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Autore: alessiawriter    19/10/2017    5 recensioni
Ormai Koan, il figlio maggiore di Sesshomaru, ha raggiunto l'età esatta per poter seguire suo padre nelle sue imprese ed essere addestrato come il guerriero che fin dalla nascita è destinato a diventare. Ma ne sarà veramente all'altezza?
Seguito di "Notte di Luna Nuova" della serie "Discendenze", si possono leggere separatamente.
Genere: Avventura, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Discendenze'
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Hideo e Koan erano da sempre stati ottimi amici e compagni di squadra all'occasione. I due avevano in comune solo l'età e le radici familiari, per il resto erano come il giorno e la notte, complementari e opposti.
 
Hideo aveva ereditato i tratti più esuberanti dal padre: con la sua solita arroganza, riusciva come una calamita ad attirare su di sé guai di ogni genere per via del suo temperamento focoso e litigioso. E quello che ci andava sempre di mezzo era proprio Koan, che ogni volta come una manna dalla cielo interveniva per tirarlo fuori dai pasticci e coprirlo eventualmente con i suoi genitori. 
 
Se Koan prima di agire era capace di riflettere per ore, pure per giorni interi, Hideo sarebbe stato già immerso nel caso prima che il compagno avesse trovato il giusto modo di procedere. Inoltre, il figlio di Inuyasha aveva una protensione naturale per il combattimento fisico, ricercadolo anche quando non necessario, mentre il figlio di Sesshomaru preferiva non separarsi mai dal suo shinken, sia per motivi affettivi che legati alle sue capacità. 
 
Così, quando a fine pranzo Koan comunicò le sue apprensioni e idee al resto della combriccola, Hideo si propose per accompagnarlo al tempio della vecchia Kaede e se Kagome non lo avesse fermato, avrebbe sicuramente trascinato il cugino seduta stante.
 
«Hideo, lo sai che Kaede ce l'ha ancora con te dopo l'ultima delle tue trovate!», lo rimproverò la madre con la rabbia che cominciava a riaffiorare al ricordo di ciò che aveva combinato il piccolo -beh, non poi cosi tanto- mezzodemone. 
 
Le orecchie di Hideo si afflosciarono immediatamente, mentre guardava la madre con occhi imploranti. «Quella vecchia strega ha minacciato di incollarmi addosso il rosario della soggiogazione», mormorò contrariato.
 
Fino a quel momento Inuyasha era stato in silenzio rimuginando sulle parole del nipote, ma quando captò indistintamente il soggetto del discorso trasalì e guardò spaventato prima suo figlio poi Kagome. «Il rosario? Ho ancora gli incubi di quello stupido collare!» esclamò adirato, guardando di traverso la moglie.
 
Kagome si espresse in una risata nervosa, il viso che si colorava di un leggero rosa. «Avanti, caro, non mi guardare con quella faccia. Kaede aveva avuto i suoi buoni motivi per fare una cosa del genere» affermò diplomatica.
 
Tuttavia Inuyasha non demorse e incrociò le braccia al petto con fare offeso. «Tzè, buoni motivi un corno. Quella dannata non mi sopportava, te lo dico io».
 
«Sei davvero impossibile, a volte vorrei che lo avessi ancora al collo!».
 
«Ah, così stanno le cose?».
 
«Signori,» Hideo interruppe la discussione dei suoi genitori, che in piedi l'uno di fronte all'altro emanano scintille di rabbia. «Cerchiamo di mantenere la calma», provò appianare i loro animi agitati, e invece ottenne l'effetto contrario.
 
Inuyasha infatti non perse tempo e prontamente fulminò il figlio maggiore. «Con te faccio i conti dopo, Hideo», lo minacciò, puntandogli contro un artiglio.
 
Prima che la situazione potesse degenerare, a mettere una fine fu proprio Mizuki, che fino a quel momento aveva fatto solo da osservatore. «Posso accompagnarlo io da Kaede, se per Koan non è un problema», aggiunse guardando apertamente il diretto interessato che si ritrovò spiazzato a balbettare una risposta affermativa. 
 
Inuyasha si sbatté il pugno contro la mano aperta. «Allora è deciso, andrete voi due a controllare al tempio», concluse allora il discorso il mezzodemone con ritrovato entusiasmo. 
 
Hideo sospirò, mentre guardava sconsolato i due varcare la soglia e lasciare l'abitazione. «Mi sento tagliato fuori», ammise con mestizia. 
 
