15
Viaggio
Partirono poche ore dopo,
non appena i Fae ebbero loro consegnato i viveri essenziali. Diedero
loro anche quelle strane cavalcature che avevano visto prima di
ascendere alle Pietre Giudici. Si chiamavano Gedharvha e, oltre ad
avere gli zoccoli biforcuti, avevano le zampe striate e un pelo lucido
come quello di un cane. Quando Arghail allungò la mano per
accarezzare il suo esemplare, l'animale alzò il muso tozzo
per andare incontro al suo palmo, emettendo un verso simile alle fusa
di un gatto. Erano stati sellati con delle selle dall'arcione alto e le
sacche con tutti gli alimenti per la loro sopravvivenza erano fissate a
questa con delle corde molto spesse.
Prima di muoversi, Urian si avvicinò. Indossava gli stessi
abiti di quella mattina e sul suo viso permaneva la solita espressione
impassibile. Offrì ad Airis un sacchetto di cuoio chiuso da
legacci.
- Che cos'è? -
- Varie erbe. Il cibo che vi abbiamo fornito è sufficiente
per una settimana, il tempo necessario per valicare i Monti, ma qualora
vi ritrovaste senza, dovrete fare attenzione a ciò che
prendete: sia gli animali che le piante che crescono qui possono essere
letali. -
- Tendi a sopravvalutare le mie capacità, Urian. Sono un
soldato, non una cerusica. Anche volendo, non saprei distinguere il
rosmarino dalla menta. -
- Non serve che sia tu a conoscerle. -
- Cosa intendi? -
Il Fae non rispose e Airis capì che, anche se avesse
aspettato, non avrebbe ricevuto altro che silenzio. Accettò
il sacchetto e lo infilò nella tasca all'interno della
giornea.
- Grazie per tutto quello che hai fatto. -
- Non ringraziarmi, giovane lupa. Non ci sarà clemenza nella
vita che ti attende. -
Le lanciò un'ultima occhiata, poi le diede le spalle e
allontanarsi verso la sua casa. Airis lo seguì con lo
sguardo finché la sua testa fulva non sparì al di
là della porta. Anche gli altri Fae fluirono via, ognuno
tornando alle proprie faccende.
Airis spronò il Gedharvha e raggiunse Arghail, che
l'attendeva sul limitare del villaggio, la mappa che Urian aveva loro
prestato già srotolata e un'ascia avvolta in stracci legata
alla cintola con delle corde. Anche Airis aveva fatto lo stesso e aveva
rinunciato al fodero, assicurando la spada attraverso una serie di nodi
attorno alla guardia: faceva troppo freddo e non voleva correre il
rischio che la spada rimanesse incastrata per la brina. Quando lo
raggiunse, Arghail rimise la mappa nel portapergamene e le fece cenno
di seguirlo.
L'ora di pranzo era passata da un pezzo e il vento aveva dissipato il
muro di nubi, liberando il cielo e il sole. Non seguirono il percorso
della mattina, ma ne intrapresero uno che si inoltrava verso ovest nel
bosco di larici. Era una stradina sterrata, una scia appena segnata,
nascosta in mezzo al fogliame e ai bassi arbusti, che però i
Gedharvha sembravano conoscere molto bene. Avanzarono risoluti, con la
testa alta, quasi non sentissero il peso delle borse ai fianchi,
fermandosi solo di tanto in tanto per brucare qualche mirtillo. Ne
erano così golosi che a un certo punto sia Airis che Arghail
dovettero tirare le briglie per impedire loro di deviare dal percorso.
Dopo circa un paio d'ore, il sentiero divenne più impervio e
il pendio, dapprima appena accennato, divenne una vera e propria
salita. I larici lasciarono il passo a un bosco di cirmoli dal tronco
nero e le foglie rosse, così alti da dare l'impressione di
toccare il cielo con le loro fronde. Regnava un profondo silenzio e i
passi dei Gedharvha erano l'unico disturbo nell'aria permeata dal
profumo di fresco e resina.
- Li hai mai visti? - domandò Airis.
- Ne ho solo sentito parlare da Hallende. Nella sua lingua non so
pronunciare il loro nome, ma da come me li ha descritti dovrebbero
essere gli Alberi Guerrieri. -
- Un nome alquanto inusuale. -
- Deriva da una leggenda. Si dice che un vecchio cavaliere,
sopravvissuto al tempo e ai suoi stessi figli, abbia deciso di
suicidarsi per permettere al suo albero avvizzito di tornare a fiorire.
