tutto il resto della sua vita.

Quando dieci minuti dopo la sua fuga, Giovanna, seguita a poca distanza dai loro salvatori, l’aveva vista fare ritorno con passo lento e testa bassa, non aveva potuto far altro che stringerla notando quasi con spaventato stupore la sua compostezza.

“Tutto bene?” Le aveva detto sentendo la sua voce ovattata nell’orecchio premuto con forza sul cotone scuro della giacca.

“Scusa se ti ho lasciata sola Giovanna.” E non aveva aggiunto altro Haruka seguendola pedissequamente fino alla casa della famiglia Buonfronte.

Non avrebbe mai confessato a nessuno, tanto meno alla maggiore, quello che i suoi occhi avevano pianto e le sue labbra detto durante quel lasso di tempo.

“Non sono riuscita a mantenere la mia promessa amore mio. Non sono riuscita a trovarti.” Aveva confessato vinta alle prime stelle di quell’inizio di notte, crollando poi a sedere sul greto di quel piccolo torrente dalle acque canterine. Addosso un senso di colpa lacerante. Solo il sapere la sorella da sola con due perfetti sconosciuti l’aveva spinta a rialzarsi con fatica da quel suo giaciglio improvvisato in cui avrebbe voluto passare tutto il resto della sua esistenza. Lentamente aveva ripreso possesso degli occhi, sciacquandosi il viso ed asciugandosi con il suo fazzoletto per poi ricalcare i passi fino ad incontrare l’altra, con nel cuore la sola voglia di tornarsene immediatamente a casa.

“Bevetelo tutto. E’ forte, ma vi farà bene vedrete.” Insistette la moglie del capo famiglia permettendosi di sorridere ancora una volta a quel giovanotto dal cuore inconsolabile.

Ogni Buonfronte presente in quella stanza pur non conoscendo minimamente quel ragazzo ed il suo cuore ormai spezzato, aveva capito la profonda disperazione che stava trasparendo da ogni centimetro quadrato di quel bellissimo viso pallido di colpo più maturo, da quegli occhi ormai ostinatamente asciutti, da quei gesti lenti e quasi soppesati. E tutti rimanevano in silenzio come in attesa di un qualcosa, di una reazione, provando nel contempo a non disturbare quell’immagine dolce e normale di una sorella che cerca di consolare un fratello affranto.

Di fronte a quella situazione, a quell’interminabile serata, a quel viaggio ed al suo carico di speranza, Giovanna per prima non sapeva bene come comportarsi, scissa tra il doversi controllare in presenza di estranei e l’impellente necessità di stringersi quel cucciolo fiero al petto. Non poteva certo rivelare alla famiglia che li stava ospitando che quel ragazzone biondo vestito di tutto punto da giovane signore di città in realtà fosse una donna al limite della frattura, che stava soffrendo per la perdita del suo amore; la ragazza che quelle stesse persone tre mesi prima aveva estratto dal fango e dall’acqua. Ed allo stesso tempo doveva cercare con tutto il tatto possibile di chiedere cosa ne fosse stato realmente di Michiru.

“Siete gentili a volerci ospitare per la notte, ma non vorremmo arrecarvi ulteriore disturbo signore.” Disse ad un certo punto cercando di spostare l’attenzione da Haruka.

“Nessun disturbo signorina, per carità. Purtroppo dall’entrata in guerra del Regno d’Italia le strade, come avete visto da voi, non sono più molto sicure, perciò è meglio che rimaniate. Domani mattina manderò mio figlio alla locanda per prendere i vostri bagagli.”

“Grazie, ma non credo ci fermeremo ancora. - Una rapida occhiata alla sorella sempre immobile seduta sulla sedia del tavolo del tinello. - Mio fratello Jo ed io siamo venuti qui solo per cercare la vostra famiglia, ma ora che abbiamo saputo quello che dovevamo sapere non v’è più motivo per restare.” Concluse stirando le labbra mentre l’uomo le faceva cenno di sedersi sul divano.

“Questo me lo avete detto anche prima, ma non ho ben capito il perché della vostra ricerca e cosa c’entri la mia famiglia.”

“Dunque, noi…”

“Signore si dice che dopo il crollo della diga di FullerGraft voi abbiate salvato una ragazza dalle acque? E’ vero?” Intervenne piatta la bionda staccando finalmente gli occhi dal liquido trasparente per immergerli in quelli altrettanto chiari dell’uomo.

