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Autore: Aryn2703    18/10/2017    3 recensioni
Breve favola su una principessa troppo sensibile per quello che la sua natura le permette di essere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta un bel regno nel sud della Danimarca, famoso tra gli stati vicini per essere un paese ricco e prospero.
La regina era ben considerata perché abile nell’amministrazione dell’economia mentre il suo sposo, un uomo colto e appassionato di ogni forma d’arte, si occupava delle questioni sociali.

Uno dei passatempi preferiti del re era collezionare diversi generi di pietre, dalle gemme e le perle di mare ai semplici ciottoli levigati, raccolti durante lunghe passeggiate sulla riva del fiume: non importava la preziosità, l’uomo trovava affascinante l’implacabile effetto del tempo su di esse.
Un giorno, mentre sedeva sulla banchina ghiaiosa di un ruscello, il sovrano vide una stupenda conchiglia affiorare dall’acqua: una volta avvicinatosi fece una gran fatica per estrarla in quanto profondamente incastrata tra le rocce. Tirata fuori, il re gemette di dolore: la conchiglia, infatti, si era rivelata essere il guscio di un mollusco di fiume. L’uomo, avendo pietà dell’esserino, decise di riporlo in acqua così da non separarlo dalla sua sfarzosa casa.

Questo gesto, così semplice e spontaneo, suscitò la commozione dello spirito del ruscello che, personificatosi in un bambino dell’età di circa dieci anni, si rivelò al sovrano e come ringraziamento gli annunciò la nascita di una figlia portatrice della pietra più bella mai esistita.

Passarono i mesi, la regina rimase incinta e, come predetto, nacque una bambina.

Questa, però, era fatta di cristallo.

La principessa di cristallo non era così fragile come si potrebbe pensare: non si rompeva in mille pezzi se cadeva a terra né rischiava la vita ad ogni passo; Fu proprio per questo che il re e la regina la sottoposero comunque al classico addestramento per principesse, così da diventare un giorno degna regina del suo regno.

Il re era molto titubante: il cristallo era sicuramente un grazioso materiale ma non il più bello mai visto. Pensò che forse lo spirito si era sbagliato e, inconsciamente, iniziò a provare una sorta di rancore verso la sua stessa figlia: da un lato perché non rispecchiava la profezia e, dall’altro, molto in fondo, si era pentito di non aver preso con sé quella conchiglia maestosa.

La vita della bambina non fu facile. La sua cristallinità, infatti, la rendeva semplice alla lettura; ogni sensazione, ogni pensiero, ogni capriccio era chiaramente visibile attraverso la sua pelle: quando provava felicità una calda luminescenza si irradiava dove il cuore batteva e allo stesso modo, quando la rabbia la pervadeva, ecco che brillava di una tenue nuance violacea.
A causa di tale caratteristica era soggetta a continui rimproveri da parte dei genitori: Questi vedevano, e lo vedevano davvero, quanto quella odiasse le ripetizioni di storia, così come imparare il bon ton e ricamare camicette.
Man mano che cresceva si isolava sempre di più; l’essere un libro aperto la irritava e non le dava la possibilità di avere intimità con sé stessa: ogni emozione provata era schiaffata in faccia a chiunque e, di conseguenza, perdeva di importanza.
 La principessa di cristallo crebbe sempre più sola e sempre più invidiosa: gli uomini normali potevano fingere di essere ciò che non erano, simulare falsi sorrisi così come finte lacrime in situazioni non poi così tristi. Avevano il potere di tenere soltanto per sé sensazioni di gioia o di profondo dolore e lasciarsi cullare da esse.

Passarono gli anni; il re e la regina morirono e quella che era una principessa divenne una regina.

Da quel momento ebbe inizio quello che fu chiamato Periodo Tetro.

La regina, infatti, divorata ormai dalla gelosia, fece buttare ogni singolo specchio del suo castello e, in seguito, cacciò tutti i servi dal palazzo per poi chiudersi lì dentro, sola, lontana da ogni sguardo che potesse vedere il suo cuore.
Non si curava di nient’altro se non di sé stessa: odiava gli uomini perché la facevano sentire inferiore e, di contro, decise di non prendersi carico delle sue responsabilità, lasciando i cittadini soli nelle carestie e nelle calamità.
Trascorse tanto tempo, la gente quasi si dimenticò dell’esistenza della loro regina e iniziò ad amministrarsi da se; la civiltà pian piano riprese il proprio corso e tutto si stabilizzò.

Il castello, intanto, rimase sommerso dalla selva e scomparve alla vista di tutti.

Un giorno un giovane forestiero giunse per caso in quel regno. Egli si recava presso un famoso parrucchiere, zio di suo padre, che si era offerto di insegnargli il mestiere.
Il ragazzo, però, non conosceva bene la strada e finì per perdersi in un tetro boschetto che affiancava la città. Sconsolato, iniziò a vagare in cerca di un rifugio sicuro dove passare la notte.
Dopo qualche ora, girando girando, ecco che si ritrovò di fronte al portone principale dell’ormai dimenticato castello. Rincuorato, il giovane bussò due volte, fece per farlo una terza quando il portone si aprì.
Una volta entrato, l’apprendista parrucchiere vide sulle scale la figura eretta di una donna. Quella, apparendo dai contorni trasparenti ed emanando una sinistra luminescenza, iniziò a muovere dei passi verso il forestiero che, pensando di avere davanti un fantasma, lasciò cadere la valigia e corse via a gambe levate: non tornò più in quel regno e, piuttosto, si dedicò alla stesura di romanzi.

La regina di cristallo, intanto, si avvicinò alla valigia. Chinatasi, vide che conteneva diversi vestiti, un pettine, un rasoio e… uno specchio!
La donna prese quell’oggetto nelle mani ma, una volta visto il suo riflesso, gettò un urlo di terrore e lo scaraventò lontano.
Lo specchio, infatti, aveva mostrato una donna esile il cui cuore era sostituito da un indefinito groviglio nero. Questo, però, si era diffuso pian piano in tutto il corpo passando attraverso le vene cristalline, colorando anch’esse di nero; lei sapeva che non sarebbe mai più potuta tornare indietro: ogni colore di ogni emozione soccomberebbe a quella che ora era diventata la sua natura.
Presa dallo sconforto, quella che una volta era la regina di cristallo, capì che a nulla era servito nascondersi in un palazzo, lontano dagli occhi degli uomini, perché poteva anche mentire agli altri ma mai più avrebbe potuto farlo con se stessa.
Avendo realizzato quanto in realtà aveva sprecato la sua vita, la regina si recò nella sala più alta del castello, si affacciò dalla finestra e, chiedendo silenziosamente perdono alla gente del regno che aveva trascurato, si buttò giù.

Diversi anni dopo alcuni boscaioli coraggiosi si inoltrarono in quella selva che, da anni, si vociferava fosse abitata da uno spirito maligno. Giunti ai pressi del castello, tutto quello che gli uomini trovarono fu un mucchio di pezzi di cristallo e, in mezzo a questi, una pietra di straordinaria bellezza: liscia e ben levigata, essa risultava trasparente come l’acqua ma, posta al sole, brillava di tutti i colori dell’arcobaleno.
Affascinati, gli uomini decisero di portare quel gioiello in città dove chiunque poté godere della purezza e bellezza del cuore della dimenticata regina di cristallo.  

 
   
 
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