Ciò
che mi hai dato
Non riusciva
nemmeno a trovare la forza per guardarla. Quando lui, Hanji e Levi
arrivarono al fuoco attorno cui s'erano radunati tutti per la cena, non
erano rimasti che pochi posti. Eren si sedette quasi dall'altro lato
del cerchio, lontano da lei, da Armin, dalle chiaccherare allegro e
concitato degli altri. Ed evitò il suo sguardo,
perchè l'impercettibile sorriso che Mikasa gli aveva rivolto
appena l'aveva visto, mentre infreddolita si stringeva fra sciarpa e
scialle di lana, gli bruciava in faccia come uno schiaffo.
Quando i suoi superiori gli avevano
descritto la sua missione, aveva accettato senza nemmeno pensarci; un
impulsivo e atono sì gli era scivolato dalle labbra,
mentre il nugolo nero di elucubrazioni che gli occupava la testa ormai
da anni si risvegliava, allungando i suoi grovigli al di là
di quell'oceano tanto agognato. Schiacciato da quella sensazione di
impotenza che sempre più spesso lo assaliva, qualcosa in lui
aveva deciso che, se finalmente quella era una possibilità, se la sarebbe tenuta stretta. In quell'istante, il pensiero di
poter scoprire cosa ci fosse al di là dell'inferno, della
disperazione, gli aveva fatto dimenticare quello che già
conosceva.
Lo congedarono e, quando pensavano
che ormai fosse troppo lontano per sentirli, Eren sentì
Hanji dire "Piangerà
finchè non le cadranno gli occhi e le si
staccherà il cuore dal petto", e il Caporale mormorare
qualcosa in risposta.
Si fermò, le suole come
inchiodate al terreno, incapace di fare un altro passo per
chissà quanto, mentre un nodo prendeva forma nella sua gola.
Gli aghi di pino scricchiolarono al passare dei due soldati.
"Non ci raggiungi?"
Eren allora mosse prima una gamba e
poi un'altra, meccanicamente, senza aver sentito davvero quello che gli
avevano chiesto, la frase della Comandante che gli rimbombava nelle
orecchie.
Piangerà
finchè non le cadranno gli occhi e le si
staccherà il cuore dal petto.
Pensò a lei, che lo
amava più di ogni altra cosa, domani più di oggi,
e lo aveva sempre fatto; lei che era quasi morta per lui, che soltanto
la notte prima aveva stretto nuda fra le sue braccia, accarezzando ogni
centimetro di quel corpo pallido come la luna, sfiorando con rispetto
le sue cicatrici e baciando quella sullo zigomo, che lui stesso le
aveva procurato. Lei che gli dormiva addosso, il capo corvino poggiato
contro la sua spalla, serena e intoccabile per qualche ora soltanto.
Pensò a tutte le volte che lui l'aveva salvata, e a tutte le
volte che era stata lei a salvare lui. Riportò alla mente
l'immagine della sciarpa rossa abbandonata ai piedi del loro giaciglio
improvvisato, ricordandosi di quella promessa fatta fra le lacrime e a
cui aveva mancato, con quel sì. E ancora
pensò, con cinque dita d'acciaio attorno al cuore, che no,
non la meritava.
"Ti
piace molto stare qui." La sua voce gli arrivò
insieme con una folata di vento che lo fece tremare da capo a piedi,
senza che però sentisse davvero freddo.
La
notte era silenziosa, illuminata solamente dalle stelle e dalla luna di
latte nel firmamento, che si specchiavano capovolte nel rigagnolo che
percorreva il canneto, appena prima di gettarsi nel mare. Le parole
della giovane donna risuonarono come tuoni, alle orecchie di Eren,
così come i passi di lei alle sue spalle, e il rumore delle
canne che si scostavano al passare del vento, aprendole il
cammino. Con la coda dell'occhio vide Mikasa accovacciarsi
accanto alla roccia grigia su cui era seduto. Guardava lontano, in
direzione della luce rossa del loro fuoco, spento in quel momento e
sostituito da un'alta colonna di fumo grigiastro, sporco.