“Si… è vero. Ma a voi cosa dovrebbe interessare?”

“Si da il caso che io stia cercando delle informazioni su questa ragazza per conto della sua famiglia.”

“Mmmm…. Capisco.” E sospirando andò a sedersi accanto a Giovanna iniziando a preparare il tabacco per la pipa.

“Dunque quel ruba galline ci aveva detto il vero.”

“Si, signorina Tenou. Immagino di si. Non potete sapere quanto queste voci mi diano fastidio. Quel giorno mio fratello ed io facemmo solo ciò che andava fatto.” Accese un fiammifero continuando.

“Alla fine di questo giugno la mia famiglia ha ricevuto una serie di schiaffi dal cielo da non augurarli neanche a quel… ruba galline, come lo avete chiamato voi, ed ammetto che l’unica gioia sia stata trovare quella povera figliola ancora in vita.”

Haruka poggiò allora i palmi sul legno del pianale alzandosi faticosamente. Estraendo la foto di Michiru dalla tasca interna della giacca si avvicinò all’uomo mostrandogliela..

Quelle enormi mani callose ne strinsero i bordi e dopo qualche secondo sorridendo le fece un cenno di soddisfazione. “Non potrei scordarmi di questo viso neanche se fosse Dio in persona ad impormelo.”

“Carlo non bestemmiare!” Lo riprese la moglie esortandolo poi a proseguire.

“Ricordo ogni istante di quelle ore. Io, mio fratello e mio figlio Giacomo eravamo andati nei campi molto prima del solito. Il semolato stava crescendo bene e con la guerra il prezzo al quintale sarebbe lievitato a dismisura. Non potevamo permetterci di fermarci e così avevamo preso a lavorare come bestie ogni giorni più del precedente. La sera che la diga venne giù staccammo tardi come al solito e quando finalmente stavamo facendo ritorno incontrammo mia figlia Milena abbastanza alterata. - Rise al ricordo della sua ragazza sempre pronta a mettere in riga tutti gli uomini della famiglia. - Di norma passavo io a prendere l’asino e le due vacche al greto del fiume, ma quel giorno ero stanco e lasciai che fosse lei a farlo per mio conto. Non badai al fatto che fosse arrabbiata, ne che si fosse fatto tremendamente tardi, ne che avrei dovuto comunque accompagnarla. Se avessi saputo cosa di li a breve sarebbe accaduto, vi assicuro che non l’avrei mai lasciata andare.”

“Dunque avete una figlia signor Carlo.” Chiese Giovanna titubante mentre Haruka tornava a sedersi.

“Avevo. Quando l’acqua colpì la mia casa eravamo già stati avvertiti di un possibile crollo da un gruppo di quattro ragazze a cavallo. - Guardando prima Giovanna poi Haruka l’uomo continuò dimenticando la pipa nel palmo. - Se non fosse stato per loro saremmo morti tutti.”

“Michiru.” Soffiò la bionda e la donna ferma in piedi accanto a lei sorrise. “Allora è questo il suo vero nome. Hai sentito Carlo?!”

“Michiru?” Ripeté lui tornando a guardare la foto dimenticata tra le dita dell’altra mano.

“Si signore… Michiru Kaiou.” Confermò Giovanna.

“E’ un bellissimo nome… E’ merito delle sue accorate parole se ci siamo convinti a raggiungere i pendii prima del crollo. Tutti tranne la mia povera Milena. Di lei non abbiamo saputo più nulla. Con molta probabilità il suo corpo è stato portato a valle perdendosi nel nulla come è successo a molti altri.”

La donna intervenne continuando quello che il marito si stava sforzando di dire. “Fu proprio mentre Carlo e Giacomo stavano cercando Milena che trovarono la vostra Michiru. Ferita ed incosciente, ma viva.”

“La portammo in una fattoria più a monte, dove l’acqua non era arrivata e dove si erano concentrati gran parte degli abitanti della zona. Era sporca di fango e sangue dalla testa ai piedi e solo dopo averle pulito il viso fummo in grado di riconoscerla. Era la ragazza che ci aveva avvertito di una possibile inondazione, che aveva fatto si che gran parte della mia famiglia potesse salvarsi.”

