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Autore: _Pulse_    22/10/2017    1 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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28. The darkest hour


Cathleen si accarezzò le labbra imbronciate con il pollice ascoltando ciò che stava avvenendo all'interno del bagno. Nell'ultima settimana non era la prima volta che lo faceva e infatti nemmeno Alex fu sorpresa di trovarla con una spalla addossata contro la parete divisoria tra un WC e l'altro, pronta a riservarle la più apprensiva delle occhiate.
«Non riesco proprio a capirti», esordì quella volta, raggiungendola al lavandino a cui si stava lavando le mani. «Lavori in un fottuto ospedale, perché non ti fai fare una visita e la facciamo finita?».
«Per quanto mi piacerebbe che tu la smettessi di farti gli affari miei, la risposta é sempre quella: no, grazie».
La rossa alzò gli occhi al cielo. «Perché? Perché, Gesù?!».
«Ascolta», sbottò Alex, strappando con rabbia un paio di fazzoletti di carta per asciugarsi le mani. «Io non sono incinta, okay? Sono un'infermiera, so riconoscere i sintomi di una gravidanza!».
«Beh, cara la mia infermiera, lasciati dire che li stai ignorando! E non riesco a capirne il motivo!».
«Ne abbiamo discusso fin troppo», concluse Alex in tono ferale, tirando a sé la porta per uscire dal bagno.
Cathleen la seguì fuori e fece per dirigersi dalla parte opposta, ma alla fine ci ripensò e con le mani intorno alla bocca gridò: «Così non mi lasci altra scelta!».
La bionda si fermò all'improvviso in mezzo al corridoio e quando si voltò aveva gli occhi venati di rabbia. L'amica non si lasciò intimorire - anche se avrebbe dovuto, visto l'allenamento intensivo a cui si era costretta per arrivare preparata alla battaglia con Freya - e con determinazione continuò: «Lo dirò a Merlino. Magari lui saprà farti ragionare».
Alex la fissò per la dozzina di secondi successivi, poi abbassò il capo e quando lo rialzò Cathleen scorse un sorriso mellifluo sulle sue labbra. Questo avrebbe dovuto farle davvero paura, ma ancora una volta sostenne il suo sguardo e rimase ferma, attendendo che l'infermiera la raggiungesse.
«Vuoi sapere perché sto ignorando i sintomi? E va bene», esclamò scrollando le spalle. «La morte di Steve mi ha distrutta, tanto da farmi giurare che non avrei mai messo al mondo un figlio. Lo stesso mondo che sta rischiando la distruzione perché lo stregone immortale che devo sposare ha lanciato una maledizione che l'ha reso un attira-magia, oltre che una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro. Ma il bambino non avrà solo un mago di millequattrocento anni come padre, avrà anche una strega che discende dalla dinastia Pendragon come madre, perciò non crescerà come il più normale dei bambini. Presto dovrò affrontare Freya e non sarei mai in grado di scendere sul campo di battaglia sapendo di dover difendere non solo me, ma anche mio figlio. E se mai sopravviveremo, dovrò affrontare il mio destino e compiere un sacrificio di cui non ho la più pallida idea solo per via di una profezia». Alex respirò profondamente per riprendere fiato e le rivolse un altro sorriso. «Ti vanno bene come motivazioni?».
Cathleen non riuscì ad articolare una frase di senso compiuto per via del peso che le era caduto tra capo e collo, un peso che non doveva essere nemmeno un decimo di quello che doveva sopportare Alex.
L'infermiera si ritenne comunque soddisfatta e si allontanò nuovamente lungo il corridoio, senza più guardarsi indietro.

***

«Ciao, volevo solo avvisarti che io e Merlino passiamo a salutare Abigail prima di tornare a casa».
Artù si fermò in mezzo al parcheggio dell'ospedale, come se da fermo potesse sentire meglio ciò che Cathleen, dall'altro capo del telefono, gli stava dicendo.
Merlino aggrottò le sopracciglia per chiedergli silenziosamente di cosa si trattasse, ma il re si limitò a ricambiare lo sguardo, serio come poche volte lo era stato in vita sua.
