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Autore: Mary P_Stark    18/10/2017    5 recensioni
Inghilterra - 1830
Il regno viene scosso dalla morte di re Giorgio IV e, più nel personale, per l'improvvisa malattia di Whilelmina, la madre di Christofer Spencer. Questo richiama a casa tutta la famiglia che, in quel momento, si trovava a Londra per la sessione estiva in Parlamento. Al gruppo si unisce un amico di Maximilian, Samuel Westwood, molto affezionato alla nonna di Max. Questo rientro anticipato a York consente alla coppia di amici - oltre che rassicurarsi sulle condizioni di Whilelmina - di conoscere una coppia di sorelle, Cynthia e Sophie, che colpiranno in modo travolgente i due giovani.
Ne seguiranno sorprese a non finire, un inseguimento rocambolesco e un finale inaspettato, che metterà di fronte Max a una verità che, fino a quel momento, aveva rifuggito come la peste. (3^ parte della trilogia Legacy - riferimenti alla storia nei racconti precedenti) SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'"
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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6.
 
 
 
 
 
D’accordo, non doveva preoccuparsi.

Quante altre volte, nel corso della loro salda amicizia, Samuel era uscito senza di lui?

Già, e quante volte gli aveva lasciato un messaggio tanto preoccupante?


Ho trovato la mia ragione di vita, amico carissimo, e non posso pazientare oltre. So già cosa penserai di me e Cynthia, ma non preoccuparti. Troveremo fortuna nei Nuovi Territori delle Americhe.
Chiederemo aiuto e appoggio a Lucius Bradbury, stimatissimo cugino della tua splendida sorella Elizabeth, che avemmo la fortuna di conoscere durante i festeggiamenti del matrimonio di Andrew. So che è già un affermato armatore, e ben collocato nel Maine.
Potrai replicarmi che non occorre andare tanto lontani, ma sto facendo la cosa giusta, lo so, perciò non cercarci.
Volevo solo dirti di non temere per me, anche se so che lo farai, visto che non sono degno del tuo affetto, pur apprezzandolo tantissimo. Parlerò io, con i miei genitori, una volta che avrò raggiunto New York e mi sarò sposato con Cynthia.
Lei la pensa come me, perciò non temere che io l’abbia forzata in alcun modo.
Vuole le stesse cose che voglio io; libertà e felicità, in un mondo dove le distinzioni sociali non esistono, e dove le barriere inutili del Ton non esistono.
Mi farò sentire, ma ti prego! Non tentare di seguirmi!            Il tuo amico Samuel

 
Il fatto che Cynthia fosse d’accordo con lui, nel fuggire da casa e dalla Patria, non deponeva necessariamente a favore di quell’impresa disperata.

Visto e considerato il modo in cui quei due si erano guardati fin dal principio, Max non dubitava che entrambi fossero vittime di una colossale quanto pericolosa sbandata.

Andava poi messo in conto ciò che gli aveva suggerito Sophie, e cioè che la sorella aveva una certa, maniacale tendenza a ricercare le attenzioni degli altri.

Samuel era un mago nel far sentire a proprio agio le persone, specialmente le donne, per cui…

Mettere Cynthia vicino a Samuel era stato come gettare uno stoppino acceso nel mezzo di una sterpaglia secca.

E ora, in un modo o nell’altro, toccava a lui spegnere quell’incendio di proporzioni spropositate.

Se solo avesse accennato la cosa ai Westwood, avrebbe fatto venire un malore alla madre di Samuel, un travaso di bile al padre e…

…beh, con tutta probabilità, il primogenito avrebbe plaudito il suo folle gesto, mentre il secondogenito ne sarebbe rimasto inorridito.

Passandosi una mano tra i morbidi riccioli bruni, Max esalò un’imprecazione a mezza bocca, prima di sentire bussare alla porta della sua stanza.

Poggiato il biglietto che Samuel gli aveva infilato sotto il battente, presumibilmente la notte precedente, Max andò ad aprire e, a sorpresa, si ritrovò a fissare uno dei garzoni di stalla.

“Bobby, che succede? Una delle giumente sta partorendo?” domandò preoccupato Max, ben sapendo che due delle loro cavalle erano a fine termine.

Stropicciando il basco che teneva tra le mani nervose, il giovanotto scosse il capo e borbottò: “No, lord Maximilian, ma… beh, c’è una signorina, giù nelle stalle, e chiede di voi. Pare assai nervosa.”

