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Autore: 92Rosaspina    21/10/2017    2 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Pharaoh's Kingdom 1

1.Colloqui di lavoro alternativi


Un sognatore è colui che non sa trovare la propria via se non al lume della luna; e il suo castigo è che egli vede l'alba assai prima degli altri.
Oscar Wilde, 1888





    -    Tutto questo è ingiusto. Dovresti andarci tu a scaricare la merce, e senza fare storie!-
    -    Oh davvero? E secondo quale comandamento non scritto?-
    -    Ieri hai mangiato tutti gli ingredienti dei profiteroles!-
    -    Bugiardo! Ho solo fatto il mio consueto assaggio, com'è giusto che sia, prima di cominciare a preparare i dolci!-
    -    E hai assaggiato tutti gli ingredienti, mi sembra sensato!-
    -    Beh, ma alla fine ho preparato il dolce richiesto!-
    -    Esatto, IL DOLCE! Ti avevamo richiesto TRE porzioni!-
    -    Beh, io ne ho preparata UNA da tre persone! Che differenza c'è?!-
    -    C'è una grossa differenza! Accidenti a te...carta-
Quando il dieci di quadri andò a posarsi accanto alla regina di cuori e al tre di fiori, le speranze di Yusei di restare in partita crollarono come un castello di carte trascinato dal vento. Con gli occhi blu sgranati sulle carte che segnavano la sua sconfitta, e le mani tra i capelli scuri, il giovane si sentì più nudo che mai, nonostante a coprirlo ci fosse ancora il grosso grembiule nero. Strinse inconsapevolmente le gambe, mentre sentiva Judai esplodere in una roboante risata di vittoria con tanto di braccia alzate in segno di trionfo. Poco distanti da loro, Yuma e Yuya, che a nominarli insieme sembravano formare un improbabile duo comico accomunato dalla passione per i capelli colorati, alzarono gli occhi dal bancone e dai bicchieri che stavano sistemando con cura, per posarli sul variopinto quartetto che trafficava con le carte su quel mezzo metro di quercia scura.

C'era Judai, come già nominato poco prima, che sorrideva vittorioso e allegro come avevano imparato a conoscerlo, i folti capelli castani che si striavano d'oro sotto i faretti del bancone; a veramente pochi centimetri di distanza, abbastanza da essere colmati da uno sganassone che chissà cosa stava trattenendo Yusei dal rifilargli, il moro aspirante astronomo si sfregava gli occhi con fervore, curvo su sé stesso più che gli riusciva, con le ginocchia piegate al petto e solo il grembiule nero a coprirlo dalla vita a scendere (quando e soprattutto come aveva rimediato tutte quelle cicatrici sul braccio destro, di grazia?!). Dietro al bancone, invece, Yugi aveva momentaneamente distolto lo sguardo dalla mano di blackjack per concentrarsi sul suo smartphone. Le dita scorrevano veloci sul tastierino virtuale, componendo un messaggio piuttosto lungo: davvero, quel ragazzo doveva imparare ad essere più sintetico quando scriveva al telefono. Accanto a lui, in piedi a schiena ben ritta, come un implacabile giudice infernale, Atem sorrideva ad entrambi i giocatori, le labbra piegate in quel suo solito, affabile sorriso sornione, tipico dei professionisti del poker, dei prestigiatori o delle grandi menti criminali che si mischiavano tra la folla.

    -    Sembrerebbe che l'incombenza tocchi a te, Yusei-
Anche la voce di Atem era quella bassa e profonda di un narratore onnisciente, e le sue parole erano quelle sicure e dirette di un abile stratega e calcolatore. Yuma si lasciò sfuggire un ghigno e si voltò verso Yuya, l'ultimo arrivato che ancora non aveva avuto occasione di ammirare il padrone di casa all'opera seriamente: lo sguardo del giovane rimbalzava ora su Yuma, ora su Yusei tutto rannicchiato sullo sgabello, ora su Judai e infine su Atem, imperturbabile arbitro di quella insolita sfida, e il ragazzo non riuscì a non ghignare a sua volta.
Conosceva Atem abbastanza per poter dire, con certezza, che non parlava mai a vanvera, e che usava con molta accortezza le parole da utilizzare. E quel “sembrerebbe” era bastato a far drizzare le antenne di tutti, Yusei incluso che, dopo qualche attimo di tormento interiore, aveva alzato lo sguardo verso di lui e lo stava osservando speranzoso, gli occhi scintillanti di un assetato nel deserto che scorgeva, oltre una duna di sabbia, la vegetazione di un'oasi.
    -    A ben pensarci, potrebbe però esserci un modo per far ricadere l'onere su Judai-

Agli occhi di un qualsiasi estraneo, non sarebbero apparsi niente più che due ragazzini troppo cresciuti dai capelli colorati e quattro pseudo-adulti, di cui uno vergognosamente nudo (o quasi) che si erano sollazzati in una partita a blackjack, mettendo i loro capi di vestiario come puntate nel piatto: un modo molto subdolo, ma imparziale, che Atem aveva per assegnare ingrati compiti ed incombenze come quella di andare a scaricare la merce in arrivo; a nessuno piaceva passare tre quarti d'ora e anche più a tirare fuori scatole dalla cabina di un furgoncino, e men che meno piaceva passare lo stesso quantitativo di tempo a fare avanti e indietro con i carrelli per portarle nel deposito del locale.
Ognuno cercava sempre di scaricare la faticosa incombenza sul proprio collega, e agli inizi la cosa aveva creato accesi diverbi conditi da frasi a effetto e orribili recriminazioni lanciate da una parte all'altra del locale; alla fine le baruffe si concludevano tutte con un giro di bicchieri per tutti, e amici come prima. Ma le discussioni, con il tempo, erano diventate sempre più intense e accese, e quando si era cominciato a mettere mano ai preziosi bicchieri di cristallo, e usarli come improprie armi da lancio, Atem aveva deciso di usare la sua autorità e, in quanto direttore e anima pensante alla testa del Pharaoh's Kingdom, aveva annunciato che, da quel momento in poi, sarebbe stata la sorte a decidere chi avesse compiuto, di volta in volta, le operazioni di carico e scarico.
In sintesi, metteva mano al suo sabot di carte francesi e metteva i contendenti faccia a faccia con le due opzioni disponibili: la prima, la possibilità di scaricare la merce, la seconda, la certezza di scaricare la merce vestiti solo dell'abito donatogli da Madre Natura dopo il parto.

Tuttavia, quella volta c'erano stati dei cambiamenti.
Atem aveva astenuto i due ragazzi e il fratello Yugi dal duello, sostenendo che avesse bisogno della loro presenza nel locale. Yuma e Yuya erano due pesti in fatto di preparazione di cocktail e bevande: il primo creava combinazioni di dubbio gusto che spedivano in coma etilico chiunque osasse avvicinare il naso al bicchiere, il secondo a volte esagerava con i virtuosismi e le acrobazie, mandando a fracassarsi qualche calice o, nei casi peggiori, intere bottiglie che gli venivano sottratte dallo stipendio. Entrambi, però, erano estremamente svelti nelle preparazioni, e quando gli si davano ordinazioni precise erano meticolosi e accorti e, soprattutto, efficaci: il Martini del Pharaoh's Kingdom aveva fama di essere il migliore tra i Lounge Bar della città. La loro impareggiabile velocità li rendeva preziosissimi nell'arco della serata, e non era il caso di dimezzare le loro energie con una fatica intensa come quella dello scarico merci.
In quel periodo, inoltre, avevano urgente bisogno di un addetto alle ordinazioni e Yugi, per quanto bravo e veloce, a volte non riusciva a gestirle tutte da solo: la grossa mole di clienti rendeva, spesso e volentieri, necessaria anche l'entrata in gioco di Atem, armato di tablet e penna digitale.
Le inattaccabili motivazioni secondo cui il trio era stato esentato dalla sfida, non erano bastate per fermare le lamentele e le proteste di Judai, né per arginare il seguente fiume di imprecazioni di Yusei: non era giusto, diceva il primo, non ci penso neanche, diceva il secondo tra un'imprecazione e una bestemmia celata.
Atem aveva quindi sorriso sornione, com'era solito fare, e con una scintilla di maligno divertimento ad illuminargli le iridi ametista aveva annunciato che, se le cose stavano davvero così, allora avrebbero entrambi scaricato la merce, entrambi nudi come la mamma li aveva fatti e senza neanche il grembiule che, in quel momento, si stava rivelando tanto caro e utile a Yusei.

Ecco quindi come erano finiti, rispettivamente lo chef e il capobar del Pharaoh's Kingdom, a denundarsi reciprocamente a colpi di carte da Blackjack.
E la Fortuna si era sporta a baciare la fronte di Judai, quella sera: il giovane era stato in netto vantaggio fin dalle prime puntate, costretto a liberarsi semplicemente della pettorina del grembiule, di gilet e camicia, mentre i vestiti di Yusei avevano iniziato ad ammucchiarsi uno ad uno su un punto del bancone. Il tonante boato di risate che aveva seguito il dolce planare dei suoi boxer sul bancone aveva quasi scosso la vetrinetta alle loro spalle, e Yuya si era lasciato sfuggire un bicchiere, caduto con un sordo tonfo nel lavello sottostante.