“L'uomo che ha detto di avere notizie su di lei e che poi ha tentato di derubarci, ci ha detto che…”

“Che è morta.” Concluse gelida Haruka guardandolo freddamente. Pronta a ricevere l’ennesima pugnalata strinse la mascella attendendo.

“In realtà no, o almeno è rimasta in vita sino a quando la squadra medica messa a disposizione dal cantone bernese non l’ha portata via. Io non so cosa le sia accaduto dopo, certo è che la ferita alla tempia che aveva era molto profonda.”

“E dove l’avrebbero portata?” Chiese Giovanna accesa di speranza subito repressa dalla sorella.

“Che importanza credi che abbia? Non pensi che in questi mesi il signor Kaiou non abbia già fatto battere a tappeto ogni singola struttura ospedaliera della Svizzera centro settentrionale?!”

Il silenzio si posò su quella stanza prima calda ed accogliente, portando freddo e grigiore. Giovanna sospirò scuotendo la testa. Con molta probabilità era stata la prima azione di ricerca messa in campo da quell’uomo.

“Hai ragione…”

“In realtà, forse una spiegazione del perché il signor Kaiou non sia riuscito ad avere notizie sulla figlia potrebbe essere nel fatto che… Io sia dannato. Mi vergogno di me stesso, ma in quel momento ho creduto davvero fosse la cosa più giusta da fare.” Lasciando la pipa sul tavolino accanto al bracciolo il signor Buonfronte si piazzò la mano sulla fronte continuando a guardare la fotografia.

“Nei tre giorni nei quali Michiru rimase con noi riuscì ad aprire gli occhi soltanto una volta pronunciando flebilmente qualche sillaba incoerente. Un nome di donna e una parola; padre. - Alzandosi dal divano riconsegnò la foto ad Haruka. - Sono stato un egoista. Solo qualche giorno più tardi ho razionalizzato di aver commesso un’enorme sciocchezza, ma ormai il danno era fatto. Avevo appena perso mia figlia ed in cuor mio sapevo che per nessun’altra ragazza sarei stato più un padre e così quando la squadra medica mi ha chiesto le sue generalità io ho detto che si trattava di Milena. Milena Buonfronte. Mi è venuto naturale, come se così facendo la mia ragazza potesse ancora esserlo, non pensando che se la famiglia di quella poveretta l’avesse cercata non l’avrebbe mai potuta trovare. In qualunque struttura sia stata accolta è con quel nome che è stata registrata. Fosse uno spedale o un… obitorio.”

“Ecco perché non l’hanno trovata!” Esplose Giovanna euforica.

“Questo non vuol dire che sia ancora viva.” Tagliò ferale una bionda completamente svuotata di ogni stilla d’energia.

Non ne poteva più. La sorpresa di sapere che l’identità di Michiru fosse cambiata, un po’ come la sua d'altronde, rappresentava senza dubbio una boccata d'ossigeno, ma in tutta franchezza Haruka avrebbe preferito cento mila volte sapere subito, qualunque verdetto fosse stato, invece che trascinarsi stancamente per altri giorni, settimane forse, in giro per il paese alla ricerca di una specie di fantasma. Si sentiva ormai arida come una lampada senza il suo olio da bruciare. La sua fiamma si era estinta.

“Scusate.” Disse la bionda sentendo la necessità di uscire.

Haruka. Giovanna inalò pesantemente alzandosi a sua volta. Quelle persone erano state gentilissime ed avevano salvato la loro Michiru. Non si meritavano di essere trattati così maleducatamente.

Uscendo non prima di aver chiesto al signor Buonfronte una cosa, la vide camminare lentamente verso il ponticello del torrente e correndo la raggiunse.

“Ruka si può sapere che diamine stai facendo?! - Ma l’altra continuò costringendola ad aumentare il passo per bloccarle un braccio. - Ti fermi miseriaccia!”

“E lasciami!” Scattò ancora più bruscamente di un’ora prima.

“Perché ti stai comportando così?”

“Perché sto avendo una crisi di nervi Giovanna e dato che non sono libera di urlare o prendere a pugni un albero, se non vuoi che esploda davanti a quelle brave persone lasciami in pace!” Arpionandosi i fianchi iniziò a camminare in tondo calciando sassi e zolle di terra, inveendo contro tutto e tutti.