Inuyasha gli poggiò una mano sulla spalla e gli regalò un sorriso insolente. «Così la prossima volta che ne combinerai un'altra delle tue, imparerai a non farti beccare».
 
«Inuyasha!».
 
«Ehm, quello che volevo dire...».
 
.:••:.
 
Camminavano in silenzio, l'uno al fianco dell'altra, mentre si dirigevano al tempio. Koan aveva come al solito le braccia incrociate dietro la testa e fischiettava un motivetto che alle orecchie di Mizuki risultava davvero fastidioso -ma del resto, cosa di quel ragazzo non trovava irritante? Eppure non aveva ragione di lamentarsi, si era praticamente di propria sponte offerta di accompagnarlo.
 
Era diverso da Hideo e dalla sua famiglia, era come se appartenesse ad un'altra realtà con la sua compostezza e calma; anche mentre parlava del suo problema, aveva mantenuto un certo distacco che le fece quasi credere che non fosse poi così emotivamente tanto coinvolto, come se intendesse l'intera faccenda come una scocciatura da sistemare.
 
Lo osservò incuriosita. I lunghi capelli bianchi ricadevano intrecciati contro la sua schiena, quasi gli sfioravano il fondoschiena e avrebbe davvero voluto indagare oltre, ma si costrinse a risalire arrivando al suo profilo perfetto, il naso leggermente a punta, le labbra sottili piegate in un sogghigno e gli occhi dorati allungati che la fissavano. Beccata.
 
Stranamente il ragazzo non aggiunse nulla, cosa che la lasciò alquanto interdetta. «Il gatto ti ha mangiato la lingua, Koan?», lo stuzzicò allora, guadagnando un'occhiata di scherno. 
 
«Ci vuoi provare?», replicò con un pizzico di malizia e sporgendosi con il muso verso di lei, ma non le lasciò il tempo di rispondere. «Siamo arrivati».
 
Così sollevò la testa e si ritrovò davanti la soglia del tempio, che solenne e imponente si ergeva da tanto tempo. Vide Koan forzare la serratura, per poi spalancare le porte con una leggera pressione del braccio e guardarla trionfante. Mizuki però rimase scettica. «Non dovremmo avvisare la vecchia Kaede?».
 
Koan alzò gli occhi al cielo e afferrò la ragazza per il polso, trascinandola dentro quasi prepotentemente. «Non ho abbastanza tempo», si limitò a spiegare.
 
Le porte dietro di loro permettevano l'entrata solo di alcuni fasci di luce che però non riuscivano ad illuminare tutta la grande stanza, completamente priva di finestre, così il mezzodemone cane si avvicinò al muro e recuperò due fiaccole. Dopo aver provveduto ad accenderle, ne porse una a Mizuki. «Da questo momento ci dividiamo, io mi occupo dell'ala est e tu dell'ala ovest. Ci sono obiezioni, micia?»
 
Mizuki scosse la testa e afferrò una fiaccola. «Solo una, grande capo, smettila di chiamarmi micia», precisò seccata mentre lo guardava intensamente con occhi felini. 
 
Koan sollevò le spalle, imperturbabile come sempre. «Come vuoi. Se succede qualcosa, grida. Se trovi qualcosa di interessante, grida. Se ti manco, grida e verrò subito da te».
 
Mizuki gli diede le spalle, ruotando annoiata gli occhi. «Contaci», rispose ironicamente, mettendosi poi subito a lavoro. 
 
Cominciarono a perlustrare da cima a fondo quegli scaffali infiniti, tra i documenti e i libri, tra le pergamene antiche e ingiallite dal fluire del tempo, tra i ragnetti e le loro labirintiche ragnatele. Mizuki non era un tipo che facilmente si dava per vinto, però con il progredire dei minuti sentiva la sua motivazione andare scemando e cominciò a insediarsi in lei l'idea che forse non avrebbero trovato nulla di concreto lì. A peggiorre il suo umore, sul suo capo si era depositato un velo di polvere che le solleticava le orecchie e il naso, tanto che starnutiva a intervalli di cinque secondi. 
 
Chiuse il libro che aveva tra le braccia, sollevando altra polvere che le andò a infastidire il suo olfatto raffinato, e lo riposiziò nella sua originale collocazione, preparandosi a prendere il successivo. Questo però possedeva uno strano bagliore fosforescente, nel senso che sembrava proprio emanare luce propria, e al suo toccò cominciò a vibrare, come se non stesse nella pelle -o per meglio dire, nella copertina- di essere letto. Cosa andava a pensare! Con moto di stizza aprì il volume, senza neanche far caso al titolo, e si ritrovò a leggere una lingua sconosciuta che sapeva di arcaico ma anche di ultraterreno.
 
