Sam
sembrava non fidarsi del tutto.
Lo
seguiva con fare scettico, facendogli ogni tanto qualche domanda
sulla mossa successiva, con fare annoiato e svogliato.
Michelangelo
temette più di una volta che il ragazzino lo abbandonasse
nel bel
mezzo della ricerca, probabilmente dopo avergli mollato un ultimo
pugno, come saluto.
Lo
convinse che gli servivano almeno dieci copie della foto e lo
mandò
in un alimentari aperto 24ore, che forniva una fotocopiatrice a
pagamento; Sam uscì dopo pochi istanti con una pila di fogli
nella
mano e si infilò nel viottolo lì accanto, con
fare sicuro.
Una
mano afferrò i documenti con velocità,
ispezionandoli con
attenzione alle luci soffuse del lampione poco distante.
“Passabile”
disse Mikey. “Non coglie appieno la sua bellezza, ma
può andare”
commentò con fare critico, prendendo la foto in cima per
compararla
con le fotocopie, infilandosela poi in tasca con fare possessivo.
Sam
sbuffò infastidito.
“Ridammi
la mia foto, coso.”
Michelangelo
iniziò a camminare, ignorandolo, e lui gli
trotterellò dietro, un
pugno già chiuso.
“Allora?”
insisté con tono più urgente.
“Mi
serve per le ricerche!” si difese il mutante, molto poco
convincente.
“Non
è vero! Vuoi tenerti la mia foto, pervertito!”
Mikey
gli gettò un sorriso colpevole, ma non fece per
restituirgliela,
continuando invece a guidarlo verso la loro destinazione.
“Posso
tenerla?”
“Perché?
È una foto, non la conosci neanche! Ti piace solo
perché... è
bella” ammise con fatica il ragazzo, storcendo il naso, come
se gli
costasse ammettere che sua sorella fosse bella.
Eppure
Mikey aveva capito quanto il piccolo ci tenesse a lei.
“Ti
sembrerà stupido, ma si possono capire molte cose da una
foto. Da un
sorriso. Da uno sguardo.”
“Mhm,
ok, prendi la foto che mi hai rubato e dimmi cosa ci vedi, coso. Se
azzecchi almeno qualcosa della persona ritratta, allora te la
farò
tenere” sibilò Sam esasperato, accorciando la
distanza tra loro
con passetti leggeri.
Mikey
gli gettò un'occhiata fugace, prima di prendere la foto che
aveva
gelosamente riposto nella taschina della tuta, chiedendosi se non
fosse tutto un trucco per riprendersela.
Studiò
attentamente la giovane donna immortalata, ma non ne aveva davvero
bisogno.
“Dà
l'impressione di essere scostante e cinica, brusca, credo, ma in
realtà è molto dolce, solo che non sa come
mostrarlo. Forse non sa
come fare o lo vede come una debolezza” spiegò di
getto, con
sicurezza.
Nella
sua mente era così che se l'era immaginata e non avrebbe
cambiato
idea facilmente.
“E
hai capito tutto dalla foto?” domandò cinico il
ragazzino.
Mikey
annuì vigorosamente e l'altro lasciò andare uno
sbuffo dal naso.
“Melissa
è la ragazza più dolce del mondo, tutta abbracci
e coccole e
unicorni rosa. Ha una parola carina per tutti ed è
schifosamente
gentile anche con gli estranei” disse con sufficienza, eppure
con
un tono di affetto e rispetto che forse non sapeva di trasmettere.
Melissa,
allora era così che si chiamava.
Comunque,
aveva toppato il suo carattere alla grande, non ci aveva preso per
niente; eppure, dall'espressione nella foto, pensava di aver capito
come dovesse essere.
Fece
per allungare la foto al ragazzino, controvoglia, ma quello
tirò
dritto e lo precedette nel vicolo, senza una parola; Michelangelo con
un sorrisino felice la fece sparire nella tasca, come un tesoro.
Il
mutante lo trascinò per un bel po' in giro, fino a
raggiungere una
delle discariche della città, la più grande. Sam
sembrò sul punto
di chiedergli spiegazioni, quando videro un fuoco controllato, al
centro di un grande spiazzo.
“Professore!”
salutò Mikey con entusiasmo, agitando la mano verso un uomo
seduto
lì attorno insieme ad altre persone.