“Con chi ce l’hai?”

“Con quello sciacallo di Patrizio Bentivoglio e il suo calpestare allegramente i sentimenti degli altri per puro guadagno, con quel bastardo di Kurzh e… e se lo vuoi sapere anche con te che non me lo hai fatto ammazzare quando potevo!”

Guardandola, l’altra la imitò posando i palmi alla vita. “Ah… E allora prendimi a pugni e facciamola finita.”

“Non stuzzicarmi Giovanna.” Minacciò alzandole l’indice della destra davanti al naso.

Afferrandoglielo con la mano la maggiore lo strinse scuotendo la testa. “Non capisco. E’ viva porcaccia la miseria! La tua Michiru è viva e…”

“Non è detto che lo sia!” Nascondendo il viso in una mano chinò la testa sentendosi gli occhi umidi.

“Perché dici così?!"

“Perché sono passati tre mesi Giò ed in questo lasso di tempo lei non si è fatta viva ne con la sua famiglia, ne tanto meno con me. E la cosa assurda è che abbia più paura nel saperla malata o impossibilitata a tornare a casa, che nell'immaginarla riposare in pace sotto qualche lapide con l’epitaffio Milena Buonfronte.”

Giovanna capì. L’amore che sua sorella provava per quella ragazza era talmente elevato che il solo pensiero di saperla sofferente come era stata lei nel periodo dopo il crollo, le metteva addosso un senso d’impotenza quasi ingestibile.

Posandole una mano sul collo la maggiore sorrise iniziando ad accarezzarle la base della nuca. “Lo vuoi sapere qual è stato il nome che Michiru ha pronunciato?”

E ad un assenso l’altra disse un semplice “Haruka.”

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 23/9/1915

 

Fermandosi davanti al grande albero dov’era solito trovare rifugio dal resto del mondo, Michiru sospirò vistosamente stizzita. Non era neanche li. E si che aveva cercato in tutti gli anfratti a lei noti, tutti i nascondigli ed i posti che quel piccolo diavolo biondo riteneva segreti e che lei invece conosceva benissimo. Dov’era finito? Possibile che la notte precedente fosse stata per Sigmund tanto psicologicamente pesante? Eppure la Dottoressa Maiou aveva minimizzato glissando all’infinità di domande che Michiru era riuscita a porle prima dell’inizio delle visite mattutine in corsia.

Non sapendo più dove cercare la ragazza riprese a camminare con passo riflessivo. La quietezza spesso dimostrata dal giovane medico non la convinceva, non le piaceva, forse perché troppo simile alla sua e perciò spesso e volentieri solo pericolosa apparenza. Fermandosi Michiru sorrise di se stessa. Forse sarebbe stato meglio dire troppo simile a quella che credeva fosse sua, si perché, ora come ora, di se stessa non conosceva praticamente nulla.

Sfiorandosi la pelle nuda del braccio con la mano tornò a camminare ricercando sulla peluria le sensazioni tattili che i sogni notturni le avevano lasciato addosso.

Milena..., davvero credi sia giusto restare in uno stato di limbo per tutto il resto della tua vita? Si disse alzando gli occhi al cielo terso di quella fine di settembre dove le fronde ormai ingiallite si stagliavano contro i raggi del sole mattutino.

Ma poi sarà questo il mio vero nome? Continuando a massaggiarsi il braccio calpestando l’erba via via sempre più alta di quella zona del parco che di norma non era solita frequentare, continuò a dialogare con se stessa.

Quel nome; Milena Buonfronte, non le aveva mai suscitato nulla, ne un fremito d’orgoglio, ne un ricordo, ne una sensazione positiva o negativa che fosse. Il nulla e proprio come se fosse appartenuto ad un’altra persona, a volte nel sentirlo pronunciare, avvertiva fin nel profondo solo un senso di disagio. Ecco, se di emozioni si doveva parlare, quello del disagio era l’unico che sentiva di provare verso quel nome e più i giorni scorrevano ed il suo fisico tornava a rafforzarsi e più l'imbarazzo cresceva. E poi c’era lui, quel ragazzo sceso in lei con tanta intimità da lasciarla sconcertata ogni qual volta aveva occasione di ripensare a quei fili d’oro.