Strabuzzando gli occhi, più che mai confuso da quella notizia, Maximilian gracchiò: “Una… signorina? Ti ha detto chi è?”

Annuendo in fretta, Bobby mormorò con fare da cospiratore: “Mi ha detto di chiamarsi Sophie Withmore, e mi ha pregato di chiamarvi… in segreto. Dice che è una cosa urgente, e grave…

Sollevando un sopracciglio con evidente ironia, di fronte alla palese ansia del garzone di stalla, Max dichiarò a mezza voce: “Tranquillizzati, Bobby, non l’ho messa incinta.”

“Oh… no, beh, non sono affari miei, milord, ma…” balbettò imbarazzato il ragazzo, mentre Max usciva di gran carriera dalla sua stanza.

Sarebbe stato il colmo se si fosse presentato da suo padre con una donzella incinta di un suo figlio ma, fortunatamente, non era questo il caso.

Per lo meno, non era il problema che dovevano affrontare al momento.

Tra sé, comunque, imprecò e si domandò quando, quei due scellerati, avessero congegnato quel piano, visto e considerato che non erano mai rimasti soli per un momento.

Lorelai gli aveva assicurato di non averli mai persi di vista perciò, come avevano fatto a coordinarsi in modo tale da eludere i loro controlli?

Samuel non finiva mai di sorprenderlo, e non certo in positivo.

Perché il suo amico sviluppava capacità tanto raffinate al solo scopo di cacciarsi nei guai?! Non poteva eccellere in qualcos’altro?

Tallonato da Bobby, Maximilian uscì in fretta da una delle porticine laterali del palazzo e, di corsa, raggiunse la stalla dove si trovavano i loro cavalli.

Appena fuori dallo stallaggio, legata a una staccionata, stava una giumenta grigia con una bella stella bianca nel mezzo della fronte.

Presumibilmente, era di Sophie, a giudicare dalla sella da amazzone che si trovava sull’ampia schiena del bell’animale.

Ringraziato che ebbe Bobby, il quale si dileguò in fretta, Max entrò nel capanno e, alla luce del meriggio che penetrava dalle alte finestre a occidente, intravide la figura di Sophie.

Era abbigliata come un’amazzone, con abiti dal gusto sopraffino e assai costosi.

Nessuno avrebbe detto che non era una lady e, ancora una volta, Max trovò assurda quella maledetta distinzione tra caste.

Le mani, strette intorno al frustino, apparivano nervose ma, quando lei lo udì entrare, lo sguardo che gli lanciò fu sicuro quanto pieno di vigore.

Era spaventata, ma non intimidita dal colossale guaio in cui la sorella e il suo amico si erano cacciati.

“Milord, meno male…” sussurrò lei, avvicinandosi di un passo.

“Miss Sophie… immagino abbiate scoperto tutto” asserì lui, raggiungendola per poi poggiare delicatamente una mano sul braccio della ragazza.

Lei assentì una sola volta, con un gesto secco che lasciò intendere a Max quanto fosse contrariata ma, ciò che uscì dalla sua bocca, lo sorprese.

“In questo momento, vorrei avere sotto mano mia sorella per bastonarla. Non meriterebbe altro” sibilò Sophie.

“Miss Cynthia? Ma è stato Samuel che…” tentennò Max, indeciso se scaricare l’intera colpa sull’amico o dare credito alle parole di fiele della giovane.

“Oh, non metto in dubbio che il vostro amico abbia proposto la fuga, ma l’idea dell’America è sicuramente venuta a mia sorella” sbuffò Sophie, iniziando a passeggiare nervosamente per lo stallaggio.

“Come mai dite questo?”

“Dovete sapere che Cynthia è stata fidanzata con un nobilotto di provincia, circa quattro anni addietro” gli spiegò Sophie, bloccandosi per guardarlo con aria contrita. “Avrebbero dovuto sposarsi, ma lui dirottò le sue attenzioni su una ragazza di nobile lignaggio non appena ne ebbe l’occasione, e lei ne rimase molto ferita.”

“Mi spiace molto…” mormorò Max, non sapendo bene dove volesse andare a parare Sophie.

“Cynthia si ripromise che avrebbe sposato un uomo che non l’avrebbe più fatta sentire inferiore a lui… e in un luogo in cui simili distinzioni non esistevano” specificò la giovane, reclinando colpevole il capo.

“Oh” riuscì a dire soltanto Max, iniziando a capire.

