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Autore: L0g1c1ta    21/10/2017    4 recensioni
Storia scritta per il contest "Calling All the Monsters" indetto dalla pagina facebook Axis Powers Hetalia - Italian Fans
"Italia si asciuga la lacrima di sangue scivolata dalla fronte e osserva la foto che aveva scattato solo la settimana scorsa. La guarda con occhi diversi e con uno sguardo molto più rammaricato. Questa foto non gli dà gioia.
La stanza di Germania ora è un pantano. Filtra luce grigia dalla finestra. Non osa guardare fuori: ha paura di vedere cose orribili. Giappone è seduto sul letto, riservato, rigido e perfetto. Italia alza pian piano gli occhi verso di lui. Deglutisce, ritorna a guardare la foto. Ha qualcosa di spaventoso che nemmeno lui riconosce. Si stringe le ginocchia al petto e si chiude in un bozzolo"
Italia, Germania e Giappone trascorrono una settimana al mare, godendosi le vacanze.
Purtroppo dovranno presto decidere della loro vita e della loro morte...
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il contest “Calling all the Monsters” indetto alla pagina Facebook ‘Axis Powers Hetalia-Italian Fans”

Pacchetto numero 2 La notte dei morti viventi
Personaggio A viene morso da uno zombie.
Personaggio B deve scegliere se ucciderlo o meno.


Autore: L0g1c1ta

Titolo storia: The Last

Rating: Giallo

Genere: Sovrannaturale, Horror, Drammatico

Personaggi: Italia/Feliciano Vargas, Giappone/Kiku Honda, Germania/Ludwig, Sorpresa

Note: AU

Pairing: nessuno

Note autore: sarà strano a dirsi, ma le storie legate agli zombie o a qualsiasi malattia che rechi problemi alla popolazione mondiale non mi hanno mai intrigato particolarmente. Molti film e videogiochi che parlano dell’argomento, nonostante in tanti li considerino “capolavori”, io li ritengo poco interessanti. Meno che uno, un videogioco: The Last of Us. Ero ammirata dalle relazioni fra i personaggi e dal realismo intrigante dei vari problemi che loro affrontavano ogni giorno. E, soprattutto, trovai dei morti viventi interessanti.
I malati che si trovano in questo capolavoro sono infettati da un fungo realmente esistente nelle foreste amazzoniche: il Cordyceps Unilateralis. Questo parassita aggredisce l’ospite dall’interno e in due giorni riesce a prenderne il perfetto controllo, governando i suoi movimenti, in modo tale da utilizzare l’umano che ha infettato per riprodursi su altri soggetti, spesso mordendoli o uccidendo lo stesso ospite, dopo anni ed anni di inseminazione, rendendolo un cadavere coperto di funghi.
Anche se in minima parte, ho cercato di trasferire questa tipologia di zombie, ma senza creare un Crossover con l’opera originale. Avviso sin da subito che il luogo, i personaggi e la situazione sono completamente diversi da The Last of Us.
Detto questo, buona lettura.