Davvero non vuoi ricordare chi fosse? Tornò a domandarsi chinando il capo vinta da un leggero rossore. Forse la Dottoressa Maiou aveva sempre avuto ragione; forse aveva realmente paura di ricordare chi fosse quel ragazzo e per questo il suo corpo si ribellava ad ogni immagine ritrovata e poi persa, ad ogni sensazione, a qualsiasi notizia che inizialmente Makoto e Minako avevano provato a darle.

Ma se realmente fosse così, perché!? Perché avrei tanta paura di sapere?

Fermandosi ed afferrando il fazzoletto custodito nella tasca destra lo estrasse guardandone il contenuto. E si, il colore della capigliatura di quell’angelo sognato era proprio quello. Allora potresti non essere solo il frutto della mia perversa e castrante fantasia amorosa, pensò alzando il ciuffo all’altezza del viso stringendolo delicatamente tra il pollice e l’indice. Se non avesse avuto quella sorta di talismano non avrebbe neanche preso in considerazione la cosa.

Basterebbe che io mi raffrontassi con la signorina Aino o seguissi le indicazioni della Dottoressa Meiou e tutta questa nebbia sparirebbe. Si… sparirebbe ed io sarei nuovamente libera di essere me stessa. Facendo dietro front decisa forse per la prima volta da quando era stata ricoverata, Michiru fece qualche passo fermandosi però dopo pochissimi metri colta da una stilettata dolorosa proveniente dai tessuti sotto la ferita alla tempia. Bloccando il respiro per una frazione di secondo si sentì colpita da un latente senso d’angoscia. Stringendo il fazzoletto in entrambe le mani iniziò a provare crescente paura. Così tutta la sua grandiosa baldanza era già finita? Poi vide una camicia azzurra muoversi tra le fronde e riponendo il suo tesoro nella tasca la seguì immediatamente immergendosi tra il verde di un piccolo canneto.

“Secondo te cosa sta provando Michiru in questo momento?” Con la sorella stretta all’avambraccio Wolfgang vide la ragazza sparire dietro a delle alte canne.

“Chiamala Milena, Wolf. Non vorrei che te ne uscissi involontariamente quando meno te lo aspetti.”
“Non sono stupido Mina.” Disse tornando a passeggiare pere fare esercizio. Le dimissioni erano ormai prossime.

“Non dico questo. E’ solo che sapendo quale realmente sia il suo nome, io per prima faccio sempre un’enorme fatica a controllarmi le rare volte che riesco a scambiare quattro chiacchiere con lei senza scatenarle dolorosi mal di testa.” Stringendo le labbra la biondina incatenò i suoi occhi chiari in quelli tanto simili del fratello maggiore.

Era il suo cruccio, un dispiacere enorme per Minako non poter dialogare con Michiru com’erano solite fare al San Giovanni senza arrecarle danno o involontari scombussolamenti d’umore.

“Continua ad averne?” Chiese lui sentendosi guardato con sospetto.

“Ma come fratellino, dovresti saperlo no? Passi con lei gran parte delle giornate.”

“O suvvia Minako. Questo non è vero!”

Storcendo la bocca la ragazza puntò gli occhi in terra ribadendo un concetto per lei fondamentale. “Lo sai che Michiru ha il cuore occupato da un’altra persona Wolf e finché non avrà ricordato ed accettato quella perdita non credo sarà in grado di amare ancora.”

“Lo so, lo so, me lo stai ripetendo da settimane. Come io ti ho detto che per lei provo solo una forte simpatia. Comunque…” Si fermò guardandola.

“Comunque?”

“Comunque è un vero peccato. Tu e la signorina Makoto siete realmente sicure che il ragazzo che Michiru ama sia realmente morto nel crollo della diga?”

Tornando a camminare Mina alzò le spalle dissimulando una certa dose d’imbarazzo. Aveva accennato al fratello come l’amore della sua ex insegnante fosse stato una giovane ed affascinante guida alpina dallo spirito indomito e gli occhi di un verde mozzafiato, glissando pero' sul suo sesso e lasciandogli di fatto credere che fosse un uomo. Non era affatto sicura che il suo Wolfgang avrebbe capito.

Vedendola intristita la scosse solleticandole un braccio. “Ehi sorellina, che c’è?”