“Per questo, ci troviamo a York. Nostro padre vendette tutto per non rimanere nella città che tanto aveva fatto soffrire Cynthia, e ci trasferimmo al nord per permetterle di vivere più serenamente” terminò di spiegare Sophie, stringendo nervosamente il frustino tra le mani.

A ben vedere, Whitmore era giunto da suo padre giusto tre anni addietro, per acquistare i terreni per i lanifici, pensò Max.

Risollevando il viso, su cui brillavano due autentici pezzi di ghiaccio ribollente, Sophie esalò: “Avrei dovuto immaginare che avrebbe potuto succedere, ma non ho pensato che Cynthia avrebbe lanciato quest’idea a lord Westwood.”

Sospirando, Max scosse il capo e replicò: “Samuel sa cacciarsi da solo nei guai, non crediate il contrario. Miss Cynthia può solo avergli dato una mano, ma non è stata un’idea solo di vostra sorella.”

Sophie non seppe che dire, ma comprese più che bene l’ansia di Maximilian, poiché era simile alla sua.

Quando si era recata nella stanza della sorella, trovando il suo letto integro e il cassettone rovistato confusamente, Sophie aveva compreso subito la gravità della situazione.

Senza dire nulla alla madre, che sarebbe morta di dolore al solo pensiero, era scesa nelle stalle per controllare e, come aveva temuto, non aveva trovato la giumenta della sorella.

Non aveva faticato molto a capire dove cercare notizie di Cynthia.

Come aveva sospettato, aveva trovato il suo biglietto nel cestino del ricamo che usavano entrambe.

La sorella sapeva bene che mai, la madre, avrebbe rovistato lì dentro.

Qualsiasi altro luogo, in casa, non sarebbe stato sicuro dagli occhi di Adelaide Withmore, ma il cestino del ricamo avrebbe protetto il suo segreto fino al momento opportuno.

Il momento in cui la sorella avrebbe finito con il cercarla, immaginando di trovare un suo messaggio proprio lì, nel loro nascondiglio.

Sophie teneva quel bigliettino scritto in fretta nella tasca della sua gonna pantalone, come memento alla propria superficialità nel non comprendere le intenzioni della sorella.

Era stata sciocca a pensare che Cynthia avrebbe preso per quello che era, l’amicizia di Samuel e Maximilian.

Niente più che uno svago estivo di due gentiluomini beneducati e piacevoli.

Invece no, si era lasciata andare al suo desiderio feroce di una vita con un uomo premuroso – e ricco –, in un luogo in cui il suo non essere una lady non avrebbe contato nulla.

A causa di ciò, aveva messo nei guai un gentiluomo come Samuel Westwood, davvero troppo buono e sì, un po’ ingenuo, caduto vittima dei suoi occhi da cerbiatta.

“Dobbiamo fare qualcosa” dichiarò a quel punto Sophie, lanciando alle ortiche qualsiasi istinto di sopravvivenza.

Non sarebbe stata a guardare, stavolta.

Non avrebbe permesso che sua sorella rovinasse la vita di quel bravo giovane, né l’impegno profuso dal padre per farla vivere felice.

Ma, soprattutto, non sarebbe rimasta inerme come sempre a guardare Cynthia, mentre si comportava da dispotica egoista con gli altri.

Aveva sempre sopportato in silenzio che lei fosse la più ammirata, la più stimata, la più coccolata, perché le voleva bene e sapeva che non era cattiva, nel profondo.

Ma ora aveva passato il limite, e non le avrebbe permesso di rovinare a quel modo il buon nome che loro padre aveva dato alla famiglia con il suo duro lavoro.

L’avrebbe ricondotta a casa anche per un orecchio, se necessario.

“Stavo già pensando di partire alla volta del sud, visto che Samuel ha parlato dell’America. Se avessero voluto solo sposarsi, avrei puntato verso Gretna Green ma, stando così le cose, c’è solo un posto dove possono essersi diretti…” iniziò col dire Max, massaggiandosi l’attaccatura del naso con pollice e indice.

“… Southampton, vero?” domandò Sophie, sospirando leggermente.

Assentendo, Maximilian asserì: “E’ l’unico porto da cui partano le navi passeggeri per le Americhe, perciò dirigeranno direttamente lì. Dando per scontato che siano partiti stanotte, dopo la mezzanotte, quando anche la servitù è a letto, hanno circa sedici ore di vantaggio.”