L'uomo,
aveva all'incirca una sessantina d'anni, si staccò dal
gruppetto e
gli rivolse un gran sorriso.
“Michelangelo,
amico mio, come stai?”
I
due si scambiarono una serie di vane chiacchiere e Sam li
osservò
con curiosità, non osando però fare domande.
“Mi
serve il tuo aiuto, professore” disse Mikey quando i
convenevoli
finirono, mostrandogli le fotocopie. “Stiamo cercando questa
ragazza.”
Poi
il mutante si voltò verso il ragazzo, come esortandolo.
“Si
chiama Melissa Williams, ha ventidue anni, è una
ricercatrice e vive
nell'Upper east side” spiegò Sam, mentre Mikey
intanto prendeva
nota di tutte le informazioni sulla misteriosa ragazza che gli aveva
rubato il cuore.
Quella
versione tuttavia sembrava troppo perfetta e irraggiungibile ed
eterea, rispetto a quella che si era creato nella mente, più
semplice e pura, dura, ma con un grande cuore.
Il
professore si appuntò tutto con minuzia e prese le
fotocopie,
promettendo loro che non appena avesse avuto qualche informazione li
avrebbe avvisati immediatamente.
Si
allontanarono a grandi passi, ma Mikey non aspettò molto per
ricominciare a parlare.
“Allora,
Melissa, parlami ancora di lei” richiese con impazienza,
più per
sé stesso che per avere altri indizi.
“Hai
già sentito tutto” rispose seccato Sam.
“Ha ventidue anni, prima
di sparire faceva yoga e pilates tre volte la settimana in una
palestra vicino a casa e usciva per andare al lavoro tutte le mattine
alle otto, rientrava ad orari diversi a seconda della giornata.
Usciva coi suoi amici nei fine-settimana, insieme al suo
ragazzo.”
Mikey
sussultò alla menzione del fidanzato, ma non era poi tanto
sorpreso
che una bella ragazza come Melissa avesse dei corteggiatori, unito
poi al carattere dolce che Sam aveva descritto, era perfettamente
logico che qualcuno l'avesse accalappiata.
“Com'è
il suo ragazzo?” domandò d'impulso, più
seccato di come volesse
suonare.
Sam
replicò con un suono gutturale che pareva un rigurgito.
“Jacob.
Era il suo ragazzo” aggiunse, sottolineando per bene il verso
al
passato.
“Quando
Melissa è sparita lo hanno interrogato, anche i suoi amici,
ci hanno
interrogato tutti. Lui piangeva, era disperato, non sapeva
niente.”
Sam
vide lo sguardo pensieroso di Mikey e si affrettò a
spiegarsi.
“Non
è stato lui, è un viscido, ma fondamentalmente un
idiota. Appena un
mese dopo la sparizione di Melissa ci stava già provando
con...
un'altra, solo perché le somigliava. Ecco quanto ci teneva a
lei.
Per quanto ne so adesso si è trasferito nel Jersey e sta con
una
nuova tipa, ha tagliato i ponti con tutti.”
Tutto
il disgusto verso quel Jacob era palpabile in ogni parola velenosa di
Sam e Mikey un po' gongolò, anche se sapeva che ovviamente
quello di
Sam era il giusto odio di un fratello protettivo verso sua sorella.
“Hai
detto che fa la ricercatrice, dimmi di più” lo
esortò dopo
qualche attimo, sia curioso che in cerca di un modo per distrarlo dal
pensiero di quel Jacob.
“Sì,
Melissa è una delle più giovani ricercatrici
nell'intero stato. È
sempre stata una secchiona, e beh, è davvero intelligente:
si è
laureata anni in anticipo sul programma e diverse compagnie hanno
fatto a gara per assumerla. Ha ricevuto parecchi premi, sai?”
Si
sentiva il rispetto che provava per sua sorella anche attraverso il
tono sdegnato che si era imposto, si percepiva una sorta di
ammirazione per i suoi traguardi o per la sua intelligenza, anche se
Mikey capì che Sam era probabilmente agli antipodi. Non
stupido, no,
aveva mostrato una buona dose di intelligenza e furbizia, ma di certo
non sembrava il tipo di ragazzino a cui piacesse studiare e sgobbare
sui libri.
Attesero
una chiamata dal Professore, ma non stettero con le mani in mano:
gironzolarono per la città, un po' alla ricerca di indizi,
un posto
in cui magari Melissa era stata e che Sam ricordava, un po' per
perlustrare. Mikey cercò di conciliare le due cose,
pattugliare
senza mettere in pericolo il ragazzino, ma tutto sommato non era
così
preoccupato, dopo averlo visto tenere testa a tizi ben più
grossi di
lui: era di certo ancora molto grezzo nel modo di combattere, ma
aveva del potenziale che se affinato bene poteva renderlo un grande
guerriero.
Forse
avrebbe chiesto al sensei di allenarlo, quando tutto fosse finito. E
non era una scusa solo per poter rimanere in contatto con Melissa una
volta trovata, si giustificò nella mente, pensava davvero
che Sam
fosse naturalmente portato.
Ne
ebbe la prova quando incapparono in una piccola gang che derubava un
negozietto di elettronica, dalle parti di Chinatown: avevano
parcheggiato un furgoncino scassato nel vicolo in cui si apriva la
porta sul retro e uno di loro aveva disattivato l'allarme; entravano
e uscivano dal negozio disordinatamente con le braccia cariche di
laptop, telefonini, cuffie wireless e consolle di videogiochi che
caricavano in fretta nel loro mezzo.
Mikey
ne contò tre, dopo qualche attimo in cui era rimasto
nascosto a
controllare i loro spostamenti.
Intimò
a Sam di stare nascosto e non dare nell'occhio, poi si
avvicinò
velocemente.
I
delinquenti erano ben piazzati e muscolosi, di certo sapevano tirare
bene un paio di pugni, ma non erano alla sua altezza: si
gettò in
mezzo a loro e gettò giù i primi due con un paio
di colpi di
Nunchaku, senza sforzo.
Il
terzo reagì alla minaccia e lasciò andare la
mercanzia senza
ritegno, cercando di scappare via, ma accortosi di non avere vie di
fuga, si voltò ad affrontarlo con solo un po' di timore.
Michelangelo
gli sorrise con fare affabile, ma il sibilo dei Nunchaku che
roteavano nelle mani lo rendevano tutto meno che rassicurante.
L'uomo
si gettò contro di lui con la guardia alta e
provò a colpirlo con
un destro, ma scansò di lato e lo stoccò alla
gamba con
un'estremità del Nunchaku, come avvertimento.
Il
delinquente gridò di dolore, ma non si arrese e si
allontanò di
qualche passo per distanziarlo, i pugni ancora ben stretti e lo
sguardo vigile.
Fu
allora che Mikey sentì i passi di qualcuno alle spalle.
Un
quarto complice, apparentemente.
Girarsi
voleva dire dare la possibilità a quello di fronte di
colpirlo alle
spalle, e rimanere in quella posizione lo rendeva vulnerabile al
nuovo componente che gli si avvicinava minaccioso.
Si
lanciò contro quello certo e più vicino coi
Nunchaku turbinanti e
lo colpì velocemente e senza esitazione, gamba, braccio e
nuca,
neutralizzandolo all'istante.
Lo
sentì cadere, ma si era già voltato verso il
quarto uomo.
Si
bloccò sorpreso, le mani quasi lasciarono cadere le armi.
Il
delinquente era a terra e Sam lo sovrastava, i pugni ancora chiusi,
ma le spalle rilassate. Il cappellino era un po' sbilenco, ma il
ragazzino lo sistemò meticolosamente, oscurando ancora di
più il
viso.
Non
aveva la più pallida idea di come lo avesse steso
così facilmente e
silenziosamente, ma non aveva nemmeno un graffio e gli occhi grigi
scintillavano di vittoria.
“Beh
che c'è, coso?” gli domandò quando si
accorse che lo stava
fissando.
Michelangelo
non trovò niente da dirgli e anche le domande che voleva
fargli gli
morirono in gola.
Non
era un buon momento per farle, ma prima o poi voleva conoscere tutto
di quello strano ragazzino.
Si
affrettò a legare i ladruncoli e a chiamare anonimamente la
polizia,
poi si allontanò velocemente, trascinandoselo dietro.
“È
questo che fai nella vita?” domandò dopo una
decina di minuti Sam,
quando erano ormai distanti e perfino il suono delle sirene si era
spento in lontananza.
“Sorvegliare
la città? Sì, è tutto quello che so
fare” spiegò Michelangelo
bonariamente, sorpreso dalla sua curiosità.
“Non
è molto e non posso salvare tutti, ma io e i miei fratelli
ce la
mettiamo tutta per dare una mano.”