“Nulla, stavo solo pensando.

“Non è che sotto sotto piacesse anche a te quel tipo?” Chiese punzecchiandola con ilarità.

“O smettila!” Perché poi, non era vero?

Minako aveva sempre adorato Haruka, in ogni sua sfaccettatura caratteriale, anche la più odiosa ed arrogante, non arrivando a provare per lei quello che sentiva Michiru, certo, ma volendole comunque bene come ad una buona amica o una sorella maggiore e si sentiva male ogni volta pensava alla sua fine.

“Mina... Com’era il loro amore?” Chiese a bruciapelo quel fratello di colpo stranamente curioso.

“Bello e forte. Divampato in un istante e destinato a durare per sempre.”

E si che Haruka si era opposta con tutta se stessa all’attrazione che fin da subito aveva provato per Michiru, ostinatamente, con caparbietà, scappando ad ogni occasione come un cucciolo impaurito dallo scoppio di un tuono.

“Si, bello e forte Wolfgang. Erano proprio due anime fatte per stare insieme.” Ribadì chiudendo gli occhi al tepore dei raggi solari.

 

“Perché non te ne vai?!”

“Perché non vieni con me?” Rispose porgendogli la mano.

“Perché non mi va. Voglio stare da solo!”

“Nessuno dovrebbe stare da solo se non si sente bene Sigi.”

“Io mi sento benissimo. Sei tu che ieri hai avuto un mancamento.”

Ma che impertinenza. L’educazione di quel ragazzino vacillava ogni giorno di più e Michiru iniziava a sentirsi francamente stanca di dover lasciar correre ogni santissima volta che sentiva pruderle il palmo della destra. Cercando di distogliere lo sguardo dal viscidume prodotto da minuscole creaturine acquatiche sguazzanti sotto di lei, provò a farlo ragionare.

“Ormai credo che tu mi conosca abbastanza bene da sapere che non mi arrenderò per tanto poco… Sigmund.” Disse decisa stando in bilico tra la melma dell’acquitrino nato dalle ultime piogge e l’ammasso di rocce dove si era rannicchiato per nascondersi.

“La Dottoressa Setsuna mi ha chiesto di cercarti perché vorrebbe parlarti di quello che è successo ieri sera. - Lo sentì grugnire proseguendo. - Cos’è successo ieri sera Sigi?”

“Siamo stati aggrediti dal ladro, ecco tutto.”

“Non dico quello. Ormai lo sa tutto l’ospedale e lascia che ti dica che sei stato molto coraggioso. Sto parlando di quello che è accaduto dopo. Pare che tu abbia avuto una specie di crisi isterica che ti ha portato a piangere per gran parte della notte.”

Incrociando le braccia al petto lui distolse lo sguardo. Una crisi isterica! Non era certo una femmina!

“Allora se già lo sai, perché diavolo me lo chiedi!” Esplose venendo però immediatamente ripreso.

“Non essere insolente e non ti permettere di parlarmi con questo tono!”

“Non sei mia madre Milena e perciò ti parlo come mi pare!”

Michiru aveva sempre avuto un carattere forte e deciso e quello nessuna perdita di memoria poteva oscurarlo. Ormai arrivata al colmo dell’otre della pazienza, facendo leva sui palmi delle mani tornò ben salda sulle gambe girando i tacchi decisa a non concedergli più ulteriore spazio.

“Sai cosa ti dico? Ma fai un po’ come ti pare! Ho anche io la mia bella dose di problemi senza che la tua imbecille cocciutaggine mi seghi ulteriormente la calma.”

Lasciando che la gonna frusciasse tra le erbacce ed i rami bassi degli arbusti, la ragazza iniziò a camminare decisa a non farsi più coinvolgere, quando avvertì nella mano sinistra il calore di quella di un piccolo teutone pentito. Michiru si fermò fissandolo severa mentre lui continuava a tenere la testa bassa come un cane finalmente messo in riga da un padrone stanco. Non concedendogli la ben che minima indulgenza, lei tornò a guardare avanti incamminandosi verso il viottolo battuto che li avrebbe riportati alla struttura principale. Da li a breve Sigmund avrebbe dovuto rapportarsi con un’altra donna; la Dottoressa Setsuna Meiou.