«Che cos'è?».
 
Sobbalzò al suono della voce di Koan, lasciando cadere il libro a terra per lo spavento. Alzò la fiaccola e illuminò il viso del giovane che la guardava con un'espressione angelica, come se non avesse provato gusto nel prenderla di sorpresa. «Nessuno ti ha mai detto che sei peggio di una spina nel fianco?», lo rimproverò debolmente, raccogliendo poi il libro.
 
Koan rise, trovando divertente il modo in cui lo aveva definito. «No, questa mi è nuova», ammise, mentre lanciava un'occhiata al testo. «Ma questa è una lingua demoniaca antica», commentò sorpreso. 
 
Mizuki avvicinò la sua testa a quella del ragazzo, sbirciando anche lei tra le pagine. «Capisci qualcosa di quello che c'è scritto?».
 
Koan alzò un sopracciglio e la guardò con sfrontatezza. «Naturalmente, hai la vaga idea di chi hai davanti?», domandò retorico. 
 
Mizuki lo colpì alle costole con una gomitata. «Un cagnetto arrogante?», ribatté lei ostinatamente. 
 
Koan gonfiò il petto e socchiuse gli occhi, atteggiandosi. «Si dia il caso che il cagnetto arrogante conosca il contenuto di questo testo e tu invece no», replicò, chiudendo successivamente il volume. 
 
Mizuki si accese improvvisamente di gioia e lo guardò in attesa, strepitante. «Allora, è il nostro libro?».
 
Koan cercò di rimanere impassibile davanti all'aggettivo "nostro" e soffiò sulla sua fiaccola, spegnendo così la fiamma. «È il nostro libro».
 
.:••:.
 
Koan salì le scale, il libro ben nascosto tra il tessuto della giacca, con il fiato alla gola. Si sentiva già graziato per non essere stato sorpreso all'ingresso della sua abitazione, sperava che la fortuna lo avrebbe accompagnato fino alla sua stanza almeno. 
 
Dopo aver trovato il libro, non era tornato neanche dai suoi zii a salutare; non ne era rimasto il tempo per un'altra incursione nella loro casa. E dall'altra parte era quasi sicuro che Hideo avrebbe insistito per accompagnarlo a casa, cosa da evitare assolutamente. Aveva addirittura dimenticato a ringraziare Mizuki per il suo aiuto, ma del resto sapeva che in qualche modo avrebbe avuto occasione per sdebitarsi.
 
Quella Mizuki incuriosiva veramente tanto Koan, sia perché non sapeva nulla del suo passato sia perché il presente lo affascinava ancora di più. A parte sua madre e sua sorella, non aveva molti termini di paragoni, richiuso com'era nel suo castello alienato dal villaggio, però quella gattaccia aveva un qualcosa che lo attraeva come nient'altro prima d'ora.
 
Era quasi dentro la sua stanza, doveva solo abbassare la maniglia e sarebbe stato finalmente al sicuro, avrebbe potuto dichiarare la sua missione ufficialmente conclusa. Però... però a volte il destino è un gran bastardo, o nel suo caso un purosangue millenario.
 
«Come stanno i tuoi parenti?», frecciò prontamente, la voce che non tradiva alcuna emozione mentre lentamente scandiva le parole. «Hai ancora il loro tanfo addosso e stai impregnando tutto il mio castello», fece qualche passo in avanti, trovandosi in un punto in cui sul suo viso si proiettavano delle ombre.
 
Koan deglutì, sentendosi chiaramente un ospite quando suo padre rivendicò la proprietà del castello. «Sì, beh, stavo giusto andando a cambiarmi», mentì, portando dietro la testa il braccio con il quale non reggeva il libro.
 
Sesshomaru lo fissò per qualche secondo di troppo e Koan sentì senza dubbio che la sua fine era giunta, che era stato scoperto. «Brucia quei vestiti e poi raggiungimi nel mio studio», allora comandò e quando fu di spalle e lontano, aggiunse: «E non dimenticare il libro».
 
