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Autore: Arial    20/06/2009    9 recensioni
Dean si risveglia, senza alcun ricordo, in una bianca prigione. L'unica via d'uscita è cedere alle lusinghe del suo carceriere. Resisterà alla tentazione oppure vi si abbandonerà, portando l'Apocalisse sulla Terra?
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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deanmela






“Just waiting to clothe you in crimson roses
I will be the one that’s gonna find you
I will be the one that’s gonna guide you
.
(Whispers in the dark, Skillet)
 
 
 
Avverto il calore del sole sulla pelle, i suoi raggi mi solleticano le palpebre ancora chiuse. Le serro con forza, intimandomi di non sollevarle: sono di nuovo qui. Lo intuisco dallo scroscio dell’acqua della fontana, che cancella qualsiasi altro suono; dal modo in cui a ogni respiro l’aria mi serra la gola e minaccia di rinchiudermi nel suo abbraccio claustrofobico.
Ma sono mai andato via? Ho una vita al di fuori di questo posto?
Non lo so.
È come se i miei ricordi fossero bloccati, inaccessibili. Una fitta nebbia li offusca e li adombra, confonde i miei pensieri e mi impedisce di concentrarmi.
Ci sono questo giardino, la sensazione di soffocare e Lui. Dopotutto, che razza di prigione sarebbe, senza un carceriere?
“Non sei imprigionato, potresti uscire in qualsiasi momento.”
La voce cristallina, una leggera sfumatura di disapprovazione a colorire le sue parole. È come se lo sentissi per la prima volta, ma non è così. So cosa dirà, i suoi inganni, le sue lusinghe e… la sua offerta. Non conosco il suo nome né ricordo il mio; non so neppure perché continuo a rifiutare la sua richiesta. Qualcosa mi dice che è sbagliata, che anche lui lo è. Sospiro, non so più cosa pensare. Sto perdendo la testa.
“Apri gli occhi, Dean. Hai dormito abbastanza” riprende, suadente.
Vorrei urlargli che no, non ho dormito abbastanza e che decido io quando riaprire i miei fottutissimi occhi, ma sarebbe uno spreco di tempo: l’immagine di lui che si china su di me, che traccia le linee del mio viso, che mi sfiora e mi costringe a guardarlo è troppo vivida; se non ubbidisco immediatamente, mi obbligherà a farlo. È già accaduto.
Faccio come dice.
“Questo è il mio ragazzo” sussurra, un sorriso sulle labbra.
Sollevo lo sguardo su di lui, chiedendomi distrattamente perché questa frase abbia catturato la mia attenzione o perché il modo in cui l’ha pronunciata mi abbia dato i brividi.
“Non sono tuo” mormoro, improvvisamente arrabbiato.
Chino il capo, per sfuggire alla luce accecante e alla calma sicurezza che leggo sul suo volto.
Mi carezza una guancia; le dita, gelide, seguono la linea della mandibola, per poi fermarsi sul mento. Lì la sua morsa si fa ferrea, possessiva. Mi spinge la testa verso l’alto, bloccandomi fra la fontana e il suo corpo.
“No, non ancora” mi concede. Il suo ghigno si allarga, adesso ha un che di famelico. Si inumidisce le labbra con la lingua e mi convinco che voglia davvero mangiarmi. Una versione folle, maniacale e cannibale del lupo cattivo…
“A dire il vero, preferisco altre fiabe, Dean” dice, ridendo.
È un suono morbido, limpido… sensuale. Mi domando se trovare sensuale la risata del proprio aguzzino sia uno dei primi segni della sindrome di Stoccolma.
“Davvero? Hansel e Gretel? Pinocchio? Aspetta, Cenerentola era uno schianto…” ribatto.
“Io pensavo a Biancaneve.”
Questa volta tocca a me ridere. “La pollastrella morta? Amico, tu sei malato.”
“Può darsi” riprende, pensieroso. “Ma, come lei, amo le mele.”
Congiunge le mani e nel loro incavo compare, dal nulla, un piccolo pomo. Rosso, lucido, perfetto. Me lo offre.
“Andiamo, sappiamo entrambi che fine ha fatto Biancaneve” rifiuto.
“Io non sono la strega cattiva. Coraggio, Dean, un morso, uno soltanto, e sarai libero.”
