Abituarsi di nuovo ad essere un sedicenne fu difficile.
Il suo stesso corpo pareva rivoltarsi contro di lui. Era abituato ad essere veloce, agile e forte, uno dei guerrieri più forti del continente, uno dei tre Eroi della Profezia dell’Estate, ed invece era goffo e debole.
Era abituato ad avere una barba, e non averla lo faceva sentire strano, nudo. E riscoprì anche il grande terrore di tutti gli adolescenti: l’acne.
Ma il dolore più grande lo soffriva la sua anima.
Nelle Heartlands era stato iniziato ai misteri della stregoneria, e benché non fosse mai diventato un maestro, sapeva bene come combattere – e vincere – un duello arcano e come alterare la realtà secondo i suoi desideri. Ma lì, sulla Terra, dove la magia era una favola per bambini o un imbroglio tessuto da cartomanti e sedicenti medium, la sua anima si spingeva a toccare la Sorgente della Magia e semplicemente… non la trovava. Era straziante.
Ma ancor più dolorosa era l’assenza di Urghai.
Ricordava benissimo quando si era accorto di essersi innamorato. Il ricordo era come impresso a fuoco nella sua memoria, e finché aveva respiro in corpo, ne era sicuro, mai l’avrebbe dimenticato.
Era stato prima che affrontasse il Re dell’Inverno, prima ancora che l’antico Kharnozak gli affidasse la lancia Dente di Drago, prima, addirittura, che ricevesse il Battesimo delle Stelle e iniziasse a studiare la magia.
Da mesi si allenava al tempio di Menastria, Signora del Tempo. Arrivato solo da poco nelle Heartlands grazie all’incantesimo di evocazione delle Nove Sacerdotesse, si era adattato in fretta a quella vita che, benché durissima, era anche molto appagante.
Si stava allenando con lo stocco, quel giorno. Era estate, e faceva un caldo incredibile, ma la sua istruttrice non gli avrebbe mai permesso di saltare un allenamento ed assecondare i capricci degli elementi – una volta gli ordinò di fare il giro delle Mura Esterne di Mestria durante una tempesta di fulmini, e rimase a letto per un mese con la febbre – quindi era là, in cortile, a torso nudo, cercando disperatamente di colpire la sua istruttrice con la spada di legno.
“Sta’ più dritto! Le tue gambe non sono in posizione! Cosa credi, che basterà un fendente male assestato per sconfiggere il Re dell’Inverno? Ho detto più dritto con la schiena!”
E andava avanti così da ore. Era anche riuscito a mettere a segno una manciata di colpi, ma ormai era distrutto. Le gambe non lo reggevano più, e le braccia si erano fatte molli e deboli.
La sua istruttrice, una nana di mezza età dai corti capelli bianchi, scosse la testa, nel vederlo in quello stato. Non disse nient’altro, ma gli fece un cenno, ad indicare che era stato congedato.
Kevin – all’epoca ancora nessuno lo chiamava Kevar – ringraziò in quel poco di nanico che riusciva a masticare, e si precipitò fuori dal tempio, verso la fontana.
Fu allora, che, correndo tra i vicoli deserti, vide Urghai.
Non era la prima volta che lo vedeva; come Elvenna, era uno degli Eroi della Profezia dell’Estate, e quindi si aspettavano tutti che sarebbero diventati, se non amici, almeno compagni d’arme.
Onestamente, Kevin non aveva mai prestato particolare attenzione a loro, se non per il fatto che erano un orco e una sirenide. Ma lì, in quel vicolo secondario di quel pomeriggio afoso, lo vide davvero per la prima volta.
Un gruppo di ragazzini – il più piccolo doveva avere dodici anni, il più grande forse diciassette – stavano spintonando brutalmente un piccolo drow dai grandi occhi perlacei.
L’elfo scuro piangeva in silenzio, cercando di sfuggire ai suoi assalitori, ma senza successo. Poi un pugno più forte degli altri lo spinse contro il muro.
Kevin voleva intervenire, ma fu semplicemente troppo lento
“Andatevene!” Gridò una voce forte, dall’altro capo del vicolo. Urghai era lì, le sopracciglia folte corrugate in un’espressione irata. Uno dei ragazzini, quello più alto e grosso, si fece avanti e disse qualcosa, probabilmente un insulto, ma Kevin non aveva ancora una comprensione totale della lingua comune, e non lo comprese.
Ma Urghai sì, e tese una mano, scariche elettriche che serpeggiavano tra le dita, e il ragazzo indietreggiò istintivamente, spaventato.
“Andatevene.” Ripeté, più calmo e per questo, forse, ancor più minaccioso.
Presto i ragazzini scomparvero, e rimase solo il piccolo elfo scuro dagli occhi perlacei, tremante.
“Tutto a posto?”
Sorrideva, le grosse zanne che gli pungevano piano le guance, ma con gli occhi azzurri attivi e inquisitori, a cercare qualsiasi possibile livido o ferita sul corpo del ragazzino. E fu in quel momento, con il sole soffocante che si avviava al tramonto e che pareva cingerlo di un’aura quasi divina, che Kevin si innamorò perdutamente di Urghai.