Scoraggiato e deluso, si affrettò ad entrare nella sua stanza. C'era quasi riuscito, avrebbe voluto veramente portare a termine quella sua iniziativa senza che suo padre si intromettesse, avrebbe voluto dimostrargli il suo valore e, perché no?, sentirsi per una volta accettato dal Gran Generale dell'Ovest. 
 
Si tolse gli indumenti e si mise davanti allo specchio, rimirandosi in modo pignolo. Non aveva una grande opinione di se stesso e in quel corpo riusciva a notare solo tutti i suoi limiti e le sue debolezze. Non era né debole come un umano, né forte come un demone completo. Non era niente. 
 
Fissò gli occhi del suo alter ego, poggiando la punta delle dita lunghe sulla superficie ghiacciata. «Almeno sei simpatico», si consolò ironicamente. 
 
Sospirando mestamente, si decise a rivestirsi con abiti puliti e a raggiungere suo padre nel suo studio con il libro, prima di alimentare il suo astio, che di per sé ne aveva già abbastanza. Non vedeva l'ora di sbrigarsi a risolvere quella faccenda, così avrebbe avuto modo di stare finalmente con la sua sorellina che quel giorno non aveva visto neanche di sfuggita. Quel pensiero gli donò la prodezza necessaria per farsi avanti. Bussò. 
 
Dall'altra parte, però, arrivò in risposta solo il silenzio. Stranito, aprì uno spiraglio e vi infilò la testa. «Padre?», lo richiamò. Sicuramente era stato in quella stanza, il suo odore era ancora molto forte, ma non lo vedeva né udiva.
 
Preso dall'entusiasmo, si avventurò nello studio, per la prima volta libero di ficcanasare ovunque volesse. Il suo sguardo vagò dai dipinti inquietanti di antenati alla imponente scrivania di legno nero. Tra i ritratti c'era anche quello di sua nonna, che non vedeva della nascita di Mikomi. Si chiese perché suo padre non si fosse disfatto di quei ritratti, non mostrava di certo grande affetto per quella donna.
 
Osservò rapito le mappe di guerra stirate sul lungo tavolo al centro della stanza. Da piccolo alcune le aveva studiate insieme a suo padre, quindi riusciva con modesta facilità a leggerle, eppure quelle avevano qualcosa di diverso. Deciso a scoprirne di più, avvicinò incautamente il viso a quelle carte, annusandole. Tuttavia all'improvviso fu incantato da quelle incisioni; cadde in uno stato di incoscienza e un forte vortice cominciò a risucchiarlo dentro. Non avrebbe avuto modo di salvarsi, se si fosse trovato da solo in quella situazione, stordito com'era.
 
Per fortuna non era così. Sesshomaru, come materiallizzandosi, lo afferrò per la collottola e lo tirò via. «Che stai combinando, Koan?».
 
Il ragazzo, ancora con gli occhi vitrei appannati, non riuscì a rispondere. Si sedette a terra e si afferrò con le mani la testa, che martellava incessantemente. Si sentiva come se fosse stato appena calpestato dagli zoccoli di una mandria di vacche. Sesshomaru lo guardò incuriosito, ma non aggiunse nulla, anzi afferrò il libro che era finito per terra e si andò a sedere dietro la sua scrivania, prendendo in esame quei testi.  
 
«Dove lo hai trovato?».
 
Koan scosse la testa e con un balzo si rimise in piedi, segno che aveva già recuperato le facoltà mentali. «Volete veramente saperlo?», chiese, dimentico per un attimo del contesto in cui si trovava e di chi aveva davanti; difatti Sesshomaru si espresse in un ringhio di avvertimento. «Sono andato al villaggio e ho perlustrato il tempio della vecchia Kaede» ammise quindi tutto d'un fiato. 
 
Sesshomaru non batté ciglio. «A che ti serve un libro che parla di come acquisire l'immortalità?».
 
Koan abbassò subito lo sguardo, torturandosi il labbro inferiore. Come poteva sganciare in quel momento quella bomba? Era praticamente un suicidio in piena regola! «È per la mamma», riuscì a dire dopo un lungo attimo di esitazione. 
 
Sesshomaru rimase impassibile, gli occhi incollati sul viso del figlio, senza replicare alcunché. «Pensavo che magari potremmo trovare insieme una soluzione», confessò il mezzodemone con crescente euforia. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest si alzò in piedi, sovrastandolo con tutta la sua magnificenza. «No».
 
Il viso di Koan si contrasse in una smorfia confusa. «Cosa? Perché no? Sono forte abbastanza, non vi sarò di intralcio».
 