«Cathleen, sei sicura di stare bene? Mi sembri agitata. Okay, se lo dici tu... A dopo».
«Che succede?», gli chiese il mago non appena terminò la chiamata.
«Forse mi preoccupo un po' troppo. Siamo tutti stressati e...», Artù si interruppe e gli rivolse un sorriso, sventolando una mano come a voler cancellare una lavagna. «Andiamo da Abby, dai».
Anche lo stregone stava arrivando a livelli di paranoia mai raggiunti prima di allora, con Alex così esposta alla magia nera di Morgana.
Come era già successo prima, l'infermiera stava cambiando sotto i suoi occhi e non c'era nulla di concreto che potesse fare per impedirlo. Aveva provato a farsi venire in mente un'idea per contrastarla, ma sommata alla magia di Excalibur era troppo potente per le sue condizioni attuali. Perciò aveva cercato di stare il più vicino possibile ad Alex, aiutandola ad incanalare quella rabbia e quella forza distruttiva in attività meno dannose in giro per i boschi e la campagna gallesi. L'aveva anche allenata a lanciare incantesimi di difesa e di attacco, ma c'era sempre il rischio che ci mettesse troppa energia e saltassero entrambi in aria.
Era arrivato addirittura a desiderare che Freya si facesse viva il prima possibile, così da affrontarla una volta per tutte e successivamente disintossicare Alex. Sempre se fossero riusciti a batterla, ovviamente.
Merlino si fermò ai piedi delle scale e disse ad Artù: «Io non ce la faccio, prendo l'ascensore. Ci vediamo di sopra».
Il re si costrinse a tenere la bocca chiusa ed annuì, iniziando a salire i gradini mentre il mago attendeva l'apertura delle porte. Quando finalmente pigiò il tasto per il quarto piano e l'ascensore stava per muoversi fu costretto ad infilare un piede fuori per far sì che la signora Chapman potesse salire con lui. Avrebbe potuto non farlo - si sarebbe risparmiato ulteriore dolore - ma il cavaliere che era in lui aveva preso il sopravvento.
«Grazie Merlino, sei un tesoro», esordì l'anziana con un leggero fiatone, sorridendogli.
Il suo viso era sciupato e stanco, completamente diverso da quello che compariva stampato sul retro delle copertine dei suoi romanzi, e nonostante il rancore che nutriva nei suoi confronti per non essere stata accanto a Louise almeno nei suoi ultimi mesi di vita, provò pena per tutto ciò che stava affrontando.
«Ho sentito dell'uscita che volete organizzare per i bambini», ruppe il silenzio la donna, stringendo tra le mani i manici della sua borsa firmata. «Nonostante quello che dicono i medici, io penso sia una bella idea».
«Davvero?», domandò Merlino, scettico.
«Sì. Sai... Mia madre amava molto gli spazi aperti. Ricordo che ogni domenica portava me e mio fratello in bicicletta e facevamo dei bellissimi pick-nick. Quando non è più stata in grado di badare a se stessa e abbiamo deciso di affidarla alle cure di una struttura specializzata, ho insistito perché fosse immersa nel verde. Pensavo che questo l'avrebbe fatta felice, anche se col senno di poi... avrebbe preferito vedere i suoi figli. Non ho mai trovato il coraggio di andarla a trovare, di passeggiare con lei tra i sentieri di quel parco che avevo visto nelle brochures».
Merlino strinse i pugni lungo i fianchi, chiedendosi perché quel dannato ascensore ci stesse mettendo tutto quel tempo. A saperlo, avrebbe rischiato di svenire sulle scale.
Lui conosceva a menadito il parco di cui Daisy parlava: ci aveva speso le ore, pomeriggi interi a volte. Da solo o in compagnia della sua Louise dai capelli bianchi, il sorriso dolce e lo sguardo un po' perso, come la sua memoria inaffidabile. Il suo luogo preferito era il laghetto con le ninfee.