È il motivo per cui sia le sue foglie che i suoi fiori sono
dello stesso colore del sangue. -
Airis inarcò un sopracciglio e Arghail scoppiò a
ridere.
- Lo so, è una leggenda molto macabra. -
- Doveva tenerci davvero molto per compiere un gesto così
estremo. -
Arghail fece spallucce, strinse appena le briglie e
accarezzò meditabondo la corta criniera del Gedharvha: - Il
paese da cui viene Hallende ha delle usanze diverse dalle nostre.
Alcune ai nostri occhi possono sembrare molto bizzarre. -
- Ci sei mai stato? -
- No, ciò che so me lo ha raccontato lei. -
- Siete... molto legati. - commentò cauta Airis.
Non sapeva nulla di lui, a parte le poche informazioni che era riuscita
a scucirgli durante il primo giorno di traversata a bordo della Signora
dei Mari. Era come viaggiare con uno sconosciuto, per certi versi.
Forse, si disse, se avesse saputo qualcosa di più avrebbero
potuto... essere amici? Meglio di no, tutti quelli con cui instaurava
un legame rischiavano di finire nella tomba prematuramente.
- Sì, in passato. -
- A me sembra che lo siate ancora. -
- Era diverso, molto più profondo, se così si
può dire. - si strofinò il collo, proprio
all'altezza del tatuaggio che condivideva con Hallende, la farfalla
posata su una stella, - Ho commesso troppi errori per pensare che sia
rimasto uguale dopo tutti questi anni. -
- È per quello che è successo a sua sorella? -
azzardò Airis.
Arghail corrugò le sopracciglia e la fissò
perplesso. Dopo qualche secondo storse le labbra in una smorfia amara e
scosse la testa.
- Sua sorella, è così che ti ha detto. -
- Mi dispiace, non volevo essere indiscreta. -
Il capitano le fece cenno con la mano di non preoccuparsi. L'ombra che
gli aveva attraversato lo sguardo però era ancora
lì e fagocitava la poca luce che filtrava tra le fronde
degli alberi, trasformando l'indaco delle iridi in un viola scuro,
tetro.
- Meglio che aumentiamo il passo o il temporale ci
raggiungerà prima di sera. - sospirò e
spronò il Gedharvha.
L'animale sbuffò risentito per quell'improvviso cambiamento
di andatura, ma obbedì. Airis lasciò che la
sorpassasse finché non arrivò al limite del suo
campo visivo. Quando la nebbia l'ebbe quasi inghiottito,
affrettò il passo.
Gli Alberi Guerrieri li circondavano come sentinelle e le ombre dei
tronchi e dei rami si protendevano su di loro, simili a fauci pronte a
ghermirli non appena avessero abbassato la guardia. La nebbia era
sottile come un foglio di carta bagnata e si sfilacciava in lembi
più o meno fitti, serpeggiando nel sottobosco e innalzandosi
fino ai primi rami. Il vento faceva stormire le cime e produceva un
rumore frusciante a raso terra, tra le ortiche e rododendri che
sbucavano di poco dal suolo.
Airis non faceva altro che guardarsi intorno, la mano sempre vicino
all'impugnatura della spada. Aveva la sensazione di non essere la
benvenuta e il rosso intenso delle foglie degli Alberi Guerrieri
rinforzava quella convinzione, la definiva nei contorni della certezza
e la rendeva nervosa. Quando Arghail afferrò la sua ascia,
anche Airis fece lo stesso e si portò al suo fianco,
assottigliando lo sguardo alla ricerca della minaccia che l'aveva messo
in allarme. La foresta rispose con uno sprezzante silenzio. La
guerriera scosse la testa e masticò un'imprecazione. Era il
luogo a suggestionarla e la stanchezza non aiutava.
- Troviamo un posto dove passare la notte. - suggerì e
Arghail assentì.
Il ruggito lontano di un tuono fece tremare l'aria immobile.
- Sì, e anche in fretta. -
Arghail si inoltrò nel bosco e su ogni albero incise una X
con la lama dell'ascia.
Quando le prime gocce di pioggia cominciarono a picchiettare sul
terreno, avvistarono la tana di un animale, abbastanza grande per
entrambi. Il terreno in quel punto cedeva in un dislivello di un paio
di braccia e l'albero su cui sorgeva era inclinato così
tanto che le radici, emerse dalla terra, parevano dita adunche
aggrappate ai sassi e ai ciuffi d'erba.
