Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    18/10/2017    0 recensioni
Due amici di infanzia, da sempre innamorati, ma costretti a separarsi. Allora giunse il momento in cui lui dovette fare una scelta, e dirle addio…. Ma non per sempre, sapeva che prima o poi si sarebbero sicuramente ritrovati. Perché quella era la loro promessa.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Mokona, Sakura, Syaoran, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Which one is the Truth?
 


 
La Canzone di Clow l’aveva inventata mia madre. Ne ero sicura. Quando ero piccola avevamo una capretta a cui ero molto affezionata e alla sua morte piansi fiumi di lacrime. Per farmi smettere di sentirmi triste mamma mi disse che era magica e la sua anima si era sciolta nelle parole di una canzone, una canzone che soltanto lei conosceva. Lei l’aveva insegnata a me e Shara. Ma quando avevo conosciuto Shara i miei genitori erano già morti. In altri ricordi, invece, c’erano tutti…. Cosa era vero? Cosa era falso?
«È così.», confermò con un sospiro.
Lo fissai esterrefatta mentre il suo volto si rendeva più malinconico.
«Ma Shara era una bambina! Mi hai mentito?»
«Non ho mai voluto ingannarti.»
Si voltò a guardarmi, mostrandomi uno sguardo terribilmente triste.
«Ricordi mio padre?»
Annuii, mentre nella mia mente appariva un uomo molto simile a Shaoran. Soltanto adesso lo vedevo.
«Era sempre così gentile con me…», mormorai, rivolta anche a me stessa.
«Era uno Spellsinger errante, viaggiavamo in diversi regni per sconfiggere le bestie magiche.»
«Bestie magiche?», ripetei, sforzandomi di ricordare.
«Sì, avevano attaccato molti esseri umani. Giungemmo nel tuo villaggio proprio perché lì c’erano attacchi frequenti di bestie malvagie.»
Quello che diceva era vero. Mano a mano che me ne parlava riaffiorarono varie immagini di persone ferite. Io e la mamma ci occupavamo anche di loro. La mamma era un’erborista. Papà era un cacciatore. Lui era un semplice essere umano privo di poteri, mentre mia madre aveva dei poteri latenti che stentavano a mostrarsi. Questi li avevo ereditati anche io e, all’occasione, la aiutavo con le guarigioni.
«Nella mia famiglia la dote di magici Spellsingers va avanti da generazioni. A volte mi sembrava quasi strano possedere un talento simile…. Da bambino non riuscivo a capire neppure a cosa dovesse servirmi. Tuttavia, non appena cominciai ad essere in grado di apprendere, mi fu spiegato che per proteggerci da Leanan-Sidhe -»
«Chi?», lo interruppi, sicura di non averne mai sentito parlare.
«Una fata potentissima che si dice abbia un aspetto bellissimo, con cui riesce ad ammaliare gli uomini.»
«Come una sirena?»
«Simile, ma il suo unico interesse sembra essere rivolto a noi Spellsingers. Rapisce i bambini e in cambio del nostro potere magico ci offre qualche talento artistico, tenendoci però per sempre con sé, come suoi schiavi. Per evitare che accadesse i miei genitori mi hanno cresciuto come fossi una bambina fino ai miei dieci anni, dandomi il nome “Shara”.»
«E poi?», chiesi curiosa.
«Poi ho cominciato a difendermi da solo. Non avevo più bisogno di essere protetto e, in ogni caso, in tutti quegli anni avevo trovato diversi metodi per non farmi scoprire. Ovviamente sono grato ai miei genitori di questo, sebbene ci siano stati parecchi momenti imbarazzanti. Soprattutto con te.», sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
«Perché non me l’hai detto?»
«Dovevamo nasconderlo a tutti.»
«Ma -»
«Ciononostante, te lo dissi.»
«Davvero?»
Perché allora non riuscivo a ricordarlo?
«Quindi hai sempre pensato che fossi donna?»
«Scu-scusami, mi hai subito ricordato Shara. Non ero completamente in torto, no?», cercai di sdrammatizzare, rimpicciolendo. «Però non mi hai detto nulla…. Non mi avevi riconosciuta?»
Scosse vigorosamente la testa, come se non fosse neppure lontanamente possibile.
«Sapevo chi eri fin dall’inizio. Sei esattamente come ricordavo.»
«Sembro ancora una bambina?», domandai ingenuamente.
«Non intendevo questo.» Allungò una mano verso di me, sfiorandomi i capelli con la punta delle dita. «I sentimenti che provo quando ti sono accanto sono gli stessi di quando eravamo piccoli. Forse solo un po’ più intensi, adesso che sono cresciuto.»
Mi balzò il cuore in gola nell’udire quelle parole.
«Ma perché ho dimenticato tutto? Mi sentivo così legata a te…. Andavamo talmente tanto d’accordo….» Rievocai i bei tempi trascorsi insieme, per quel che riuscivo a rammentare. «Soltanto dopo il mio arrivo qui sono cominciati questi strani sogni, ma fino ad allora la mia mente era una pagina bianca.»
