N/A: ci
voleva una challenge su bokuhero
(Boku no Hero Academia: Fanfiction
Challenge!, organizzata su fb da Qwerty from Wilde)
per farmi scrivere di nuovo in italiano. Non lo faccio da più di un anno e si
vede, ma spero comunque possa essere una lettura godibile <3
Non si colloca in un momento precisissimo del manga, se non post festival
sportivo, ma il resto è di vaga collocazione. Si è capito che sono una sucker per l’holding hands visto
che potrei tranquillamente chiamare questa fic “le trecentosei volte che ho fatto toccare le mani/tenere le
mani/fare cose con le mani a questi due sfigati”. Abbiate pazienza.
È durante
un pranzo in mensa che Todoroki si accorge di guardare Midoriya in un modo
diverso da quello che credeva. Siede al tavolo con Iida, Uraraka e Izuku
ascoltando distrattamente quello di cui stanno parlando – le ultime news
riguardo un salvataggio avvenuto in città –, alternando lo sguardo tra i tre e
il proprio piatto di riso al curry. A volte è ancora strano pensare a Midoriya
come un amico, lui che il giorno del proprio esame d'ingresso (e molti a
seguire, a dire il vero) era interessato solo dall'idea di perseguire il suo
obiettivo. Ancora più incredibile gli sembra la capacità dell'altro di aver
ampliato di così tanto il suo mondo: dopo il festival sportivo è stato come
ritrovarsi all'improvviso alla mercé di un mare calmo solo in superficie e che
nasconde una corrente sempre in movimento. Midoriya Izuku è questo, una persona
placida e che appare poco sicura, ma incapace di non immischiarsi negli affari
altrui e trascinarli con sé in un modo o nell'altro. È così che Todoroki si è
ritrovato circondato da molte più persone di quante ne avesse messe in conto;
anche lo stare seduto al tavolo con quei tre, lì in mensa, a gustare un
semplice pasto è molto più di quanto pensava avrebbe avuto – molto più di
quanto credeva si sarebbe concesso.
Todoroki
non è una persona eloquente, lo sa. Per molto tempo è stato chiuso, piegato su se stesso come un albero cresciuto male in direzione di
un’unica fonte di luce, e ci vogliono tempo e cura perché una cosa come quella
possa cambiare. Un passo alla volta, sa di starsi muovendo nella direzione
giusta, tuttavia è anche conscio di ciò che può diventare tanto quanto lo è
riguardo ciò che non sarà mai. Non gli pesa essere il silenzio di quello strano
gruppo, bilanciarne il chiacchiericcio animato. I suoi spazi nella conversazione
rispecchiano quelli che desidera; però, a volte, una piccola parte di lui
ancora si sorprende nel sentirsi rivolgere una domanda, quasi dimentico del
modo naturale con cui quei tre sanno farlo sentire parte di qualcosa.
«Todoroki-kun?» lo richiama la voce di Midoriya, portandolo d’istinto ad alzare
gli occhi su di lui, un vago sentore di confusione nella sua espressione, senza
che lui ne sia davvero consapevole. Midoriya abbozza un sorriso, di quelli che
Todoroki (non sa quando) ha imparato a riconoscere come un insieme di
insicurezza e accondiscendenza, quasi. La mano tiene ancora il cucchiaio per
metà pieno di curry, quando Midoriya porta il proprio indice all’altezza della
guancia, quasi indicasse le lentiggini diffuse sul suo viso. Todoroki inarca un
sopracciglio, confuso, fin quando l’altro non pronuncia un: «Hai un po’ di...»
quasi si sentisse in colpa per quell’affermazione.
La mano libera di Shouto recupera il tovagliolo e, veloce, va a pulire la
propria guancia; uno sbuffo divertito appena accennato sfugge tra le labbra di
Midoriya, prima che un «L’altra guancia» quasi soffiato, come un segreto,
raggiunga Todoroki.
Uraraka e Iida, presi dalla loro conversazione, non prestano loro alcuna
attenzione.
La prima volta che Todoroki sente il viso accalorarsi non è all’idea di essersi
fatto notare in un momento di involontaria goffaggine, ma a causa di quello
sbuffo divertito; occhieggia la propria mano sinistra, temendo quasi che quel
calore sia dovuto alle fiamme che sono parte di lui.
Il fatto che Midoriya Izuku sia una delle persone meno prevedibili tra quelle
che conosce non smetterà mai di stupire Todoroki. Midoriya, una persona a cui è
sufficiente lanciare un’occhiata per rendersi conto della sua semplicità, nei
momenti più insospettabili è riuscito a coglierlo di sorpresa: lo ha fatto al
festival sportivo, ma anche in occasioni meno particolari. Todoroki è
consapevole di essere più un osservatore che un oratore – e quindi fa la cosa
in cui riesce meglio delle due, prendendosi il suo tempo per capire. Ci sono
volte in cui è sicuro che nemmeno ore passate a chiedere spiegazioni sarebbero
d’aiuto a spiegargli cosa, esattamente, si agita nella testa di Midoriya. Ma se
potesse fargli una domanda, una sola con la certezza di ricevere una risposta chiara,
Shouto immagina di sapere già cosa chiederebbe. Mentre guarda Izuku
indietreggiare fisicamente di fronte all’ennesimo – breve, fine a se stesso – scontro verbale con Bakugo, quasi gli sembra di
sentire la propria voce nella testa: perché non hai mai dubbi su come
proseguire?
Sa di
essere ingiusto, in un certo senso. Una parte di lui sa bene come non possa
essere vera una cosa come quella – tutti esitano almeno una volta, e forse
Midoriya lo fa più di chiunque altro. Eppure sembra sempre convinto di ogni sua
decisione; sembra conscio di avere tutte le carte in regola per piegare il
destino al suo volere. Shouto non sospetta nemmeno quanto sia in errore, mentre
guarda l’altro sospirare sollevato, Bakugo ormai oltre la soglia di un’aula
rimasta pressoché vuota.
«Scusa, Todoroki-kun.» arriva quasi subito la voce di Izuku, accompagnandosi a
un sorriso accennato che gli piega le labbra come se ogni cosa brutta del mondo
dipendesse da lui. Shouto scuote la testa, chiudendo la borsa e mettendola in
spalla, pronto ad andare via; la sua non è stata un’attesa calcolata, né un
tentativo discutibile di fingere di avere qualcosa da controllare per
aspettarlo: è passato un po’ da quando sembrano aver deciso entrambi di tener
fede al tacito accordo di andare via insieme.
Parte del loro tragitto è sempre accompagnata dal silenzio: dal varcare la
soglia dell’aula e al camminare fino al cancello che mette fine al territorio
scolastico, è rado ci siano parole tra di loro. Le prime volte il posto dei
discorsi era occupato da un imbarazzo palpabile; con il tempo, è più come un
godersi la presenza dell’altro senza elementi di disturbo. Todoroki non è
sicuro che per Izuku sia la stessa cosa, ma non ha ancora trovato il modo
giusto di chiederlo, a essere sincero. Così si limita a camminargli di fianco,
lasciando che le loro braccia di tanto in tanto si sfiorino, lì a ricordargli
che sono l’uno vicino all’altro – sembra sempre così incredibile, nella sua
semplicità.
In quegli ultimi passi di silenzio quasi non se ne accorge, Todoroki, mentre il
dorso di Midoriya sfiora il proprio, e le dita dell’altro si fanno strada
timidamente tra le sue, prendendogli la mano in un gesto così delicato che
Shouto si ritrova ad abbassare lo sguardo per essere sicuro che siano entrambe
davvero lì.
La prima volta che tiene per mano Midoriya è in un pomeriggio dall’aria
pungente, con il cambio di stagione alle porte, e le sue dita tremano.
Todoroki è abbastanza sicuro che poche cose nella sua vita lo abbiano fatto
sentire in imbarazzo, e ha la quasi totale certezza che siano tutte indissolubilmente
legate a Midoriya. Chi, poi, sostiene l’utilità di avere fratelli o sorelle
maggiori per poter avere consigli di un certo tipo deve di certo aver avuto una
famiglia facile e – per questo – non aver pensato a chi non può vantare la
stessa fortuna. Perché Shouto non vede come mai potrebbe recarsi da sua sorella
maggiore, tanto per fare un esempio, e chiederle istruzioni su argomenti molto…
privati. Quella di Shouto è una famiglia complessa: lui e sua sorella non hanno
mai davvero parlato di molti argomenti, e ancora meno di quelli personali.
Todoroki ha fallito così tante volte nei suoi tentativi di formulare un
discorso nella propria testa, che non ha varcato nemmeno la soglia della
propria stanza per provare a bussare alla porta di sua sorella; conscio che mai
sarebbe riuscito a pronunciare la domanda cardine dei dubbi che gli affollano
la mente, ha rinunciato in partenza.
Non era davvero sicuro di voler vedere l’espressione di Fuyumi
farsi entusiasta al suo fatidico, tremendo, imbarazzante: “Quando due
persone sono insieme da un po’...”
Comunque, affidarsi ai testi di riferimento è stata la scelta peggiore della
sua vita. Non può pensare altro, mentre gode della solitudine dell’aula in
attesa di Midoriya e i suoi occhi si posano sulla copertina di un libro che non
pensava avrebbe mai letto. Quale possa essere l’attrattiva di un racconto
romantico sfugge alla sua comprensione ora tanto quanto faceva sessantacinque
pagine fa, quando lo ha iniziato. Le uniche certezze che la lettura ha portato
con sé sono tre: primo, è felice che Midoriya non sia complesso come il
protagonista del libro; secondo, il ripostiglio non gli sembra affatto un
grande luogo per un primo bacio; terzo, quel libro non dovrà mai vedere la luce
in presenza dei suoi compagni di classe.
«Todoroki-kun?»
Incredibile come si possano mescolare velocità e nonchalance per nascondere
prove discutibili.
«Scusami, Recovery Girl mi ha trattenuto più di quanto pensassi— ma è tutto a
posto!» c’è quasi fretta nel tono in cui glielo dice, con un mezzo sorriso di
scuse a incurvargli le labbra. Shouto lo osserva, gli occhi che con quanta più
discrezione possibile si soffermano sulle mani dove qualche cicatrice è
impossibile da nascondere anche con la divisa. Quasi non si accorge di come
Midoriya sia conscio della cosa e di come si stringa nelle spalle, incerto sul
da farsi. Lo nota solo quando le dita di Izuku si intrecciano tra loro con fare
nervoso, e allora alza lo sguardo per incontrare il suo. Dovrebbe scusarsi? Lo
ha messo a disagio? Todoroki non si ritiene ancora così bravo nell’interpretare
gli altri – è un gesto intriso di una certa timidezza, quello con cui prende
una mano di Midoriya nella propria, con delicatezza. Il fare timido appartiene
più al non voler ferire accidentalmente che non alla scarsa conoscenza o
condivisione tra loro; lì, mentre si domanda se il responso di Recovery Girl
sia qualcosa di cui dovrebbe preoccuparsi o informarsi nel dettaglio, o se
invece dovrebbe lasciar cadere l’argomento nella sicurezza (che non esiste davvero)
che Izuku glielo direbbe, se ci fosse qualcosa che non va.
Non si accorge nemmeno di aver avvicinato la mano di Midoriya al proprio viso e
di aver posato le labbra sul dorso. Non sa perché un gesto a lui così estraneo
gli sembri, in un modo molto contorto, naturale.
La prima volta che bacia Izuku non è un romantico contatto tra le loro labbra
in un posto perfetto; è un bacio leggero, devoto, e sa della risata imbarazzata
di Midoriya.
La mano
di Izuku stringe piano la sua, per infondergli coraggio. Todoroki sente il
pollice dell’altro sfiorargli il dorso nel tentativo di tranquillizzarlo,
anche, mentre gli lancia qualche occhiata di sfuggita. Shouto lo sa che
Midoriya trova la situazione divertente, seppure non mosso dalla malizia mentre
trattiene uno sbuffo nel vedere Todoroki lì, fermo di fronte alla porta di casa
sua. La targhetta con il cognome “Midoriya” sembra già giudicarlo, mentre Izuku
allunga una mano fino alla maniglia per aprire la porta e guidare entrambi
all’interno.
La prima cosa che colpisce Shouto è il buon odore proveniente dalla cucina;
dalla stessa direzione, in pochi secondi, li raggiunge dapprima una voce di
donna e poi una figura che sarebbe impossibile non riconoscere come la signora
Midoriya. Todoroki non può fare a meno di irrigidirsi lì sul posto, per quanto
la sua espressione non cambi e gli risparmi, quindi, malintesi di qualsiasi
tipo – non è mai stato così grato della sua scarsa espressività. Izuku lascia
andare con un gesto gentile la sua mano per poter abbracciare sua madre, un
modo di salutarsi che Shouto non può che trovare familiare, nostalgico ed
estraneo al tempo stesso. Nemmeno tentare di immaginare suo padre rivolgergli
quel gesto è esilarante abbastanza da fargli dimenticare quel che la sua mente
si diverte a riportare a galla ogni cinque minuti da quando quell’invito a casa
Midoriya gli è stato rivolto: stai andando a conoscere la famiglia di Izuku,
ti vedranno per la prima volta, non sai come la prenderanno Shouto.
Ma la verità che gli si dispiega davanti agli occhi è ben diversa: la madre di
Izuku, in primis, sa perfettamente chi lui sia. Ovvio, considerato che ha
seguito ogni passo del figlio dalla sua ammissione alla U.A., eppure a Todoroki
era quasi passata di mente quella consequenzialità, quel “se ha visto lui, deve
aver visto anche me e tutto il resto della nostra classe”. In secondo luogo,
guardare quella donna mentre con un sorriso mite lo invita ad accomodarsi e gli
chiede, come prima cosa, se preferisca l’omelette dolce o salata – non “cosa
hai fatto a mio figlio”, non accuse di qualsivoglia natura, no – toglie a
Shouto ogni dubbio sul carattere di Izuku. Su chi lo abbia influenzato in
quella gentilezza, nella fermezza, nel coraggio che sono parte della sua indole.
Mentre guarda quella donna minuta, Shouto vede tutto con una chiarezza
sconvolgente che lo destabilizza, quasi; mai quanto l’abbraccio affettuoso ma
poco invadente, quasi cortese, che la donna gli rivolge. La sente stringerlo
piano, brevemente, prima di scostarsi e guardarlo con una dolcezza che a Shouto
ricorda sua madre. La signora Midoriya riesce, e Shouto non saprebbe davvero
spiegare come, a farlo sentire non un ospite gradito, ma un figlio tornato a
casa.
Quando dopo cena e dopo essersi trattenuti a parlare fino a darsi la buonanotte
Shouto è steso a pancia in su, con Izuku che si sdraia al suo fianco, sente di
non saper dare una definizione unica a quella prima volta ospite nella casa di
una persona che con il tempo, passo dopo passo, è diventata così importante per
lui.
«Mia madre ti adora.» è il modo in cui Izuku rompe il silenzio tra loro,
girandosi su un fianco per poterlo guardare; Shouto non ha bisogno di voltarsi
per riconoscere l’inflessione divertita e affettuosa nel tono dell’altro, ma lo
fa lo stesso, cercando la totale attenzione di Midoriya. Ritrova sul suo viso
un sorriso che ama e lo sguardo di chi lo ama a sua volta.
«Mi piace, tua madre.» bisbiglia come se fosse un segreto, leggendo negli occhi
di Izuku un tacito “non avevo dubbi” che lo fa sentire prevedibile e,
per questo, vulnerabile – immagina sia così che ci si sente, in una famiglia
come quella di Midoriya: alla mercé della più piccola ferita e al tempo stesso
invincibili.
«Mi ricorda te.» aggiunge, sentendo Izuku ridacchiare mentre pronuncia un assai
ovvio «Semmai sono io che ti ricordo lei!»
Shouto non ribatte, mentre si avvicina per posare la fronte contro la sua.
La prima volta che è ospite in casa Midoriya pensa che no, Izuku sbaglia: ogni
cosa di quell’abitazione e di chi la abita gli ricorda il modo in cui quel
ragazzo ha scosso la sua convinzione più crudele e gli ha mostrato che poteva
esserci molto più dell’odio e del rancore, per lui.
Quasi se lo immagina, Todoroki: dieci anni nel futuro, durante una di quelle
rimpatriate scolastiche di cui ha sentito parlare solo per sommi capi e che non
ha ancora mai provato in prima persona, con qualcuno – Kaminari,
probabilmente – che inizia la conversazione con un “ma ve la ricordate
quella volta che…?”.
Ha ancora sulle labbra la sensazione di quelle di Midoriya, una mano sul fianco
di Izuku e le dita dell’altra a contatto con sul lembo della camicia sotto cui
le aveva insinuate, solo per sfiorare la pelle e niente di più. Izuku invece
sta nascondendo il viso, sbirciando in sua direzione come a cercare un aiuto
che a essere onesti Shouto non sa come dargli. Intravede il rossore sul suo
viso e non sa se anche la sua faccia riflette quello stesso imbarazzo, ma è
sicuro che sentirsi accalorato non dipenda né dal bacio che si stavano
scambiando, né dal proprio quirk.
«Dovremmo scusarci.» riesce a borbottare dopo interminabili minuti di silenzio
in cui la mente di Todoroki ha vagato fin troppo, ignorando l’improbabile ma
minacciosa riunione futura in cui questo sarà un racconto divertente per tutti
tranne che per lui. E Izuku. Sì, è abbastanza sicuro che Izuku potrebbe
strozzarsi con una qualsiasi bevanda presente nel momento in cui Kaminari deciderà che è un modo divertente di intrattenersi
sui ricordi di gioventù – quasi comincia a pensare, Shouto, che suo padre non
abbia proprio tutti i torti a evitare le rimpatriate se non strettamente
necessarie. Non che conti di dirlo al diretto interessato, comunque.
Il mugugnare di Izuku riempie piano l’aula, passando quasi inosservato in un
primo momento, perché qualcosa di ormai familiare per Shouto; decide però di
porvi fine, portando una delle mani a stringersi senza troppa forza attorno al
polso di Midoriya, per guidarlo e far sì che scopra il proprio viso. Vi legge
lo stesso imbarazzo che sente anche lui.
«Non penso che Hagakure sia arrabbiata.» commenta in
un mormorio altrettanto basso, come se dopo essere stati colti in flagrante una
volta sia d’obbligo impegnarsi per mantenere segreta qualsiasi cosa. Più che il
bisogno di nascondere, è la necessità di una sfera privata inattaccabile, di
una riservatezza inviolabile. Quanto a lui, Shouto non ha bisogno di chiedere,
con Midoriya: ha imparato a riconoscere sul viso dell’altro l’agitazione,
l’imbarazzo e buona parte delle emozioni che vede passare per le sue espressioni.
Sa che Izuku non è turbato dalla cosa in sé, che probabilmente fosse ormai in
procinto di parlarne almeno con Uraraka e Iida – che, a dire il vero, Shouto
pensa abbiano già notato tutto da soli e da qualche tempo.
Forse a scombussolarlo è solo l’idea di essere stato sorpreso e che questo
possa sembrare un suo atto di sfiducia nei confronti di quelli a cui voleva
dirlo.
La mano stretta attorno al polso di Izuku lo lascia andare, e Todoroki porta
entrambe le braccia a cingere la vita del ragazzo davanti a lui, attirandolo un
poco verso di sé e posando con gentilezza le labbra sulla sua fronte: «Se ci
sbrighiamo» suggerisce «penso che Uraraka e Iida siano ancora in mensa.»
La prima volta che qualcuno viene a sapere della loro relazione è una falsa
crisi di cui Todoroki – quando in futuro Kaminari lo
racconterà a una rimpatriata – ricorderà solo la pacca un po’ troppo formale di
Iida contro la propria schiena e l’abbraccio di Uraraka sia per lui che per
Izuku. Ah, e le scuse per Hagakure: non è stato
carino non notarla solo per il suo quirk, quello è
vero.
La prima volta che escono insieme è un completo disastro, uno di quelli che non
si dimentica e dove tutto, ma davvero tutto ciò che poteva andare storto
lo fa.
Per questo Shouto non riesce a convincersi, al loro secondo appuntamento, che
la cosa possa migliorare; se proprio, la sua unica certezza è che non possa
andare peggio. Così quando si incontrano insieme fuori dai dormitori, pensa che
dopotutto è già un grande passo avanti non aver incrociato Mineta
intento a fuggire dagli attacchi di Ashido per aver
rubato la biancheria delle ragazze, rischiando di finire colpito dall’acido – e
facendo finire sulla traiettoria di tiro uno di loro, con il risultato di
ritrovarsi con la camicia in parte distrutta per sempre. Todoroki guarda la
maglia che indossa oggi, sana e salva per l’assenza di inseguimenti
all’ingresso del dormitorio, e pensa che in fondo la giornata è iniziata bene.
Entrare nel cinema si rivela meno difficoltoso di quanto lo sia stato farlo la
volta precedente. Oggi non ci sono allarmi antincendio che si attivano per
errore, facendogli temere di aver dato fuoco a qualcosa e obbligandoli a una
calca di persone che viaggiano nel senso opposto al loro e che li portano, per
un principio di acerba deformazione professionale, a far muovere la folla più
in ordine possibile, così da perdere un’ora del proprio tempo e con il
risultato – sventato il falso allarme – di aver perso lo spettacolo e la voglia
di vedere il film. Non che Shouto avesse tutta quell’aspettativa sulla
pellicola di quella volta, ma preferisce di gran lunga la breve fila di persone
che quel giorno li divide dal botteghino prima e dall’ingresso in sala poi.
Mentre siedono al buio, con il grande schermo che proietta l’inizio del film,
Shouto sente le dita di Midoriya intrecciarsi alle sue e pensa che forse
perderà parte dello spettacolo anche stavolta, ma sarà per una buona causa.
Cenare si rivela così semplice che, a un certo punto, Shouto si chiede se non
debba aspettarsi una catastrofe da un momento all’altro. Fin troppo memore di
come l’ultima volta siano finiti seduti vicino a una famiglia dai figli
particolarmente esuberanti, tanto da aver persino fatto finire un pezzo del
loro cibo sul tavolo suo e di Midoriya, Todoroki non riuscirebbe davvero a
stupirsi se un cameriere passandogli accanto inciampasse nel nulla
rovesciandogli qualcosa addosso. Invece, contro ogni pronostico, il cibo è
buono come gli avevano detto, lui e Midoriya riescono a godersi un pasto come
si deve e l’atmosfera tra loro è così rilassata da far sembrare
quell’appuntamento l’ennesimo di una lunga sfilza che in realtà non c’è mai
stata.
Riescono a concordare senza problemi sul dividersi la spesa equamente, a uscire
indenni dal locale, a piazzarsi tra le strade ancora piuttosto trafficate. Con
le insegne luminose ad attirare gli sguardi, Shouto riesce a far scivolare con
discrezione la mano lungo il fianco e a prendere quella di Izuku; le spalle a
contatto tra loro, lo sente sussultare un poco per la sorpresa e ritrova sul
suo viso – sbirciando – un rossore tenero. Punta lo sguardo davanti a sé, non
meno timido di Midoriya in un certo senso, ma stringe la sua mano un po’ di
più.
La seconda volta che escono insieme tutto va così liscio da sembrare surreale.
Todoroki si muove in silenzio per il corridoio, fino alla stanza di Izuku, e
quando sono davanti alla porta giusta esita a lasciar andare la sua mano. Di
quell’appuntamento, che non è il primo ma è come se lo fosse, la cosa che
ricorda meglio è la risata sommessa di Izuku mentre guarda le loro mani.
«Todoroki-kun, se non mi lasci non posso entrare in camera.»
Lo sa. Per quello la tiene ancora stretta nella sua, solo per un altro po’.