 

 

Tratta ferroviaria Bellinzona, Locarno - Bellinzona

Svizzera meridionale

 

Haruka aprì la cartina posandola sul tavolinetto agganciato alla porta di accesso del loro vagone. Matita alla mano Giovanna si sedette accanto a lei iniziando ad osservare con cura valli e crinali. La prima cosa da tenere a mente era che il territorio da setacciare in cerca della signorina Buonfronte non avrebbe incluso la Svizzera meridionale. Essendo troppo vicini ai confini con il Regno d’Italia, gran parte del Ticino ad oriente e quello Vallese a occidente, potevano essere accantonati. Ma rimaneva pur sempre tutta la parte centro settentrionale della Confederazione e per non rischiare di girare a vuoto e spendere ulteriori energie nervose, le due ragazze avrebbero dovuto essere estremamente razionali.

“Dunque… Dobbiamo decidere se andare verso Berna o verso Zurigo.” Disse Giovanna ringraziando il cielo che di strutture ospedaliere non ve ne fossero troppe.

“Punterei verso Berna. Ricordi che il signor Carlo ci ha detto che la squadra medica che ha portato via Michiru era bernese?”

“Sono stupita! Allora mentre stavi piangendoti addosso hai anche avuto modo di prendere appunti mentali. E brava la mia sorellina.” Sogghignò dandole una leggera spallata cercando di sdrammatizzare. Dopo una buona notte di sonno, Haruka sembrava tornata più vitale e propositiva.

“Stupida. E’ stato solo un momento di debolezza. Non sono solita piangere e lo sai! Comunque a parte gli scherzi, prima di iniziare a girare per case di cura ed ospizi vari, vorrei passare dai Kaiou per aggiornarli sulle ultime scoperte”

“Certo, così facendo riaccenderesti in loro una grande speranza, ma poi ho la paura che vorrebbero proseguire da soli le ricerche o quanto meno aiutarci.”

“E allora? Tanto meglio. Faremo prima.”

“Non direi Ruka. Pensaci… Se come speriamo dovessimo trovare Michiru, sarebbe veramente il caso di avere i suoi genitori presenti?”

La bionda la guardò socchiudendo gli occhi ancora leggermente gonfi.

“Pensaci…”

“Ci sto pensando, ma non capisco Giovanna!”

“Chi sei tu per loro?” Chiese neanche stesse leggendo un paragrafo scritto da sir Arthur Conan Doille.

“Giovanni Tenou.”

“E per la figlia?”

“Haruk… O… Porca puttana….”

“Ecco, adesso che hai afferrato quello che intendevo dire sei ancora sicura di volerli con noi?” Chiese ritornando a studiare i dintorni di Berna.

“Dovrò almeno fargli recapitare una missiva sullo stato di avanzamento delle ricerche. Gliela farò consegnare da un fattorino postale quando saremo arrivate in città e nel suo contenuto eviterò di menzionare troppi dettagli.”

“Credo che questa sia un’eccellente idea. Pensa quanto saranno entusiasti.” Poi un nome di un paese a qualche chilometro dalla capitale catturò l’attenzione di Giovanna. Muhleberg e un ricordo la colpì. Non era li che si erano dirette Minako e Makoto e dove anche lei avrebbe dovuto seguirle?

“E’ curioso. Pensa il caso se Michiru fosse stata ricoverata proprio nella stessa struttura del fratello di Mina.”

Haruka sorrise e questa volta con convinzione. “Giò, il caso non esiste.”

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Scusate il leggero ritardo con il quale pubblico.

Allora, scoperto l’arcano della doppia identità della nostra Kaiou, Haruka, non senza prima dare naturali cenni di cedimento strutturale, sta ora puntando dritto dritto sullo spedale di Muhleberg. Adesso, io non so ancora bene come e quando si rincontreranno, ma so per certo che Michiru non potrà certo avere la magica apparizione del suo angelo e riappropriarsi in un batter d’occhio della memoria perduta senza rischiare di avere uno shock, perciò dovrò pensarci su bene.

Con molta probabilità avrò bisogno anche io di avvicinarmi all’evento in maniera, come dire, soft, perciò abbiate ancora un po’ di pazienza ok?!

Per adesso vi auguro buona lettura e spero che questo capitolo Vi sia piaciuto.

Ciauuu

 

 

   
 
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