Airis smontò e si avvicinò per controllare. La
luce le venne fornita da un fulmine che esplose sopra le loro teste,
spaventando uno scoiattolo e i suoi cuccioli, rannicchiati gli uni
contro gli altri per proteggersi dal freddo. Non appena la videro, la
fissarono per qualche istante e al successivo tuono scattarono fuori e
sparirono veloci nel sottobosco.
- Non abbiamo di meglio per stanotte, dovremo accontentarci. -
- Ho dormito in posti peggiori. - rispose Arghail con ironia e
abbozzò un sorriso che contagiò anche Airis.
I due Ghedharvha opposero resistenza quando provarono a tirarli
all'interno. Strattonarono le redini con forza, sbattendo gli zoccoli a
terra con gli occhi fiammeggianti. Nemmeno i tuoni e la pioggia
battente sembravano convincerli.
All'ennesimo tentativo fallito, con i capelli che gli gocciolavano
sugli occhi, Arghail porse le redini ad Airis.
- Dove stai andando? -
- Fidati di me. -
Le fece l'occhiolino e lei lo osservò finché il
tramestio della pioggia non coprì quello dei suoi passi.
“Almeno la nebbia si è diradata...”
Il suo Ghedharvha aveva gli occhi piccoli e le ciglia corte e curve,
simili a quelle di una mucca. Dalle narici emetteva delle nuvolette di
vapore che si dissolvevano nella pioggia. La fissava con
curiosità frammista a una palese irritazione, resa ancora
più evidente dalle froge dilatate e i muscoli del collo tesi
sotto la pelliccia bagnata.
- Sei proprio una bastian contraria. - Airis la tenne per la cavezza
senza alcuno sforzo quando l'animale scosse la testa, - E non credere
che ti lasci andare in giro per questi monti sotto la pioggia, sappilo.
Mi servi per arrivare sana e salva a casa e no, non puoi rimanere qui
fuori a infreddolirti tutta. -
L'animale sbruffò, trafiggendola con un'occhiata
infastidita, mentre il suo compagno si era chinato per brucare l'erba,
incurante del conflitto in corso.
- Sei una bestia intelligente, non capisco per quale motivo devi essere
così intrattabile. -
- Perché ha paura del buio, come molti animali. -
Arghail spuntò da dietro un cespuglio. Era bagnato fradicio
e i vestiti di panno pesante gli si erano attaccati alle spalle e alle
braccia come una seconda pelle. In mano aveva alcune bacche di mirtillo
e foglie di rododendro. Non appena anche gli animali si accorsero della
sua presenza e lui fu abbastanza vicino, protesero i musi per afferrare
le bacche. Airis li vide rilassarsi sotto le carezze del capitano
mentre banchettavano.
- Se vi infilate lì sotto, dopo cena ve ne vado a prendere
altre. - si offrì e si pulì le mani sui calzoni,
gli occhi che passavano da un Ghedharvha all'altro.
Arghail sbatté le palpebre un paio di volte e fece un passo
indietro. I due Ghedhravha si piegarono sulle zampe e si infilarono
nella tana.
- Come... che cosa hai fatto? -
Il capitano la fissò trasecolato e poi aggrottò
le sopracciglia. Il sorriso che le rivolse era pallido come il suo
volto.
- Nulla, ho solo pensato che, somigliando a dei cavalli, potesse
bastare dar loro quello che desideravano. E ora conviene anche a noi
ripararci o rischiamo di ammalarci. - disse, poi si
inginocchiò e avanzò nell'oscurità
prima che Airis potesse chiedere ulteriori spiegazioni.
La tana era più larga che profonda di quanto sembrava
dall'esterno ed era invasa dalle erbacce e dalla mobilia dei suoi
precedenti ospiti: un letto di foglie marce, diversi segni di graffi
sul terreno e varie ossa sparse un po' ovunque, piccole e sottili come
quelle di un coniglio. Il soffitto era abbastanza alto per permettere a
entrambi di muoversi con sufficiente facilità, sebbene
dovessero tenere la testa bassa.
Fecero ordine come poterono, addossando alla parete in fondo tutta la
sporcizia, per poi prendere il cibo dalle borse appese ai Ghedharvha.
Mangiarono delle strisce di carne secca, accompagnata con del pane di
segale e alcune nocciole. Si spartirono equamente la loro parte e si
strinsero alle loro cavalcature, che già sonnecchiavano. Il
vino che avevano mischiato con l'acqua era di pessima
qualità e il sapore di tappo pungeva la lingua, ma bastava a
scaldare le mani e i piedi intorpiditi dal freddo e
dall'umidità.