«Non è quello che tua madre desidera per se stessa».
 
Koan attutì il colpo. Non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere e avvertì che quello era sicuramente un discorso che più volte i suoi genitori avevano affrontato. Eppure, di fronte alla sfumatura arresa che catturò in quelle parole, non poté che sentirsi schiacciato dalla sensazione di inutilità. 
Lasciò la stanza senza neanche aspettare che suo padre gli desse il permesso per farlo. 
 
.:••:.
 
«Tuo figlio sta diventando una seccatura».
 
Rin alzò gli occhi dal romanzo che stava leggendo e guardò il suo compagno distendersi al suo fianco e poggiare la testa sul suo stomaco. Prese ad accarezzargli dietro le orecchie. «Koan? È un bambino molto curioso», ammise lasciandosi andare in una lieve risata.
 
Il viso del demone cane si incupì immediatamente. «Anche troppo», mormorò. «Smettila di considerarlo un bambino, ormai è un uomo», dichiarò risoluto. 
 
Rin alzò gli occhi al cielo e ritornò a leggere indisturbata. Sapeva che un gesto del genere avrebbe irritato il Gran Generale dell'Ovest, ma era proprio quello il suo obiettivo. Cercava sempre, instancabilmente, di superare il muro che il demone aveva costruito tra lui e tutto il mondo. Sarebbe passata attraverso la più piccola crepa, avrebbe smantellato mattone per mattone ma alla fine sarebbe riuscita ad abbatterlo. 
 
Sesshomaru fece volare dall'altra parte della stanza il libro, raccogliendo un piccolo gemito di protesta, e si issò sul corpo della compagna. La fissò con un sopracciglio alzato, finché Rin non si ritrovò ad arrossire e a spostare lo sguardo. «Lo sai che mi dà fastidio se mi guardi in quel modo», ammise leggermente arrabbiata.
 
Sesshomaru fece finta di non averla sentita e ostinato continuò. «Hai un odore diverso», commentò piattamente infine. 
 
Rin corrugò le sopracciglia e lo guardò interdetta. «In che senso?», osò chiedere. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest inclinò la test da un lato. «È forte, riesco quasi a percepire i tuoi ormoni impazziti e questo succede solo quando sei incinta», si mise a sedere. 
 
Rin spalancò gli occhi. «Non può essere. Sei qui solo da un paio di giorni!», replicò incredula. 
 
Sesshomaru rimase voltato di spalle. «Non devo ricordatelo io quanto crescano in fretta in mezzodemoni durante la gravidanza», rispose con voce meccanica. 
 
Rin aveva percepito che qualcosa non andava nel giovane demone cane, per cui gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, poggiando il viso contro la sua schiena fredda. «Che succede?», domandò affettuosa. 
 
Sesshomaru continuava a non guardarla. «Succede che un terzo figlio non era previsto. Dannazione, Rin, non puoi sfornare mezzodemoni come se niente fosse», brontolò con brutalità. 
 
Rin si ritrasse immediatamente, come scottata. «Mi sembra di non aver fatto tutto da sola», precisò offesa.
 
Sesshomaru si grattò il retro del collo nervosamente nel tentativo di calmarsi, ma un ringhio gli scappò comunque. «Ci pensi mai a cosa succederà quando sarai morta? Quante persone ancora vuoi lasciare a piangerti?», chiese retoricamente con voce bassa, guardandola per la prima volta da quando era iniziata quella discussione. 
 
Rin si sentì piccola piccola sotto quello sguardo pesante, quindi si portò le ginocchia al petto. «Così è questo il problema», sussurrò ad occhi chiusi.
 
Sesshomaru non riuscì a reggere la vista della sua donna così affranta, dunque si mise a fissare il cielo scuro. Quella sera anche le stelle si erano nascoste, scappavano al suo sguardo. «Oggi Koan è sceso al villaggio. Ha cercato un libro che lo aiutasse a donarti l'immortalità», ruppe il silenzio, riacquistando il suo tono pragmatico di sempre.
 
Rin pensò di non aver sentito bene. «Che cosa ha fatto?».
 
Ma Sesshomaru non aveva intenzione di ripetersi. Si alzò e avanzò verso la porta, fermandosi con la mano sulla maniglia. «Hai tutta la notte per prendere una decisione» e uscì definitivamente dalla stanza, facendo sprofondare Rin in un turbine di pensieri e lacrime.
 
~ Fine Terza Parte
 
  
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