Solleva la mano, portandomi la mela alle labbra. Ne sento anche l’odore adesso: intenso, ricco, penetrante. Poggio la bocca contro il frutto, immaginandone il sapore. La lingua che corre lungo la buccia; i denti che ne strappano un minuscolo frammento, questo che si scioglie, pastoso, sul palato…
Scuoto la testa.
“Non essere sciocco, vuoi restare qui?” domanda, con dolcezza.
No, non voglio, ma non sono stupido: se l’addento, non potrò mai lasciare questo posto.
Ricordo la storia di Proserpina: sei semi di melograno la condannarono per sempre. Non farò lo stesso errore.
“Questo non è l’Inferno, Dean” comincia, tranquillo. “Ma avevi ragione, è una prigione. La mia.”
 Riesco ad avvertire l’impazienza e la rabbia appena sotto la superficie, vengono fuori nonostante i suoi sforzi. Non si può nascondere la propria natura troppo a lungo, immagino.
Spalanca le braccia, cingendo con lo sguardo l’ambiente circostante. La cifra dominante è il bianco, un intenso, abbacinante bianco. È un giardino, ma non c’è alcun segno di vita: né il canto degli uccelli né il frinire degli insetti, neppure piante e fiori. Tutto è immobile e fisso, alienante ed ostile: una prigione tanto per il corpo che per lo spirito.
Deglutisco. “Da quanto tempo sei rinchiuso?”
“Oh, non ne hai idea.” Sorride nuovamente, le mani fra i miei capelli. “La vostra specie era ancora così giovane, ma il tuo destino era già scritto, Dean, anche allora. Tu sei la chiave che mi lascerà uscire, il corpo che mi renderà la libertà… È la tua unica possibilità, altrimenti resterai qui, per sempre.”
Chiudo gli occhi, rifugiandomi nel suo tocco, stranamente confortante; cullandomi nell’idea che una via d’uscita, per quanto sgradevole, ci sia. Ovviamente non accetterò, ma quel che conta è sapere di avere una scelta.
Sbuffa, poi ricomincia, leggermente esasperato. “Secondo me non ti rendi ancora conto di quello che ti sto offrendo.” Lascia cadere la mela sul mio grembo e si rimette in piedi.
L’osservo qualche istante, soppesandola. È soltanto una mela, ma allo stesso tempo molto di più. È un simbolo, ma di cosa? Conoscenza, disobbedienza, peccato?
“Potere.”
“Potere? Quello di tirar fuori un coniglio dal cilindro o di trasformare l’acqua in vino? Sii più specifico.”
Scuote la testa. “Sai, Dean, mi piaci molto più di Eva.”
Si interrompe, aspettando che reagisca alla sua rivelazione. Scrollo le spalle, che vuole che dica? Pensava non l’avessi ancora capito? Non sono molti quelli che ti offrono mele magiche in giardini incantati…
“Mele magiche, eh? La mia versione della storia era più impressionante. Vuoi che ripeta le parole di allora? Sarai simile a Dio, Dean.”
“Già, il pensiero avrà consolato Eva dopo la cacciata dal Paradiso…”
“Fuori ha trovato qualcosa che lì non aveva.”
“Davvero, e cosa? La fatica, la disperazione, la morte?”
“La libertà di decidere per sé stessa, a dispetto delle conseguenze. La libertà che Dio nega a tutte le sue creature.”
“Non è Dio a tenermi qui, sbaglio?” ribatto, ma è tutta scena.
Il cuore mi martella contro le costole, la mela improvvisamente più pesante.
Vi stringo intorno le dita, sembra bruciare nel mio palmo. È l’unica cosa che vedo, l’unica che desideri. L’avvicino alla bocca, le labbra si schiudono intorno ad essa…
Una scarica di dolore si irradia dalla spalla sinistra al resto del corpo. Lascio cadere il frutto, mentre una voce imperiosa si insinua nella mia testa.
“Fermo, Dean. Non cedere ora, sai che è sbagliato.”
Vengo ricoperto da una cappa di oscurità e silenzio.
Sono solo.
Che Diavolo è successo?
Batto più volte le ciglia, sperando di cominciare a distinguere qualcosa, e sono di nuovo contro la fontana. Riabituatomi alla luce, metto a fuoco Lucifer.
Il suo viso, deformato dalla rabbia, è a pochi centimetri dal mio.
“Bel trucchetto il tuo angelo” sibila. “Assicuriamoci che la cosa non si ripeta.”