L'ultima mano giocata aveva decretato la fine dello spietato gioco e l'apparente vittoria di Judai: tuttavia Atem sembrava avere qualcosa in serbo per loro, e trovava davvero divertente tenerli bonariamente sulle spine mentre, in religioso silenzio, Yusei più speranzoso che mai, lo osservavano tutti prepararsi, con pochi esperti gesti, un perfetto Martini freddo al punto giusto, merito del ghiaccio grosso e con la canonica oliva che produsse un delicato, impercettibile “plop” quando affondò nel bicchiere. Atem fece scorrere lo sguardo sui suoi colleghi, mentre pollice ed indice della mano destra regalavano, alla sua miscela, una impercettibile punta di sale.

    -    Ma ricorda, Yusei, avrai una sola possibilità- disse poi Atem, una volta bevuto un sorso del suo Martini – One call, rispondi o perdi-
    -    Sono pronto. Cosa devo fare?-
Atem sorrise ancora, questa volta più ampio e suadente. E solo allora Yusei sentì un brivido partirgli dal retro della nuca e percorrergli di scatto tutta la schiena, lasciandogli un'ustionante scia fredda che gli fece leccare nervosamente le labbra.
Non era mai un bel segno, quando Atem sfoderava quel sorriso provocante e maliardo insieme. Judai stesso si accigliò, arricciando il naso infastidito dalla possibilità di perdere la sua vittoria.
    -    Come ben saprai, noi siamo alla ricerca di un secondo cameriere- spiegò Atem, sorseggiando il suo Martini tra una pausa e l'altra – Ho affisso un cartello apposito, all'entrata principale e secondaria del Pharaoh's Kingdom, e pubblicato un annuncio su un sito specialistico. Ho lasciato disponibili per i colloqui le due ore precedenti l'orario di apertura...beh, ecco cosa ti propongo-

Atem si concesse un'ennesima pausa, per accrescere la teatralità del suo discorso e bere ancora qualche piccolo sorso. Sentiva i loro sguardi addosso, stavano tutti letteralmente pendendo dalle loro labbra.
Gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come un re. O un faraone, per restare in tema con il suo locale.

    -    Al primo che entrerà da quella porta...- e gliela indicò, alzando il bicchiere di Martini verso la porta di vetro – Regalerai un bel bacio sulla bocca-
Yusei sembrò sgonfiarsi come un gigantesco pallone bucato con uno spillo. Lo osservò con tanto d'occhi, quasi gli fosse spuntata una seconda testa bavosa o un terzo occhio in fronte.
    -    Ovviamente, con “primo” intendo chiunque varcherà per primo quella soglia. Potrà essere una ragazza giovane e carina, potrà essere una vecchia. Potrà anche essere un lui, per quello che ne sappiamo. Ti esento dai bambini, non vorrei farti finire nei guai per una goliardata. Ah, ho ragione di pensare che i tuoi colleghi si godranno il doppio del divertimento se ti vedranno ancheggiare per bene, quando andrai dalla persona in questione-

Fu come sventolare un drappo rosso sotto il naso di un toro: Yuma esplose in una grossa risata e per poco non rifilò una ginocchiata al mobiletto dietro il bancone, mentre Yugi e Judai scambiarono un vigoroso “cinque”, unendosi al giovane barman. Yuya sgranò gli occhi prima di scoppiare a ridere anche lui, mentre Yusei balzò in piedi come se fosse stato morso da una tarantola.
Atem era un giovane uomo altruista e generoso, sempre pronto ad offrirti una mano così come a chiuderla e a farla schiantare sulla tua faccia, dritto sul naso; ma ciò che più stupiva, di lui, era la perfidia che metteva nelle sue penitenze e punizioni, roba da far passare un aguzzino come un bimbo delle elementari che rubava caramelle. Tempo prima, per una scommessa persa, Yuya si era ritrovato con una mano legata dietro la schiena, mentre con l'altra preparava i suoi soliti cocktail: era stato faticoso certo, e anche frustrante in alcuni momenti, eppure lo aveva aiutato a sviluppare riflessi più pronti e a migliorare le sue acrobazie con shaker e bottiglie, quindi doveva anche ringraziarlo, in un certo senso.
Quello che però stava proponendo ora era una cosa che rasentava l'impossibile: per quanto affabile e gentile, Yusei restava sempre un ragazzo serio al limite dell'imbronciato, capace anche di stare allo scherzo ma non così. Chiedergli di avvicinare, in quelle condizioni poi, un perfetto sconosciuto e addirittura baciarlo...no, era troppo anche per lui.

    -    L'alternativa sarebbe...?- chiese Yusei affranto, con un filo di voce.
   -    La immagini da solo l'alternativa- gli rispose Atem, suadente – Sarai tu a scaricare la merce e lo farai solo col grembiule addosso. Anzi, potrei pensare di farti togliere anche quello-
    -    Ma-maledizione...-

Fu un infinito attimo di silenzio quello che seguì l'imprecazione di Yusei, rotto solo dal dolce, ovattato glissare della porta di vetro.





A ben pensarci sopra, era una cosa da pazzi. Quello che stava facendo non aveva alcun senso. Tutti, tutti gliel'avevano detto: amiche, amici, cugini, parentame assortito sostenevano che non servisse, che non ce ne fosse bisogno, che poteva tranquillamente risparmiarselo. Perché lavorare per pagarsi gli studi di medicina? La sua famiglia era pronta a sostenere tutte le sue spese, avrebbe avuto vita facile, tanto tempo per studiare e sicuramente non avrebbe avuto necessità di mischiarsi con la “gentaglia”, come suo zio l'aveva apostrofata.
Forse era stata proprio quella denominazione a far storcere il naso ad Aki.

Gentaglia, l'aveva chiamata. Persone che, a differenza loro, non avevano avuto la fortuna di nascere a Nuova Domino ma in qualche pidocchioso, polveroso buco, covo di criminali o piccola cittadina rurale che fosse. Il solo pensare di avere, in famiglia, qualcuno che nutrisse così bassi pensieri e opinioni sociali le aveva fatto ribollire il sangue dalla rabbia.
Era una ragazza dei ceti sociali più alti, era vero, con ogni bene e fortuna a sua disposizione e un capitale sicuro al quale attingere in ogni momento: era forse un crimine mettersi in gioco nella vita vera e provare ad avanzare da sola, con i suoi passi, senza che ci fosse qualcuno pronto a costruirle la strada usando le banconote come manto stradale?
La cosa le dava quasi il voltastomaco, a ripensarci.
Aveva lasciato la casa paterna con due valigie, qualche vestito e aveva anticipato l'affitto di un bilocale in centro, grande abbastanza per stare comoda da sola. Ma le spese condominiali non si pagavano da sole, e l'appartamento in sé aveva diversi problemi: una grossa macchia di umido nel bagno indicava una perdita, e la caldaia si bloccava spesso quando prolungava di qualche minuto la sua doccia ristoratrice, lasciandola senza acqua calda del giro di qualche istante. Per non parlare dell'impianto elettrico che saltava quando collegava la piastra per capelli e lo stereo insieme.
Tutti difettucci, questi, che richiedevano della manutenzione che il padrone di casa non intendeva offrirle, anzi. Era chiaro che, se voleva davvero sistemarli, doveva provvedere lei personalmente a mettersi in contatto con qualche professionista.

Le servivano soldi, in poche parole. E non aveva alcuna intenzione di darla subito vinta alla sua famiglia e attingere al suo patrimonio. Aveva con sé un piccolo fondo economico, quanto bastava per vivere bene per qualche mese, e doveva correre subito ai ripari se voleva una seconda entrata.
E quindi eccola lì, a salire la breve rampa di scale che portava all'accesso al cuore del Pharaoh's Kingdom. La guardia all'entrata l'aveva quasi respinta, sostenendo che non fosse orario di apertura, ma quando lo aveva rimbeccato menzionandogli un probabile colloquio di lavoro si era fatto da parte, silenzioso ed imperturbabile.
Per arrivare alla sala si salire una rampa di scale stretta, ma sufficientemente illuminata per evitare di inciampare sui gradini. Con una mano che scivolava sul muro, quasi a cercare un invisibile sostegno, Aki si sistemò meglio la borsetta sulla spalla sinistra prima di salire.
A sbarrare l'accesso c'era una porta di vetro opacizzata, che schermava l'ambiente al di dietro quasi alla perfezione: si individuava qualcosa dalle porzioni lasciate libere dall'Occhio di Ra impresso su di essa. Dall'altra parte si udivano delle parole che non comprendeva, complice l'auricolare che aveva lasciato al padiglione sinistro: se lo sfilò con un leggero movimento prima di infilare le cuffie nella borsetta, e colpire delicatamente la porta di vetro con le nocche della mano destra.
Non le parve di udire risposta. Forse c'era stata, o forse l'aveva immaginata. Osservò accigliata la superficie opaca della porta per qualche attimo ancora, prima di farsi coraggio e, preso un bel respiro quasi stesse per immergersi in una piscina di acqua di cottura, aprì la porta vetro.
Insomma, cosa vuoi che sia un colloquio di lavoro?, pensò, mentre l'anta glissava dolcemente alla sua destra. Poco conta che sia il primo della tua vita, no?
No?