«Una volta ce l'ho quasi fatta», continuò, sistemandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli che le era sfuggita dallo chignon. «Sono arrivata alla reception, ho chiesto quale fosse la sua stanza e ho scoperto che un uomo l'aveva portata a fare una passeggiata. Ho chiesto chi fosse, ma nessuno ne sapeva molto. Visto che era l'unica persona che andasse a farle visita avevano sempre chiuso un'occhio a riguardo. All'inizio mi arrabbiai, dissi che se si fosse trattato di un poco di buono li avrei denunciati, e andai a cercarla. La trovai davanti ad un laghetto con le ninfee, seduta sulla sua carrozzina ed avvolta in uno scialle di lana. Sulla panchina al suo fianco c'era l'uomo misterioso, un vecchio con dei lunghi capelli bianchi raccolti in una coda e gli occhi gentili. Sono rimasta alle loro spalle, senza annunciarmi, e li ho guardati parlare e ridere per non so quanto tempo. Mi sono sentita così in colpa nei suoi confronti e ancora una volta non sono riuscita ad andare fino in fondo. Questo è uno dei miei più grandi rimpianti, insieme a quello di non aver mai scoperto chi fosse l'uomo che le ha tenuto compagnia».
L'anziana abbassò il capo, ridacchiando. «Scusami, non so nemmeno perché ti ho raccontato tutto questo. Quello che volevo dire é che se Abby vuole trascorrere una giornata all'aperto, come una bambina normale, non sarò di certo io ad impedirglielo».
Alla fine Merlino aveva smesso di pregare di arrivare al quarto piano. In effetti, nemmeno quando le porte si aprirono accennò a volersi muovere da lì.
Forse non aveva analizzato a fondo la situazione, guardandola solo dal proprio punto di vista. Aveva giudicato Daisy senza conoscere tutta la storia, senza domandarsi davvero quale fosse il motivo per cui non era mai andata a far visita a sua madre, usandola come capro espiatorio per sfogare tutto il proprio dolore.
«Tu non vieni?», gli domandò la nonna di Abby, guardandolo con cipiglio perplesso.
Lo stregone uscì dall'ascensore e scorse Artù poco più avanti, in compagnia di Mark. I due gli fecero segno di raggiungerli, ma Merlino posò di nuovo gli occhi su Daisy e le chiese: «Se avesse la possibilità di parlare con quell'uomo, che cosa gli direbbe?».
La signora Chapman fu colta di sorpresa da quella domanda, ma solo per un attimo. Gli rivolse un sorriso venato di malinconia e unendo le mani rispose: «Lo ringrazierei per aver fatto quello che io non sono riuscita a fare: starle accanto fino alla fine».
Merlino si infilò le mani nelle tasche ed annuì con un breve cenno del capo. «Nonostante tutto... sua madre non ha mai smesso di volerle bene e l'ha perdonata».
Daisy spalancò la bocca, scioccata dalla sicurezza con cui aveva pronunciato quella frase. Come poteva saperlo?
Il mago però non le diede il tempo di fargli quella domanda. Le sorrise e concluse: «È così che fanno i bravi genitori, no?». Quindi si allontanò e raggiunse Artù e Mark, sentendosi finalmente libero da una tenaglia che gli aveva fatto sanguinare il cuore per troppo tempo.
«Salve signora Chapman», la salutò il ragazzino.
«Ciao tesoro. Stavo giusto dicendo a Merlino che io darò l'autorizzazione per la gita».
«Ecco, a questo proposito... questa mattina c'è stata una riunione dei dottori del reparto e da quello che è trapelato solo Abby non ha avuto il via libera», spiegò con espressione demoralizzata.
Daisy gli posò una mano sulla spalla e guardando prima lui e poi Merlino esclamò con fermezza: «Vado a verificare questa voce di corridoio. Ci vediamo tra poco nella sua stanza, va bene?».
I tre fecero come era stato detto loro e andarono da Abigail, la quale dopo l'ultima crisi aveva bisogno di ossigeno supplementare, inniettato direttamente nelle sue narici grazie a delle canule trasparenti.
«Ehi, ragazzi», li salutò debolmente, mettendo da parte il bloc-notes su cui stava scrivendo prima del loro arrivo. «Non fatevi ingannare da tutti questi macchinari, sto bene».
Merlino sorrise e portò una sedia accanto al suo letto per sedersi e prenderle una mano tra le sue. «Non ho mai pensato il contrario».
«Già... Vallo a dire ai miei dottori. A quanto pare sarò l'unica ad avere negata l'autorizzazione ad uscire».
«E chi te l'ha detto?», le chiese Mark, strabuzzando gli occhi.
Abby prese il cellulare che aveva abbandonato accanto alle gambe, inarcando entrambe le sopracciglia. «Danilo l'ha scritto sul gruppo Whatsapp in cui ci sono anche io».
«Se il cancro non lo ammazzerà, lo farò io prima o poi», sibilò il ragazzino stringendo i pugni sulle gambe, facendo ridere Abigail.
La risata però si trasformò presto in un violento attacco di tosse e Artù e Merlino si precipitarono a sollevarla un po' per aiutarla a respirare meglio. Quando lo superò, Abby appoggiò il capo contro il petto dello stregone e sussurrò: «Ho bisogno di una storia, una col lieto fine».
Merlino alzò gli occhi in quelli di Artù e silenziosamente entrambi convennero che era una buona idea per ingannare l'attesa. Lo stregone volle regalare una storia nuova ad Abigail, una che le infondesse speranza e che le restituisse un po' di fiducia nel genere umano. Decise di raccontarle la storia di Daegal e, nonostante fossero passati secoli, il ricordo di quel giovane ragazzo che credeva di non valere nulla e che in realtà aveva salvato lui, Artù e tutta Camelot dai complotti di Morgana e di una Ginevra controllata da quest'ultima, gli fece salire le lacrime agli occhi.
Stava quasi rischiando di farsi scoprire da Mark, quando la signora Chapman aprì la porta ed entrò nella stanza, seguita dalla dottoressa che si occupava di Abby.
«Voglio andare anche io all'agriturismo», disse subito la ragazzina, guardando la dottoressa con sguardo implorante.
«Mi dispiace tesoro, ma le tue condizioni non sono abbastanza stabili. Hai bisogno di riposo, di stare qui nel caso in cui dovessi avere un'altra crisi».
Abby gettò uno sguardo a Merlino, al momento in piedi al suo fianco, e in labiale gli rivolse delle scuse che lui non riuscì a contestualizzare fino a quando non la sentì esclamare: «Merlino e Alex si sposeranno questo week-end e non posso perdermi il loro matrimonio, per nessuna ragione al mondo!».
Tutti rimasero senza parole per una dozzina secondi, Merlino compreso.
«Questo... questo non ce l'avevate comunicato», disse la dottoressa, riprendendosi per prima. «Potremmo fare un'eccezione, in questo caso».
Abby strinse forte la mano di Merlino, facendolo rinvenire.
«Sì, noi... non volevamo che lo venisse a sapere tutto l'ospedale», si giustificò, passandosi una mano sulla nuca. «Però teniamo tantissimo che Abby sia presente, visto che sarà la damigella d'onore di Alex».
Quella volta fu Abigail a rimanere ad occhi sgranati, scioccata. «Davvero?! Oh mio Dio! Sarò damigella d'onore!».
Persino la dottoressa sorrise, emozionata dalla sua reazione, e si avvicinò per farle le sue congratulazioni. «Riproporrò la tua situazione ai miei colleghi, ma a questo punto penso proprio che nessuno ti impedirà di partecipare se è quello che vuoi».
Abby scoppiò in lacrime di gioia e Merlino per primo si chinò ad abbracciarla.
«Grazie, grazie», gli sussurrò nell'orecchio, stringendolo forte.
«Te lo meriti».
Quel pomeriggio avevano affrontato già abbastanza emozioni, perciò Artù e Merlino decisero di lasciarla riposare. La signora Chapman li seguì fuori dalla stanza per ringraziare ulteriormente il moro, per ciò che aveva fatto per sua nipote e per le sue parole a proposito di sua madre.
«Avrei dovuto farlo da tempo», le confessò, lasciandola ancora una volta senza parole con cui replicare.