Airis teneva il capo contro la parete di terra, il braccio destro
disteso sul ginocchio piegato e le spalle morbide. Non si sentiva
stanca, non quanto immaginava. La sua mente era sveglia, concentrata
assieme ai suoi sensi verso l'esterno. La pioggia ticchettava sulle
foglie e sul terreno fradicio, mettendo le ali ai piedi ai pochi
animali che non avevano avuto la celerità o l'accortezza di
correre al riparo quando c'erano state le avvisaglie del temporale.
“Domani sarà difficile proseguire.”
Anche se i Ghedharvha erano abituati a procedere su quei sentieri
accidentati, non era sicuro mantenere un passo troppo sostenuto col
terreno molle. Avrebbero dovuto continuare con più cautela,
prestando attenzione a più dettagli, in una foresta
sconosciuta. La loro unica guida era costituita da un pezzo di
pergamena e dal loro buon senso: perdere l'uno o l'altro significava
morire o, ancora peggio, non arrivare in tempo per interrompere il
rituale.
- Troveremo un modo, tranquilla. - disse Arghail, sedendo vicino a lei,
spalla a spalla.
I suoi abiti erano bagnati tanto quanto quelli di Airis, ma il calore
che lasciavano filtrare era piacevole e la calmava.
- Riusciremo ad arrivare sani e salvi e al momento giusto. - aggiunse
con più determinazione, - Abbi fiducia, ce la possiamo fare.
Io ne ho passate di peggio, tu anche e non sarà di certo un
temporale a fermarci. -
- A rallentarci sì, però. -
- Ce la faremo lo stesso. Sei un Generale, non puoi essere
così pessimista, sennò abbatti il morale dei tuoi
uomini. -
- Direi che realista mi si addice di più. -
- Questo tuo realismo non contribuisce alla riuscita dell'impresa. - si
girò a guardarla e stirò le labbra in un sorriso
stanco, - Non vedere tutto nero, Airis. Vedrai che ce la caveremo. -
La guerriera sospirò. L'angoscia le rimestava le viscere,
affondava i suoi artigli e li faceva a brandelli ogni volta che si
fermavano a riposare. La mente correva frenetica, una lepre e un lupo
al tempo stesso, preda e predatore di se stessa e delle sue paure.
C'erano troppe cose da giostrare, troppi problemi a cui pensare, eppure
se voleva essere libera doveva trovare un modo per risolverli tutti.
Aveva l'occasione di aggiustare le cose e consegnare il mondo a persone
che l'avrebbero reso migliore. Hallende, Arghail, Melwen, Zefiro,
Myria, tutti loro avevano il diritto di vivere.
“Anche Ledah. Soprattutto Ledah.”
- A chi stai pensando? -
Arghail aveva appoggiato la testa vicino alla sua e la fissava di
sbieco, con la sola coda dell'occhio. Non c'era durezza nella sua voce,
solo una curiosità appena venata da una saputa conoscenza,
come quella di un amico con il quale è impossibile avere dei
segreti. Airis rimase paralizzata dentro di sé: avrebbe
voluto scaricare quel fardello, avere una persona al mondo che sapesse
tutto quello che aveva fatto, tutto quello che era e le sarebbe
piaciuto essere. Tuttavia, quel qualcuno non poteva essere Arghail.
- Ledah. - mormorò.
- L'elfo che devi salvare, giusto? -
Airis annuì.
- È importante per te. -
- Lo è per tutta Esperya, per capire... -
- Sì, ma al di là di questo, ha fatto molto per
te, come tu per lui. Siete compagni. - sbadigliò e
allungò le gambe, - E i compagni non si abbandonano mai. -
- Non ritorcermi contro le mie stesse parole, soldato. -
borbottò Airis, senza riuscire a nascondere un piccolo
sorriso.
- Solo ciò che mi colpisce particolarmente. - Arghail
ridacchiò e si lasciò scivolare lungo la parete,
fino a rannicchiarsi contro di essa, - Svegliami tra un paio d'ore, ti
do il cambio per la guardia. -
Airis assentì e si avvolse nella cappa fino alla cintola,
come aveva fatto Arghail. Accompagnata dal leggero russare del suo
compagno, si concesse di ripensare alla festa di Luthien, quando aveva
danzato tra le braccia di Ledah.