“I
tuoi fratelli?”
“Sì,
siamo in quattro. Leo è il leader, Donnie il genio e Raph il
piantagrane. Io sono quello bello, se te lo fossi
dimenticato.”
“E
sono come te?” incalzò Sam, provando a immaginare
altri tre come
quel Michelangelo, altri tre 'cosi'.
“Sì,
siamo quattro mutanti. Poi c'è la mia sorellina, a volte
anche lei
ci aiuta con le ronde. E anche Steve, ti piacerebbe Steve, era molto
timido, ma adesso sta diventando un buon ninja. Oh, e Angel, lei
studia all'università, ma trova comunque il tempo di
aiutarci quando
abbiamo bisogno e Casey e Angel adesso sono genitori, ma non mi
metterei mai contro di loro, saprebbero prendere a calci un esercito
se qualcuno li facesse arrabbiare.”
Sam
aveva sgranato sempre più gli occhi, sotto la tesa del
cappellino,
da sorpreso a leggermente sconvolto.
“E
siete tutti mutanti?” sbottò incredulo,
rallentando un poco.
Mikey
ridacchiò, agitando una mano.
“No,
sono umani. Abbiamo molti amici umani, hai visto col professore,
prima. Beh, lui crede che andiamo in giro con dei costumi, in
effetti, ma i nostri amici sanno cosa siamo e non gli
importa.”
Appena
finito di parlare, si illuminò.
“Posso
avvertire anche gli altri!”
Lo
guardò trafficare con un buffo cellulare a forma di guscio
di
tartaruga recuperato da una taschina: scattò una foto alla
foto di
Melissa che poi fece sparire prontamente per non perderla e
digitò
freneticamente nella tastiera.
“Ecco
fatto. Donnie è un genio, gli ho mandato tutte le
informazioni, ci
aiuterà.”
Si
fermò a pensare per qualche istante.
“Adesso
che facciamo nell'attesa? C'è qualche posto in cui vorresti
controllare? Casa di Melissa, la palestra, qualche locale che
frequentava?” domandò propositivo.
“No,
la polizia ha perquisito a fondo tutto, io ho ricontrollato casa sua
e la palestra e alcuni dei centri che frequentava, ma non ho trovato
niente. L'unico posto che non ho potuto ricontrollare è il
suo posto
di lavoro, la sicurezza è molto alta.”
Non
avevano niente da perdere a provarci e in fondo non avevano davvero
qualche altra pista, perciò dare una veloce occhiata non
sembrò una
brutta idea.
Si
fece dare l'indirizzo da Sam e lo comunicò per messaggio a
Donatello
per sicurezza, prima di incamminarsi.
Il
centro di lavoro per cui lavorava Melissa era alla periferia del
Queens, perciò approfittarono del tettuccio di un pullman di
passaggio per arrivarci in poco tempo: Sam all'inizio gli aveva
urlato contro per la sua pazzia e perché lo aveva afferrato
senza
chiederglielo, ma poi si era rilassato e sembrava essersi divertito
della corsa.
Mikey
lo aiutò a scendere quando il pullman rallentò
vicino alla loro
meta e si beccò un pugno nel braccio anche per quello.
Sam
si risistemò meglio il cappellino e gli mandò
un'occhiataccia,
mentre lui studiava i dintorni.
Il
ragazzino lo guidò verso la periferia, una zona di sole
fabbriche e
prefabbricati, praticamente deserta. Si fermò davanti ad un
alto
cancello e si voltò a guardarlo.
Al
di là c'era un enorme parco, alberi rigogliosi ed erba
incolta e in
lontananza si vedeva un alto palazzo di cemento e vetro, immerso
nell'oscurità.
“La
rete è elettrificata” disse Sam, indicando un
cartello di
pericolo.
“Non
è un problema” rispose Michelangelo, frugando
nelle taschine.
Era
sicuro che Donatello gli avesse dato qualcosa per casi del genere.
“Mi
sembra che fossero questi” aggiunse solo mezzo incerto,
tirando
fuori due piccoli bottoni neri.
Si
avvicinò cauto alla rete e li premette contemporaneamente,
uno a
destra e uno alla sua sinistra, poi si allontanò
osservandoli ancora
come se non si fidasse completamente.
“Uhm,
adesso in pratica la corrente dovrebbe essere deviata da questo punto
tra i due bottoni, se ho capito la spiegazione di Donnie.”
Sam
sembrava scettico.
“Prova
prima tu, coso!”
Mikey
gli sorrise sghembo, strofinò le mani una con l'altra e poi
le
poggiò deciso sulla rete, lanciando un grosso urlo. Poi
scoppiò a
ridere e si voltò ad osservare Sam, divertito.
“Sei
davvero idiota” gli disse quello con una rollata di occhi al
cielo.
La
rete era sicura e la scalarono in fretta, atterrando con sicurezza
dall'altra parte.
Si
incamminarono verso l'interno occhieggiandosi attorno per cercare
traccia di guardie o persone, ma fortunatamente non c'era nessuno nei
dintorni.
Ci
vollero cinque minuti per attraversare il parco.
L'edificio
doveva essere stato un tripudio di avanguardia e tecnologia, ma
sembrava abbandonato, non da troppo comunque: i vetri erano coperti
di un sottile strato di polvere e striature di pioggia, inusuale che
nessuno le pulisse se fosse stato abitato; i cespugli che
contornavano il sentiero per l'entrata erano cresciuti incolti e
disorganizzati e una pesante catena in ferro bloccava la porta,
legata stretta nei maniglioni a scatto.
Le
luci erano spente, le finestre ben chiuse, non si sentiva un suono
né
un rumore
Probabilmente
non c'era nemmeno una guardia di sicurezza.
Mikey
si gettò in avanscoperta, studiando per qualche attimo il
palazzo
per essere certo dei suoi sospetti.
“Sei
certo che Melissa lavori qui?” domandò cauto,
occhieggiando verso
i piani superiori per cercare un'entrata.
“Certo
che sì. Questo laboratorio di ricerca è uno dei
più conosciuti
della città, non ti ci puoi nemmeno avvicinare, ha dei
cancelli
altissimi e reti elettrificate e le guardie all'ingresso del terreno.
Non so perché adesso sembri abbandonato.”
Pensarono
che comunque potesse essere un vantaggio, il poter girare
indisturbati.
“Ok,
ragazzino, dobbiamo salire sul tetto. Mettimi le braccia attorno al
collo.”
Sam
gli lanciò un'occhiata glaciale, un sopracciglio biondo
sollevato
con scetticismo.
“Ho
visto che sei agile e flessibile e abbastanza preparato, ma non credo
che tu sappia scalare un muro verticale di almeno venti
metri”
aggiunse sarcastico Michelangelo, facendo spallucce.
Sam
rollò gli occhi al cielo e si limitò a puntargli
un dito contro di
ammonimento, prima di avvicinarsi con fare circospetto e sospettoso,
e allungare un braccio verso l'alto.
Mikey
si trattenne dal sorridere per timore che potesse pizzicare una corda
sbagliata.
Gli
piaceva, Sam, era divertente per lui punzecchiarlo.
Si
abbassò per permettergli di saltargli sul guscio e passargli
le
braccia attorno al collo, forse un po' troppo strette, gli premevano
sul pomo d'adamo come se il ragazzino stesse provando a strozzarlo.
Con
una risatina, Mikey lo colpì leggermente sulle mani per
fargli
capire di lasciarlo andare, ma Sam strinse un po' di più,
prima di
accontentarlo.
Mise
gli Shuko sulle mani e si avvicinò alla superficie del
palazzo, dove
aveva già appurato non ci fossero telecamere di sorveglianza.
Lo
scalò facilmente, Sam non pesava quasi niente e si mosse il
meno
possibile, permettendogli di concentrarsi sull'avanzamento e
sull'equilibrio necessario; atterrarono sul tetto docilmente e Mikey
lasciò andare il ragazzino, cercando traccia di sensori o
telecamere, ma il perimetro era sicuro.
La
porta per le scale era chiusa, ma bastarono un paio di minuti e le
mani veloci e pratiche di Sam per forzare la serratura, sotto lo
sguardo sorpreso e un po' seccato di Michelangelo.
Sentirono
un secco click, quando la aprirono, e Mikey tolse una piccola torcia
da una delle tasche della tuta per fare strada nell'interno buio.
Scesero
un paio di rampe, prima di arrivare ad un lungo pianerottolo.
“Non
sai a che piano ha lavorato Melissa?” chiese a voce bassa
Mikey,
quasi con timore.