Italia si fionda nella stanza come se fosse veramente la sua. Conoscendola, esaltato, ci si butta dentro e rimbalza addosso al letto, come se pesasse meno di una piuma. Adagiato, felice come un gatto, ci si abbandona sulla schiena. L’aria calda del mare entra dalla finestra, le tende aperte liberano i pungenti raggi di sole. Italia pare fare le fusa mentre si stiracchia sulle lenzuola leggere “Veh, è stata proprio una bella giornata!”
Giappone entra anche lui, rincorso l’amico per il corridoio. Ha tra le mani la sua polaroid blu, con una striscia bianca e un adesivo di un micio color senape, che alza la zampina a chiunque lo guardi. Felice e ben più posato,  Giappone annuisce per sé e per l’altro ancora sdraiato sul materasso di Germania “Sì, è vero. È stata proprio una bella giornata”
Germania è anche lui sereno e rilassato, con la maglietta nera incollata al petto, come una seconda pelle. Non s’indigna con Italia: sprecare tante urla dopo una mattinata sotto al sole è completamente inutile. E poi, sa bene, non servirebbe nemmeno la sua ira più funesta per cambiare l’amico, che non ha ancora smesso di stiracchiarsi sul lettone “Già, non mi aspettavo che questa vacanza potesse rilassarmi così tanto” dice e si asciuga la fronte con il pugno chiuso.
Giappone, con la fotocamera ancora accesa fra le dita, si accomoda sulla sedia vicino al cassettone che, come al solito, è ben ordinato. Non è il tipo, ma conosce anche lui la stanza abbastanza per sedersi senza chiedere il permesso. Italia sembra voler tentare di raggiungere il soffitto con i piedi. Guarda col collo piegato all’indietro la finestra e la giornata perfetta che a momenti si sarebbe conclusa. L’arancione e il rosa del cielo e i suoi gabbiani in lontananza, ululanti al vento d’estate, lo riempiono di una sottile malinconia “Mi dispiace che domani dovremmo ripartire…” mormora sconsolato.
Germania sospira e scuote la testa, chinandosi sulla valigia aperta. È abbattuto anche lui a riguardo. Giappone annuisce ancora e si guarda le mani strette sulla macchina fotografica. Ricorda di averla lasciata accesa e sobbalza, spegnendola velocemente. Si sorprende di aver dimenticato qualcosa di così importante. Italia continua a fissare a testa in giù le nuvole violette che, oramai, chiedono al sole di avere il cambio con la luna. Germania chiude quei pochi vestiti che aveva nel cassettone dentro la sua valigia e fa schioccare i lucchetti. Giappone guarda Italia e le sue gambe pazze che, infantili, tentano ancora di raggiungere il soffitto. Istintivamente sorride e guarda il tramonto fuori dalla finestra. Si chiede come abbia fatto ad aver timore dell’altezza di questo piano. Ora, coi gabbiani in lontananza e il mare che mormora a loro un addio, non ha più un briciolo di insicurezza. L’amico acciambellato sul letto osserva la simpatica polaroid legata al collo e balza sul letto, rimettendosi a sedere “Mi è venuta un’idea!” esclama.
Si alza dal materasso con un balzo e saltella verso Giappone. L’altro, seguito con lo sguardo il più entusiasta, trasale nel vedere le sue mani attorno al suo gioiello. Ma si calma: Italia è ingenuo, ma cauto “Facciamoci un’ultima foto insieme!”
Germania, chiusi anche spazzolini e pantaloni, ascolta la proposta e riflette. Giappone osserva spiazzato il sorriso gentile dell’amico e adocchia la finestra alle sue spalle. Il tramonto sta per scomparire. Pensa che sia un peccato perdere un'altra goccia di arancio nel cielo. Annuisce e si alza dalla sedia “Giappone, anche tu!” dice Italia, elettrizzato, portandosi di fronte al vetro e trascinandosi dietro il più basso che, per una volta, dimentica l’imbarazzo nell’essere toccato. Germania alza le spalle e segue i suoi amici e colleghi. L’aria calda gli solletica la schiena sudata. È certo di avere i capelli a soqquadro e un’aria stanca e anziana. Fissa Giappone e capisce di non essere l’unico con quell’aspetto. Italia è ugualmente imbranato nei vestiti e nell’atteggiamento: sente ancora sale e salsedine addosso alla sua pelle e i capelli castani paiono avere qualche granello di sabbia incastrato tra le ciocche. Tuttavia è indifferente e contento. Anche lui ne rimane contagiato e sorride alla fotocamera, presa da Italia, nel mezzo di loro due.
“Dite Cheese!”
E scatta la foto.




Italia si asciuga la lacrima di sangue scivolata dalla fronte e osserva la foto che aveva scattato solo la settimana scorsa. La guarda con occhi diversi e con uno sguardo molto più rammaricato. Questa foto non gli dà gioia.
Posa l’indice e il medio sulla figura di Germania, alla sinistra del lui dentro la fotografia. Sente una fiamma di dolore pizzicargli il cuore. Non sa se trattenere le lacrime o no. Germania, quello sereno, di fronte al tramonto, aveva la maglietta bagnata di mare e degli strascichi di spuma bianca della costa color avorio. Aveva il sorriso sollevato e l’aria anche un po’ stanca, ma ugualmente beata. Gli sale un attacco di nostalgia. Si poggia la foto alla fronte e prova a non piangere. Non ce la fa.
La stanza di Germania ora è un pantano. Filtra luce grigia dalla finestra. Non osa guardare fuori: ha paura di vedere cose orribili. Giappone è seduto sul letto, riservato, rigido e perfetto. Italia alza pian piano gli occhi verso di lui. Deglutisce, ritorna a guardare la foto. Ha qualcosa di spaventoso che nemmeno lui riconosce. Si stringe le ginocchia al petto e si chiude in un bozzolo, fra la porta spalancata e il cassettone accasciato sul parquet.
Giappone non batte le palpebre nell’osservare la porta. È la sua unica ossessione. La guarda e nemmeno una ciglia osa impigliarsi nell’iride o rigettarsi sulle sue ginocchia. Vago, opprimente e freddo, non chiude occhio, con la pelle bianca di bambola, senza un graffio. Le braccia rilassate, le gambe distese e rosse.
Italia si sente un verme ben più di prima. Da qualche ora ormai non sente altro che puzza di vestiti bagnati dal mare e le grida di qualche malato fuori dalla finestra. Loro urlano di giorno e di notte, non sa per cosa e non sa il perché. Sono malati, aveva detto Germania, non sanno quel che stanno facendo, ricordava Germania. Dobbiamo andarcene, prima che facciano lo stesso con noi, aveva supplicato Giappone, quando discuteva con Germania, nella stanza, mentre Italia se ne stava chiuso in bagno a singhiozzare. Dobbiamo trovare da mangiare e chiamare aiuto, disse Germania, sorridendogli e imboccando la porta. Italia e Giappone non ricordano altro.
Italia guarda la mano rilassata di Giappone e chiede di incrociare lo sguardo col suo, nascosto fra i capelli corvini. La katana brilla alla luce grigio chiara del mattino e le perle rosse che la macchiano sembrano quasi nero inchiostro. Italia tira su il naso e si asciuga le lacrime, più bambino di prima.
Quell’uomo che era entrato nella loro stanza e che ora è accasciato nel bagno inizia a puzzare terribilmente. Aveva pregato Giappone di portarlo fuori, ma lui non aveva nemmeno voltato il capo. Da quando entrò quell’uomo, nella loro stanza, il corvino non fa altro che fissare la porta. Italia non pensa che aspetti Germania.
Se fai rumore i malati ti sentiranno, gli aveva detto, quasi con un sussurro, senza smettere di osservare la porta. Italia non aveva fatto altro nemmeno lui stesso e continua ad attendere il ritorno di Germania.