"Non hai freddo?" gli chiese,
cominciandosi a slacciarsi lo scialle. "Hai questa maglia da
così tanto tempo..." Al contatto con la lana, calda e ruvida
sopra la stoffa consumata di quell'indumento che Mikasa stessa aveva
rammendato e riadattato innumerevoli volte, Eren trasalì, le
dita d'acciaio serrate nel suo petto. E lo stesso fece quando quelle
affusolate di lei gli scostarono i capelli dal viso, tenuto basso,
rivelando i suoi occhi lucidi.
"Eren." Stupore e preoccupazione le
uscirono con un soffio dalle labbra socchiuse, mentre correva a
sfiorargli la guancia, ruvida e cerea sotto la luce bianca. "Cosa
è successo?"
Lui si ritrasse. "Quante volte...
quante volte ti ho quasi fatta morire? Te, e Armin, e gli altri? E quanti ho ucciso?, perchè li ho
uccisi io, sono morti per me, li ho uccisi io." chiuse i pugni fino a
far sbiancare le nocche, con le mani che tremavano. Il suo respiro si
faceva più aritmico a ogni parola, togliendogli fiato mano a
mano che le accuse gettate su se stesso s'accumulavano. "E quando
invece ho rovinato tutto facendomi catturare come un fottuto
idiota? Quante volte ti ho lasciato così, a pensare se fossi
vivo o morto, mentre ti buttavi in prima linea per riportarmi indietro?
Per me eri... sei disposta a perdere tutto: la tua
stessa vita, la tua libertà, ogni cosa! E in dieci anni
non ti ho saputo dare nient'altro che il fiato della Morte sul collo,
ogni giorno di questa vita da soldato in cui ti ho trascinata
io!"
E alla fine pianse, nascondendosi
dietro la coltre scura dei capelli, per la prima volta in quelli che
ormai erano quattro anni; le lacrime tornarono a sgorgare bollenti dai
suoi occhi, le budella sembravano torcersi e annodarsi come grossi,
viscidi serpenti, e le dita d'acciaio sembravano infine determinate a
stritolargli il cuore. Avrebbe voluto gridare più forte,
come aveva fatto un tempo, quando era ancora l'ira a spingerlo a vivere
e a combattere. Ma era passato troppo tempo, e troppe cose aveva
scoperto che l'avevano cambiato senza che lui lo volesse.
Cadde in ginocchio accanto a lei, e
alzò finalmente lo sguardo sul suo viso, trovandolo cereo
più del suo. Sgomente e affrante, le iridi plumbee di lei lo
guardavano, trattenevano il respiro, in attesa che il corpo trovasse il
coraggio di andargli incontro, accarezzarlo, stringerlo e cullarlo,
senza il timore di romperlo al minimo tocco.
Eren si morse il labbro, prima di
ricordarsi quanto fosse pericoloso, le parole che ormai mancavano,
venivano meno, sormontate dai singhiozzi.
"Perchè sei ancora qui?
Un giorno morirò, e ti lascerò sola, ti
farò anche questo, e quando lo farò
forse... mi dispiace,
non ho mantenuto la mia promessa, io... Mikasa, io non ho fatto niente
per meritarti"
Tornò a raggomitolarsi
su se stesso, col volto contorto e arrossato rivolto alla terra sporca,
finchè una mano tremante non si poggiò sulla sua
schiena, scossa dai singulti.
"No, no." ripetè Mikasa.
"No, Eren, ascoltami, ti prego." Un sorriso amaro le si dipinse a
fatica sul viso, solo perchè lui lo vedesse. Il suo pollice
andò ad asciugargli le lacrime in bilico sugli occhi,
salvandole dal destino delle sorelle cadute come rugiada sull'erba. Si
avvicinò strisciando con le ginocchia, fino ad essergli
tanto vicina da far mescolare i loro respiri.
