Sahara
Square era dall'altra parte di Zootopia.
Chilometri
e chilometri di strada e poi sabbia rovente da percorrere.
Senza
un mezzo di trasporto, rivestito di un pesantissimo costume di
imbottitura di piumone e trascinandosi dietro una coniglia in piena
crisi di identità, Nick pensò che probabilmente
non sarebbe mai
arrivato vivo alla meta e di certo non in tempo per sventare
qualsiasi piano malvagio stesse per prendere atto.
Sarebbe
morto prima per un colpo di calore o un malessere e almeno tutta
quella storia sarebbe finita, pensava, e lui non avrebbe più
dovuto
preoccuparsi di nulla.
Judy
Hopps, tosta coniglietta dal sogno nel cassetto di poter dimostrare
di valere quanto chiunque altro, a dispetto della sua statura e della
reputazione calma della sua razza, era spezzata.
Qualcosa
le si era spezzato dentro, probabilmente il suo senno, e continuava a
seguire il finto montone stringendo mollemente la sua zampa, docile e
infranta, mentre la testa era preda di paure e ansie della peggior
specie.
Aveva
sparato al suo capitano.
Aveva
sparato al capitano Bogo, in pieno collo, mandandolo giù
dritto in
una paresi momentanea e vigile, costellata di allucinazioni
probabilmente; le sue dita avevano reagito di propria
volontà,
quando lo aveva visto sollevare la sua pistola, pistola con
proiettili veri, contro Nick: non avrebbe potuto permettere che gli
sparasse, che lo uccidesse, senza fare niente.
E
così il grosso bufalo si era accasciato ai suoi piedi,
inerme,
facendo tremare il terreno sotto la sua possente mole.
Quell'occhio
attento, arrabbiato e sprezzante, l'avrebbe perseguitata per sempre.
Non
era possibile che il capitano stesse male per il sedativo, continuava
a ripetersi, era grande e una piccola dose lo avrebbe solo stordito
per un po', si sarebbe solo risvegliato con un cerchio alla testa e
un lieve capogiro, per certo.
Il
peggio sarebbe arrivato dopo: Bogo avrebbe sicuramente dato loro la
caccia con furia maggiore e rabbia, implacabile e instancabile, senza
più remore o favori e una volta trovati li avrebbe gettati
nella
cella più oscura, gettando via la chiave. Chissà
che non li punisse
anche per ciò che avevano osato fargli. E loro non avrebbero
mai
trovato le prove per scagionarsi, era tutto vano, vano, sarebbero
morti provandoci o tacciati per sempre come assassini e pazzoidi.
Nemmeno
lei, una preda, avrebbe ormai potuto sperare nella clemenza, dopo
aver preso così spudoratamente e accanitamente le difese di
un
predatore.
Se
solo avesse potuto spiegare e far capire a quella dannata
città
quanto sbagliavano sui predatori.
Nick
si fermò di colpo e Judy gli andò a sbattere
contro, contro la
lanugine finta e morbida, con un tonfo sorpreso.
“Carotina,
stai bene?” domandò premuroso, voltandosi a
guardarla.
In
un'altra occasione Judy avrebbe riso degli occhi preoccupati sotto
l'enorme testa di riccioli di poliestere, ma in quel momento rimase
congelata a fissarli, in stato catatonico.
Nick
le poggiò una zampa sulla spalla e la scosse piano,
chiamandola
ancora.
“Judy,
tu mi hai salvato” disse infine, e il suo tono caldo di
gratitudine
incrinò appena la sua apatia.
Ricominciò
a camminare, trascinandola ancora, ma Judy fu un po' più
collaborativa e strinse la sua zampa con un po' di vigore.
“Tu
mi hai salvato e non parlo solo di poco fa, col tuo capitano. Mi hai
seguito e mi hai spronato e mi hai sostenuto, mi sei rimasta accanto
nonostante fosse pericoloso e folle e-” prese un respiro
profondo,
incerto lui stesso su cosa volesse dirle davvero.
“Grazie,
Judy” tagliò corto, e la presa di lei si fece
più forte per un
istante.
“Sono
sicuro che riusciremo a trovare le prove e che il tuo capitano
capirà. Ce la faremo, ne sono convinto” aggiunse
incoraggiato e
incoraggiante.