Italia si sveglia. La stanza puzza di marcio, qualche mosca ronza e fa rumore. Alcune di quelle s’impigliano nel sangue dell’uomo nel bagno e altre cercano disperatamente di raggiungerlo attraverso la porta socchiusa. Ad Italia si rivolta lo stomaco. Pensa che se continuerà così la stanza diverrà più che disgustosa.
Giappone non si è mosso dal letto e i suoi occhi sembrano biglie di vetro grigio scure. Anche gli occhi del suo amico non sembrano più i suoi. Ad Italia ora Giappone non fa più paura, ma solo tristezza. Si alza, con una apatia disarmante e si rimette in piedi. Giappone non si volta, forse non si accorge di quel che ha fatto. Hanno paura dei rumori. Quella volta che entrò l’uomo, Italia era inciampato nella valigia di Germania e continuava a gemere per il dolore. Non immaginava di sentire urla e nemmeno di vedere la porta spalancarsi.
L’uomo che lo aveva guardato, dall’alto, annusando l’aria più che osservando attorno a sé, pareva disperato nei gesti. Aveva la pelle sfregiata, il sangue rappreso, la fronte sporca di petrolio. Il volto sfigurato dal fungo e i capelli crespi, quasi neri dal grasso. Le mani ruvide e dure come cuoio e le unghie incarnite. Puzzava di metallo e urlava qualcosa che lui non comprendeva e che non sapeva di nessuna lingua.
Italia è silenzioso come un gatto e codardo come un topo. Apre la valigia, quella che prima era sua e che ora vale meno di carta pesta, tanto è rovinata, tanto l’uomo l’ha lacerata. Trova un barattolo di sugo, con foglie di basilico avvinghiate al tappo. Non ha nient’altro che questo, quello che il fratello gli aveva regalato poco prima che partisse. Apre la bottiglia: il sugo non ha odore, non sa il perché. Sembra quasi rivoltante. Non capisce perché lo ricordasse diversamente. Non ricorda bene il gusto del ragù di Romano, non ricorda il profumo dolce del basilico.
Italia si alza e si avvicina a Giappone. Nemmeno a lui il cibo tocca più. Non si muove affatto. Italia ricorda solo l’odore pungente di olio e di carne macchiata di sangue, ricorda le mani squamose addosso a sé e gli occhi vuoti e allo stesso tempo disperati di quell’uomo. Ricorda la bocca spezzata e i denti che per poco lo toccavano. Ricorda Giappone e la sua katana e come per paura lui stesso avvertì con un urlo il mostro. Ricorda Giappone a terra e l’uomo e i suoi denti vicino al suo amico. Italia ricorda solo di aver avuto gli occhi pieni di lacrime e il suo udito divenuto sordo.
Ricorda Giappone in piedi, con i vestiti imbrattati e vermigli. Ricorda il suo sguardo spento nell’osservare quello sconosciuto tagliato in due dalla sua arma.
Italia vede una reazione nel suo amico. Un lampo di felicità e speranza lo abbaglia per poco: Giappone osserva la bottiglietta ricolma di sugo, non ha reazione e rialza lo sguardo, di nuovo fermo verso la porta.
Italia sente la colpa sulla sua schiena. Ricorda anche il morso che gli aveva lasciato quel mostro disgustoso, sul suo braccio, quello che ha sempre trattenuto in mano la katana.



Italia si sveglia, non ricorda per quanto tempo abbia dormito.
Giappone non c’è più sul letto. Un brivido di panico serpeggia sulla sua schiena e si rizza in piedi, dimenticando di non dover fare rumore. Si calma, il cuore smette di palpitargli in petto: il suo amico è alla finestra, immobile come la porcellana d’Oriente. Ha i capelli leggeri come vento e lo sguardo perso verso il mare.
Fuori c’è il tramonto, come quella volta. Italia d’istinto alza la foto che ha sempre tenuto nella tasca dei pantaloncini. Vede gli stessi colori, l’arancio che un tempo aveva sfumato sulle sue tele, le nuvole violette e il sole quasi del tutto divorato dal mare. I gabbiani non cantano le loro gesta all’oceano e le onde dimenticano di scrosciare sulla riva color ambra. Italia ha voglia di imprimere tutto questo di tempera e olio e di ricordare il suo amico virtuoso come un guerriero. Italia si sente meno di Giappone e china lo sguardo nel raggiungerlo.
Giappone non ha occhi sul tramonto, né sulla foto che ha tra le dita: guarda il suo braccio che qualcosa di bizzarro ha di sicuro. Giappone non attendeva Germania. Germania è sparito da giorni e nemmeno Italia immagina dove sia. Italia guarda il braccio del suo amico e non vede più bianco. Vede vera carne aperta come un serpente tagliato dalla pancia. Vede un arto senza sangue e dei muscoli mangiati da un fungo marroncino. Italia ricorda l’uomo che entrò nella loro stanza e ricorda qualcosa di simile sul suo viso.
Germania disse che erano malati, Giappone disse che avrebbero dovuto andarsene prima che le cose sarebbero peggiorate. Gli salgono le lacrime fino alle ciglia. Giappone incrocia lo sguardo con quello di Italia, per la prima volta dopo tutti questi giorni. Italia vede sentimento e coscienza della morte. Vede sconfitta e nemmeno un grammo di paura. Giappone non ha mai paura. Quell’escrescenza sul suo amico inizia a crescere sul collo, che prima ricordava perfetto come terracotta.
Italia sente i muscoli sciogliersi e capisce di amare il suo amico quanto Germania.
Piange, dimentica di pensare anche a Giappone e lo abbraccia, dimenticando la sua timidezza. Giappone non è meravigliato e non piange come lui. Adagio, piccolo ma forte, ricambia l’abbraccio. Italia sente la sua pelle ruvida come cuoio e piange con più disperazione. Ricorda la foto. Ricorda i capelli spettinati e corvini di Giappone quando lo trattenne vicino a lui, ricorda Germania e come fosse sereno nello scatto con loro due. Gli voleva bene e lui voleva bene a loro. Italia stringe Giappone e pensa che tutto questo sia ingiusto. Ricorda l’uomo nel loro bagno e pensa che avrebbe dovuto mordere lui, stupido e codardo, e non Giappone, onesto e ingegnoso. Giappone avrebbe avuto un futuro molto più rigoglioso del suo. Giappone è molto più importante di lui, stupida penisola senza coraggio.
Giappone si alza sulle punte, non ha lacrime nella voce “Vorrei che tu facessi qualcosa per me, Italia-san”
Italia tira su il naso e annuisce, non sapendo nemmeno di dover essere molto più coraggioso di quanto ne sia capace.



“E’ come una cerimonia, dove dimostri il tuo valore e l’amore per la patria”


Ricorda di aver parlato tante volte con Giappone. Aveva ascoltato la sua cultura e la sua religione con vivido interesse nell’anima. L’Asia non è quella che legge nei libri, non è solo quella terra di guerrieri e forza. L’Asia è anche sacrificio e passione e sofferenza nella vita.
Italia aveva parlato del Vaticano e di quanto sia stato severo nel rispettare la legge di Dio. Giappone aveva parlato di samurai valorosi che fallirono nella loro missione. E del seppukku.


“Se passa un altro giorno diverrò come loro e potrei farti del male”


Italia rimase incredulo nell’ascoltare le storie del suo amico. Era agghiacciante, pensava lui, immaginando solo dolore. Era virtù, pensava Giappone, ricordando guerrieri e battaglie leggendarie. Era serio quando parlava della sua cultura. Avevano un’energia incontrollabile i suoi occhi quando prendeva in mano la katana. Se fossi umano e fallissi una missione, gli disse, di certo onorerei la mia cultura. Italia aveva sussultato e deviato l’argomento. Il suo cuore palpitava di terrore: gli occhi di Giappone brillavano più che mai. E lui non capiva. Ora ha le gambe ancorate al pavimento e il suo amico in ginocchio, con le spalle rivolte a lui. Ora lui ha la sua katana tra le mani e il collo scoperto del suo amico, diventato marroncino e ruvido. Ora capisce, ma non vorrebbe capire.


“La spada deve decapitare d’un colpo la testa. Dovrai essere preciso”


Gli traballano le mani, sembra tutto un sogno. Non sta per fare una cosa del genere ad uno dei suoi migliori amici. Vorrebbe che tutto questo sia uno stupido scherzo e che Germania tornasse per davvero per salvargli tutti, come sempre. Vorrebbe tornare a casa da suo fratello e portare Giappone con lui. La lama brilla e trema tra le sue dita, trattenuta con la paura. È più pesante di quel che credeva, non è come una sua vecchia spada. La lama è molto più fine di quel che ricordava. Giappone attende e Italia vorrebbe non piangere ed essere veramente coraggioso.
Ricorda di essere codardo e di non aver fatto mai nulla di buono nella sua vita.

“E’ un onore esserne partecipe”


Ricorda le milioni di volte in cui Germania l’aveva rimproverato, anche durante la Grande Guerra e la seconda che la seguì, combattuta con ancor più vigliaccheria. Ricorda di aver perso anche suo fratello e che lui stesso guidò la vera Italia durante quegli anni di disgrazie. Suo fratello è stato molto più forte di lui e Italia aveva perso tempo dietro ad un sogno. Ricorda di essere sempre stato lento negli allenamenti e che persino Giappone, molto più basso e magro di lui, sapeva correre al passo con Germania. E lui restava dietro a soffocare nel suo respiro. Ricorda come Inghilterra rideva degli italiani al fronte. E lui soffriva in una cella. Ricorda America che discuteva con Romano chiamandolo Italia. E lui era ‘il Nord traditore’. Ricorda come da bambino lavava la sera le scale di Austria, mentre lui beveva il vino toscano con Ungheria. Ricorda cose che gli fanno scendere le lacrime agli occhi. Avvicina la lama alla pelle di Giappone, chiude il pugno sui suoi capelli. Lui chiude gli occhi e si abbandona. Si fida di lui.