"Quella stessa libertà
che dici ho rischiato per te, me l'hai data tu stesso, proprio
dieci anni fa. Quando mi hai strappata alla Morte, alle fauci di una
vita da schiava. Dopo avermi resa libera, mi hai dato una famiglia una,
due volte... Un mondo intero, dalle tue mani alle mie. Ed è
quello che meriti in realtà. Non me, ma il mondo. E io ti
amo così tanto che morire per restituirtelo è una
scelta così
ovvia..."
Le si buttò al collo di
getto, stringendola forte fino a farla soffocare. Eren versò
le lacrime nell'incavo del collo niveo di lei, sporcandole la sciarpa e
la camicia ancora immacolata, senza che a nessuno dei due importasse
davvero. Avvolto fra le braccia di Mikasa che lo dondolava dolcemente
come il bambino ora morto che era stato, continuava a ripetere
febbrilmente la mia
promessa, mi dispiace...
"Va tutto bene, va tutto bene."
mentiva a entrambi, Mikasa, e lo sapeva, lo sapeva meglio di chiunque
altro. Ma strinse i denti, continuando quella nenia che andava a
sovrapporsi con quella di lui, inudibile nel pianto.
Passò poco
però, prima che il suo orecchio ne catturasse le sillabe.
Perse un battito. Ancora aggrappato alle sue maniche, Eren non
accennava a rallentare, calmarsi.
“Cosa vuoi dire? Eren,
cosa stai dicendo?" osò chiedere, covando timore per la
risposta.
Un gemito più alto degli
altri si levò nell'aria e, per un attimo, sembrò
stesse per crollarle fra le braccia, distrutto da uno strazio ancor
peggiore. Invece, Eren si paralizzò, e Mikasa con lui.
Dovette cavarsi lui stesso le
parole di gola, che uscirono incerte e maciullate dalla sua bocca
tremula. Glielo disse, infine, e al solo suono di quelle parole vide il
viso di lei mutarsi in una smorfia di dolore.
"Dimmi che non l'hai
fatto, dimmi che non
hai detto di sì." trattenne la voce, o almeno ci
provò, mentre sentiva la terra mancarle sotto i
piedi. Non c'erano filtri, nessun velo di finta freddezza a
coprirla, solo lei che lo guardava dritto in faccia,
incredula.
Eren annuì, colpevole,
allontanandosi da lei. Ebbe freddo.
“Per quanto dovrai
restare in continente?" domandò Mikasa, deglutendo a fatica.
"Non
lo so, Mikasa. Forse riuscirò tornare. O potrei morire men-"
“Ma
morirai da solo!" scattò, e gli occhi le si riempirono di
lacrime. Non aveva alzato la voce, fino a quel momento, e ora sembrava
gridare per tutte le volte che nella sua vita era restata silente. "Non
puoi farlo! Non
posso! Chi
ci sarà con te, Eren? Non voglio, non voglio." All'ultimo la
voce le si spezzò, e venne presa dai singulti.
Serrò i pugni e singhiozzò solo un'ultima volta,
le mani al petto, e due scie lucide cominciarono a scorrere silenziose
sulle sue guance.
"Devo
farlo, è una possibilità, forse l'unica!" Eren le
andò incontro, passandosi una mano sugli occhi.
"Arriveranno, un giorno, e con loro chissà chi."
"Li
fermeremo, possiamo farlo. Tu puoi, Armin può." Di nuovo si
disse una bugia, per dare una flebile voce alle sue speranze, che quasi
sempre ammutiva lei stessa. Affondò le dita nella lana rossa
attorno al suo collo, aggrappandocisi.
"Non
potremo fermarli. Lo sai. Mikasa, io lo faccio per te, per me,
per tutti!"
Prese fiato, sentendo il polmoni in fiamme e a quelle parole, dette ora
con una sicurezza, una speranza che le sembrava non sentire
più da secoli, Mikasa annuì.
Eren
allungò le braccia, cercando di nuovo il calore di lei
contro la sua pelle gelida.