Il secondo giorno si misero in marcia alle prime luci dell'alba. Airis
aveva preferito lasciar dormire Arghail e aveva montato la guardia da
sola. Non si sentiva molto assonnata, le palpebre erano solo un po'
più pesanti, come se la sera prima avesse bevuto
più del normale.
- Avrei dovuto darti il cambio. - l'aveva rimproverata Arghail mentre
facevano colazione, - Essere una Guardiana non ti esenta dal dormire. -
- Dormirò in sella, tanto ci sono abituata. -
Non era vero, aveva sempre faticato a riposare in groppa a un cavallo,
ma era mattina presto e non aveva la forza mentale per sostenere una
discussione.
I Ghedharvha furono ben contenti di riprendere il viaggio. Non appena
avevano visto i loro cavalieri uscire per sgranchirsi le gambe, li
avevano seguiti quasi trotterellando, per poi brucare un po' d'erba.
Quando Arghail offrì loro alcune bacche di mirtillo,
sollevarono immediatamente la testa e gli si avvicinarono per mangiare
direttamente dalle sue mani.
La pioggia aveva reso il terreno morbido e scivoloso, tant'è
che i Ghedharvha stessi procedevano con cautela. I loro zoccoli erano
adatti per fare presa sulle rocce e, appesantiti com'erano, dovevano
prestare molta attenzione.
La nebbia, simile a spuma del mare, aleggiava nell'aria, lambendo i
rami più bassi degli Alberi Guerrieri con lo stesso tocco
gentile delle rosee dita dell'alba. La foresta era silenziosa, la
maggior parte degli animali stava ancora riposando. Da lontano si udiva
il chiacchiericcio di una capinera e il canto flautato e più
basso di un merlo. Era una melodia piacevole, che rompeva il silenzio e
svegliava la mente assonnata di Airis.
Fecero poche deviazioni e si fermarono solo per sgranchire le gambe e
per lavarsi. Il riflesso del sole sulla superficie del laghetto aveva
destato l'attenzione di Arghail, che aveva fatto fermare gli animali e
li aveva condotti fino alla polla. Due stambecchi si stavano
abbeverando e un altro si stava appropinquando dalla foresta. Non
appena li videro, scapparono via a rifugiarsi nella copertura data
dagli alberi. Sulla superficie galleggiavano le foglie degli Alberi
Guerrieri, aghi lunghi e rossi.
Airis si inginocchiò e si lavò la faccia con
l'acqua gelida fino a quando non dovette strofinarsi le mani
intorpidite dal freddo, mentre Arghail si occupò di riempire
gli otri. Quando tornò in sella, si sentiva finalmente
sveglia.
Dopo mezzogiorno si lasciarono alle spalle la foresta e assieme ad essa
la sensazione di spaesamento. Gli alberi divennero sempre
più radi e alla fine scomparvero del tutto, cedendo il passo
a un paesaggio roccioso, con il sole che illuminava ogni cosa. La neve
a quell'altitudine non si era ancora sciolta, cumuli bianchi
barbagliavano ai lati del sentiero, abbacinanti nel loro candore che
rievocava l'inverno appena passato. L'aria era rarefatta e fredda,
sfrigolava sulla pelle e penetrava attraverso i pori come centinaia di
piccoli aghi che affondavano sempre più a ogni alito di
vento.
Arghail si fermò per controllare la direzione sulla mappa e
fece un cenno di assenso ad Airis, indirizzandola verso una strada
nascosta dalle rocce nere che declinava fino a costeggiare una parete a
strapiombo sul vuoto. Non c'erano anelli a cui assicurarsi,
né tanto meno appigli a cui aggrapparsi se fossero caduti.
Era simile alla strada che Urian aveva scelto il giorno prima. Airis si
chiese se anche quella segnata sulla mappa non servisse a metterla alla
prova. Quando incrociò lo sguardo di Arghail,
intuì che anche lui stava pensando la stessa cosa.
I Ghedharvha si misero in fila indiana e avanzarono lentamente, gli
zoccoli che facevano presa sulle rocce con facilità.
Airis fissava la schiena del suo compagno. Lo vedeva rigido in sella e
anche lui guardava ostinatamene davanti a sé, come se non
avesse il piede a penzoloni sul vuoto. Il vento gli faceva turbinare i
capelli, strappava ciuffi dalla mezza coda e faceva turbinare le
ciocche biondo-rossicce sulle spalle.
- Soffri di vertigini? - gli chiese curiosa.