C'era
un grande silenzio, interrotto ogni tanto brevemente da uno
scricchiolio, un topo forse o il cigolio del legno.
Sam
era un passo dietro di lui e rispose con lo stesso sussurro.
“Al
terzo mi pare. O forse il quarto.”
Esplorarono
brevemente le stanze, c'erano uffici e piccoli laboratori, tantissimi
macchinari tecnologici e sofisticati abbandonati a loro stessi,
milioni di cartelle e risultati di analisi gettati alla rinfusa sulle
scrivanie e per terra. Gli armadietti di medicinali e campioni erano
aperti e completamente vuoti, se non per qualche flaconcino rotto.
Un
lieve strato di polvere copriva tutto. Nonostante non dovesse esserci
nessuno da tempo, nell'aria l'odore di componenti chimici e
disinfettante permeava con forza.
Scesero
qualche altra rampa di scale e controllarono anche i pianerottoli
sotto, trovando le stesse identiche cose, lo stesso identico
disordine.
Quando
arrivarono al quarto piano, decisero di esplorarlo a fondo,
controllando per bene i fogli trovati e tutte le scrivanie in cerca
di un indizio, una foto, qualsiasi cosa, ma non c'era niente, niente
di personale, niente di importante.
“Forse
era il terzo piano” mormorò Mikey, accortosi dello
sconforto del
ragazzino, che si manifestò con pugni chiusi e sospiri di
rabbia.
Il
piano inferiore era identico ai precedenti, stessa disposizione delle
porte, stesso uso degli spazi, e frugare ed esplorare fu un noioso
ripetersi degli stessi gesti, degli stessi movimenti: si spostarono
di stanza in stanza, la speranza di trovare qualcosa sempre
più
flebile.
Una
delle ultime, alla fine del corridoio, era addirittura completamente
vuota.
La
scrivania era intonsa, così come il mobiletto alle sue
spalle, tutto
accuratamente in ordine, come se fosse stata vuota ancora prima che
quel posto venisse abbandonato.
C'era
solo un poster stinto vicino al mobiletto, che raffigurava un gattino
aggrappato ad un ramo, con la scritta sopra che diceva: 'Hang in
there'.
Mikey
pensava che non ci fosse nulla da cercare, fece per uscire e passare
alla successiva, ma Sam si era bloccato a guardare quel poster, con
interesse ed evidente emozione.
“Era
qui, era il suo ufficio” disse con voce sottile.
Mikey
si bloccò e si diede un'occhiata attorno, ma non c'era
davvero
niente.
“Questo
poster, gliel'ho regalato io” spiegò il ragazzino,
indicando con
un dito lo scarabocchio a penna sul muso del gatto, che gli disegnava
due sottili baffetti da gentlemam.
“Lei
si era arrabbiata, ma lo ha appeso lo stesso.”
Fu
chiaro immediatamente, che non avrebbero trovato niente di rilevante
o importante.
Come
avevano pensato appena visto l'ufficio, sembrava che Melissa l'avesse
lasciato ancor prima che tutto il palazzo fosse chiuso e entrambi si
chiesero se la ragazza non avesse lasciato il posto di lavoro senza
dire niente a nessuno.
I
cassetti erano vuoti, per scrupolo cercarono anche la presenza di
doppifondi o nascondigli segreti, ma trovarono solo polvere e un paio
di ragnatele.
La
frustrazione di Sam era sempre più palpabile e alla fine
sbottò con
un ringhio nella gola, calciando via la sedia con così tanta
forza
che andò a sbattere violentemente contro il muro di fronte.
Nel
silenzio prese grossi respiri, e Michelangelo non ebbe il coraggio di
dirgli niente, rispettò la sua rabbia.
Sam
si passò una manica sul viso, poi lasciò andare
un altro ringhio,
infine si avvicinò a grandi passi al muro e
staccò il poster con un
solo gesto secco, quasi brutale, come un cerotto tirato via da una
ferita non ancora rimarginata.
Lo
osservò nella semioscurità, mentre il foglio si
piegava
all'indietro di colpo.
Lo
voltò con urgenza, insospettito, e prese un brusco respiro
teso.
“Vieni
qui, coso, mi serve la luce!”
Michelangelo
accorse al tono urgente e quando la torcia illuminò
completamente il
retro del poster, lo vide anche lui: c'era una foto attaccata, la
stessa foto che Sam gli aveva mostrato, la stessa donna bellissima e
sorridente, dietro a quello sguardo tagliente e altero.
Sotto
c'era una scritta, che il ragazzino lesse e rilesse con occhi avidi,
sempre più lucidi.
-
Harlem 96ª, 45, Lois Miller-
Non
c'erano altre indicazioni, eppure quelle poche parole aprivano la
strada a mille possibilità, mettendogli agitazione.
Così come la
frettolosa indicazione a matita aggiunta alla fine del foglio, le
lettere quasi sbiadite:
-Il sistema di sicurezza è una bomba-
Sam
si voltò con gli occhi sgranati verso Mikey e lui gli
restituì lo
stesso sguardo, mentre la mente ripensava al flebile click che
avevano sentito quando avevano forzato la porta, passato come il
suono del cilindro della serratura.
Forse
non era stato solo il cilindro della serratura, dopotutto.
Michelangelo
si gettò in avanti e lo afferrò per la manica,
tirandolo verso di
sé e prendendolo in braccio contemporaneamente, mentre Sam
stringeva
forte il poster al petto. Fu tutto così veloce che non ebbe
nemmeno
il tempo di sgridare Mikey per averlo preso o per fare finta che gli
desse fastidio.
Michelangelo
corse disperatamente verso la finestra e spiccò un grande
balzo,
pronto a infrangere il vetro con le ginocchia, ma la detonazione lo
colpì a mezz'aria e lo scaraventò in avanti in
un'esplosione di
vetri e fuoco e calcinacci e d'istinto si chiuse a conchiglia su Sam,
proteggendo tutto il suo corpo con il proprio e il guscio.
Le
orecchie fischiavano e tutto bruciava, il dolore era incontenibile.
Atterrarono
nel giardino con un tonfo sinistro e un gemito sofferto di Mikey,
mentre l'aria si riempiva di fumo e fuoco.
Nel
delirio di dolore e coscienza che si affievoliva, fece lo sforzo di
controllare che Sam fosse vivo; lo sentiva tremare e respirare forte,
stretto ancora nel suo abbraccio, e tirò un breve sospiro di
sollievo.
Gli
arti si rilassarono, tutto il suo corpo si rilassò.
“No,
coso, parlami!”
La
voce di Sam aveva raggiunto un picco di stress e ottave stridule,
mentre lo scuoteva.
Era
preoccupazione quella nella sua voce?
“Coso?
Ti prego, non farmelo! Coso!”
Sentiva
le sue mani che premevano da qualche parte sulla spalla, dove
qualcosa di caldo e vischioso lo ricopriva.
“Coso!
Michelangelo!”
La
voce di Sam si spezzò per un attimo e solo in quel momento
si
accorse che stava piangendo.
Mikey
aprì a fatica gli occhi e li poggiò sulla figura
al suo fianco,
piccola, curva su di lui.
Era
la ragazza della foto.
Quella
con lo sguardo duro, ma in realtà estremamente dolce. I suoi
occhi
grigi erano velati dalle lacrime.
I
boccoli biondi le cadevano disordinatamente sull'enorme felpa nera e
il viso a cuore era graffiato in più punti, ma non sembrava
curarsene; lo guardava con preoccupazione e premeva con tutte le sue
forze contro l'uscita di sangue di cui lui non era nemmeno conscio,
cullato dal dolore verso il nulla.
Rimase
a guardarla in estasi, la luce delle fiamme illuminava i suoi capelli
di riflessi dorati.
Riuscì
ad alzare un braccio e a poggiare la mano sulle sue, e nel viso
dolorante apparve un sorriso felice.
“Ti
ho trovata, finalmente” sussurrò dolcemente.
Poi
la mano abbandonò la presa e chiuse gli occhi.
“No!
Coso! Michelangelo!” urlò Sam, scuotendolo con
disperazione, le
mani piene di sangue.
Note:
Buona
notte a tutti! Che bello ritornare qui.
Mi
sono presa un po' di tempo dopo l'operazione per rimettermi, grazie
per il vostro supporto e ai messaggi che mi avete mandato! Vi
abbraccio tanto.
Duuunque:
ecco qua la svolta!
Mikey
sta cercando la donna nella foto, ma la donna nella foto è
Sam?
Prossimo
capitolo avrete le risposte!
Vi abbraccio tantissimo, grazie di cuore di leggere ed esserci, vi adoro!
A presto