Appena entrata venne colta da un'improvvisa, quanto allegra sensazione di caotico ordine. Gli altoparlanti tutt'intorno diffondevano un'inarrestabile e piacevole motivetto electro-swing che riempiva gradevolmente il silenzio tutt'intorno. C'erano bassi tavolini, e poltroncine e divanetti, tutti neri sul lucidissimo pavimento scuro: molti accenni dorati sulle gambe dei tavolini scolpivano immagini di scarabei, gatti e rapaci dallo sguardo fiero.
In fondo alla sala, lì dove c'era il palco delle esibizioni, un gigantesco Occhio di Ra, dipinto in nero sul muro con delle precise, piacevoli curve, puntava lo sguardo direttamente sul bancone: un grosso ferro di cavallo, dietro cui erano posizionati vini e alcolici vari. E lungo tutto il perimetro della sala, sospese a qualche metro di altezza, alcune balconate dai parapetti in cristallo ospitavano altri tavoli e sedie, più un paio di zone privè nel fondo. Un ragazzo dagli occhi ametista aveva alzato lo sguardo su di lei, giocherellando distrattamente con un ciondolo che aveva al collo, e quello che sembrava il fratello maggiore, tanta era la somiglianza, aveva replicato il gesto.

A dire la verità tutti la osservavano ora: dei due che apparivano più giovani, il primo stava riallacciandosi meglio il grembiule dietro la schiena, mentre il secondo, con un paio di occhialetti che spuntavano dall'assurda capigliatura tinta di verde e rosso, asciugava distrattamente un bicchiere fin quasi a farlo cigolare tra le sue dita e il panno. Le ci volle qualche secondo per notare che i suoi occhi riprendevano in maniera inquietante i capelli. Occhi diversi, come si diceva...? Eterocromatici. Non erano molto frequenti, soprattutto con un simile stacco di tonalità: verde brillante uno, rosso cremisi l'altro. Verso di lei si era voltato anche un ragazzo con occhi e capelli castani, l'unico lì in mezzo ad avere una capigliatura di un colore umano, e misteriosamente nudo dalla vita in giù.
L'ultimo a voltarsi fu un figuro alto almeno venti centimetri più di lei, dai capelli scuri striati d'oro e degli occhi blu che spiccavano violentemente sulla pelle ambrata: elettrici, quasi vibranti di energia, la osservavano con un misto di rabbia e nervoso nello sguardo.

Aki aggrottò la fronte, in un certo senso intimorita dalla spietatezza del suo sguardo. Strinse il manico della sua borsetta con forza, quasi a volervi trovare ulteriore coraggio e sostenne la sua occhiata, indecisa su cosa pensare, dire o fare.

    -    Buonasera-
A parlare era stato il più grande dei due (apparentemente) fratelli: il giovane aveva aggirato il bancone, silenzioso come un vampiro, e le si era avvicinato con poche, fluide falcate. Aki seguì i suoi movimenti, distogliendo lo sguardo dal giovane rabbioso.
Non preoccuparti, nonostante il muso da dobermann che si ritrova non morde. Di solito-
Era ovvio che si riferisse al giovane con cui aveva ingaggiato una silenziosa lotta all'ultimo sguardo, e le sue parole avevano suscitato qualche divertita risatina messa a tacere da un sordo ringhio. Il giovane le sorrise affabile, porgendole una mano con fare sicuro.
    -    Immagino tu sia qui per l'offerta di lavoro-
Oh, almeno uno su sei sembrava capace di ragionare e restare a contatto con la realtà: Aki ne era sollevata. Sebbene non sapeva cosa aspettarsi, da un ragazzo con i capelli per metà biondi e per l'altra metà...che colore era quello?!, sembrava molto cordiale ed educato. Oltre che possessore dei due occhi più belli che avesse mai visto. Aki annuì e ricambiò la stretta di mano, fece per rispondere ma lui la precedette.
    -    Devo tuttavia chiederti una gentilezza- le disse poi il giovane, scostandosi leggermente e rendendola nuovamente bersaglio dello sguardo serio ed imperturbabile dell'altro – Ci hai interrotti proprio mentre stavamo facendo un gioco-

Un gioco?! Okay, la faccenda si stava facendo sempre più strana. I restanti cinque continuavano ad osservarla, ma alternavano spesso lo sguardo sul loro compagno dai capelli scuri e l'espressione seria. Troppo seria, in contrasto con quella da buffi giocolieri di tutti gli altri. Aki osservò l'intera scenetta con scetticismo, cercando di capire cosa ci fosse di effettivamente divertente.
Poi notò, di fronte al ragazzo castano, una serie di carte disposte in egual modo per entrambi i colleghi. Poco più in là, accuratamente ripiegati, stavano diversi capi di vestiario.
Solo allora si accorse che il ragazzo dallo sguardo quasi rabbioso era a malapena coperto da un nero grembiule che gli scendeva fin poco sopra i piedi. La giovane sgranò gli occhi, esterrefatta.
    -    Non ti chiederemo di partecipare, assolutamente!- esclamò poi il giovane dagli occhi ametista – Solo, ci serve un piccolo aiuto. Vedi, il nostro Yusei è uscito sconfitto da una partita a blackjack, ma è ancora in tempo per evitare la vera penitenza-
Come se andare in giro nudi e coperti solo da un grembiule non fosse abbastanza...
    -    Ti chiedo gentilmente di restare ferma dove sei qui, mentre Yusei deciderà come concludere la sua giornata. Senza paura e preoccupazione, non morde! Dopodiché, se vorrai, passeremo al colloquio vero e proprio-
Colloquio? Quale colloquio?! Se n'era quasi dimenticata...tutto quello che vedeva era la surreale immagine di uno sconosciuto, suo coetaneo probabilmente, data la giovane età, alzarsi dallo sgabello e sistemarsi meglio il grembiule, passandoci sopra le mani con fare imbarazzato prima di avanzare verso di lei. Il ragazzo dai capelli castani gli fischiò dietro, meritandosi un ben poco cortese gesto della mano destra che suscitò le risate di tutti gli altri. Il bicchiere che il ragazzo con gli occhialetti stava asciugando con tanta energia gli sfuggì di mano, sbattendo rumorosamente contro il mezzo metro di scura quercia che lo separava dal resto della sala.

Aki seguì con lo sguardo la sua imperturbabile avanzata. Senza dire una parola, senza neanche muovere un muscolo del volto, il giovane le si fece vicino, sempre più vicino, fin quando a separarli non ci fu che un braccio. Aki mosse un piccolo passo verso l'uscita, incerta e desiderosa di finire quella pagliacciata il prima possibile: sul serio, cosa stava succedendo? Dov'era finita, cos'era quel covo di matti?!
Possibile che la sua famiglia avesse ragione? Che lei non fosse fatta per la vita cittadina, in mezzo alla “gentaglia”? Che il mondo là fuori fosse davvero pericoloso e inavvicinabile?
Mosse ancora un passo indietro; Yusei colmò di scatto la distanza e la baciò.
Lieve, estremamente pudico, lo stesso bacio che si dà a qualcuno quando si è bambini, spinti dai genitori a simili esternazioni affettuose piuttosto che da un vero volere: e lui sembrava davvero un bambino in quel momento, con le guance rosse di imbarazzo e vergogna e gli occhi bassi di chi cercava di non sentire le risate divertite e a malapena soffocate di chi gli stava dietro. Un bambino troppo cresciuto, sicuramente, alto e ben piantato, con un vago odore di aghi di pino a circondarlo e le braccia affusolate segnate da alcune cicatrici. Yusei rimase ad osservarla per qualche secondo ancora, Aki si specchiò per qualche attimo nelle sue iridi bluastre. Lo sentì chiederle perdono con una voce incolore, rigido come se qualcuno gli avesse rifilato una bastonata nel sonno.