- Hai scoperto uno dei miei punti deboli. -
- Non hai fatto molto per nasconderlo. -
La risata che proruppe dalla bocca di Arghail era venata di nervosismo.
- È più semplice essere coraggiosi se non si
è l'apripista. -
Si fermarono altre due volte prima di decidere di accamparsi. Il buio
stava calando e il sole retrocesse abbandonando il palcoscenico del
cielo alla sua sorella e amante luna. Trovarono riparo in una grotta
che si protendeva nel ventre della montagna, così profonda
da non vederne la fine. Stavolta i due Ghedharvha non si opposero e si
lasciarono condurre all'interno, stendendosi vicino al fuoco che Airis
aveva acceso per riscaldarsi. Non si lamentarono nemmeno quando Arghail
ed Airis si accoccolarono con il viso contro il loro ventre,
continuando a masticare il pezzo di pane che avevano loro offerto per
non tenerli a digiuno.
- Vai a dormire, sarai stravolta. Non hai mai chiuso occhio. - disse
Arghail, già sistemato con l'ascia a portata di mano.
Era pallido e la stanchezza era evidente sul suo viso, ma Airis sapeva
che avrebbe insistito finché non avesse ceduto. Gli diede le
spalle e si tirò le gambe al petto, sistemando la spada
vicino al fuoco.
- Domani voglio sapere come hai fatto a domare queste teste dure. -
mugugnò.
- Non è così importante. - rispose Arghail dopo
un attimo di esitazione.
- Questo lascialo giudicare a me. -
- È un ordine? -
- No, solo mi piacerebbe sapere qualcosa di più su di te.
Non mi piace viaggiare con un quasi sconosciuto. -
- La pensiamo allo stesso modo, allora. - un fruscio fece capire ad
Airis che aveva allungato le gambe, - Poi non dire che era una storia
noiosa, io ti avevo avvertito. -
La guerriera rimase sveglia ad ascoltare il proprio respiro e quello
del suo compagno, le mente impigliata in una ragnatela di domande senza
risposta. Chi era davvero Arghail e che ruolo avrebbe giocato in quella
partita? Era davvero lui il prossimo re di Esperya? Perché
Urian lo aveva visto sotto le sembianze di una giovane aquila? Quel
dettaglio le sembrava importante, ma, come per la profezia, non
riusciva a coglierne il vero valore.
Prima di addormentarsi captò un suono lontano. Il vento era
teso e all'inizio credette di aver sentito male. Ma poi il rumore
continuò, riecheggiò sopraffacendo l'ululato
delle raffiche. Un boato potente, simile al suono di una tromba.
Il giorno successivo ripresero la loro marcia che il sole era
già sorto. Arghail l'aveva svegliata per il turno di guardia
e si erano alternati finché Airis non lo aveva svegliato per
fare colazione. Il pane era così freddo che dovettero
ravvivare la brace per farlo sciogliere.
Il sentiero sulla mappa scendeva di un paio di metri e poi riprendeva a
salire verso un'altra cima che, a prima vista, sembrava un poco
più bassa di quella da cui provenivano. Varie chiazze di
neve ne sporcavano i crinali e la punta era ricoperta da un cappuccio
bianco latte simile alla glassa di una torta per quanto era compatto.
- Hai sentito il boato ieri notte? - le domandò Arghail.
- Sì, anche se era lontano. Hai idea di cosa potesse essere?
-
- Non ne ho idea, ma credo lo scopriremo presto. - indicò la
montagna e rinserrò la presa sull'ascia appesa alla cintola.
Si inerpicarono per un sentiero costeggiato da licheni e rocce nere
colonizzate da muschi ed epatiche, per poi ridiscendere ancora di
quota, fino a una foresta di abeti bianchi retrostante una vallata,
dove pascolavano quelle che parevano delle alci. Soltanto quando si
trovarono a percorrere una lingua di terra che passava propria sopra il
prato, Airis si avvide che erano tutto fuorché alci. Avevano
il collo più lungo e meno tozzo e un palco di corna ossee
orlate che fuoriuscivano dal centro del muso corto e carnoso, con una
barba di un marrone più scuro della pelliccia che ricopriva
il petto e la gobba a ridosso della testa. La guerriera notò
che diversi esemplari possedevano un ulteriore paio di corna,
più piccole delle altre, simili a quelle di un cervo ma
ribaltate, rivolte verso la bocca.