"Ti
amo, ti amo così tanto." aveva ansimato lei, per tutto quel
tempo, e ora che non c'erano più spiegazioni poteva sentirlo
meglio. La lasciò piangere sul suo collo, come aveva fatto
lei con lui, accarezzandole la schiena e già temendo il
momento ancora lontano in cui avrebbe dovuto lasciarla andare per
l'ultima volta.
"Lo
so. E ti amo anch'io. Per questo devo farlo. Io... mi dispia-"
"Lo
so, lo so. Non ti sto dicendo di non farlo, amore
mio.” Le
ultime due parole come miele sulla sua voce rauca. Mikasa gli prese
delicatamente il volto fra le mani, accarezzandolo lentamente e
avvicinando le labbra dischiuse a quelle di lui, pronte ad accoglierla.
Eren le sentì, umide e salate sulle sue, tracce e testimoni
dell'ennesimo dolore inflitto alla donna che amava.
Entrambi in lacrime si separarono,
vedendo l'uno sul volto dell'altra lo stesso, ennesimo sorriso amaro
illuminato d'argento.
La notte fu per lui lunga e senza
sogni. Il sole ormai alto nel cielo lo svegliò senza alcuna
grazia nè premura, attraversando la sottile tela della tenda
fino a colpire le sue palpebre. Si mise seduto a fatica, la testa
dolente che sembrava battere a ritmo regolare. Guardò il
giaciglio vuoto accanto al suo, dove avrebbe dovuto esserci Armin,
già in perfetto ordine, segno che il suo amico era ormai in
piedi da ore. Ne dedusse che il Caporale avesse dato ordini di
non disturbare solo lui. Un gesto di cortesia di cui fu grato, seppur
trovandolo inutile.
Uscì carponi dalla
tenda, trovandosi stordito in mezzo al via vai laborioso dei suoi
compagni, impegnati ai preparativi di quel nuovo giorno, l'ennesimo
all'Avanposto. Si guardò intorno, muovendo lo sguardo in
cerca di Mikasa. La vide in angolo, mentre allacciava una scure alla
cintura. Delle profonde occhiaie violette le cerchiavano gli occhi
gonfi e i suoi movimenti erano lenti. Se ne andò via subito,
a testa bassa.
Eren si sedette al suo posto
attorno al focolare, a quest'ora ridotto a delle braci scoppiettanti.
Sasha lo vide e, premurosa, andò a portargli una ciotola
dell'avena rimasta dalla colazione, con un cucchiaio di legno. Eren
ringraziò e prese a mangiare, ascoltando distrattamente
quello che lei e gli altri discutevano. Armin gli si
avvicinò per ultimo. Gli mise una mano sulla spalla, senza
dire niente, ed entrambi rimasero a fissare le braci.
"Stanotte ho
sognato di essere a
casa,"
raccontava Sasha, intenta a spellare un coniglio "sembrava
così reale, perchè sentivo anche il vento ululare
fra le fronde. Davvero, un autentico inverno a Dauper. Poi mi sono
svegliata, nel bel mezzo della notte, e ho capito perchè
sentivo il vento. Ha
continuato per ore, quasi fino all'alba: sembrava ci fosse un fantasma
che piangeva e urlava nel bosco, o nel canneto."
Note
dell'autrice:
era
un sacco di tempo che non scrivevo qualcosa di "serio", ossia qualcosa
che non fosse una family!au comica/commedia. Quindi, due crisi
esistenziali e di pianto dopo, e prompt della Tata alla mano, ho speso
tre settimane su questa shot. Son lenta.
Ho
cercato di rispettare al meglio anche la "nuova caratterizzazione" di
Eren dopo il time-skip (e la depressione che l'ha cambiato
così tanto), spero di non aver fatto danni e di non essere
andata OOC. Lo stesso con Mikasa: è complesso scrivere di
lei, specie in situazioni come questa, e ho cercato in tutti i modi di
non rovinarla. A voi lettori l'ardua sentenza!
Ringraziamenti
alla già citata Tata per il beta-reading e l'aiuto con la
scelta del titolo, lei
sa *sigh*.
Stay
alive, kiddos
Nana