“Purtroppo, Cynthia è una brava amazzone” sospirò Sophie, scuotendo il capo.

“Nessun problema. Viaggerò leggero e, grazie al mio Spartan…” dichiarò Max, lanciando un’occhiata allo stallone nero visibile oltre uno dei box. “… li raggiungerò prima che arrivino a Southampton.”

Sophie, a quel punto, fissò accigliata il giovane lord e replicò: “Viaggeremo. Non vi lascerò andare da solo, visto che la colpa è anche di mia sorella.”

Basito di fronte a quell’offerta inaspettata, Max esalò: “Ah… vi sono grato per la disponibilità, miss Sophie, ma non ho bisogno che mi accompagnate. Inoltre, non sarebbe decoroso per una signorina non maritata…”

Scuotendo una mano con insofferenza, Sophie replicò immediatamente: “Diremo che sono vostra cugina, niente più di questo. Ci fermeremo il meno possibile e, se tutto andrà come deve, li raggiungeremo nel giro di un paio di giorni. Cynthia è brava a cavalcare, ma si stanca in fretta. Io no.”

Maximilian rimuginò in fretta, non sapendo affatto cosa rispondere a quella donna volitiva che si trovava innanzi, e che poco aveva a che fare con la docile fanciulla che aveva visto la prima volta.

Possibile che, ciò che aveva pensato, fosse dunque vero?

Sophie aveva trattenuto dentro di sé il suo brio naturale, perché la sorella l’aveva soffocata per tutto il tempo?
Da come si comportava in quel momento, pareva proprio di sì.

Ugualmente, non poteva permettersi di cacciarla in un guaio simile.

Ton o no, rimaneva pur sempre una fanciulla illibata, e lui non poteva rovinarle la nomea per accontentarla, così come non voleva infangare il nome degli Spencer, combinando un pasticcio simile.

“Sentite, miss Sophie, capisco bene cosa vi spinga…” cominciò quindi col dire Max, sperando di apparire il più contrito e condiscendente possibile. “… ma vi assicuro che non c’è assolutamente la necessità che voi veniate con me.”

“E’ il contrario, milord. Non c’è necessità che voi veniate con me. Posso benissimo partire da sola e raggiungere quella scriteriata di mia sorella, se devo. Solo, con voi sarebbe più semplice… e sicuro” precisò Sophie, sconvolgendo ulteriormente il giovane.

“Vi fidate molto di me, pur conoscendomi così poco. Come potete essere certa che, alla prima occasione utile, io non abusi di voi?” le ritorse contro Maximilian sperando che, spaventandola, ella potesse cambiare idea.

Sophie, per tutta risposta, arrossì ma sorrise, mormorando: “Scusate, lord Maximilian, ma davvero non avete l’aria del molestatore di fanciulle.”

“Potrei essere un lupo travestito da pecora” ritentò lui, contando mentalmente i minuti che stava inutilmente perdendo in quella discussione senza senso.

“E io potrei essere un sicario travestito da docile donzella” replicò Sophie, accennando un risolino. “Davvero, non avete gli occhi cattivi, lord Maximilian. Inoltre, un uomo che gioca coi cani come avete fatto voi l’altro giorno, non può essere cattivo. Gli animali sono grandi lettori di anime, non lo sapete?”

Imprecando mentalmente tra sé – certo che lo sapeva, dannazione a lui! – Max non poté che sospirare afflitto e borbottare: “Sentite, avvisiamo mio padre e sentiamo cosa…”

Interrompendosi un istante dopo aver proferito quelle parole, Maximilian esalò: “E’ partito stamattina con mia madre per recarsi a Leeds, …accidenti...”

Sorridendo vittoriosa, Sophie batté le mani una sola volta e asserì: “Come vedete, non abbiamo scelta. Dobbiamo partire in tutta fretta, prima che il divario tra noi e loro aumenti troppo. Lasceremo un biglietto in cui spiegheremo per filo e per segno ciò che vogliamo fare, così da non fare stare in ansia nessuno.”

“Neppure vostra madre e vostro padre?” replicò scettico Maximilian.

“Beh, per quel che riguarda mia madre, avrà uno svenimento non appena saprà che entrambe le sue figlie non sono a casa, sotto il suo occhio vigile...” ammise Sophie, un po’ preoccupata. “… ma mio padre capirà. O almeno, lo spero.”

“Perché mi date l’impressione di non aver mai dato un grattacapo in vita vostra ai vostri genitori?” sospirò Maximilian, cominciando a capire cosa volesse dire tentare di venire a patti con donne troppo tenaci.

“Perché temo sia vero, più o meno” ammise Sophie. “Ma giuro che non vi darò problemi, e che non dovrete assolutamente preoccuparvi della mia condizione di donna nubile. Papà inorridirebbe, al solo pensiero di approfittarsi di una situazione del genere, e io allo stesso modo.”

Max impiegò qualche istante per comprendere cosa volesse dire la ragazza e, non appena quella frase fece breccia nel suo cervello, arrossì copiosamente.

Reclinando il capo in avanti, la mano pronta a massaggiarsi la nuca, il giovane gracchiò: “Oh, già… dimenticavo anche questo…

“Beh, mi sono premurata di lasciar detto a mio padre che l’idea dell’inseguimento è stata mia, e che voi mi avete solo offerto la vostra protezione.”

Maximilian si irrigidì subito, a quelle parole, ed esalò: “Cosa avete fatto?!”

“Ho dato per scontato il vostro aiuto” dichiarò lei, afferrandolo per una mano per condurlo fuori dalle stalle. “Avrete tutto il tempo di sgridarmi più tardi, ma ora dobbiamo muoverci. La lancetta corre, e noi siamo ancora fermi qui a discutere.”

Preferendo trascinare, piuttosto che essere trascinato, Max sopravanzò Sophie e la condusse in tutta fretta verso una delle porte della servitù e, dopo aver controllato che non vi fosse nessuno nei paraggi, la attirò dentro.

Doveva essere un completo pazzo, per permetterle di fare una cosa simile, ma era più che sicuro che Sophie lo avrebbe tallonato per tutto il tempo, se lui non avesse accondisceso a portarla con sé.

Dio, che pazienza hai avuto, Alexander, pensò tra sé Max, tornando con la memoria a ciò che aveva combinato la sorella a suo tempo.

Peccato che, quel gran guazzabuglio, fosse durato solo poche ore.

In quel caso, anche nella migliore delle ipotesi, sarebbero rimasti impegnati per giorni, e nessuno poteva dire cosa avrebbe potuto succedere.

Dubitava fortemente che Ferdinand Withmore si sarebbe fatto bastare le parole di sua figlia, scritte in fretta su un foglio di pergamena.

Fosse stato lui, avrebbe assoldato i migliori cacciatori per recuperare entrambe le sue bambine… e castigare adeguatamente gli uomini che le avevano disonorate.

Certo, lui stava agendo in maniera incolpevole, solo perché sicuro che Sophie non avrebbe desistito dall’inseguire essa stessa la sorella, ma la faccenda non cambiava di una virgola.

Lui avrebbe interpretato la parte dell’uomo che aveva disonorato una fanciulla illibata.

Il fatto che Sophie non fosse di nobile origine, poco contava.

Sarebbe stata marchiata come una colomba sporca, agli occhi del mondo, pur se ella sembrava non preoccuparsene.

Quando infine ebbero raggiunto il piano superiore, Max si concesse un secondo per fermarsi e, presa Sophie per le spalle, mormorò turbato: “Perché non vi interessa minimamente del vostro futuro, miss Sophie? Non capite che, presto o tardi, la verità salterà fuori? La gente nota certe cose, e una vostra sparizione improvvisa verrebbe notata subito dai vostri amici.”

Sorridendo comprensiva, Sophie si scostò gentilmente da quelle mani premurose e asserì: “Mio padre potrebbe azzittire più o meno qualsiasi pettegolezzo, lord Maximilian. E’ abbastanza ricco da far gola a quasi tutte le famiglie dotate di figli maschi della zona, e poco importerebbe se una delle sue figlie avesse compiuto qualche… scempiaggine nel frattempo. Si può passare sopra a un sacco di cose, se si ha una dote cospicua…”

“Miss Sophie…” mormorò spiacente Maximilian, rattristato dal sentirla così disillusa sul proprio futuro.

“… quello che voglio, è impedire a mia sorella di commettere un errore, oltre a permetterle di far soffrire una persona buona come lord Westwood. Sono stata in silenzio troppe volte, di fronte alle sue intemperanze, e ho sbagliato. Ora è il momento di rimediare” terminò di dire Sophie.

Annuendo una sola volta, Max la prese per mano e mormorò: “Capisco cosa volete dire, e non insisterò oltre. Spero solo che la nostra ricerca abbia un esito veloce e positivo.”

“Lo spero anch’io.”

Lizzie, maledizione, dove sei quando mi servi?, pensò nel frattempo tra sé Maximilian, sperando in un’entrata in scena della sorella.

Palesando la presenza di Sophie a palazzo, tutto il loro strampalato piano sarebbe saltato.

Ma così non avvenne.

La servitù sembrava scomparsa, e così sua sorella, il cognato o i nipotini.

Quasi che il Fato si fosse voltato dall’altra parte per permettergli di combinare quel guaio.

Non potendo contare sulla buona sorte, a Max non restò altro che infilarsi nello studio di suo padre, vergare di suo pugno un messaggio – senza menzionare Sophie – e uscirne in fretta per raggiungere la sua stanza.

Sophie lo seguì in silenzio e, rimanendo sulla porta, lanciò frequenti occhiate al corridoio deserto, mentre Maximilian preparava una sacca da viaggio alla bell’e meglio.

“Avete davvero un palazzo stupendo” si premurò di dire Sophie, a un certo punto.

Nel caricarsi su una spalla la sua sacca da sella, Max la fissò malissimo e borbottò: “Molte grazie… ma continuo a pensare che questa sia tutta una follia.”

“Un pochino, in effetti, ma dalla nostra possiamo dire che entrambi abbiamo la testa ben salda sulle spalle” cercò di ironizzare lei, seguendolo dappresso.

“Se così fosse vero, vi tramortirei seduta stante e me ne andrei via da solo” brontolò Max, pregando in silenzio perché qualcuno li bloccasse.

Era mai possibile che, in un palazzo enorme come Green Manor, non ci fosse proprio nessuno in giro?!

Vero era che, a quell’ora, molta della servitù era impegnata in cucina per preparare la cena, i suoi familiari erano quasi sicuramente nel salotto con Whilelmina e Violet, e gli altri erano impegnati nelle loro faccende.

Inutile sperare che vi fosse qualcuno per i corridoi, visto che quei luoghi erano visitati solo dalla sua famiglia, e le domestiche vi bazzicavano solo la mattina presto, per le pulizie.

Raggiunto che ebbero nuovamente le stalle, Maximilian preferì evitare di dire qualcosa a Bobby – aveva già lasciato un messaggio, per questo – e, dopo aver aiutato Sophie a salire a cavallo, si avviò per recuperare Spartan.

Legata che ebbe la sella, sistemò la sua sacca e, infine, con un sospiro, montò a sua volta a cavallo per avventurarsi in quell’inseguimento imprevisto.

Con un compagno di viaggi tutt’altro che previsto.
 
***

Alexander rilesse per l’ennesima volta il foglio vergato dalla calligrafia veloce e sottile di Maximilian, mentre Elizabeth passeggiava nervosamente per lo studio del padre.

Non rivedere il fratello minore a cena l’aveva un po’ turbata, soprattutto quando avevano scoperto che anche Samuel mancava all’appello.

Per non far preoccupare nonna Whilelmina, Andrew si era inventato lì per lì un viaggio dei due ragazzi per raggiungere dei loro amici nelle vicinanze.

Nel frattempo, però, Alexander, Lizzie e Violet e Mr Lloyd si erano messi a cercare degli indizi di qualche tipo che potessero lasciar intendere le loro reali intenzioni.

Senza nulla trovare, Lizzie aveva infine deciso di avventurarsi nello studio del padre e, come aveva temuto, vi aveva trovato un messaggio del fratello.

A quel punto, lo aveva mostrato al marito che, preoccupato, lo aveva riletto fino allo sfinimento.

 
Samuel è riuscito a cacciarsi in uno dei suoi soliti guai, peccato che stavolta vi sia coinvolta anche una fanciulla illibata. Conto di raggiungere Sam e miss Cynthia Withmore prima del loro arrivo a Southampton, perciò premuratevi di avvertire Mr Withmore che mi impegnerò strenuamente per impedire questa follia.
Avendo quasi sedici ore di vantaggio, a mio parere, dovrei raggiungerli entro tre giorni al massimo, se il tempo reggerà, o se la donzella mostrerà segni di stanchezza. Pregate che sia così.
Nel giro di dieci giorni al massimo, darò notizie alla famiglia del buon esito – spero – della mia missione. Non preoccupatevi per me.                                     Max
 

“Non preoccupatevi per me” ripeté per la terza volta Alexander, lasciando scivolare il foglio sulla scrivania. “Tuo fratello è sempre stato un burlone, ma qui si esagera.”