- Sono... giganteschi. - commentò meravigliata e fece
fermare il Ghedharvha dove il sentiero si allargava.
- Adesso sappiamo chi ci ha svegliato ieri notte. - rise Arghail,
affiancandola, - Ammetto di non averne riconosciuto il verso, ma credo
si tratti di Ailanti. -
- Li avevo solo sentiti nominare, non credevo nemmeno potessero
esistere delle bestie così grosse. -
- Dopo aver visto i Lycos ti stupisci ancora? Sei una donna facilmente
impressionabile. -
Airis gli rivolse un'occhiata truce e tornò a guardare il
branco. Erano una quindicina, misti tra maschi e femmine, queste ultime
provviste di un collare osseo ramificato in lunghi spuntoni affilati e
con solo le due corna mandibolari, più simili a zanne che
altro. Eppure, mentre giocavano con i cuccioli, palle di pelo lanoso a
quattro zampe, si premuravano di non ferirli, strusciandogli il muso
contro la testa o leccando le ferite quando nella foga di una corsa
sfrenata uno di loro inciampava o urtava le loro corna.
- Sono... non trovo le parole per descriverli. -
- Giganteschi penso basti. -
Airis rimase incantata a osservarli. Non aveva mai avuto una
particolare affinità con gli animali. Quando Davsten le
aveva regalato il suo primo cavallo, ci aveva messo più di
un mese per riuscire a rimanere in sella, e non era andata meglio con
Mastino, il cane da caccia che amava saltarle addosso ogni volta che ne
aveva l'occasione. Però quando Cirno, il destriero di
Davsten che in battaglia mordeva e scalciava come una furia, diventava
un puledrino alla vista della sua compagna, il ghiaccio sul suo cuore
si scioglieva. Ancora adesso, assistendo a tanta premura nei confronti
di quei cuccioli avventati, non riusciva a fare a meno di sorridere.
- Proseguiamo. -
Fece girare il Ghedharvha e Arghail si rimise in testa. Man mano che si
allontanavano, il bramito degli Alianti divenne sempre più
lontano, fino a quando l'aria non divenne immobile.
Il sentiero che stavano battendo seguiva la curva della montagna. Man
mano che salivano, la vegetazione cedeva il passo a un terreno brullo,
dove le poche forme di vita verdi erano licheni, muschi ed ematiche.
Sporadicamente, tra i sassi spuntavano le corolle blu e viola di
genziana e genzianella, che facevano tanto gola quasi quanto i mirtilli
ai Ghedharvha.
Airis procedeva spedita, appuntando lo sguardo sui particolari del
paesaggio. Nel silenzio quasi assoluto ogni suono sembrava esigere la
sua attenzione e lei tentava di non rimanere impigliata nella ragnatela
di dubbi e domande insolute. Erano soprattutto i ricordi a rincorrerla
in quelle ore di quiete, i “se” e i
“ma” di un futuro che sarebbe potuto essere se non
avesse attuato determinate scelte.
“Penso troppo” si ammonì. Si impose di
rimanere presente a se stessa e di volgere tutte le sue energie alla
missione, senza mai riuscirci del tutto.
Sul far della sera trovarono un'altra grotta, più piccola di
quella dove avevano riposato la sera precedente, ma accogliente quanto
bastava per ospitare loro due e le loro cavalcature.
Mentre mangiavano, Arghail era teso come un fuso e le labbra esangui
risaltavano sul volto pallido come una ferita infetta. Tremava e
continuava a cambiare posizione, sfregandosi le mani vicino alle fiamme
per scaldarsi. Faceva freddo e, se Airis avesse avuto ancora un corpo
umano, anche lei sarebbe stata nelle sue condizioni.
- Bevi, ne hai bisogno. - disse e gli porse il suo bicchiere di vino.
Il capitano le lanciò uno sguardo obliquo, prima di
accettare la sua offerta. Pur con i guanti, aveva le dita intorpidite.
La lentezza con cui prese il bicchiere tra le mani era un indizio che
Airis notò subito. Le sue, invece, erano appena tiepide.
- Grazie. - esalò dopo un sorso, abbozzando un sorriso
incerto, - La resistenza al freddo è uno dei tuoi tanti
poteri? -
- Se non voglio passare alla storia come colei che era allergica alla
magia, qualcosa di bello lo devo pur avere. -
- Hai ragione, tu sei l'eroina che salverà il mondo. -
sbuffò Arghail in tono solenne.