Lui non rispose subito, ma quando tolse la mano dai miei capelli domandò, esitante: «Ricordi la nostra promessa?»
«La nostra promessa?»
«Che un giorno saremmo andati all’Accademia insieme.»
«Oh…»
Come una piccola favilla si accese un ricordo nella mia oscura mente. Vedevo Shara. Vedevo il suo viso. Il viso di Shaoran. I tratti più morbidi, puerili, infantili. I capelli erano lunghi, ma quegli occhi…. Erano inconfondibilmente di Shaoran.
«Se tu diventerai uno Spellsinger allora io diventerò una Maga, così potremmo stare insieme all’Accademia.», ripetei ad alta voce le parole che mi sentivo pronunciare nella mia testa.
«Esatto.», confermò, e il suo sguardo si addolcì. «Ti ho aspettata per tutto il tempo, dal giorno in cui sono stato ammesso. L’Accademia mi sembrava l’unica speranza che avevo per rivederti.» I suoi occhi si adombrarono mentre aggiungeva: «Tuttavia, quando ho improvvisamente perso la magia sapevo che presto o tardi mi avrebbero cacciato. E proprio quando stavo per disperarmi tu sei apparsa. Esattamente nel momento in cui ne avevo più bisogno.»
Le sue labbra si curvarono in un sorriso pieno di emozione, provocandomi un groppo in gola.
“Come ho potuto dimenticare qualcosa di così importante?”, mi chiesi prossima alle lacrime.
«Suppongo però che non ricordi l’altra promessa.»
«Ce n’era un’altra?» Chiusi gli occhi per concentrarmi.
«Non fa niente, non è colpa tua.» Il suo tono sommesso non mi fece sentire meglio.
«Era importante?»
«Mmh…. Si potrebbe dire di sì…», esitò, con l’accenno di un timido sorriso. «Ne riparleremo quando avrai riacquisito i ricordi.»
«Ma -»
«Non preoccuparti.»
Spostò l’argomento sulla necessità di accamparci lì, per cui andò a raccogliere della legna mentre io cercavo ramoscelli asciutti, creammo un piccolo mucchietto e strofinando due pietre riuscì ad accendere un bel fuocherello che crebbe in fretta. Mi spiegò che l’aveva imparato a forza di viaggiare col padre. Una parte di me si chiese com’era stata quell’infanzia, prima che ci conoscessimo.
Stupidamente solo in quel momento mi venne in mente che dovevo ancora guarire le sue mani. Le presi tra le mie prima che potesse ribellarsi in alcun modo e tolsi le bende improvvisate, facendo attenzione a non fargli male col sangue rappreso. Quanto meno avevano cessato di sanguinare.
Nel guardare quelle profonde ferite mi sentii nuovamente in colpa e ancora una volta mi ripeté che era stata una sua scelta. Mi mordicchiai le labbra prendendo la bacchetta, sperando che funzionasse.
«O sacro vento, donaci una leggera brezza per lenire queste ferite.», recitai in tono morbido, per poi esclamare determinata: «Sanatio aura!»
Al movimento della bacchetta un vento gentile si avvolse attorno alle sue mani, formando piccoli e delicati turbini. Quando si dissolse nell’aria le ferite sparirono del tutto, e di esse non rimase neppure una cicatrice.
«Ci sono riuscita!», esultai su di giri, prendendogli le mani, ancora incredula. Non appena mi resi conto di quel gesto indotto dall’inconscio gliele lasciai, ma lui le riafferrò immediatamente, stringendo le sue dita attorno alle mie.
«Pensi ancora di me come la piccola bambina che conoscevi?»
Arrossii, trovandomi il suo viso tanto vicino. Era come se volesse sfidarmi, e in risposta il mio cuore bussava irrequieto contro la gabbia toracica.
«No!», negai frettolosamente. «Solo che è facile lasciarmi andare e… Credo si tratti dei ricordi del mio corpo…»
Lui lasciò lentamente la presa, allontanandosi di poco, come se stesse ragionando su quello che avevo appena pronunciato.
Mi portai una mano sul cuore, sperando si calmasse.
“Accidenti! Non riesco più a smettere di pensarci!”
Per distrarmi osservai il fuoco scoppiettante, le cui scintille scomparivano contro la notte, infiltrandosi tra le stelle. Dopo poco lui fu il primo a stendersi in mezzo a delle margherite, ordinandomi di coprirmi col suo mantello. Dato che non mi sembrava giusto mi tolsi anche il mio, aggiungendolo al suo, cosicché fungessero tutti e due da coperta.
«Così stiamo entrambi al caldo, no?», osservai serena.
«Sakura…»
«Hmm?»
Alzai la testa e solo allora notai quanta poca distanza ci fosse tra i nostri volti. Probabilmente tutto il sangue mi confluì nelle guance e, se ancora restava qualche traccia di acqua su di me, doveva essere appena evaporata.
«Per te non sarò mai un uomo?», chiese retoricamente.
«Non è così!»
«Non posso prometterti di riuscire a trattenermi a lungo, se continui di questo passo.»
«Eh?»
Proprio allora mi avvolse tra le sue braccia, stringendomi a sé.