“Un burlone, e un falso, aggiungerei” dichiarò Lizzie, sollevandosi da terra – dove si era accucciata – tenendo tra indice e medio un lungo, lucente capello nero.

“Ti dai alle pulizie, cara?” domandò Alexander, curioso.

“O le domestiche sono diventate di colpo delle inette, e non credo, oppure mio fratello non era solo, qua dentro.”

“Non potrebbe essere un capello sfuggito a qualche cameriera?”

“Nessuna delle domestiche di Green Manor ha i capelli neri. Sono tutte bionde o castane. Oh, e Magda li ha rossi. Perciò, no, mio caro. Nessuna cameriera” replicò Elizabeth, sorprendendo un poco il marito.

“Non pensavo che avessi controllato sotto le cuffiette di tutte le donne di questo palazzo” ironizzò Alexander, vagamente impressionato.

“Le conosco tutte, è solo questo…” precisò Lizzie. “… e, visto che sta parlando di miss Cynthia Withmore, nel messaggio, la fanciulla che è stazionata qui assieme a Max potrebbe essere sua sorella Sophie.”

“Ma non mi hai detto che è una fanciulla tranquilla e pacata?”

“Le acque chete distruggono i ponti, Alexander” sottolineò Lizzie, gettando a terra il capello con espressione meditabonda. “Comunque, non occorrerà molto, per scoprire se abbiamo ragione. Dobbiamo scendere a York per parlare con Mr Withmore e…”

“… e dobbiamo aspettare tuo padre” precisò Alexander, bloccandola.

“Non possiamo! Sono solo in due, con mille e più strade che conducono a Southampton. Potrebbero non raggiungerli in tempo” esalò Elizabeth, torcendosi le mani per l’ansia. “Ma cosa è mai saltato in mente, a quello sciagurato di Samuel?”

Alexander si fece meditabondo e, in quel mentre, Andrew fece il suo ingresso nello studio, trafelato quando turbato.

“Non vorrei disturbarvi ma, alla porta, c’è Ferdinand Withmore, e sembra piuttosto scuro in viso. Voi sapete perché?”

Lizzie prese in fretta il messaggio di Max per porgerlo al fratello e, mentre questi imprecava vistosamente nel leggere quanto in esso contenuto, la giovane e il marito discesero verso l’atrio di palazzo.

Lì, ritto come una statua e altrettanto granitico nella posa, trovarono Mr Withmore, mentre il capo maggiordomo era impegnato a ritirare la sua tuba e il suo mantello.

Con una veloce riverenza, Elizabeth esordì dicendo: “Mr Withmore, buonasera. Sono Elizabeth Spencer, la figlia del conte. Prego, venite pure con me. Parleremo meglio in uno dei salottini.”

L’uomo assentì e, seguendo la coppia, mormorò soltanto: “Immagino sappiate già il motivo della mia venuta. Non mi sembrate sorpresi dal vedermi qui.”

“Purtroppo sì” annuì Alexander, invitandoli a entrare in un salotto, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Alcuni attimi dopo, giunse di corsa Andrew, che salutò brevemente il loro ospite prima di pregarlo di accomodarsi.

Alexander preparò del whisky per tutti, Elizabeth compresa e quest’ultima, nel ricevere il bicchiere dal marito, asserì: “Vorrei subito dirvi che non dovete temere nulla, per quanto riguarda vostra figlia Sophie. Se c’è un uomo onorevole, questo è Maximilian. Oserei dire lo stesso di Samuel Westwood, se non sapessi ciò che ha appena fatto.”

Annuendo brevemente, Ferdinand accettò il bicchiere panciuto e sorseggiò un istante il liquore ambrato, prima di mormorare: “Se mia figlia si è arrischiata a chiedere l’aiuto di vostro fratello minore, immagino si fidasse di lui. Sophie è sempre stata la più assennata delle mie due figlie… o così ho sempre pensato fino a questo pomeriggio.”

“Forse, non sapeva quando sareste rientrato da lavoro, perciò ha pensato di risolvere in fretta il problema” ipotizzò Andrew, pur se dubbioso.

“A ben vedere, avrei dovuto rientrare domani sera…” ammise Ferdinand, centellinando il whisky con espressione pensierosa. “… perciò forse, lord Spencer, voi avete ragione. Ma perché non chiedere ai domestici?”