“Io mi fido di te, Italia-san”


Geme, chiude gli occhi, dimentica per un attimo come stringere la spada e taglia carne ed aria “Ma io non mi fido di me stesso!”.


Riapre gli occhi, Giappone urla di dolore e sorpresa. Italia sa che il muro di fronte a sé non ha altro che sangue rosso e nero. Si rifiuta di guardarlo, si rifiuta di vedere altro. Cade in ginocchio, si preme le mani sulle orecchie. Giappone continua smette di urlare e geme, tenendosi probabilmente lo squarcio sulla gola e soffocando. Non ce l’ha fatta. Italia abbandona la katana, come se pesasse il doppio di lui stesso. Piange anche lui, sentire il suo amico disperarsi è un orrore. Italia è codardo e non è riuscito nemmeno a dare la pace eterna al suo amico. Si chiede ancora perché si sia salvato e perché Giappone debba soffrire così tanto. Giappone geme, ma non piange. Italia ha la vista macchiata di lacrime salate.
“Mi dispiace, scusami… Non so farlo…” e mormora altre scuse che non potrebbero mai scusarlo.
Non incrocia lo sguardo con Giappone, non ne ha il coraggio e non potrebbe nemmeno farlo. Lo vede alzarsi in piedi e traballare sulle ginocchia. Zoppica, respira con fatica. Lascia gocce di sangue per terra. Italia spalanca gli occhi: la finestra è aperta. Ma non si muove, non ha il tempo e non è abbastanza coraggioso per fermarlo. La figura minuta e sporca di Giappone si getta dentro l’oscurità della notte, senza un attimo di pensiero. Italia vede i piedi scalzi del corvino inghiottiti nella finestra. Urla con disperazione.
Non sente nemmeno una caduta, un ruzzolare, un suono che possa accertare quel che ha appena visto. Italia urla per lui e per il suo amico. Italia è codardo e ora è anche solo.
Si rialza in piedi e sente rumori. Prende la katana di Giappone, sozza di sangue della sua patria e la punta alla porta. Gli scoppia il cuore in petto. Ricorda che non avrebbe dovuto urlare, che le urla avvertono quei mostri. Che per un suo errore ha condannato Giappone. Con la katana tremante in mano osserva la porta e i sussurri disperati di quei malati. Italia indietreggia, ricorda di non saper cosa fare e di non essere coraggioso. E che la porta non potrà mai reggere più di due di quei mostri. Sente dei passi avvicinarsi. Sussulta. È come la morte che si avvicina strofinando la sua falce dispettosa sui muri e i mobili. Italia trattiene con fatica le lacrime e scivola dentro il bagno.
È buio, la puzza è persino peggiore che dalla camera da letto. È un aroma disgustoso di morte e muffa. Italia chiude a chiave la porta. Ora è veramente nel buio più profondo, i passi si avvicinano, i mormorii sono gemiti disperati e qualche click di fauci. Italia si stringe nell’angolino. Sbatte le costole contro la doccia. Le luci del bagno si accendono. Trema: vede la sua mano sul pulsante. La ritira, come se avesse appena toccato un serpente velenoso. I passi si avvicinano e barcollano per la stanza. Italia stringe la katana al petto, dimenticando che sia una spada. Sa che è spacciato. È codardo e non sa difendersi. Striscia nell’angolo e cade a terra, vicino all’uomo che entrò nella loro stanza e che morse Giappone. Si sente solo.
Sobbalza, sente pugni addosso alla porta e gemiti senza senso trasformarsi in urla disperate. La porta trasale, colpita ripetutamente. Italia non conta più i battiti del suo cuore. L’occhio gli cade sul morto gettato nella doccia. Il fungo sul suo volto pare mangiargli anche il petto e le braccia. Il viso deforme è abbagliato dalla luce vicino allo specchio. Italia vede occhi azzurri spalancati e senza vita. Scruta tra i suoi capelli unti di grasso qualche viva ciocca bionda, gettata all’indietro e premuta contro il cranio. Sulla schiena di Italia striscia una spaventosa consapevolezza. Nelle sue orecchie si scuote la porta poco lontana da lui e nel suo petto urla il suo cuore impazzito. L’uomo morto ha una canotta nera, dei pantaloni militari e degli stivali di cuoio. Lo guarda e nella sua memoria si rifà il viso sorridente di Germania nella foto. Non riesce a credere che stia accadendo tutto questo. La porta sussulta con molta più violenza. Le urla nelle orecchie di Italia diventano centinaia.
“V-Vi prego…”
La porta si scuote, il legno sembra cedere da un momento all’altro. Italia si stringe la katana al petto, sapendo di non avere la minima idea di come usarla. Vede la porta cedere velata dalle sue lacrime.
“Vi scongiuro…”
Serra gli occhi. Non vuole vedere più mostri. Non vuole più vedere malati. Non vuole vedere più Germania che li abbandona e Giappone cadere dalla finestra. Non vuole più avere la katana di Giappone tra le dita e la loro foto che, con tremore, stringe nel palmo della mano.
“Non voglio morire!”
La porta cade a terra, come frantumata in mille pezzi. Italia non ha mai più riaperto gli occhi. Ha solamente sentito piedi ruvidi calpestarlo, dei denti che con angoscia lo mordevano e la sua testa, caduta a terra, frantumarsi sotto pugni e graffi di qualche malato.
Non ha mai più sentito la voce di Germania e nemmeno visto il sorriso di Giappone. Mai più.