«Sha-Shaoran?!»
Stavolta sembrava davvero che il mio cuore stesse sul punto di esplodere, mentre un calore sconosciuto eppure tanto, tanto familiare avviluppava il mio corpo.
«Scusami.», mormorò con voce roca, lasciandomi gentilmente andare. «Mi girerò dall’altro lato. Buonanotte.»
Il cuore mi batteva ancora furiosamente nel petto mentre lui si voltava, dandomi le spalle, piegando il braccio sinistro sotto la testa, a mo’ di cuscino. Chiusi gli occhi, stringendo il suo mantello tra le mani e accostandomelo alle labbra. All’infuori dello scoppiettio del fuoco c’era puro silenzio.
«Sei ancora sveglia?»
Mormorai un consenso, dopo essere quasi sobbalzata al suono della sua voce.
«Se avessi potuto usare la magia quando eri intrappolata ti avrei salvata in un battito di ciglia. Era esattamente questo che temevo, sin da bambino. Senza essa non sono niente.»
«Ti sbagli. Sei stato avventato, ma anche molto coraggioso. Mi hai salvata con le tue sole forze.»
«Forse ti avrò dato quest’impressione. Ma per anni ho imparato a conviverci, e adesso è così frustrante.»
«Anche io desidero che la ritrovi.», sorrisi, chiudendo gli occhi. «Scommetto che sei uno Spellsinger eccezionale.»
«A dire la verità, Sakura… sei tu la ragione per cui ho deciso di diventarlo.»
«Davvero?»
Riaprii le palpebre, toccata dalle sue inaspettate parole. Fissai lo sguardo sulla sua schiena, alzandolo poi ai suoi capelli. Immaginai i suoi occhi in quel momento. Le dita della sua mano si mossero sulla sua nuca, mentre proseguiva.
«I maschi della mia stirpe hanno sempre avuto questo gene. È naturale, ma non mi è mai sembrato un buon motivo per sfruttarlo. Quando quel giorno ti vidi piangere, tuttavia, qualcosa in me cambiò. Feci una promessa a me stesso. Sarei diventato un potente Spellsinger, in modo tale da poterti sempre proteggere. Cosicché tu non avresti più dovuto piangere.»
«Piangevo…» Riportai alla memoria il nostro primo incontro. «Perché erano appena morti i miei genitori.», realizzai. E lui mi aveva promesso che non mi avrebbe mai lasciata. «Ma allora, come conosci la canzone di Clow?», domandai confusa.
«Me l’hai insegnata tu.», rispose come se fosse scontato.
«Nei miei sogni te la insegnava mia madre…»
«Devono essere falsi ricordi, creati per difenderti.»
“Eh?”
«Mi dispiace. Non avevo la minima idea che io fossi così importante per te.» E nemmeno che lui lo fosse per me.
Il mio cuore si riempì di felicità, dolci lacrime si formarono agli angoli dei miei occhi.
«Grazie, Shaoran.»
«Ascolta, Sakura… Quando riavrò la mia magia e tu verrai ufficialmente ammessa all’Accademia vorrei parlarti della promessa che hai dimenticato.»
Quella fu l’ultima cosa che mi disse, poi entrambi ci addormentammo.
Mokona ci svegliò prima dell’alba per poter ripartire e, finalmente, giungemmo dinanzi a un enorme albero, la cui grandezza era incommensurabile, circondato da luci fluttuanti fluorescenti, simili a lucciole, ma più grandi. Mokona fece in modo che si svegliasse – nel processo la terra tremò – e quando parlò aveva una voce alta e profonda. Gli esponemmo il nostro problema, ed esso disse a Shaoran che la sua magia era stata rubata. Rimase interdetto, pensando subito a Leanan-Sidhe, ma l’Albero lo contraddisse dicendo che era stato qualcuno molto più vicino a me, lasciandomi quindi perplessa. Come ultimo indizio ci disse “mago, sole e matto”.
Durante il viaggio di ritorno riflettemmo sulle sue parole, finché Mokona non notò che era un riferimento a tre carte dei Tarocchi. Con un’altra raffica di vento le sputò fuori e ce le mostrò. Quel che notammo unanimemente era che su tutte e tre le carte c’era un elemento floreale: le rose col Mago, il girasole col Sole e il Matto aveva tra le mani dei fiori. A quel punto Shaoran ricordò che poco tempo prima di perdere i poteri aveva raccolto un fiore strano e avvizzito, che non aveva mai visto prima.
«Credo che c’entri qualcosa!», esclamò confidente Mokona.
«Sì. Grazie, ad entrambe.» Mi guardò, posandomi una mano sulla testa, rivolgendomi il sorriso di un bambino. «Grazie.», ripeté.
Gli sorrisi a mia volta, persa in quella rara visione.
«Okay, basta flirtare. Concentratevi sulle spiegazioni che dovrete dare.»
«Spiegazioni?», chiedemmo in coro.
Solo allora mi accorsi che eravamo tornati all’Accademia e che dinanzi ai nostri occhi si ergevano in tutta la loro severità due professori: Kurogane e Fay. 
  
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