Poi si voltò di scatto, con uno sventolio del grembiule nero che fece trasalire i compagni rimasti al bancone. Aki squittì sorpresa e si portò le mani al volto, ingabbiando i suoi occhi al sicuro dietro le dita, quasi sperasse che quel gesto potesse in qualche modo schermarla da quello che stava vedendo.
Non aveva visto male: oltre al grembiule non aveva NULLA, addosso, che assomigliasse ad un capo di vestiario! Aki sbirciò cauta da dietro le dita: scorse la schiena tornita di Yusei allontanarsi a passo di carica, in direzione dei suoi colleghi urlanti e ridacchianti, borbottando qualche imprecazione tra i denti che la giovane non comprese. Pochi attimi passarono, prima che il ragazzo afferrasse una cannuccia tutta avviticchiata e la lanciasse in direzione del castano, quasi centrandolo in un occhio e facendolo ritrarre di scatto, masticando tra i denti furiose imprecazioni. Accanto a lei, il giovane che l'aveva accolta si lasciò sfuggire un risolino, mentre Yusei afferrava i suoi vestiti arrabbiato e si dirigeva a grandi passi in un bagno di servizio.
    -    Beh Judai, a questo punto credo che l'oneroso compito di scaricare la merce tocchi a te- disse poi, rivolgendosi verso il castano che si stropicciava furiosamente l'occhio destro.
    -    Guarda, solo perché lo spettacolo offerto è stato impagabile!- esclamò l'altro, frenando a stento una risata e sparendo dietro una porticina.
Solo allora il giovane dagli occhi ametista tornò a rivolgersi verso di lei, riservandole un bel sorriso affabile e sicuro. Aki si ritrovò a sorridere a sua volta, seppur spiazzata da tutto quell'insolito teatrino.

    -    Se sei arrabbiata ti comprendo- le disse poi – Ti chiedo scusa se ti ho trascinata in questa pagliacciata ma andavano sistemate delle...cose. Se vuoi e se sei interessata ancora al posto, posso spiegarti tutto con calma. E senza denudarci ovviamente-
La testa di Aki si mosse prima che il suo cervello le desse l'input.
Decisamente il colloquio di lavoro più strano della storia.



****



L'uomo che l'aveva accolta si era presentato come Atem, direttore, capo e padrone dell'idea alla base del Pharaoh's Kingdom. L'Egittologia era stata la sua materia di studio ai corsi universitari, da cui ne era uscito con i massimi dei voti e degli elogi: una passione, la sua, tramandatagli dalla sua famiglia di esploratori, e che si stava riflettendo sul fratello minore Yugi: il pendaglio che il più piccolo recava al collo era un piccolo tesoro ritrovato in una delle ultime spedizioni, e il giovane sembrava molto legato a quella cuspide d'oro che osservava il mondo con il suo occhio.
Ad osservare Atem, però, si capiva che c'era molto più dell'egittologo e studioso: aveva dei modi di fare gentili e cortesi, eppure qualcosa sfuggiva alle percezioni di Aki. Atem sembrava osservare tutto con il divertito distacco di chi già sapeva e conosceva, e la rossa non riusciva a decidersi se trovare la cosa ammirevole o snervante: era sicuramente invidiabile possedere capacità di analisi tali da fargli individuare la natura di una persona prima ancora di conoscerla direttamente, ma per certi versi poteva essere davvero irritante.

Prova delle sue capacità di deduzione gliel'aveva concessa durante il loro breve, intenso colloquio, quando gli era bastata una rapida occhiata per intuire, di lei, tante cose che erano poi esatte: il fisico atletico di chi praticava palestra quanto bastava per mantenere una forma longilinea, senza appesantirla con eccessiva massa muscolare, e un'acconciatura ben tornita per rimettere in ordine uno stato mentale caotico o una vita affettiva poco stimolante. Il nastro di raso rosso che aveva al collo era molto bello ed elegante, e anche quel pendente dorato ornato dall'opale verde: un gioiello narcisistico che colmava, in parte, una carenza affettiva, e allo stesso tempo la stringeva, come l'abbraccio di una madre troppo invadente e di un padre troppo possessivo. Si mordicchiava il labbro inferiore spesso, rivelando un malessere che cercava di nascondere in ogni modo, prima di passarci sopra la lingua con un fare nervoso.
Le aveva snocciolato tutte queste cose insieme, e Aki si era sentita improvvisamente rabbrividire dalla testa ai piedi. Nel silenzio che aveva seguito le parole di Atem, chiusi nel suo piccolo ufficio, la giovane aveva trattenuto il respiro, arpionata da quello sguardo indecifrabile.

Poi il giovane era scoppiato in una forte risata, facendola trasalire, e l'aveva consolata dicendole che sì, l'effetto che creava era proprio quello. Non era la prima ad essere sottoposta ad un simile gioco, né probabilmente sarebbe stata l'ultima, e in ogni caso la reazione generale era proprio quella: il suo interlocutore restava in silenzio, quasi scioccato dall'evidenza di tutte quelle informazioni che rivelava, seppur involontariamente, al padrone di casa del Pharaoh's Kingdom.
A quel punto, quasi delle invisibili catene di diffidenza e tensione fossero state spezzate, Aki aveva vuotato il sacco. Aveva ininterrottamente parlato per minuti interi, e Atem era rimasto ad ascoltarla in silenzio, senza interromperla né fare domande, attento ed imperturbabile. Mai, per un solo secondo, aveva distolto lo sguardo da lei, mentre la giovane gli faceva il resoconto delle tante motivazioni che l'avevano spinta a lasciare la sua lussuosa magione per farsi una vita lì, nel silenzio onesto dei lavoratori. Il senso di oppressione della sua nobile famiglia, composta da rampanti avvocati del diavolo e primari di ordine eccelso, la voglia di mettersi in gioco e farsi valere per le sue capacità e non solo per il suo nome nobile e il suo bell'aspetto, il desiderio di dimostrare a suo padre che anche lei valeva qualcosa, fuori dalle sicure mura di casa, e la necessità di dimostrare, più a sé stessa che a chiunque altro, di essere in grado di provvedere autonomamente al suo sostentamento. Ecco come era finita dalle parti del Pharaoh's Kingdom, ecco come aveva deciso di mettersi in gioco e servire, piuttosto che essere servita come faceva da una vita.

Atem aveva ascoltato in silenzio, attento a cogliere ogni sfumatura, nella voce della ragazza, che avrebbe potuto rivelargli qualche informazione in più, ma nulla lo fece scostare dalla sua idea iniziale: quella ragazza aveva, della rosa, anche l'atteggiamento apparentemente scontroso, non solo il rosso sui capelli. Le sue spine tenevano alla larga eventuali sprovveduti che provavano ad approcciarsi senza alcuna cautela, ma chi era in grado di avvicinarsi con garbo e sicurezza poteva godere da vicino della bellezza dei suoi petali.
Una simile personalità meritava di essere messa in risalto, così come un uccellino non meritava la triste sorte di animale imprigionato in una gabbia dorata solo per il suo bel canto.

Quando Aki aveva terminato il suo racconto, era stato allora che Atem si era momentaneamente congedato, prima di ripresentarsi con una perfetta divisa da cameriere. Era la più piccola di cui disponevano, ma essendo una taglia maschile poteva non starle effettivamente bene: colpa sua, aveva ammesso, che non aveva pensato alla possibilità di mettere una ragazza a servire i tavoli. Avrebbe fatto arrivare degli abiti più adatti alla corporatura femminile nel giro di un paio di giorni, nel frattempo quella divisa sarebbe andata più che bene. Era stata l'unica volta che si era concesso di abbassare lo sguardo per osservare le sue calzature, annuendo e sostenendo che quelle nere scarpe da ginnastica andavano bene: avrebbe avuto molto da camminare, preferiva che stesse comoda.

Aki aveva ancora il batticuore e la respirazione accelerata, quando entrò nel camerino di servizio per cambiarsi d'abito e indossare la sua divisa. Decisamente il colloquio più assurdo della storia del mondo: Atem non le aveva chiesto nulla di sue eventuali esperienze pregresse nel mondo del lavoro né del suo (inesistente) curriculum, né aveva tanto meno approfondito la sua origine nobiliare. L'aveva conosciuta per quello che era, individuando sue caratteristiche dai suoi gesti e facendosi dire il resto dai suoi racconti, e l'aveva accettata. Non era stato minimamente interessato alla sua facciata di apparenza né al buon nome della sua famiglia, l'aveva accettata per quello che era e che gli aveva mostrato.
Non sapeva se esserne lusingata o meno.
Terminò di chiudere tutti i bottoni del gilet, prima di osservarsi allo specchio e decidere che sì, non stava affatto male con quegli abiti: erano inevitabilmente adatti ad un uomo, e la camicia bianca si gonfiava troppo in corrispondenza delle braccia, così come ne sentiva l'orlo salire fastidiosamente sul ventre, complice il seno in boccio che non l'aveva aiutata particolarmente con i bottoni. Almeno il gilet aderiva alla perfezione, e nascondeva tutte le pieghe e piegoline create dalla misura non adatta della camicia, ma i pantaloni avrebbero necessitato di un orlo alle gambe: Aki non era esattamente tutta quest'altezza, ma quei pantaloni le sembravano davvero troppo lunghi.