America spalanca la bocca e la riempie di pop corn, eccessivamente unti di burro. Mastica con preoccupazione e un lieve smarrimento negli occhi dietro gli occhiali. Gli occhi blu scattano in ogni angolo dello schermo della televisione, attendendo qualcosa che non potrà mai avvenire. Lo schermo diventa d’un tratto nero e la scritta The End appare, con una musichetta melodrammatica in sottofondo. Dalla bocca di America cadono gli ultimi pop corn, nemmeno masticati. Senza preavviso cade in ginocchio, sul tappeto. La scatola bianca e rossa vola per tutto il salotto. Inghilterra spalanca gli occhi: i pop corn paiono coriandoli bianchi.
“Italia, noooooo!” urla, con la sua voce irritante.
“America!!!” grida in risposta Inghilterra, raggrinzendo le sopracciglia e mettendosi le mani nei capelli. Vede il suo salotto rovinato e pieno di pop corn imburrati. Ha la tentazione di gettarsi al collo della sua vecchia colonia e prenderlo a ceffoni. Ad America cade la testa sul pavimento, gli occhiali quasi scivolano dal suo naso. Russia avvicina il suo peso al rivale più giovane e, con le labbra vicine alla testa, mormora, sorridente.
“Sembra che tu abbia perso la scommessa, America” America mormora una presunta ingiustizia e scruta con la coda dell’occhio i titoli di coda, nel caso ci fosse un ennesimo colpo di scena. Nulla. Il film non offre nient’altro. Cina, cauto, afferra il telecomando e spegne il televisore, scuotendo la testa, non sapendo chi fra i due sia più bambino. Inghilterra è ancora con le dita fra i capelli. Francia sembra tremare, ma non ne è sicuro. Russia vede il più giovane imbronciarsi e risedersi sul divano, rifiutandosi di guardarlo “Mi devi cinquanta dollari, America” ricorda, con un sorriso divertito.
Ancora imbronciato, con lentezza, lottando con le sue dita, America prende il portafogli e, mormorando una certa inutilità del dollaro nelle terre siberiane, afferra la banconota e la porge con riluttanza all’avversario. Russia la afferra con due dita e la scruta alla luce della lampada. Il più giovane nota il movimento.
“E’ verissima, non perderci tempo a pensare il contrario!”
“Non ho mai detto che pensassi che fosse falsa, Amerika” sbuffa, sentendo l’accentazione sul suo nome.
Inghilterra ha ancora un nervo scoperto per il fatto dei pop corn e, consapevole che dovrà ripulire il disordine da solo, si siede sul divano, massaggiandosi le tempie e maledicendo gli Stati Uniti e il loro rappresentante. Francia è con un braccio a mezz’aria, fissa lo schermo nero trattenendo fra le mani una scatola ancora piena di pop corn. Non li ha toccati per tutto il film. Inghilterra nota gli occhi piccoli come spilli del suo rivale centenario e sghignazza.
“Beh, meravigliato dalla mia abilità nel movie making…” e si avvicina di più ai capelli biondi, ben pettinati “…o forse hai un attacco di paura?” Francia è ancora sotto shock e dimentica di dover controbattere contro quello che ritiene da secoli un teppistello fissato con personaggi usciti da libri fantasy. Con gli occhi scavati e le spalle rigide, lo guarda. Il suo pizzetto pare raggrinzito, nota Inghilterra e se ne compiace.
“Ma come diavolo hai fatto a creare questa assurdità?!” ignorando l’ultima parola e conservando la dignità, rilassa le sopracciglia, fa cadere la schiena sul punto morbido del divano e poggia la caviglia sul ginocchia.
“Sono semplicemente molto più capace di te a creare film e cortometraggi, Francia. Penso sia ovvio…”
“Davvero?” si volta America, con fare ingenuo e perplesso. Che ricordasse, il migliore nel campo cinematografico fosse lui stesso. Inghilterra sente una seconda vena pulsargli sulla tempia. Trattiene il desiderio di dare un pugno all’ex colonia. Gli trema la mano dalla voglia di farlo.
“Sì, esatto, sono riuscito a trovare degli attori capaci e molto simili ai nostri precedenti nemici e a creare un cortometraggio. Accidenti, America, pensavo che almeno tu fossi capace di fare qualcosa del genere…” interrompe i presenti Inghilterra con un’occhiata di vendetta verso l’altro. America gonfia le guance come un bambino, ribadendo di poter fare qualcosa di simile anche lui e che il prossimo Halloween avrebbe fatto lui stesso una serata cinema coi fiocchi. Meglio di quella di quest’anno, sottolinea. Inghilterra rilassa i nervi: non potrà mai fare un lavoro come il suo. Non potrà mai batterlo e non potrà mai imitarlo. Ricorda brevemente come ha creato questo capolavoro e allunga il sorriso, rendendolo quasi maligno.
“In effetti sembra tutto incredibilmente reale per essere un film…” concorda Cina, pensieroso, lisciandosi la veste rossa tradizionale.
“Sembra un lavoro fatto dal demonio!” esclama Francia, ancora sconvolto da quel che ha visto. Inghilterra sogghigna compiaciuto. Preferisce rimanere con la caviglia al ginocchio e la testa rilassata sul divano a ricevere persino i complimenti da America. Si sente compiaciuto di se stesso. Russia rimane in disparte e li osserva con un sorriso diverso dal solito. Inghilterra lo ignora: è solo Russia, è sempre strano. America sembra ricordare qualcosa e sobbalza sul posto. Si volta verso il suo rivale e cruccia le sopracciglia.
“Aspetta un attimo… Ma come facevi a sapere che Italia non avrebbe combattuto contro gli zombie? Hey, mica Inghilterra ti ha spoilerato tutto prima di venire qui?! Sennò non è giusto!” Russia pare ritornare coi piedi per terra. Gentilmente incrocia gli occhi con quelli ingenui di America e sorride pragmatico. Inghilterra ora nota l’anomalia. Strabuzza le palpebre e ritorna serioso.
“America, è impossibile che Russia abbia visto il film” il più piccolo lo guarda truce, per capire se finge “Te lo giuro” poggia una mano sul cuore e una in giuramento. Questo può giurarlo, ma non come ha creato il film. Ma nessuno pare più interessato a sapere come abbia fatto a produrlo. America scruta anche gli occhi di Russia, in cerca della menzogna e di un modo per riavere indietro i suoi cinquanta dollari… e forse anche qualche rublo.  Russia continua a sorridere e abbassa le palpebre.
“E’ facile: questo film senza dubbio pensava alla realtà dei fatti e non fantasticava su cose che non sarebbero mai potute accadere. Dopotutto, Italia non sarebbe in grado di uccidere nessuno, nemmeno desiderandolo con tutto se stesso” Inghilterra si fa di pietra. Russia guarda oltre le spalle di America, dritto nei suoi occhi “Avevo semplicemente capito che questo film era più che realistico, tutto qui” dice, con un tono di voce ammaliato e terribile. Russia guarda con un sorriso indescrivibile gli occhi verdi di Inghilterra, come per tranciargli l’anima dentro il suo corpo. Inghilterra sente il cuore pulsargli come un pazzo tra i polmoni. Nessuno sembra accorgersi di nulla, vedono solo America sorpreso e allo stesso tempo consapevole di aver perso completamente.
“Oh… ma come l’hai capito?”
“Segreto!” ammicca il russo, sciolto l’incantesimo con i suoi occhi. America si fa ancora più bambino e cerca di strappargli il trucco con suppliche e ire infantili. Inghilterra sente come un fischio nelle orecchie e il volto bianco come la pancia di un pesce. Francia si alza dal divano, rigido più di lui stesso.
“Credo che cucinerò qualcosa. Qualcuno mi può aiutare?” Inghilterra si alza, come fulminato. Ritorna in vita.
“Ci sono io…” Francia gli punta un indice tra gli occhi e lo guarda tra il disgustato e il terrorizzato.
“Tu sei bandito dalla cucina per sempre, Angleterre. Non voglio nulla di disgustoso nel mio reame di bontà culinaria!” Inghilterra irrigidisce i pugni quando vede il suo rivale chiedere a Cina una mano e accettare, guardando con un sopracciglio alzato il salotto completamente imburrato da pop corn “Potremmo fare qualche dolcetto, così per toglierci di mente quell’abominio che ha creato questo teppistello” Cina annuisce, rimboccandosi le maniche. Inghilterra si sente ignorato e inizia a sbraitare. Guarda America, ancora impegnato a cercare di rubare informazioni a Russia e l’altro compiacersi della curiosità del più giovane. Ha ancora un brivido lungo la schiena vedendo la sciarpa verde della nazione più grande del mondo.
“E io che dovrei fare?”
Francia finge di pensarci su, con un indice sull’incurvatura delle labbra e sorride contento.
“Potresti aiutarci con le formine”
Inghilterra trattiene il desiderio di gettarsi addosso a Francia e a provare a strozzarlo con i suoi capelli.
Un’oretta dopo finiscono di cucinare e anche gli altri due li raggiungono, con America preso dal profumo di frutta e cioccolata e Russia dietro di lui, con lo sguardo basso, perso in chissà quali pensieri. America nota l’isolamento del suo vecchio tutore e chiede spiegazioni a Francia. In meno di due secondi tutti scoppiano a ridere, persino Cina, profondamente compiaciuto, mentre Inghilterra sbuffa fumo e rabbia, provando veramente ad aggredire con il matterello il povero Francia che, ridente, corre fra il tavolo e il divano. La situazione viene ripristinata in breve tempo con una bottiglia di vino e del tè preparato da Cina, seccato riguardo la loro immaturità. America apparecchia la tavola e porta i dolci in tavola, leccandosi le labbra. Russia cerca i bicchieri e le tazze. Inghilterra e gli altri si siedono in cucina e mangiano, chiacchierando, senza litigare nemmeno una volta. Inghilterra quasi dimentica lo sguardo di Russia.
Si fanno le due di notte. E’ finito Halloween.
Qualcuno sbadiglia, altri ricordano di dover tornare a casa. Inghilterra si rilassa: è tutto finito e la sua casa è ancora in piedi. Alla fine l’hanno aiutato a rimettere a posto il salotto e la cucina. Non lo da a vedere, ma lo apprezza tanto. Francia indossa il suo soprabito e schiocca un bacio verso Inghilterra. Gli sbatte la porta in faccia. Cina, inchinandosi, ricordando comunque di avere in antipatia l’isola Britannica, eppure ringraziandolo per la serata, esce e si disperde nel buio delle campagne inglesi. America, dopo aver cercato in ogni angolo del cottage la sua felpa e, trovata sotto al divano, si avvia alla porta, abbracciando suo fratello, facendogli quasi spezzare le ossa delle costole. Inghilterra gli indica la porta e gli consiglia di farsi vedere il più tardi possibile, anche se dentro di sé è comunque felice per il gesto.
Russia gli chiede dove sia il suo cappotto. Lui, paziente, senza alcun rancore o memoria, lo trova. Era di fronte al russo, eppure sembrava non averlo trovato ugualmente.
“Ah, ecco dov’era! Si era ben nascosto, eh?”
“Sì, sì…” annuisce, poco convinto.
Se lo infila e lo abbottona con lentezza. Inghilterra attende con un’infinita pazienza e gli apre la porta. Russia si aggiusta la sciarpa, facendo cadere un bordo alle sue spalle. Respira profondamente l’aria tiepida della notte. Inghilterra vede la luna piena e stelle piccine, come tante piccole lentiggini. In lontananza qualche gufo sussurra agli alberi in lontananza. La foresta sembra un manto nero. Inghilterra vede spiritelli fatti di fumo con torce minute, docili fantasmini passeggiare tra i rami degli alberi e folletti neri come carbone che cercano lucciole per abbellire i propri cappelli. Russia vede solo la luna e il manto incontaminato di stelle.
“Che bella notte, peccato che di questi tempi ne capitano di tutti i colori in queste ore…” dice con una certa tristezza nella voce. Inghilterra è concentrato verso una fatina dalle ali trasparenti e gli occhi vuoti.
“Già, è un peccato” annuisce lui stesso. Vuole solo che Russia se ne vada e che rimanga finalmente da solo. Il più alto si avvia verso la scalinata, Inghilterra sta per chiudere la porta.
“Certo, però, Inghilterra…” riapre di nuovo il portone, interrogativo. Russia si volta e ritorna quello sguardo che temeva “…che sei veramente una persona disgustosa”
Inghilterra sente come se degli spilli d’argento gli si siano conficcati nella carne. Si sente leggero come una piuma, senza sangue e senza battiti. È bianco ed immobile come una statua di sale. Russia ha ancora quel sorriso insolito e differente. È compiaciuto, luminoso, deluso. Quest’ultimo dettaglio Inghilterra lo afferra al volo e lo fa gettare pesantemente con i piedi per terra. Si scongela l’aria d’autunno. Russia spezza il contatto fra i loro occhi, fa un cenno di saluto con la testa, sorride come al solito e si avvia per la strada. I suoi amici della foresta guardano l’uomo allontanarsi. Russia non sa che centinaia di occhi lo stanno fissando con ammirazione e paura. Alcuni folletti si allontanano dalla figura gigantesca del russo sparire nel buio della notte. Gli amici di Inghilterra si voltano tutti, come un unico corpo, verso di lui. Scongelato, ritornato con le guance rosee, Inghilterra deglutisce e prova a sorridere “Tranquilli, ragazzi: non credo che dirà niente” e chiude la porta alle sue spalle, con la schiena pesante.
Si getta sul divano, pensando a quel che è appena successo. Pensa di non aver mentito: Russia non ha le prove di niente e non potrebbe dimostrare nulla. E poi cosa dovrebbe aver capito? Non potrebbe mai immaginare la perfetta verità dietro quello schermo. La fatina che aveva visto prima, con le orbite nere come petrolio, gli sussurra all’orecchio, baciando l’aria con le sue ali.
“Le loro anime sono tornate ai loro corpi”
Inghilterra sorride compiaciuto e la fatina si fa tutt’una col buio del salotto. Per la prima volta in quella serata sorride, ridacchiando fra sé e sé, sinceramente fiero di quel che ha fatto. Si tasta la cicatrice sul cuore che Germania e i suoi due alleati gli avevano recato durante quella guerra sanguinaria, ora lontana, ma per l’isola Britannica ancora viva nella carne.
Finalmente c’è stata vendetta.
Uno squillo dal suo cellulare. Inghilterra abbassa gli occhi sullo schermo e legge. America gli ha mandato un messaggio.

Hey, bro, è stata una super iper seratona!
Thanks a lot!!!
P.s non mi hai ancora detto come hai fatto il film. Il prossimo anno voglio dare il massimo anch’io!
:P

Inghilterra abbassa il cellulare. Vede il televisore che lui stesso ha maledetto e le centinaia di volte che l’ha utilizzato. Ricorda la loro sofferenza, la loro disperazione, le loro lacrime. Aveva riso dentro di sé nel vederli così feriti, sconfitti, umiliati… La fatina col vestitino strappato gli porge il telecomando. Il suo visetto ha un sorriso lungo e innaturale, coi dentini sporgenti e giallognoli. Inghilterra lo accetta con un ghigno soddisfatto. Gli viene voglia di ridere.
“Oh, America…”
…e accende lo schermo.
“…non posso credere che tu sia così stupido”

  
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