Judy
accelerò il passo e lo affianco, le spalle più
indietro e il mento
in alto, e lasciò andare un grosso sospiro;
sollevò lo sguardo e
gli lanciò un timido sorriso di scuse.
“È
già molto tardi, e Sahara Square è molto
distante, dovremo prendere
un passaggio” esclamò più baldanzosa,
indicando con un cenno
della testa davanti a loro.
L'integerrima
poliziotta stava indicando una lunga fila di macchine in sosta.
E
ormai Nick aveva capito l'antifona e non le disse la solita battuta,
non era più il caso: avrebbero preso in 'prestito' una
vettura e
l'avrebbero aggiunta alle cose da mettere a posto una volta che fosse
tutto finito, in coda a tutte le altre.
Judy
forzò la portiera con pochi gesti calcolati e si
inclinò sotto al
volante, armeggiando con fili e cavetti, con una maestria dubbia;
già
una volta Nick aveva avuto l'impulso di chiederle dove avesse
imparato cose del genere, perché era certo che non lo
insegnassero
all'accademia di polizia.
O
forse sì, per quello che ne sapeva lui.
“Mia
sorella Charlene è un meccanico” la
sentì dire con tono attutito,
assorta nel suo compito, come se gli avesse letto nella mente.
“E
mio fratello George una volta ha forzato la porta di casa, era
rimasto chiuso fuori e quella sera era uscito di nascosto e aveva
bevuto birra di manioca fino a stare male, ma ovviamente è
stato
scoperto e si è fatto tre settimane di punizione a
raccogliere
ortaggi nei campi. Comunque poi ha insegnato a tutti noi come aprire
le serrature, per gioco, anche se ognuno di noi poi l'ha usato per
scopi diversi.”
Il
motore partì con un ruggito possente e Judy si sporse un po'
per
mandargli un sorriso al contrario.
“Avere
275 fratelli e sorelle può essere una seccatura durante le
feste, ma
ha una sua utilità, come vedi, impari le cose più
disparate.”
Nick
boccheggiò sotto il costume, ma lei non poté
vederlo. Il solo
pensiero di avere 275 fratelli era inconcepibile per la sua mente di
figlio unico, casa Hopps doveva essere una bolgia, una stazione piena
in cui non si poteva mai essere da soli, nemmeno per un attimo;
però,
non poté fare a meno di chiedersi, chissà quando
dovesse essere
bello avere sempre qualcuno con cui parlare, qualcuno da abbracciare,
qualcuno di famiglia.
Un
posto pieno di affetti in cui poter ritornare, sempre, a prescindere
da tutto.
Judy
lo stava guardando con attenzione, colpita dal suo mutismo, incerta.
“Guido
io, carotina, fai posto” le disse con sussiego, facendole un
gesto
con la zampa.
Partirono
con uno spunto incerto, poi la macchina prese velocità e si
allontanarono di gran carriera, con solo poche incertezze da parte di
Nick.
Judy
sedette rigida e in silenzio per gran parte del tragitto, ma attenta
alla strada e a Nick, anche lui quieto e vigile.
Provò
a fare mente locale, quello era lo stesso Nick che ventiquattro ore
prima l'aveva fatta guidare verso Tundra Town, che non sapeva come
fare, mentre in quel momento eccolo lì a prendere il
coraggio e
provarci, dopo aver fatto pratica quando l'aveva salvata da Koslov, e
tutto sembrava così diverso, nonostante fosse passato
così poco
tempo.
Nick
era diverso. E lei era diversa. E le cose tra di loro erano diverse.
E
forse anche Zootopia era diversa, o forse lo era sempre stata e lei
se ne era accorta solo grazie a tutto quello.
Cosa
sarebbe successo una volta che tutti avessero scoperto quanto marcio
e quanto ingiusto fosse il loro mondo?
Cosa
sarebbe successo dal giorno dopo in poi?
A
Zootopia, ma soprattutto a loro due?
Sentiva
un'inquietudine crescere, come un presagio appollaiato sul cuore, che
non la faceva respirare a fondo.
Il
tragitto fu relativamente corto e arrivarono al confine con Sahara
Square facilmente, il traffico ancora molto lieve: probabilmente
nella sera si sarebbe intensificato, ma c'erano ancora molte ore
prima delle celebrazioni e fortunatamente ancora pochi controlli.
Sahara
Square era torrido, torrido da morire.
L'aria
condizionata non partì immediatamente e Nick, ingabbiato
nello
spesso costume, era infradiciato di sudore già molto prima
di poter
vedere da lontano la sagoma del Tree Palm hotel stagliarsi contro
l'orizzonte.
Lasciarono
la macchina poco distante, certi che il proprietario avrebbe avvisato
la polizia in poco tempo del 'furto', se non l'aveva già
fatto, e
percorsero l'ultima parte a piedi, cercando di non dare nell'occhio.
L'hotel
era enorme, un grattacielo di acciaio, pietra e vetro che pareva
ancora più alto in mezzo alla piattezza del deserto: la sua
forma
poi lo rendeva iconico, tutti conoscevano la gigantesca palma
scintillante nel sole, svettante verso il cielo.
Essendo
l'hotel più prestigioso e lussuoso, era normale che fosse
sempre
molto frequentato, ma in quei giorni, a causa delle celebrazioni,
molti mammiferi erano arrivati dagli angoli più remoti,
occupando
quasi tutte le stanze disponibili; c'era un gran via vai alle porte,
che li fece ragionare per la prima volta su un particolare a cui non
avevano seriamente pensato prima: come sarebbero entrati, senza dare
nell'occhio?
Rimasero
bloccati a rimuginare all'angolo del palazzo, cercando vano
refrigerio all'ombra, osservando attentamente attorno.
C'erano
ancora poche guardie in giro e ancor meno poliziotti, ma Judy era
purtroppo abbastanza conosciuta per alcuni clamorosi arresti fatti e
il travestimento di Nick non avrebbe ingannato nessuno una volta
oltrepassate le porte; una volta tolto poi, tutti avrebbero
riconosciuto il muso del ricercato numero uno del momento.
Come
poter entrare indisturbati?
Tra
le varie opzioni c'era intrufolarsi nelle cucine, ma erano entrambi
certi che anche quei locali fossero pesantemente sorvegliati, per non
rischiare avvelenamenti o manomissioni del cibo a cinque stelle.
In
quel momento arrivò un piccolo furgoncino bianco, candido e
immacolato, con un logo sul fianco a cui non prestarono davvero
attenzione: furono invece attratti dal fattorino che
spalancò le
portiere posteriori, rivelando un numero eccessivo di valigie, dalle
dimensioni notevoli; Judy sarebbe entrata facilmente anche nel
beautycase, ma erano comunque così grandi che anche Nick
avrebbe
trovato comodamente posto in una qualsiasi delle più piccole.
L'unico
problema era: come arrivarci?
Judy
voltò il capino a destra e a sinistra con frenesia,
saltellando
appena sul posto. Le serviva un'idea, un'idea al volo.
La
mente era un completo foglio bianco.
Saltellò
sempre più freneticamente, il respiro corto.
E
nel panico che la avvolgeva, l'unica idea fu un'idea stupida.
Ma
era appunto l'unica idea.
“Coprimi
un po' con quel pelo finto” ordinò a Nick,
cercando di
nascondercisi dietro.
Lui
obbedì e si accorse che lei trafficava incerta con la zip
del
giubbino leggero, ma forse sussultava per l'adrenalina.
“Quando
te lo dico, tossisci forte, ok? Un rumore improvviso e forte”
aggiunse Judy, sistemandosi meglio alle sue spalle.
Nick
era un po' confuso, forse aveva capito cosa lei volesse fare, ma non
ebbe il tempo per farle domande o fermarla, perché lei gli
diede il
segno vocale: Nick tossì forte, il suono si
amplificò grazie alla
testa di imbottitura, ma riuscì a sentire la lieve
detonazione che i
batuffoli di poliestere non riuscirono ad attutire completamente.
Un
flebile barrito riempì l'aria rovente e contemporaneamente
sentì un
tremolio sotto le zampe e Judy urlare ancora nascosta alle sue
spalle:
“Cielo,
quell'elefante si è sentito male, aiuto!”
Tutti
i mammiferi riversi in strada e anche quelli nella hall dell'hotel si
allertarono immediatamente, correndo tutti verso il pachiderma appena
caduto al suolo, chi chiamando un'ambulanza, chi cercando di prestare
immediato soccorso.
Il
pachiderma era riverso al suolo, ma ancora cosciente, l'enorme mole
avrebbe smaltito e trattato il sedativo della pistola di Hopps come
un lieve capogiro e debolezza degli arti per un'ora al massimo.
Judy
comunque non era fiera di quello che aveva fatto.
Prese
la zampa di Nick e lo trascinò di corsa verso il furgone,
approfittando del parapiglia, mormorando sotto voce:
“Gli
manderò un cestino di fiori. Anche di frutta. E ci
aggiungerò dei
palloncini” ripeté a mo' di scuse, per calmare il
suo animo
colpevole.
C'era
una grande confusione. Dentro, intorno, fuori.
Ad
un certo punto le luci si erano mescolate una con l'altra, i suoni si
erano accavallati uno sull'altro, la mente sembrava una luce ad
intermittenza, portandolo da un mondo di oblio ad una leggera
coscienza confusa e nauseante.
Hector
Bogo odiava non avere pieno controllo di sé e nelle
sporadiche prese
di coscienza odiò il mondo con ancora più
intensità di quanto non
facesse solitamente; nel delirio iniziò ad odiare anche Judy
Hopps,
e lei era quella che tollerava di più, il che era tutto dire.
Aprì
gli occhi su un soffitto luminoso tanto da essere asettico, e rimase
qualche attimo a guardare un lieve sfarfallio in una delle lampadine.
Dio,
odiava anche quello.
“Non
abbiamo tutto il giorno, bell'addormentato”
sbraitò una voce
sgradevole alla sua destra.
Torse
appena la testa confusa e posò lo sguardo sul grugno di
Sirbon,
impalato lì di fianco insieme a Wart e Sus, tutti e tre con
a stessa
identica espressione di sufficienza.
Ora,
risvegliarsi in quel modo era già abbastanza per renderlo di
malumore perennemente, senza mettere in conto ciò che era
successo
prima.
“Era
incosciente in mezzo alla strada” lo informò
Sirbon con sgarbo,
come se lui già non lo sapesse.
Ovviamente
però il facocero voleva sapere il perché.
Bogo
riuscì a frenare il forte senso di nausea quel tanto da
mettersi
seduto, così da poter torreggiare sui membri della T.U.S.K.;
era
nell'infermeria della centrale, riconobbe i muri bianco sporco e la
macchia scura sul pavimento che tutti si erano domandati almeno una
volta se fosse o no sangue rappreso.
Respirò
a fondo un paio di volte, pesantemente.
“Hopps
mi ha sparato un tranquillante” sputò fuori,
digrignando i denti
al vedere i loro brutti musi aprirsi in un ghigno.
Si
trovò a dover spiegare controvoglia tutto quello che era
successo,
le zampe strette a pugno, e lo sguardo spaventato e tuttavia deciso
di Hopps gli balenò alla mente più e
più volte, tormentandolo.
Sirbon
grugnì di perversa soddisfazione, tronfio e ancora
più odioso del
solito.
“La
poliziotta è complice, ma lo sapevamo
già” disse, con
sufficienza, tirandosi su la cintura.
Bogo
avrebbe potuto provare a difenderla, a dire che probabilmente era
soggiogata o che le avevano fatto il lavaggio del cervello, ma il mal
di testa e il senso di pressione dolorosa nelle orbite degli occhi
non gli rendeva facile provare compassione o empatia verso chi gli
aveva sparato in pieno collo, plagiata o meno.
Avrebbe
seguito Wilde e Hopps con così tanta dedizione che avrebbero
dovuto
guardarsi le spalle anche da loro stessi e una volta presi non era
certo di cosa gli avrebbe fatto.
Un
telefonino trillò nel silenzio e Bogo si accorse solo dopo
qualche
attimo che la suoneria era la sua e frugò con fastidio nelle
tasche
finché non lo trovò, portandolo all'orecchio.
“Hector!”
“Giselle?
Cosa-” rispose preoccupato per il torno allarmato di lei.
“Lo
sa che ore sono? Ho provato a chiamarla almeno dieci volte, che
è
successo?”
Bogo
corrugò la fronte nel suo solito cipiglio e
scostò appena in
telefono per osservarlo con un'occhiata attenta e osservare l'orario.
Erano
le cinque e un quarto, notò con orrore.
Era
in ritardo per il suo servizio d'ordine all'hotel di un'ora e
quindici minuti. Inqualificabile.
Avrebbe
messo anche quello sul conto di Hopps.
Riportò
in fretta il telefono all'orecchio, preparandosi alle scuse.
“Giselle,
sono mortificato, io-”
“Hector.
Corra qui, senza altre scuse. Il sindaco è fuori di
sé e ha
maltrattato il povero Lionheart malamente, solo per averle portato il
tè troppo caldo. Corra qui o non credo che
risponderà più di sé!”
Bogo
riuscì a sentire tutta l'urgenza e la preoccupazione di
Swinton,
anche da così lontano, ma il pensiero di Wilde e Hopps, di
doverli
seguire dopo averli avuti così vicini, rendeva il pensiero
di lasciare tutto più difficile.
Avrebbe
dovuto lasciare tutto nelle mani della T.U.S.K. e non poteva non
pensare che qualsiasi rabbia o remore avesse per la sua sottoposta,
non meritasse comunque un destino simile.
Avrebbe
però osato disobbedire ad un ordine diretto del sindaco?
“Le
dica che sto arrivando” soffiò fuori con
rassegnazione, suo
malgrado.
“Grazie,
Hector” fu la replica soddisfatta della maialina.
Chiuse
con più stizza di quanto avesse voluto mostrare a quei
maledetti e
si affrettò ad alzarsi per lasciare la stanza.
“Ci
penseremo noi a Wilde e alla sua poliziotta, capitano”
esclamò a
sfregio Sirbon mentre lui si dirigeva verso la porta senza far
trapelare il capogiro che ancora lo scuoteva.
“Ah,
e quasi dimenticavo: Clawhauser è scappato portandosi dietro
Finnick
Fox, ci occuperemo anche loro, data la sua incompetenza”
sibilò
minaccioso, un tono sadico che pregustava chissà quali
propositi.
Bogo
si congelò con una zampa sulla maniglia e non
poté fare a meno di
lanciare un'occhiata indietro, sorpreso.
Clawhauser
era evaso? Come- quando-... poteva credergli o era solo una scusa per
coprire qualche brutale delitto commesso contro il pacioccoso
ghepardo, al fine di insabbiare tutto?
Aprì
la porta e sparì oltre l'uscio, chiudendola con un colpo
secco.
Stava
tutto scivolandogli dalle zampe, e tra quello che voleva fare e
quello che doveva fare ormai c'era un abisso enorme.
Poteva
scegliere da quale parte saltare?
Il
telefonino vibrò brevemente e Bogo lo controllò
con sorpresa.
Un
messaggio dal 'cappellaio matto', come lo aveva ribattezzato.
“Coraggio,
capitano, i pezzi sono quasi tutti al loro posto. Presto
sarà tutto
finito.”
Il
messaggio forse voleva essere in qualche modo incoraggiante, ma
risultò invece come un orrido presagio.
Bogo
stava per rispondere in malo modo, quando un'idea gli balenò
nella
mente ancora mezzo annebbiata.
Digitò
in fretta, come se temesse di perdere quel pensiero se non lo avesse
buttato giù.
“Clawhauser?”
Attese
con uno strano magone, nel corridoio deserto, un lieve batticuore
sottopelle.
Il
telefonino vibrò di nuovo, Bogo lesse la risposta e si
allontanò a
grandi falcate, lasciando la centrale, una fretta indiavolata che lo
animava.
Note:
Buona
notte a tutti.
Sono tornata, non vi abbandonerei mai.
Siamo quasi in dirittura d'arrivo, ma questo non vuol dire che non ci siano ancora tante cose da dire, anzi! I nostri stanno per infiltrarsi, andrà tutto bene? Bogo è fuori di sé e sta per raggiungerli senza saperlo. E Ben è alla macchia con Finn! Vecchio e scaltro ghepardone. Avete capito come è scappato?
Vi abbraccio forte, al prossimo capitolo!