- Avverto del sarcasmo nella tua voce? -
- No, è solo stanchezza. Non sono più abituato a
dormire all'addiaccio da un sacco di tempo. - trasse le ginocchia al
petto e si strinse nella cappa.
- Tieni, prendi anche la mia. -
Airis si alzò e si tolse il mantello dalle spalle. Quando
glielo tese, però, Arghail non lo accettò.
- Non posso. -
- Solo perché sono una donna non posso offrirti il mio
aiuto? -
- Non è questione di cosa sei o non sei. -
- Per non ferire il tuo orgoglio preferisci crepare di freddo? -
- Sto solo dicendo che il tuo mantello non mi serve. -
borbottò e contrasse la mascella, i suoi occhi la
trapassarono come lame, - Io sono un capitano, ho seguito un
addestramento da soldato, sono stato abituato a sopportare le
intemperie, il gelo, il caldo e la fame. Posso sopravvivere anche a
questo. -
Airis rimase a fissarlo, il braccio proteso verso di lui, la stoffa del
mantello stropicciata nella stretta del pugno. Arghail non si scompose
e continuò a ribattere a ogni silenziosa accusa che brillava
nello sguardo della compagna. Anche se nessuno dei due parlava, Airis
intuiva i pensieri dell'altro, li seguiva e ribatteva ad ogni obiezione
senza aprir bocca. Alla fine, sconfitta, si rimise la cappa sulle
spalle e si sedette vicino a lui, con i piedi che toccavano il cerchio
di pietre attorno al fuoco.
- Mi domando come tu abbia fatto ad arrivare vivo fino ad oggi. -
grugnì esasperata.
- Sono un uomo fortunato. -
- E cocciuto. -
- Mi pare ovvio. -
- Un giorno ti farai ammazzare. -
Arghail ridacchiò, una risata fievole e dimessa.
- Mio padre diceva “Meglio un uomo morto per i suoi ideali
che un uomo vivo senza coscienza”. -
- Non penso che tuo padre sarebbe stato della stessa opinione se si
fosse trovato col culo al gelo. - gli fece notare Airis.
- Anche questo è vero, ma in qualunque caso non
accetterò la tua cappa. E poi… - si
umettò le labbra con un'espressione serissima, - il rosso
non mi dona granché. -
Airis levò gli occhi al cielo e rimase a osservare le fiamme
per qualche minuto. Lo avrebbe volentieri preso a sberle se pure lei
non fosse stata orgogliosa quanto lui, un tempo.
Sistemò un ciocco con la punta del piede, lo fece girare
dalla parte non bruciata, e si alzò per prendere il
portapergamene nella borsa del Ghedharvha di Arghail. La mappa che gli
aveva fornito Urian era precisa, disegnava un percorso tra i monti e i
valichi che si snodava tra gole e cime innevate.
- Che stai facendo? -
- Cerco un'altra strada. Tu non ce la fai a proseguire così.
-
- Non è ver... -
- Non sussiste possibilità di dialogo. Sei a pezzi e siamo
solo al terzo giorno di marcia. Non posso permettermi di portarmi
dietro una zavorra semi congelata. Se mai ci attaccassero, come
potresti difenderti in queste condizioni? - lo zittì Airis
in un ringhio, - Preferisco correre qualche pericolo in più,
piuttosto che vederti morire di freddo in questo modo. -
Arghail non ribatté e girò la testa dall'altra
parte senza proferire parola. La guerriera attese e si
preparò a sostenere un'altra discussione, ma il capitano
rimase in silenzio. Dopo un po' Airis si accorse che si era
addormentato. Senza fare rumore, gli posò il suo mantello
sulle gambe e tornò a guardare la mappa.
“Che situazione di merda.”
Fuori il vento sibilava tra le rocce e un banco di nuvole aveva
occupato il cielo, imprigionando la luna e le stelle nelle loro spire.
Un lupo, in lontananza, ululò.
“Speriamo che domani non nevichi.”
Ma lei non era fortunata come Arghail.
Angolo Autrice:
Hello folks!
Spero che questo capitolo vi piaccia! Lo so che proseguiamo un poco a
rilento, ma sappiate che sono tutte parti a loro modo importanti. Spero
che comunque vi piaccia u.u Piccolo avviso: io andrò al
Lucca, quindi se qualcuno è lì e vuole salutarmi
che me lo comunichi, sarò felice di incontrarlo! A parte
ciò, l'aggiornamento del 2 novembre è spostato al
5. Vi lascio il link della pagina
QUI
Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime