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Autore: The Custodian ofthe Doors    21/10/2017    1 recensioni
E' il suo primo ricordo: sua madre e i suoi accecanti occhi blu, le sorride dall'alto, forse la tiene in braccio.
Suo fratello la guarda con quegli occhioni blu scintillanti. Non ha mai capito come possa avene di così cangianti, ma li adora davvero tanto perché sanno di famiglia.
Quel bambino non sapeva difendersi, ma alzati gli occhi su di lei si era resa conto di che sfumatura chiara e limpida di blu fossero.
Era arrivato a casa sua per caso, scappando da chissà cosa. Pareva che avesse già visto tutti i mostri di questo mondo, glielo leggeva i quegli occhi chiari, in bilico tra l'azzurro ed il celeste.
E' al campo da poco ma già ha fatto a pugni con parecchia gente, compreso quel ragazzino moro e fastidioso. Poi gli tira un punto sul naso e quando alza lo sguardo su di lei si sente un po' in colpa: almeno quegli occhi blu si abbinano bene al rosso.
Quando sono diventate amiche? Quand'è che hanno cominciato ad essere così in confidenza? Ma la sua amica ha il sorriso dolce e gli occhi blu.
E non è mai stata capace di dir di no ad occhi del genere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clarisse La Rue, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'COUNTDOWN'
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 Questa storia fa parte della serieCOUNTDOWN ed è la n° 6.

 

 

Sei persone per un colore.


 

Non saprebbe dire con certezza se quello fosse davvero il suo primo ricordo. Se spinge la mente indietro nel tempo e cerca di ripescare l'avvenimento più lontano quello è il primo che le si presenta. Poi però sua madre le fa vedere le foto di una qualche gita o di una festicciola, le racconta un aneddoto e lei lo conosce così bene, l'ha sentito talmente tante volte, imparato a memoria, che non sa più dire se, effettivamente, lo ricordi di sua sponte o se abbia solo immagazzinato le parole degli altri e creato da sé immagini che la sua mente ha cancellato per mancanza di spazio.
Non doveva accettare la proposta di quel cretino di vedere Inside Out, ora pensa ai suoi ricordi come sfere luminose che vengono prima ordinate con precisione in giganteschi scaffali, fatte scalare all'arrivo di nuovi ricordi, e poi buttate nel dimenticatoio, lasciando che diventino grigie e tristi.
Dannazione, sicuramente la sua testa è governata da tanti piccoli “Rabbia” in miniatura, tutti con le sue burbere fattezza. O con quelle dei suoi amici, magari ognuno di quei cinque sentimenti ha l'aspetto di uno di quei rompi palle e persino la rabbia non le somiglia. Oh, insomma, sta cosa sta sfuggendo di mano, finiamola qui. Non vedrà mai più un film Disney che la critica reputa “Complesso, emozionante e più per adulti che per bambini”.
'Fanculo, ora torna a casa e si vede le Follie dell'Imperatore.
Come c'era arrivata ai cartoni animati? Ah, vero.
Non saprebbe quindi dire se il ricordo sia effettivamente il primo che ha, il più vecchio, ma certo uno dei più importanti per lei.
Sua madre la guarda dall'alto, forse la tiene in braccio, forse lei è sdraiata e la donna si è solo affacciata sul lettino. Ricorda una luce calda che sfoca i contorni dei suoi ricci scuri. Quanto le ha e le invidia ancora quei capelli, lei si ritrova con degli stupidi spaghetti che non vogliono mai stare a loro posto e sua madre, quarantenne e già piazzata, con una bellissima ed indomita massa di boccoli che tiene sempre legati per il lavoro.
Sua madre, comunque, le sta sorridendo, la vede più giovane, ora lo capisce, eppure le sembra sempre la stessa. Bloccata nel tempo, invecchiata ma ancora giovane.
La cosa che la rapisce di più, più dei capelli che cadono verso lei, delle sue manine che cercano di afferrarli, del sorriso dolce e orgoglioso di sua madre, sono i suoi occhi: i suoi accecanti occhi blu, belli come non sa cos'altro, luminosi come lo può essere solo la luce.
Non sa quanti anni ha lei, quanti ne ha la donna, dove fossero e di cosa quel ricordo sia il frammento. Sa solo che gli occhi blu hanno cominciato a perseguitarla dalla sua nascita e che lei si è sempre sentita protetta, a casa o semplicemente felice vedendoli. Erano gli occhi della sua mamma, della persona di cui più si fidava al mondo.
Non potevano esisterne di migliori.
Non potevano esserci altri con degli occhi così belli e che le ispirassero così tanti sentimenti.
Quanto si sbagliava.

 

E' suo fratello che corre per il giardino di casa, questo se lo ricorda bene.
Porta una salopette di jeans identica alla sua, solo che la sua maglia a maniche corte è a righe bianche e grigie mentre la sua gialla con un motivo di pallini bianchi. Vede chiaramente le braccia pallide del bambino muoversi all'impazzata, ora sono le ali di un aereo ora i pistoni di una locomotiva. Viaggia in un mondo tutto suo, tutto loro, ridendo come se non avesse altri problemi al mondo.
Ed in fatti al tempo non ne avevano.
Chiama il suo nome e le dice di sbrigarsi, si volta verso di lei e la guarda con quegli scintillanti occhioni blu.
Lei era rimasta ferma a fissarlo per un interminabile minuto, senza sapere cosa dire o ricordarsi cosa fare, solo ferma a guardare quegli occhi colpiti in pieno dalla luce del sole di Settembre, adornati dalle ciglia lunghe e scure che li fanno sembrare truccati come quelli della mamma.
Sono del blu elettrico dei fuochi d'artificio, quelli blu sono proprio i suoi preferiti, risplendono come l'acqua limpida del mare, che da lontano pare macchiata di mille pennellate di luce e se ti avvicini la vedi brillare dei brillantini che stanno in mezzo alla sabbia. Solo della stessa sfumatura violacea delle campanule e di quella più vellutata delle rose blu, del raso trapuntato di diamanti degli abiti da sera. Come vorrebbe un abito di quel colore, di quel tessuto. Come il cielo stellato, come gli occhi di suo fratello. Rinuncerebbe anche agli allenamenti con il nonno per avere un vestito fatto di notte e stelle e riflessi dell'universo.
Non ha mai capito come possa averne di così cangianti e accecanti, ma li adora, li adora davvero tanto perché sanno di famiglia.
La sua.

 

In quella scuola è lei che detta le regole. E' uno scricciolo di poco più di sei anni e quattro mesi, ma lei lì c'ha frequentato anche l'asilo, sa come vanno le cose, come gira il mondo, e sa anche che non puoi farti mettere i piedi in testa da nessuno.
A meno che quel nessuno sia lei o sia stato “graziato” dalla sua magnanima concessione.
Suo nonno dice che è una piccola despota in erba, ma deve ancora capire fin in fondo il significato di quella parola e soprattutto se l'uomo la intenda come un complimento o un insulto. Ci penserà più tardi.
Proprio perché in quella scuola Lei detta le regole e nessuno, del suo anno soprattutto, -prima elementare, mica bazzecole!- può far niente di “riottoso” -altra parola di cui deve capire fin in fondo il significato perché tutti la usano in modo negativo ma sempre suo nonno pare intenderlo come un complimento- o comunque che lo imponga come capo, non capisce subito il senso di quella scena.
In parole povere: se qualcuno vuole picchiare, spaventare o bullizare qualcuno, prima lei deve decidere se va bene o meno, se no poi è quel primo qualcuno a beccarsi le botte. E lei non ha autorizzato niente.
Sbuffa per un attimo dicendosi che non deve sporcarsi di sangue al primo giorno di scuola o sua nonna sarà furiosa.
Mormora a suo fratello di rimanere nascosto dietro l'angolo e torna sui suoi passi per fronteggiare quei cretini che hanno osato scavalcare la sua personale gerarchia.
Poco importa che praticamente nessuno sia a conoscenza di questa, è lei il capo, non deve mica metterne a parte tutti, lo devono sapere da soli.
Così rimette le cose in ordine e aiuta il bambino che era stato spintonato e che sembrava sull'orlo delle lacrime.
Non sa cosa pensare di quel ragazzino, lo ha visto sul punto di piangere invece di rispondere a testa alta, come se fosse una femminuccia indifesa. Non le è piaciuto il suo abbassare così la testa, lasciare che gli altri lo trattassero come volevano. La irrita terribilmente, non gli piacciono le persone passive a meno che non lo siano verso i suoi comandi.
Poi ha alzato gli occhi su di lei e si è resa conto che erano di una sfumatura chiara e limpida di blu. Ad essere sinceri erano forse più un azzurro denso, di quello che sta tra il cielo di notte e gli ultimi colori del tramonto. Gli ricordava le giornate estive passate a tirare gli orari per le lunghe perché c'era ancora luce e quindi non poteva già essere ora di cena. Coperti da uno strato di lucide lacrime che le facevano ricordare il mondo spiato da dietro le gocce d'acqua sulle piante, rannicchiata sulle ginocchia, con la testa inclinata verso la foglia e un occhio strizzato per focalizzare tutto lo sguardo in quella piccola bolla trasparente.
E' sicuramente un bambino gracilino e per nulla incline a difendersi e rispondere per le rime, che si caccia nei guai con facilità sorprendente e che riesce a farsi male anche con le cose più stupide, ma qualcuno deve pur badare a lui no? Ed è lei quella che comanda lì, se ne farà carico.
Alla fin fine però, non è così male.


Era arrivato a casa sua per caso. Stava scappando da non sapeva bene cosa, un qualcosa che non le aveva spiegato con precisione, forse pensando che non avrebbe potuto capirlo.
Lo aveva trovato lei, ad onor del vero, aveva sentito dei rumori venire dal giardino e si era alzata dal letto, consapevole che il resto della casa stesse dormendo e con la certezza di non voler svegliare suo nonno per sentirsi dire che non doveva preoccuparsi, che non potevano entrare in casa.
Tsk, come se fosse quello il problema.
Aveva preso la sua mazza da baseball e si era diretta verso la porta sul retro. Poi era tornata indietro, era salita in camera dei nonni e aveva preso in prestito il coltello da lancio dell'uomo, così, per sicurezza.
Quando era uscita, con la camicia da notte rosa pastello e le trecce lunghe, armata di una mazza di legno e di un coltello chiuso nello scarponcino destro, non avrebbe mai immaginato che quella notte avrebbe aiutato un ragazzino di qualche anno più grande di lei a sfuggire a quello che pareva un orso a suon di mazzate. Mai messo in conto.
Ma alla fine lo aveva salvato e trascinato in casa. E che nessuno le venisse a dire ora che era troppo alta per la sua età, se fosse stata alta come ogni altra bambina di otto anni non lo avrebbe mai sollevato e portato al sicuro.
Si era ripreso dopo un bel po' di ore, suo nonno le aveva detto che aveva messo tutto apposto e che poteva rimanere da loro finché non si sarebbe sentito meglio. Non aveva capito lo sguardo dell'uomo, lo avrebbe fatto solo in futuro.
Quel ragazzino era diffidente -comprensivo- e vagamente irritante -odioso-, si credeva più forte e più furbo di lei e avrebbe mentito se avesse giurato che non le era mai venuta voglia di dargli la mazza con cui lo aveva salvato in testa. Avrebbe mentito anche nel giurare di non averlo mai fatto.
Rimaneva il punto che non gli aveva detto chiaramente da cosa scappava, cosa ci faceva da quelle parti ed il fatto che suo nonno invece sembrava aver capito tutto la irritava ancora di più
Non le sono mai piaciute le persone che scappano, non si fa, è riprovevole, figurarsi quanto poteva piacergli un tipo che la trattava come una mocciosa dopo che lei si era quasi fatta sbranare per salvarlo.
Le dice solo dopo giorni di battibecchi più o meno infantili -decisamente più- che sta fuggendo dalla sua famiglia. Le confida che suo padre è un bastardo, che ha abbandonato sua madre, che l'ha letteralmente fatta impazzire e che lui sta cercando un posto in cui potrà finalmente essere se stesso senza problemi.
Non capisce perché stia scappando se suo padre, il problema principale della faccenda, non ci sia più, perché abbia abbandonato sua madre se stava male, perché non sia rimasto per lottare. Ma è ancora piccola e non può capire ciò che un adulto più comprendere con la logica e con l'esperienza, ciò che un bambino può imparare a forza per necessità.
Sa solo che quel ragazzino stava scappando da qualcosa di enorme, che lo ha trovato una notte nel giardino di casa sua attaccato da quello che pareva un orso. Che era insopportabile, pieno di rabbia verso tutti e nessuno, soprattutto se stesso e suo padre, che cercava di essere grande quando invece, ne era sicura, desiderava solo potersi mettere a piangere e smettere di scappare, essere felice con la sua famiglia. Avrà avuto qualche anno in più di lei ma pareva che avesse già visto tutti i mostri che popolano questo mondo, glielo lesse in quegli occhi chiari, in bilico tra l'azzurro tetro delle giornate piovose ed il celeste di quelle limpide.
Non ha mai condiviso i suoi modi di fare, di agire, spesso neanche le sue idee. Ma quegli occhi, quegli occhi che racchiudevano dentro di loro il bene ed il male, il bello ed il cattivo tempo, non se li dimenticherà mai.

 

E' al campo da poco più di due giorni e ha già preso a pugni più persone di quante non ne prendesse a scuola, un bel numero quindi. Non ha distinzione tra cabine, età e sesso, che non le venissero a dire che razzista, lei non si fa scrupoli, se sei sul suo cammino, ti elimina. Tra questi poveri sfortunati che hanno incrociato il suo sguardo c'è anche quel ragazzino con i capelli scuri ed il sorriso storto. La irrita come ogni altro membro di quella cabina di deficienti, forse anche di più, perché sa che si innervosisce facilmente e puntualmente va lì a stuzzicarla.
Lo fa nei modi più disparati: le punzecchia il fianco, le scompiglia i capelli, le scioglie i nodi delle scarpe e fa cedere distrattamente le armi che ha appena pulito. Ridacchia e fa battutine stupide.
Due giorni, sono due giorni che è al campo e già tutti quelli che sono in infermeria capiscono quando qualcuno arriva da loro per colpa sua, specialmente quel cretino.
Non vede l'ora che suo padre la riconosca per andarsene da quella topaia sovraffollata, avere uno spazio tutto suo e non dover condividere costantemente l'etere con quello e tutti i suoi degni fratelli. Giura su non sa bene neanche lei cosa che se il suo genitore divino è Ermes si darà alla macchia e imparerà a cavarsela da sola nel mondo reale, tra i mostri che l'attaccano ogni tre per due.
Poi viene riconosciuta e allora pensa che tutto sarà più semplice e dei, quanto si sbaglia.
La vita è un inferno, i suoi fratelli la trattano come se non fosse nessuno solo perché è piccola ed è una femmina. Si, era divertente vederla pestare la gente prima di sapere che era loro sorella, poi diventa una cosa normale e per loro consueta e lei diventa solo la più piccola della cabina.
Che si fottano, pensa allora e pensa tutt'ora.
Il suo nervosismo raggiunge livelli epici alla fine della prima settimana di permanenza allo stupido Campo. I suoi stupidi fratelli la trattano come lei ha trattato tante volte altri deficienti neanche lontanamente al suo livello, i ragazzi delle altre cabine si divertono per questo e quell'emerito idiota che la infastidiva nella cabina-carro bestiame torna alla riscossa a tirarle metaforicamente le trecce.
Trecce che per altro, ci tiene a precisare, le sono state tagliate proprio dai suoi adorati fratelli.
E' così arrabbiata, così affaticata dagli allenamenti sfiancanti a cui si sottopone per riuscire ad arrivare più su degli altri che quando arriva lo zotico lei è solo un fascio di nervi e per la prima volta cerca di ignorarlo invece di attaccar briga.
Come se fosse possibile.
Poi lui fa una battuta un po' troppo veritiera sul suo conto e lei gli tira un pungo sul naso così forte da farlo finire a terra a praticamente un metro da lei.
Ha esagerato, ne è perfettamente consapevole, ha sfogato tutta la sua frustrazione su di lui e ha sentito benissimo l'osso del naso fare crak.
Se del rimorso si fa strada in lei viene subito cancellato dal suo orgoglio, dagli sguardi preoccupati degli altri semidei e dalla completa indifferenza dei suoi fratelli.
Solo gli dei sanno quanto li odia.
Gli chiede comunque se non lo abbia ammazzato, per buona educazione, non per altro, convinta che da quel momento in poi almeno lui non le romperà più le palle. Quando quello alza lo sguardo su di lei, con il volto insanguinato come il colletto della sua maglia arancione, le guance tirate in un espressione di dolore ed il naso palesemente decentrato dalla sua locazione originaria e la guarda dritta in faccia, i sensi di colpa tornano prepotenti a farle visita.
Ha gli occhi blu, di quel blu bello e lucido come il vetro lavorato e cesellato con maestria, come una distesa limpida e infinita, come una tavolozza che racchiude tutte le sfumature dello stesso colore, dettate solo dal cambiamento della luce nell'aria. Ha gli occhi del blu più denso che abbia mai visto, però deve ammetterlo: il rosso sangue gli si abbina benissimo.
Lo solleva di peso e lo porta in infermeria e continuerà a farlo tutte le volte che lo pesterà a sangue o avrà bisogno di cure.
 

Quando sono diventate amiche? Quand'è che hanno cominciato ad essere così in confidenza? Ma soprattutto: chi ha accettato questo strano sodalizio? Lei no di certo!
La sente chiacchierare di cose che a dirla tutta neanche le interessano, è seduta sul suo letto e sta armeggiando con i suoi capelli perché è convintissima di poter trovare un'acconciatura che regga anche i suoi allenamenti peggiori. Effettivamente una c'è, si chiama coda ed è in grado di farsela anche da sola, grazie.
Le risponde a monosillabi o con frasi concise ogni volta che le pone una domanda, o forse sarebbe meglio dire ogni volta che le pone una domanda e le lascia il tempo di rispondere prima di farlo al posto suo. Non capisce che senso ci sia a porre quesiti di cui si sa già la risposta, è solo uno spreco di tempo secondo lei, ma secondo la sua amica questo è ciò che fanno le ragazze tra loro: spettegolano di cose che già sanno per il puro gusto di parlarne e aggiungere informazioni nuove.
Che cazzo significava ancora lo doveva capire.
Le parla di punto in bianco di ragazzi e lei non capisce quando sono passate da “che shampoo usi? No perché ho un balsamo fantastico che devi provare ma va abbinato con questo sapone” a “ lo sai che ho visto un ragazzo davvero carino che ti guardava mentre ti allenavi?”. E va bene, lo sa lei che osservare gli altri mentre si allenano è una cosa intelligente da fare, che è ovvio che la gente la spii perché è la più brava, ma per il tono che ha usato l'altra la cosa fa molto stolking e non è che le sia piaciuta tanto.
Borbotta di smetterla o non la farà più giocare con i suoi capelli e lei ride divertita e le dice che no, lo farà invece perché sono amiche e le vuole tanto bene e le concederà sempre tutto.
<< Perché mi adori tesoro! >>
Non le piace neanche questo come l'ha detto e si volta per rimarcare l'ovvio e dirle che non è il suo soldatino pronto a scattare al minimo ordine.
Glielo dice anche, ma la sua amica ha il sorriso dolce e gli occhi blu come gli zaffiri, lucidi come la pietra ma morbidi come la sabbia asciutta. Sono del colore trasparente delle ali delle farfalle e hanno in se le stelle del firmamento ed il riflesso della luna sulla laguna. I capelli scuri e la pelle chiara non fanno altro che accentuare la luminosità e la vita che quelle iridi esprimono, un amore incondizionato e delicato, sincero e pieno d'affetto dolce come la piega di quelle labbra amiche che le dicono ridenti di aver ragione.
La sta prendendo palesemente in giro, le sta dicendo che si, lei è una dura che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, però ora può rimettersi come stava prima così prova un'altra acconciatura, si, farà tardi agli allenamenti, ma tanto non ha appuntamento con nessuno no? Quindi la può accontentare.
Vorrebbe alzarsi e mandarla al diavolo mentre invece si rimette seduta a terra e le volta le spalle per renderle più facile dividere ed intrecciare ciocche. Le vorrebbe dire di tapparsi quella bocca quando lei ricomincia con questa storia del tipo -il deficiente- che la osserva allenarsi e non riesce proprio a trattenersi dal dirgli che è inquietante come cosa e farla ridere.
Vorrebbe alzarsi da lì, dirle che tutto quello è una cazzata e non le interessa, che si deve allenare e deve diventare più forte di tutti, degli altri semidei, dei suoi fratelli, degna di suo padre come non si è mai sentita.
Ma la sua amica ha la voce morbida e felice, il sorriso dolce mentre le pettina con cura i capelli e gli occhi blu.
Fottuto blu, la frega sempre.

 

Non se ne era resa conto sino a quel momento, mentre posava gli occhi su sua madre e la vedeva sorridere al moccioso, ora non tanto più moccioso, che non si sapeva far rispettare e con quel deficiente, ancora deficiente ma, ahimé, anche suo fidanzato. Suo fratello sarebbe arrivato da lì a poco e poi avrebbero potuto iniziare la loro bella cena di famiglia.
Lanciò uno sguardo al vetro che dava sul giardino adombrato dalla casa e fissò per un po' il suo riflesso. Tutte le persone più importanti della sua vita, o per lo meno la maggior parte, avevano gli occhi blu o di una delle sue mille sfumature. Nel corso degli anni ogni persona con gli occhi blu che aveva incontrato aveva significato qualcosa di importante per lei, non sempre in positivo, certo, ma comunque qualcosa di importante.
Lo era sua madre così come lo era suo fratello. Lo era quello che ad occhio e croce poteva chiama “il suo miglio amico” e lo era stato quel bambino diffidente che era stato il suo primo approccio a quello che sarebbe stato il suo mondo.
Lo era quel ragazzino che le tirava metaforicamente le trecce che non aveva più e che ora era il suo ragazzo.
Lo era quella delicata ma fragile anima che era stata la sua più cara amica in quel campo, un fiore troppo debole per un mondo così crudele, qualcuno che non era riuscito a sopportare il peso delle responsabilità che gravava sulle sue spalle.
Si concentrò con attenzione sui suoi di occhi e dopo un'attenta analisi sorrise.
Il blu si abbinava proprio bene al rossiccio delle sue iridi, a quello dei suoi capelli e delle sua amata bandana.
Forse un giorno, se avesse mai avuto la sfiga di avere dei figli -gli dei non vogliano per favore- avrebbero avuto anche loro gli occhi blu.
La porta di casa che si apre e poi si richiude in un tonfo le fa capire che tutti gli invitati sono arrivati e lei vorrebbe davvero rimanersene in disparte ed in tranquillità e non unirsi a quell'assurdo circo natalizio che i suoi cari avevano messo su. Ma suo fratello arriva da lei sorridente e con un cerchietto con le corna da renna in mano e le chiede di metterlo. E lei vorrebbe davvero dire di no, ma ha tutti quegli occhi blu puntati contro che le dicono di indossarlo, che sarà adorabile e lei proprio non ce la fa a deluderli, seppur minimamente.
La verità, triste ci terrebbe a specificare, è che Clarisse non è mai stata capace di dire di no ad occhi del genere.
 

Fottuto blu.

 

   
 
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