Si sistemò meglio i capelli rossi, dando un certo ordine alle ciocche che le accarezzavano lievemente le spalle, prima di decidersi ad uscire dal camerino e buttarsi nella mischia. L'orologio a parete dava le otto meno quindici, il locale avrebbe aperto di lì a breve.
E già mentre risaliva le scale per tornare nella sala, le sembrava di sentire la frenesia che animava l'intera equipe del Pharaoh's Kingdom nel terminare gli ultimi preparativi. Come aveva ben immaginato, quei sei giovani che l'avevano inizialmente accolta non erano i soli: c'era un intero team di addetti alle pulizie, tecnici per gli impianti elettrici e di illuminazione, un'intera squadra di veloci e prestanti cuochi e tantissime altre persone che, sicuramente, contribuivano alla crescita e alla perfetta resa del Pharaoh's Kingdom, solo erano molto meno...come dire, vistosi. Aki alzò lo sguardo verso la zona delle poltroncine: un ragazzino smilzo e scattante come una donnola, con i folti capelli scuri quasi davanti agli occhi, posizionava i tavolini e le sedute con la precisione millimetrica di un geometra. Poi si voltava verso il suo compagno, un tipetto basso e tarchiato impegnato a ingozzarsi di noccioline, e cominciava a sbuffare ed imprecargli contro, sostenendo che lui e il suo pancione da gestante gli stessero rovinando il lavoro: effettivamente, ad ogni passo il ragazzone urtava qualcosa, spostando inevitabilmente l'arredamento. Lì dove c'era il palco delle esibizioni, un tecnico stava spostando un faretto, sotto lo sguardo attento di una donna in vestaglia con lunghi capelli neri.

Era chiaro, però, che la vera anima del locale fosse proprio Atem e i suoi fidati collaboratori. E Yusei era già lì, in posizione dietro il bancone: stava osservando qualcosa al cellulare, ogni tanto alzava lo sguardo verso i due responsabili dell'arredamento. Si era rivestito di tutto punto, pronto a cominciare la serata; alle sue spalle, i due ragazzi che Atem le aveva presentato come Yuma e Yuya avevano ultimato di sistemare diligentemente le bottiglie sui loro ripiani, bene allineate come soldatini di piombo. Il primo sembrava aver fatto a pugni con il pettine, tanto i capelli gli stavano disordinati e sparati: camminava avanti e indietro per gli scaffali, studiando le etichette e riallineandole in modo che il nome fosse messo bene in evidenza; il secondo, che sembrava invece aver litigato con qualche tintura di troppo, era tutto preso da alcuni esercizi fisici per sciogliere braccia e spalle. Dal lato opposto del bancone, la porta a soffietto si apriva e chiudeva senza sosta, e a uscirne era sempre Judai che, ormai terminato di scaricare la merce, andava a versarsi un bicchiere di qualche alcolico non ben definito prima di ritornare nelle cucine e dare disposizioni ai suoi uomini. Ogni tanto Yusei gli imprecava dietro, sostenendo che stesse facendo troppo rumore, e il castano replicava facendogli il verso.

    -    Fanno sempre così quei due. Ti ci abituerai presto-
A parlare era stato Yugi, prima di porgerle il tablet su cui venivano annotate le ordinazioni. Aki si voltò a guardarlo e lo ringraziò, prendendo l'apparecchio tra le mani. In pochi attimi il giovane le spiegò il suo funzionamento, come selezionare il tavolo, le ordinazioni richieste, e come inviare l'ordine; le indicò poi il monitor che stava in un angolo del bancone, mai notato prima. Le spiegò che era da lì che osservavano, di volta in volta, le ordinazioni, e un simile schermo c'era anche nelle cucine da cui Judai entrava ed usciva come i matti senza casa.
    -    A chi ti riferivi prima?- chiese poi Aki, una volta presa confidenza col palmare – Quando hai detto che fanno sempre così?-
    -    A Yusei e Judai- rispose Yugi, con un'alzata di spalle, la voce bassa e gentile – Si punzecchiano molto, soprattutto quando c'è di mezzo qualche compito ingrato come l'andare a scaricare la merce...ma fondamentalmente si vogliono bene. Hanno solo un modo piuttosto contorto di dimostrarselo, che va dagli improperi alle cannucce tirate negli occhi-
    -    Mi sembravano piuttosto agitati...-
    -    Ma sì, è solo una pagliacciata-
    -    Cos'ha in faccia?-
    -    Oh?-
    -    Il ragazzo al bancone. Yusei. Cos'ha in faccia?-
E accennò con il capo al volto del ragazzo, ancora concentrato sul suo telefono: Aki percorse con lo sguardo la sottile linea dorata che gli attraversava il lato sinistro del volto, dalla linea della mascella fino a sparire sotto l'occhio.
    -    Oh! Quello!- notò Yugi, con una impercettibile punta di sorpresa e di...era disagio, quello nella sua voce?! - Ah beh, una storia lunga-
    -    Mi sembra molto strano anche per essere un semplice tatuaggio-
    -    Non a caso ho detto che è una storia lunga. Ha avuto qualche trascorso difficile, in passato-
    -    ...Cos'è, da bambino voleva un pony ma suo padre non gliel'ha mai comprato, e ora esprime la sua ribellione con segni strani?-
    -    Magari fosse così semplice. È una brutta storia, davvero-

Fu allora che Aki lasciò cadere il discorso, scrollando lievemente le spalle e dimenticandosi velocemente del particolare appena scorto. Non che potesse turbarla parecchio dopo tutto quello che era successo e aveva visto: quella semplice linea sull'occhio era l'ultima cosa che aveva notato, di Yusei. Era più semplice individuare il suo sguardo imperturbabile e diretto, quasi osservasse qualcosa di indistinto in lontananza, sperando che l'oggetto bersaglio della sua attenzione esplodesse.
La sua nuova avventura al Pharaoh's Kingdom si stava svelando ancora più stramba e interessante di quanto avesse previsto.

****


La serata era iniziata in sordina, con la prima clientela che entrava nel locale: Aki aveva così avuto modo di verificare il reale funzionamento del suo tablet, e rompere il ghiaccio con il primo contatto ad un pubblico di terzi. Yugi l'aveva sempre osservata da lontano, accorrendo in suo aiuto quando era più necessario e dandole alcune dritte di tanto in tanto.
La somiglianza con il fratello maggiore era lampante, e non era solo per un discorso di capigliature tremendamente simili: erano anche gli atteggiamenti, i modi di porsi verso gli altri, amici o estranei che fossero, a confermare la loro parentela. La gentilezza che Yugi riservava agli altri, però, partiva da una certa timidezza di fondo, cosa che Atem non sembrava neanche conoscere.

Presto il locale si animò ed entrò nel vivo della serata, e fu subito chiaro il perché Atem avesse deciso di metterla al lavoro con tanta urgenza: i tavoli e le poltroncine si erano riempiti a velocità esponenziale, e anche se erano in due a prendere ordinazioni e correre ai tavoli con vassoi carichi di cocktail, presto anche Atem si era fatto avanti con il suo palmare a dare manforte. Judai veleggiava tra i tavoli con i vassoi carichi di cibo: Aki poteva giurare di averlo visto mettersi in bocca un'oliva ripiena prima di chiudere la porta a soffietto e dirigersi ad uno dei tavoli vicino al palco.
Presto anche le esibizioni presero velocemente il via. Ad animare la serata c'era una compagnia di abili e sensuali danzatrici del ventre, e la musica electro-swing venne quindi rimpiazzata da ritmi orientali e percussioni. Troppo impegnata nel suo nuovo lavoro, Aki non poté ammirare le evoluzioni danzanti delle ballerine, né farsi abbagliare dai lustrini e dalle sete opalescenti, ma lo spettacolo doveva indubbiamente essere notevole, a giudicare dall'unica direzione presa da tutti gli sguardi.

Quando si sedette dietro al bancone per la sua pausa, le gambe le dolevano per il tempo passato a fare avanti e indietro, e gli occhi cominciavano a bruciarle dalla stanchezza. Si passò le mani sul volto, stanca, china sulle ginocchia.
La serata si stava rivelando ancora più faticosa del previsto, e il fatto che mancassero ancora quattro ore alla chiusura non la aiutava di certo a rallegrarsi. Il tempo era letteralmente volato, certo, ma non poteva ancora permettersi di rilassarsi.
Una cosa, però, non poteva negare, ed era che fosse tutto maledettamente più faticoso di quanto credesse. E non avevano neanche parlato del compenso...! L'idea di lavorare per niente le si insinuò nel cervello e le fece contorcere le viscere dalla rabbia. Forse quella serata non contava, in quanto primo turno? Forse era considerata “in prova”?
E se non fosse piaciuta? Se nonostante tutto, Atem avesse deciso che non era tagliata per quel ruolo e l'avesse congedata? Aveva bisogno di soldi, una necessità disperata: la stessa che impediva al suo orgoglio di chiedere aiuto alla sua famiglia, incapace di ammettere le sue difficoltà a chi aveva criticato, fin dal primo momento, la sua scelta.
Forse stava sbagliando tutto e non se n'era ancora accorta.

    -    Tè o caffè?-
Aki alzò di scatto la testa, incerta e sorpresa. Di fronte a lei, accovacciato a terra quasi stesse parlando con un bambino, Yusei la osservava serio in volto, gli occhi blu malcelati dalle ciocche scure. Alle sue spalle, Yuma e Yuya continuavano a preparare cocktail a ritmo di produzione industriale, instancabili aiutanti che osavano troppo con i virtuosismi su bicchieri e bottiglie.
    -    ...Eh?-
Fu tutto quello che Aki riuscì a dire, improvvisamente troppo stanca perfino per capire cosa le avesse detto.
    -    Cosa vuoi, tè o caffè?- chiese di nuovo Yusei, con lo stesso, identico tono usato poco prima.
    -    ...Tè, se non ti spiace-
Senza risponderle, il giovane si alzò, prendendo poi a trafficare con un grosso bricco posizionato su un fornelletto. Massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle dita, gli occhi di Aki si persero a studiare le venature scure delle assi del parquet consumato dai continui passi, prima che il suo campo visivo venisse nuovamente invaso da Yusei e una scatola di legno. Il velluto viola all'interno copriva anche i piccoli divisori, tra cui erano incastrate alcune bustine di té. Dopo una veloce occhiata, Aki allungò le dita e scelse una bustina scarlatta, recante le immagini di quattro frutti rossi.
Con un gesto fluido, dettato più dall'abitudine maturata in campo lavorativo che per una vera attitudine, Yusei chiuse la scatola e si alzò in piedi, tornando quindi di fronte a lei con un bricco di acqua calda dentro cui fece immergere la busta. Lo richiuse e posò sul ripiano immediatamente accanto, tornando ad osservarla.

    -    Fa sempre così- iniziò poi, quasi lei sapesse di chi stesse parlando – Il giorno di prova capita sempre nel fine settimana, di venerdì o preferibilmente il sabato: sono i due giorni di massima affluenza del locale. Già la domenica sera possiamo tirare fiato con più frequenza. Dice di preferire così, vede subito di che pasta sono fatti i nuovi arrivati-
Era chiaro che si stesse riferendo proprio ad Atem. Aki annuì quasi svogliata, in cuor suo aveva già intuito la realtà dei fatti.
    -    E direi che te la stai cavando egregiamente, per essere il tuo primo giorno di lavoro-
    -    Cosa vuoi che sia, spingere un paio di caselle su un tablet...-
    -    Heh, per una volta che stavo facendo l'educato...-
Aki si morse il labbro e non rispose, abbassando gli occhi e distogliendoli dalle iridi blu del capobar. Lui rimase ad osservarla ancora qualche attimo, prima di rialzarsi in piedi; un lieve cozzare di tazze le fece intendere che stava versandole il tè richiesto.
    -    Hai mangiato qualcosa, prima di cominciare?- le chiese poi. La giovane spalancò gli occhi, dandosi della stupida: tanta era stata l'eccitazione e la voglia di iniziare che aveva dimenticato di mangiare, ecco perché si ritrovava completamente senza forze...
    -    A dire il vero no- rispose infatti, con voce flebile.
    -    Immaginavo. Biscotti?-
    -    Magari, grazie-

Finì così a porgerle la tazza di tè e un vassoio pieno di biscotti che Aki poggiò di traverso sulle sue ginocchia. La giovane rimase ad osservarlo in silenzio mentre si rifocillava, bevendo il té a piccoli sorsi e sgranocchiando i biscotti.
Yusei appariva così serio ed imperturbabile, ora, che non sembrava avere nulla a che fare con il ragazzo furente rimasto vergognosamente nudo di qualche ora prima; era anche vero che aveva avuto tutti i motivi validi del mondo per essere così costernato e incollerito, non doveva essere piacevole ritrovarsi coperto da un grembiule e sottoposto ad una penitenza stupida ed infantile...ma chi poteva essere il burlone che aveva architettato un simile scherzo?
Aki rabbrividì: e se fosse stata anche lei tirata in ballo a commettere quelle sciocchezze e cimentarsi in quelle ridicole sfide? Non se ne parlava proprio, di denudarsi di fronte a quelli che erano, fondamentalmente, degli sconosciuti...figuriamoci se erano tutti uomini!

    -    Ascolta...-
La voce di Yusei le fece alzare lo sguardo, scrutando ancora quegli occhi blu che, per qualche motivo, le iniziavano a piacerle. Le sue iridi avevano una bella tonalità, carica e intensa, e sulla sua carnagione ambrata risaltavano ancora di più; peccato che avesse sempre quell'espressione sostenuta...e per quel segno sul volto. La scia dorata scendeva dalla palpebra inferiore fino alla linea decisa della mascella, piegando leggermente un paio di volte e allungandogli la linea dell'occhio con un minuscolo accento dorato proprio vicino al punto di congiunzione delle due palpebre. Aki non sapeva come identificarlo: aveva forse un significato particolare? Yugi aveva detto che c'era una storia dietro quel simbolo, ma a sentirlo parlare non era una vicenda molto simpatica da raccontare: sembrava che non fosse un semplice desiderio di ribellione ai rigidi schemi sociali.
Nel dubbio, Aki decise di seguire la sua buona educazione e non chiedere. Si limitò ad osservarlo mentre si mordicchiava il labbro inferiore, indeciso su quali parole scegliere: stava forse nascondendo anche lui qualche malessere?

    -    Per quanto riguarda quello...scherzo idiota di prima-
Aki annuì, capendo dove volesse andare a parare.
    -    Sono profondamente dispiaciuto di averti messo in una situazione di tale imbarazzo- continuò poi il giovane, passandosi una mano tra i capelli – Ma...penso tu abbia capito che si è trattata della penitenza di un gioco scemo. Spero non te la sia presa troppo...col tempo capirai. Scusami se sono sembrato un po' burbero ma...non è nella mia natura baciare la prima che passa-
    -    ...Immagino. Come credo non sia nella tua natura mostrare a quella stessa persona le tue chiappe nude-
Aki si morse la lingua, dandosi della stupida subito dopo: proprio non poteva tenerla per sé, quell'uscita al vetriolo, eh? Essere simpatica a tutti i costi non era esattamente il suo forte...
Yusei la scrutò per qualche secondo, incerto se aveva capito bene o meno, prima di inarcare un sopracciglio e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso.
    -    Credo tu sia la prima a lamentarsi delle mie chiappe...ma te lo concedo. Potrei aver messo su qualche chiletto, in questo periodo-
E il rossore che le imporporò improvvisamente le guance gli fece scappare una risata dalle labbra.

****



Il locale aveva iniziato a svuotarsi già dopo le due di notte, dopo l'ultimo spettacolo delle ballerine. Il ritmo era rallentato poco a poco, i tavoli vuoti erano aumentati sempre più, finché anche l'ultima coppia non si era dileguata oltre la porta in vetro; il lavoro, però, era tutt'altro che finito: ora che la sala era vuota, era necessario pulire, rassettare, spazzare e sgombrare. Sostituite le note sensuali della musica orientale con dell'allegro, ritmato electro-swing che tanto sembrava piacere a tutti quanti, l'intera troupe del Pharaoh's Kingdom si concentrò nella parte forse più barbosa del loro lavoro, cercando in tutti i modi di rallegrare l'attività come meglio riusciva.
Judai faceva avanti e indietro tra i tavoli e le cucine, e proprio non riusciva a resistere alla tentazione di assaggiare qualcuno degli avanzi. Piluccando cibo qua e là come un uccellino alla ricerca di molliche di pane, infilava poi i piatti in una lavatrice che faceva un gran baccano, a giudicare dall'assordante fischio che Aki udiva dalle porte a soffietto: il ragazzo sembrava entusiasta della qualità delle pietanze, nonostante alcune fossero ormai fredde e molti dolci fossero crollati sotto cucchiaiate troppo poderose, e andava in giro ad invitare i suoi colleghi in diversi assaggi. Yusei seguiva il suo viavai senza sosta con lo sguardo, lavando e asciugando bicchieri e shaker con l'automatismo di chi compieva quel gesto almeno mille volte a notte; si era arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti, e solo allora la rossa aveva potuto notare la testa di drago tatuata sul suo avambraccio destro. Aveva un'espressione diversa ora, molto più rilassata e meno rigida, quasi riusciva ad individuare l'ombra di un lieve sorriso a curvargli le labbra. Forse era l'allegra musica diffusa dagli altoparlanti, o forse era la consapevolezza di essere vicino alla conclusione del suo turno, ma sembrava aver finalmente sciolto la sua rigida postura da barman tutto d'un pezzo, per concedersi qualche minuto di relax in un'attività che conosceva bene. Si permise anche qualche veloce gioco acrobatico con i flute che stava sistemando, lanciandoli in aria e afferrandoli al volo come le palline di un giocoliere. In lontananza, Yuya l'aveva ben osservato, e aveva cercato di replicare i suoi movimenti, usando però un paio di sedie che fecero allontanare Yuma di corsa. Il risultato fu un gran baccano creato dalle sedie che caddero a terra in sordi tonfi, e per poco Judai non finì colpito da una di esse.
Poi Yuma aveva proposto di fare la stessa cosa con le bottiglie, e lì la situazione era velocemente degenerata. Bottiglie vuote di ogni tipo volavano da una parte all'altra della stanza, prontamente afferrate dalle mani di uno dei due giovani barman che si scambiavano spesso posizione, come navigati artisti circensi alle prese con delle clavette. E mentre lei e Yugi sistemavano le poltroncine e spazzavano il pavimento, Atem se ne stava in disparte in un angolo, ad osservare tutto quell'allegro trambusto con un lieve sorriso sul volto, come un amorevole padre che osservava i suoi pargoli fare bordello per casa.

    -    Ehi, smettila di ingozzarti!-
    -    Fatti gli affari tuoi, musone!-
    -    Judai, sei allucinante, giuro-
    -    Ma dai, cosa vuoi che siano! Sono solo assaggini!-
    -    Tieni d'occhio i fianchi-
    -    Oh, lascia stare i miei fianchi tu!-
    -    Guarda che se ti allarghi troppo le ragazze non ti vorranno più!-
    -    Non mi sembra di essere quello che ha problemi con le ragazze, qui!-
    -    Cosa vorresti insinuare?!-
Il bicchiere sfuggì dalle mani di Yusei, e il barman lo mandò a ruzzolare dentro il lavello mentre alzava minacciosamente la mano destra, armata di canovaccio bianco. Aki fece rimbalzare lo sguardo avanti e indietro tra i due, e anche Yuma e Yuya interruppero il loro lancio di bottiglie, affiancandola velocemente. Yugi si lasciò sfuggire un risolino.
    -    Eccoli che cominciano- sussurrò poi – Ora inizia il divertimento-
Aki non sapeva se definire “divertimento” vedere due ragazzi che si scannavano tra di loro a suon di frecciatine e insinuazioni: la crew del Pharaoh's Kingdom aveva standard del tutto inusuali...
    -    Tu sei quello che a 24 anni non sapeva cosa volesse dire la parola “fellatio”!- sbottò Yusei, puntandogli teatralmente contro un indice.
    -    Ma cosa centra adesso?!- si difese Judai, morsicando un dolcetto e rientrando in cucina– E poi dimmi chi è che la chiama così!-
    -    Tutte le persone di un certo livello culturale e capacità di raziocinio!- sbraitò il compagno, a voce alta abbastanza per farsi intendere dal castano.
    -    Ma per favore, lo sai almeno cosa vogliono dire queste parole?-
    -    Non sono io quello duro di comprendonio, qui!-
    -    Senti, o mi spieghi cosa vuol dire “muro di comprensorio” o per me puoi tranquillamente buttarti in una discarica insieme alla tua moto!-
    -    Vuol dire che non capisci un cazzo!-

La porta a soffietto si spalancò nell'esatto momento in cui Yusei schiantò, con un evidente moto di stizza, il canovaccio sul lavello dietro al bancone. Judai si pulì le mani sul grembiule, livido in volto.
    -    E pensi sia colpa mia?! Sei tu che usi parole difficili!- sbottò poi.
    -    Parola difficile?! Fellatio è una parola difficile?!-
    -    Oh per favore, nessuno più la chiama così ormai! Sembra il nome di un cane!-
    -    Termosifone-
    -    Cosa?!-
    -    Niente Judai, visto e considerato che non mi capisci ugualmente, ho appena deciso di comunicare con te attraverso parole a caso. Almeno mi faccio due risate-
    -    ...seriamente?!-
    -    Rastrello-
    -    Io ti strozzo nel sonno-
    -    Bene, direi che può bastare-
La voce di Atem si levò alta e sicura dall'angolo vicino alla porta di vetro, interrompendo la schermaglia tra i due colleghi. Aki lo osservò avanzare con il suo consueto, calmo incedere, lo stesso con il quale le si era presentato: la sua entrata in scena ebbe il potere di far serrare le labbra del giovane chef e del barman, congelandoli nelle loro posizioni.
Impossibile non notare la carica di carisma e autorità che Atem sembrava sprigionare con la sua presenza. Per quanto lo conoscesse relativamente da poco, possedeva tutte le caratteristiche ricercate nei leader: presenza, acume, parlantina sciolta, capacità di organizzazione e di direzione. Quando lui parlava, tutti si chetavano e restavano ad ascoltarlo, pronti a ricevere ordini, disposizioni e consigli per la giornata.
Chissà se anche fuori dalle mura del Pharaoh's Kingdom era così, se anche dopo aver smesso i panni del ristoratore, era e restava il leader incontrastato del gruppo.
    -    Voi due, come mai questi battibecchi?- chiese poi, in tono serafico, gli occhi socchiusi e il sorriso sornione, quasi felino – Mi siete parsi molto agitati da ben prima della sfida a blackjack-
Seguì uno strano silenzio, in cui Yusei e Judai sembrarono parlarsi solo con gli occhi. Lo facevano spesso, scambiandosi cenni e gesti che costituivano un codice solo a loro conosciuto. Atem aveva notato quella loro complicità fin dall'inizio, la stessa di persone che si conoscevano da molto tempo e che non avevano bisogno di parole per intendersi. A loro bastava anche solo un'occhiata per comunicarsi cose come oggi mi sembri particolarmente impedito, smettila di ingozzarti, avrei fatto meglio a restarmene a casa, avresti fatto meglio a restartene a casa, se parli ti ammazzo.
Sapeva perfettamente che, nel momento in cui Yusei e Judai avessero litigato davvero, e per qualcosa di serio, allora sarebbero stati oggetti pesanti quelli a volare misteriosamente per la sala, e non frecciatine e insulti gratuiti.

    -    Allora? Sto aspettando-
    -    ...Abbiamo ripreso a giocare a Smash Bros- borbottò Yusei, il capo basso, con aria quasi colpevole.
Nel silenzio che seguì, solo una domanda balzò in mente ad Aki: cosa diavolo era Smash Bros? Yuma sembrava saperlo, perché scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo il solletico, andando a coricarsi su una poltroncina e tenendosi la pancia.
    -    Oh. Un picchiaduro che raccoglie più personaggi di universi diversi- notò Atem, con un sorriso e un'alzata di sopracciglio – Ed è questo che ha guastato i vostri rapporti odierni?-
    -    Certo! Perché LUI...- e indicò Judai con un dito, mentre il castano continuava a cacciarsi in bocca dolcetti e pastarelle – Me lo fa ODIARE! Lui e quel suo maledetto Capitan Falcon!-
    -    Ma tappati quella bocca, Ike passodazeroaottantapercentoinunCOLPO! Fai salire un nervoso...!-
    -    Ah IO?! Disse quello che vinceva facile tre su tre!-
    -    Non credo sia colpa mia se tu sei particolarmente scarso e te la cavi con sì e no due personaggi!-
    -    Ma certo, rincara pure! Giuro ti attacco alla moto senza casco e ti faccio correre sul filo dei duecento all'ora in autostrada!-
    -    Come no, fatti sotto!-
    -    Un goccio, prima?-
    -    Volentieri, grazie-

La schermaglia finì così com'era iniziata: d'improvviso, senza una reale ragione se non quella di avere un pretesto per borbottare e scherzare. Aki si passò la lingua sulle labbra, guardando ora Yusei che versava del whisky in un paio di bicchierini, ora Judai che alzava il suo e lo faceva tintinnare contro quello del collega, di nuovo a Yusei che invitava tutti quanti ad un giro e infine Atem, che le sorrideva enigmatico come una sfinge.
Chissà se sapeva cosa le stava passando per la testa.
Dove diavolo era approdata?



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Io almeno lo so dove sono finita! Su una nuova sezione che non avrei mai pensato di toccare nell'arco della mia pseudo-carriera di fanwriter!
Perché intendiamoci, ragazzi: io non ho mai giocato a Yu-Gi-Oh! nell'arco di tutta la mia vita. Né visto l'anime o letto le varie trasposizioni manga. Questo almeno fino a qualche mese fa, quando il ricovero ospedaliero e il lungo periodo di fisioterapia non mi hanno lasciata piena di tempo libero da usare per recuperare un altro tassello della mia infanzia. Tassello volutamente scartato all'epoca, lo ammetto, perché l'idea di un pensiero così buonista e bimbo come quello del "cuore delle carte" mi faceva girare le balle già da ragazzina.
Senonché mie conoscenze hanno avuto il coraggio (e il buon cuore) di aprirmi gli occhi su questa serie, e mettermi al corrente dell'atroce sfilettatura che questa ha subito dalla censura (soprattutto tutto quello che riguarda Duel Monster...non si è salvato praticamente NIENTE...ma anche GX a quel che so): e a quel punto, conscia del fatto che una cosa come il cuore delle carte non è MAI esistita in tutta la serie, nominata forse una volta in tutte le 200+ puntate; una volta compreso che quello che appare come un innocuo gioco di carte per ragazzini altro non è che un'arma di distruzione di massa, che per carità non mettetela in mano a Kim altrimenti altro che missili nucleari; appreso che tutta la storia in sé, soprattutto la serie 0, mai arrivata in Italia né in America PER OVVI MOTIVI, è molto più oscura e cupa e violenta di quanto non appaia al primo sguardo...beh, mettendo insieme tutto questo ho detto "massì dài, diamoglielo un tentativo".

Me misera. Me tapina. Mi sono letteralmente infognata in un fandom dal quale non so quando, come e soprattutto SE uscirò.
E cosa succede quando io sprofondo in fandom di varia natura? Semplice, ci immagino storie alternative sopra! In alcuni casi le scrivo direttamente.
Questo è uno di quei casi. Una AU scritta davvero di getto, iniziata col semplice intento di far prendere ossigeno al mio cervello e alla mia vena creativa con qualcosa di nuovo: una storia che inizialmente non aveva altro motivo di esistere se non
questo, fare da valvola di sfogo.
Come tutte le storie, alla fine la valvola di sfogo si è trasformata in un gigantesco sfiatatoio.

A questo punto è doveroso fare qualche precisazione. Chi già ha letto qualcosa di mio sa che ADORO farcire ogni capitolo con qualcosa a cui fare riferimento e analizzare per bene, il che si traduce in note post-capitolo lunghe quanto il capitolo stesso, a volte.

Come avrete capito si tratta di un'AU che di AU ha poco, alla fine dei conti: i personaggi sono gli stessi, l'ambientazione anche, ma di Duel Monsters non se ne sente parlare neanche un po'. Mai esistito in questo mondo, che ho immaginato come una via di mezzo tra quello originale delle serie e quello odierno in cui siamo relegati noi miseri mortali. I nostri impavidi duellanti non si sfidano più a carte ed evocazioni, ma a portate culinarie e volteggi di bottiglie, in un locale che farà da principale sfondo alle vicende. Tutti i protagonisti insieme, a condividere lo stesso tetto! Lavorativamente parlando.
Come accennato nell'introduzione, potrebbe capitare l'occasione in cui i personaggi potranno risultare OOC. Finora ho maneggiato solo scanzonati cacciatori di demoni che hanno fatto del trash un loro dogma, ho bisogno di tempo per abituarmi a viaggiare su linee diverse. Farò del mio meglio per restare fedele alla loro immagine, e sicuramente cercherò di arricchirla con altri dettagli che trovo su di loro indicati; forse sarà proprio per questo che in qualche occasione potrei sfiorare l'OOC. Farò del mio meglio, lo prometto!

In questo locale dall'aspetto un po' glamour un po' esotico ognuno ha il suo ruolo. E sebbene non siano solo i cinque impavidi duellanti  ad animarlo, ma tutta un'equipe di cuochi, addetti alle pulizie, luci e altro, sarà su di loro che i riflettori saranno puntati. Con il tempo appariranno altri personaggi ad animare tutto il cosmo che ruota attorno al locale: non prometto di farli apparire
tutti tutti...ma quasi.

Ora vi chiederete: perché un locale? Un lounge bar, perché? Ambientazione audace chiaro, ma perché? 
L'idea di far muoverei dei personaggi all'interno di un locale mi ha sempre attratta per qualche misterioso motivo, e stavolta non ho proprio resistito. Mi piace l'idea di poter osservare, da lontano e con discrezione, delle persone intente a fare altro; magari anche fantasticare sulle loro vite al di fuori di quella serata di svago che si concedono.
Nella vita reale lavoro in un call center, in una postazione di 1x1 e con alti divisori a schermarmi dagli sguardi dei colleghi. Forse la mia curiosità nasce da questo.

Atem e Yugi sono qui raffigurati rispettivamente come fratello maggiore e minore: lo ammetto, una scorciatoia prevedibilissima per spicciarmi, in maniera più ragionevole e plausibile possibile, la questione del rapporto in simbiosi tra i due, oltre alla sconcertante somiglianza. No, quello che Yugi ha al collo non è il Puzzle del Millennio! xD ma il riferimento ad esso è molto chiaro. Enigmatico e sornione uno, gentile e a volte fin troppo disincantato l'altro: Atem DOVEVA essere il capo dell'intera combriccola.
Poi, in un locale che si chiama Pharaoh's Kingdom era anche palese.

Judai e Yusei, la Starshipping! Sul serio, la quantità di ship di 'sto fandom è imbarazzante, io manco me le ricordo tutte. Non serviranno tutte comunque, e sicuro non si parlerà di Starshipping. Non nel mondo in cui immaginate comunque. I due interagiranno spesso, SPESSISSIMO. Sappiatelo. E in maniera che non ha nulla da invidiare con le serie di Yu-Gi-Oh! The Abridged su Youtube. Questi due hanno richiamato autonomamente un simile rapporto, considerato quanto sono agli antipodi: uno è schietto e allegro e sempre in movimento che quasi vorresti strozzarlo nel sonno, e l'altro è perennemente imbronciato e serio ai limiti del sopportabile, a volte. Chi però diceva che gli opposti si attraggono ci ha azzeccato, direi.

Yuma e Yuya, i due Yu al bancone. Ci ho messo un po' per farmi andare Zexal giù, lo ammetto, ma lo sto studicchiando seriamente e ammetto che offre degli spunti molto interessanti! Oltre alle capigliature più improbabili di tutte le serie, credo. Yuma ha molto potenziale, finché non lo sento parlare con l'audio americano: in quel caso ho solo voglia di piazzare un esplosivo nelle fondamenta della sede della 4Kids e congratularli CALOROSAMENTE dell'infelice scelta fatta in sala di doppiaggio.
Ma ARC-V...ammetto che è stato con il primo episodio di questa serie che sono ufficialmente entrata in questo loop di carte, evocazioni e dimensioni e OMMIODDIO. Perché un ragazzino con i capelli a semaforo che cavalca un ippopotamo rosa con la coda a cuoricino BASTA, per far risvegliare in me quella curiosità morbosa che mi fa dire "andiamo avanti, ne voglio ancora!".
Anche per loro il posto dietro al bancone era già bello indicato con una gigantesca freccia lampeggiante. Il primo così energico che non riesci a stargli dietro, e il secondo che ha fatto dello spettacolo e il divertimento il suo marchio di fabbrica!
Non credo sia necessario spiegarvi il perché di "occhi diversi": chiarissimo riferimento a Drago Pendulum Occhi Diversi, carta principale del suo deck Artistamico. Che la prima volta l'ho chiamato Antistaminico e il mio fidanzato sta ancora ridendo ma vabbé.

Aki Izayoi, aaaaah, e qui si scoperchiano tutti i vasi, tutti i forzieri, lo scrigno di Pandora! Tra i cinque, il suo Rosa Nera è il mio preferito e per ovvi motivi, anche se se la gioca alla pari con Polvere di Stelle. E lei stessa, come personaggio, è di una personalità così articolata e misteriosa che non puoi fare a meno di chiederti quanto sia effettivamente nascosto, in lei. Come il più bel bocciolo di rosa nascosto dal roveto più grande e spinoso del mondo. Bella, ostinata e psicopatica abbastanza da piacermi. La storia tratterà da vicino anche la sua crescita e il suo fiorire, tra le altre cose.

Ebbene...questo è il primo capito di un vero e proprio viaggio nella follia. Per me almeno. La storia è nata quasi per caso, dopo un lungo periodo di degenza in ospedale. Avevo bisogno di qualcosa che risvegliasse in me il desiderio di scrivere e la voglia di mettermi in gioco, oltre che di uscire dai miei tradizionali schemi di atmosfere cupe, sevizie mentali budelli infernali. Un vero e proprio modo per "staccare la spina" e mettere il cervello a riposo.
Spero di non avervi annoiati. Spero di non annoiarvi neanche in seguito, qualora decideste di seguire questa storia. In ogni caso, sappiate che ogni commento sarà ben accetto! Recensione, MP, gufo postino, olocron Sith, Strillettera, quello che vi pare. Anche dei vintage segnali di fumo stile Apaches sul piede di guerra.
O anche una carta. Lanciata di taglio. Non Cilindro Magico, a meno che non vogliate conoscere la mia collezione di improperi ed insulsi.

Ci si rilegge presto (spero)!
92Rosaspina.
   
 
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