“Probabilmente, Sophie non voleva che sapessero il perché…” mormorò Elizabeth, sorridendo comprensiva all’uomo. “… per proteggere il buon nome della famiglia.”

Mr Withmore sorrise appena, a quelle parole.

“Come se mi importasse qualcosa, al momento, del mio nome…”

Elizabeth lanciò un’occhiata al fratello dopodiché, incrociato lo sguardo col marito, dichiarò: “Partirò per raggiungerli, così che la nomea di Sophie sia salva.”

Ferdinand Withmore sgranò gli occhi, a quelle parole, e replicò: “Non se ne parla, lady Chadwick. Se vostro padre fosse qui ora, ve lo vieterebbe sicuramente. Inoltre, mia figlia Sophie è responsabile delle proprie azioni, esattamente come Cynthia. Non è necessario che mettiate a repentaglio la vostra incolumità per loro. Partirò io, e cercherò di aiutare vostro fratello, se potrò.”

Andrew, allora, sorrise benevolo all’uomo, asserendo: “Non credo che resistereste a lungo, viste le tappe serrate che, sicuramente, Maximilian si imporrà durante il viaggio. Quando avete perso la gamba?”

L’uomo si irrigidì appena, a quel commento ed Elizabeth, nel poggiare una mano sull’avambraccio di Mr Withmore, mormorò: “Siamo abituati a riconoscere i segni, anche se voi avete solo una leggera zoppia. E’ successo in fabbrica, forse?”

Lui annuì dopo diversi secondi di cupo silenzio e, nel poggiare una mano sul ginocchio della gamba destra, sussurrò roco: “Avevo dodici anni, e la puleggia di un telaio me la strappò via appena sotto il ginocchio.”

Alexander imprecò a bassa voce e la mano di Elizabeth, ancora sul braccio di Ferdinand, si strinse un poco di più, comprensiva e irritata al tempo stesso.

“Non potete affrontare un simile viaggio, ma noi sì, e lo faremo” dichiarò Andrew. “Nostro padre vi ammira molto, e non avrebbe sottoscritto dei contratti con voi, se non vi apprezzasse come persona. Credetemi sulla parola e lasciate fare a noi.”

Withmore non seppe che dire, di fronte a quella spontanea – quanto inaspettata – offerta di aiuto.

Si era arricchito con il sudore della fronte, riscattandosi da un’infanzia dolorosa grazie alla sua capacità di vedere oltre l’osservabile.

Era stato capace e abile e, poco alla volta, era riuscito a far fruttare le misere sterline pagate dai suoi padroni per poter acquistare il suo primo carretto.

Si era impegnato, aveva piegato la testa più volte di quante avrebbe desiderato fare, aveva venduto le merci degli altri prima di poter vendere le proprie ma, alla fine, era riuscito.

Si era fatto un nome soltanto con le sue sole forze e, anche grazie all’amore di Adelaide, aveva prosperato poco alla volta.

Quando, però, erano nate le sue bambine, si era ritrovato a volere per loro solo il meglio, e questo lo aveva allontanato, lo aveva reso schiavo della stessa fonte del suo potere.

Aveva finito col diventare come le persone che tanto aveva disprezzato in gioventù, persone solo dedite ai soldi e al lavoro.

Certo, lui lo aveva fatto per far vivere negli agi e nel lusso la sua famiglia, ma il risultato era lo stesso.

Rischiava di perdere entrambe le figlie, e di far morire di crepacuore la moglie, per non essere stato abbastanza presente nelle loro vite.

Se la maggiore aveva pensato di poter migliorare se stessa, fuggendo con un lord verso le Americhe, la minore aveva ritenuto come unica possibilità quella di affidarsi a un giovane appena conosciuto, pur di evitare alla sorella un simile gesto.

In entrambi i casi, comunque, nessuna delle due si era rivolta a lui, per risolvere i loro problemi, rendendo evidente la distanza che si era formata tra lui e le sue bambine.

E ora, impossibilitato dalla sua menomazione a correre dietro a entrambe, doveva a sua volta affidarsi ad altri, per proteggerle.

D’altra parte, cosa gli rimaneva da fare, a quel punto?







Note: credevate davvero che sarebbe andato tutto liscio? ;-)
Non con me, temo...
Ora, vedremo come se la saprà cavare Max, se Samuel sarà più veloce di lui, e se gli Spencer interverranno o meno...
 
  
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