Mi afferra per la gola, sollevandomi da terra. L’altra mano si posa sul mio petto, insinuandosi sotto i vestiti. Resta lì, un caldo peso contro il cuore.
“Non sono il tipo che si concede al primo appuntamento, mi dispiace” rantolo, tentando di scacciarla via.
“Non ti facevo così timido” mormora, la sua rabbia svanita. “Comunque, rilassati: si tratta solo di affari.”
La sua presa si fa più decisa; artiglia maglia e camicia, lacerandole e scoprendomi il braccio.
Che cazzo è quella?
Una profonda cicatrice, rossa e rialzata, spicca sulla mia spalla. È l’impronta di una mano. Peggio, è l’impronta di una fottutissima mano, impressa a fuoco nella mia carne.
Lucifer vi poggia il suo palmo, le dita combaciano alla perfezione.
“Figlio di puttana, sei stato tu!”
Sorride. “No, io non avrei mai rovinato la mercanzia… Scusa, questo farà un po’ male, Dean.”
Le unghie penetrano la pelle con facilità. Il suo tocco si fa incandescente. Onde di fuoco liquido mi risalgono lungo il braccio, diffondendosi presto al torso, alle gambe, alla testa.
L’aria si riempie delle mie grida, mentre lotto per restare cosciente. Le mie ginocchia cedono e lui mi ancora al suo corpo, impedendomi di cadere.
“Ssshh…” sussurra, la bocca contro il mio orecchio. “Va tutto bene, è finita. Tranquillo.”
Mi rimette seduto, riservandomi uno sguardo che, se non sapessi chi ho davanti, avrei definito di sincero pentimento.
Lottando contro la nausea che minaccia di sopraffarmi, l’attiro a me. “Vaffanculo” bisbiglio, imitando il suo gesto.
“Sfogati pure su di me, ma i tuoi amici hanno giocato sporco. Io ho solo riequilibrato le cose” dice, descrivendo ampi cerchi sulla mia pelle, nuovamente liscia. La cicatrice è scomparsa, come se non fosse mai esistita. Era quella che ha permesso all’angelo di parlarmi? Cancellarla ha reciso il nostro legame? Sono completamente solo, ora?
“Perché, incasinarmi i ricordi e rinchiudermi qui dentro è giocare pulito?” ribatto, stancamente.
“Non sei stato lobotomizzato e sai benissimo chi sono e cosa voglio; inoltre le regole non le detto io: in questo momento siamo entrambi delle pedine, Dean” afferma, con convinzione.
“Già, sei davvero un povero Diavolo tu” replico, caustico.
Mi rimetto in piedi.
Ho la gola completamente riarsa, non so se attribuirlo alla mossa da wrestler di poco fa o al tentativo di bruciarmi vivo. Probabilmente entrambi.
“Io non berrei da quella fonte, Dean.”
“Bene, non farlo” dico, chinandomi sull’acqua.
La superficie è increspata, ma il mio riflesso è facilmente distinguibile.
“Scommetto che lo trovi divertente…” comincio, senza voltarmi.
Non posso guardarlo in faccia, l’idea stessa mi dà il voltastomaco: quei grandi occhi verdi, incorniciati da folte ciglia scure; le labbra piene, distese in un odioso sorrisetto; i tratti virili, ma perfetti…
“Certo che non sei molto modesto, Dean,” mi canzona. “Comunque, devo ammetterlo, quest’aspetto è un gran bel bonus. Non vedo l’ora di farmi un giro nell’originale” conclude, allusivo.
“Fottiti. Marcirò qui con te, piuttosto che lasciarti uscire.”
Scoppia in una sonora risata. È così spontanea, incontrollabile, divertita…
“Che cazzo hai da ridere?” chiedo, furente.
Si avvicina, asciugandosi gli occhi. Istintivamente cerco di indietreggiare, ma la fontana me lo impedisce. Lucifer mi avvolge le braccia intorno al collo, poggiando la fronte contro la mia. È così vicino che le sue ciglia mi carezzano le guance; quando parla, le sue labbra sfiorano le mie.
“Onestamente, Dean? Sei tu. Proprio non capisci, vero? Ho aspettato millenni per averti, cosa credi che siano un anno, due o anche dieci in più? Prima o poi cederai, puoi starne certo, e allora sarai mio…”
Chiudo gli occhi, cercando di scacciare via l’alone di profezia che aleggia nelle sue parole.
Non mi darò per vinto. Mai.
   
 
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