Una volta lontani Artù gli avvolse un braccio tra le spalle e sospirò. «Non finirò mai di sorprendermi per quante volte mi hai salvato la vita senza che io me ne accorgessi», esclamò riferendosi alla storia di Daegal.
Merlino abbozzò un sorriso. «Eppure non facevo altro che ripetervelo».
«Pensavo che lo dicessi solo per infastidirmi!», replicò, sfregandogli le nocche della mano sul capo.
Lo stregone si dimenò fino a quando non riuscì a liberarsi, sorridendo felice. Presto però sul suo volto calò un velo di preoccupazione e il re se ne accorse.
«Che c'è?».
«Pensavo che Alex ed io avremmo deciso insieme la data del nostro matrimonio e che saremmo stati felici, invece... Perché nulla va mai come immaginiamo?».
Artù scrollò le spalle. «Sono l'ultima persona a cui puoi fare questa domanda. Però di una cosa sono certo: siamo sempre stati bravi ad improvvisare».
Merlino ci pensò su e preferì non portare avanti quella discussione, dato che persino con tutto l'aiuto della Vista fino ad allora non era mai riuscito a cambiare il destino. Sperava soltanto che almeno il giorno del loro matrimonio potessero tutti rilassarsi e dimenticare la spada di Damocle che pendeva sulle loro teste.

***

Alex chiuse di nuovo gli occhi e si concentrò respirando profondamente. Quindi fissò la bottiglia di vetro che aveva posato su un ceppo di legno a cinquanta metri da lei e protese la mano destra: il suo unico obiettivo era quello di far esplodere la bottiglia, eppure la potenza dell'incantesimo fece volare via il ceppo e intere zolle di terra.
Per l'ennesima volta andò a recuperare il ceppo e a sostituire la bottiglia per ripetere l'esercizio da capo. Peccato che avesse l'impressione che ogni tentativo finisse peggio, tante'ra la rabbia che accumulava insuccesso dopo insuccesso.
Lei ci provava a seguire i consigli di Merlino, ad allontanare i pensieri negativi, ma iniziava seriamente a dubitare che con la magia nera che le circolava nelle vene potesse fare quelcosa di buono. Non era abbastanza forte per convertirla in magia bianca e continuare a provare era da pazzi.
La voce di Excalibur tornò a stuzzicarle quella parte di mente infetta, quella che la faceva scattare per ogni piccolo torto od ingiustizia subita, quella che le impediva di gioire o provare emozioni in generale, quella che l'aveva costretta a rinfacciare a Cathleen tutto ciò che stava sopportando in silenzio per il bene comune. Ormai erano passate ore e nonostante fosse ben consapevole di doverle delle scuse non riusciva a riprendere il controllo di sé. Ogni giorno era sempre più difficile e avere come coinquilina quella spada non l'aiutava.
"Perché trattieni il tuo potere, Alexandra? Potresti fare così tanto, se solo ti lasciassi andare!"
Di solito, quando iniziava a sentire la voce, si infilava le cuffie nelle orecchie, impostava il genere rock ed alzava il volume al massimo. Il trucco funzionava per un po', fino a quando non le veniva un mal di testa così doloroso da doversi stordire con i sedativi che aveva trovato insieme alle scorte di antidolorifici di Merlino: morfina, ossicodone, fentanyl... un vero e proprio assortimento che aveva scoperto per caso, mentre cercava di resistere al potente richiamo di Excalibur.
Adesso che Cathleen l'aveva costretta a dire ad alta voce le parole "gravidanza" e "bambino" sapeva che non avrebbe mai più avuto la forza di inghiottire una pillola che avrebbe potuto nuocere al feto.
Si sedette per terra e guardò verso la cucina, dove colse Cathleen intenta a spiarla attraverso la finestra. Quando i loro sguardi si incrociarono la rossa tornò a spignattare come una forsennata e Alex sospirò nuovamente.
Si sentiva prigioniera del suo stesso corpo, incapace di esprimere ciò che sentiva veramente, come se la magia nera avesse costruito una corazza intorno a lei e come una burattinaia malvagia la costringesse a dire e a fare cose che normalmente non avrebbe mai detto o fatto. Chissà se anche Morgana si era mai sentita così, se si fosse trasformata nella psicopatica che tutti ricordavano perché aveva smesso di lottare, trovando più facile la resa.
Io non lo farò, disse chiaro e forte alla voce nella sua testa. Non mi arrenderò.
Fu come se delle catene invisibili fossero appena state allentate, abbastanza da farla tornare a respirare regolarmente. Alex non se ne chiese il motivo, colse soltanto l'opportunità e dopo essersi alzata corse velocemente verso la veranda.
Vedendola arrivare Cathleen si allontanò dai fornelli e la fissò guardinga, domandandosi che cosa le stesse passando per la testa. Da come sollevò le braccia a proteggersi la testa, Alex intuì che mai si sarebbe aspettata di ricevere un abbraccio.
«Non so per quanto durerà questa tregua, ma voglio che tu sappia che mi dispiace. Quando faccio la stronza non sono io, è la magia nera».
Cathleen sospirò sollevata e ricambiò l'abbraccio, affondando il viso tra i suoi capelli biondi. «Non sai quanto sono felice di sentirtelo dire».
«È un inferno anche per me, credimi. È come... come avere un disturbo della personalità».
«E per quanto riguarda la gravidanza?», sussurrò, prendendola per le spalle per guardarla negli occhi.
Alex sentì le catene tornare a stringerle il busto, impedendo alle parole di uscire dalla sua bocca. Si concentrò al massimo e tutto ciò che riuscì a dire con voce strozzata fu: «Su questo sono d'accordo con la me malvagia. Non posso fare il test, se risultasse positivo...». E fu di nuovo confinata nella sua testa.
Si allontanò bruscamente da Cathleen, così che smettesse di toccarla, e fissandola con astio disse: «Fatti gli affari tuoi, okay?».
Cathleen abbandonò tristemente le braccia lungo i fianchi ed abbassò il capo, realizzando che la magia nera aveva di nuovo preso il sopravvento.
Alex - la Alex buona - avrebbe voluto gridarle ancora che le dispiaceva, ma le parole le rimbalzarono soltanto nella scatola cranica, incapaci di uscire. Uscì invece dalla cucina per tornare in giardino, dove tornò a far esplodere bottiglie.

***

Cathleen adorava Alex - quella buona - e soffriva terribilmente quando doveva avere a che fare con la sua gemella cattiva, perciò non riusciva nemmeno ad immaginare ciò che stava passando Merlino. Si era all'improvviso ritrovato fidanzato con una donna diversa e doveva pure parlarle del loro matrimonio! Abby aveva anticipato tutto a quel week-end e c'erano un sacco di preparativi da fare, un mucchio di dettagli da definire, e la Alex priva di sentimenti era difficile da guardare negli occhi, figuriamoci parlarle di fiori e torte nuziali.
La cena si era svolta nel più imbarazzante dei silenzi e anche se in un paio di occasioni Merlino aveva fatto cenno a voler aprire l'argomento alla fine aveva rinunciato, tornando a fissare il piatto di pollo, carotine e piselli che aveva davanti.
Una volta finito, Alex si alzò e senza dire nulla uscì in veranda per fumarsi una sigaretta. Merlino si coprì il volto con le mani e ne approfittò per mugugnare: «Non ce la faccio, non ci riesco».
«Ehi», esclamò Cathleen, accarezzandogli un braccio. «Non puoi rinunciare così, okay? Lei è lì dentro, ti sente e ti vede. Come la prenderebbe, se capisse che ti stai arrendendo senza nemmeno lottare?».
«Diventerebbe peggio della Alex cattiva, ecco cosa», rispose Artù per lui, portandosi alla bocca uno spicchio di mela.
Merlino li fissò entrambi, con un'espressione talmente sperduta da fare persino tenerezza. Il paramedico gli diede un altro buffetto sul braccio e gli sorrise incoraggiante.
«Vai a parlarle, avanti. Convincila a ribellarsi».
Il mago si fece coraggio e si alzò da tavola per raggiungerla in veranda.
Cathleen invece impilò i piatti per portarli al lavello, ma prima che potesse allontanarsi Artù l'afferrò per un polso e la costrinse a tornare seduta. Quindi fissò gli occhi blu in quelli castani di lei e pronunciò una sola parola, ma con enfasi e serietà: «Dimmi».
«Dirti che cosa?», replicò, a disagio. Non le piaceva mentire, specialmente non le piaceva mentire ad Artù, l'unico uomo con cui fosse riuscita ad essere sincera su tutto: Zachary, la sua famiglia, le sue paure.
«Prima, quando ti ho chiamata dall'ospedale, mi sei sembrata strana. Penso che sia successo qualcosa con Alex e voglio sapere di cosa si tratta».
La rossa aprì e richiuse la bocca più volte, come un pesce fuor d'acqua, incredula dalla sua perspicacia. Dimenticava sempre che era stato il re che aveva unito la Gran Bretagna, anche se spesso e volentieri non era stato in grado di vedere i complotti e i traditori che aveva sotto il naso. Artù era semplicemente troppo buono, tanto da riporre la propria fiducia nelle persone sbagliate, persone che si erano approfittate di lui per i loro scopi. Cathleen non voleva far parte di quella lista, ma si trattava di Alex e non voleva nemmeno tradire la sua di fiducia, perciò...
Si portò le mani tra i capelli, lasciando che le cadessero sul viso come una tenda. «Mi dispiace, io... non posso parlartene».
Artù si avvicinò ancora un po' di più con la sedia, tanto da toccarle le ginocchia con le proprie, e le spostò i capelli per raggiungere il suo mento e sollevarle il viso.
«Guardami negli occhi, Cathleen».
Il paramedico obbedì, sentendosi così in colpa da mordersi le labbra.
«Devo preoccuparmi?», le domandò.
«No. No, è tutto sotto controllo. Il fatto è che non spetta a me dirtelo».
L'ex sovrano guardò Alex, in quel momento intenta a ricambiare lo sguardo di Merlino senza alcuna espressione sul viso, e sospirando le rivolse un tenue sorriso.
«Va bene. Mi fido di te».
Gli strinse forte le braccia intorno al collo, accarezzandogli i capelli biondi con una mano, e chiudendo forte gli occhi sussurrò: «Grazie. Grazie di cuore».
Artù sciolse per primo l'abbraccio per prenderle il volto tra le mani e, posando la fronte contro la sua, mormorare: «Ti amo, Cathleen».
«Anche io. Anche io ti amo, sei la prova che i miracoli esistono e sai... ho pensato e ripensato alla tua proposta...».
«Shhh, non c'è bisogno di ritirare fuori quella storia adesso».
«Non fare shhh a me, Artù», lo ammonì, posando l'indice sulla punta del suo naso. Per un attimo gli occhi del re si incrociarono, facendola sorridere, ma la serietà del discorso la riportò presto in carreggiata. «So che per te il matrimonio è il vincolo più sacro che esista, ma sappi che per me è come se fossimo già un po' sposati». Intrecciò le dita delle loro mani e le guardò teneramente, portandosele poi ai lati del viso. «È con te che voglio la mia seconda chance, okay? Te e nessun altro. E farò di tutto perché il destino non ci strappi anche questo sogno».
Artù ricambiò il sorriso e le posò un lieve bacio sulle labbra, lasciandola poi libera di andare a mettere i piatti a bagno.

***

Alex avrebbe voluto piangere ogni sua lacrima, ma sapeva fin troppo bene che non sarebbe mai successo. Era tutto il giorno che lottava per resistere al richiamo di Excalibur ed era esausta, ma sapeva che proprio come per la maggior parte delle assefuazioni le prime ventiquattr'ore di astinenza erano le peggiori. Aveva assorbito molto potere nell'ultima settimana e per espellerlo tutto ci sarebbero voluti giorni, ma sperava lo stesso che lasciando la spada chiusa a chiave nell'armadio di Artù lei potesse riappropriarsi del suo corpo e delle sue emozioni, belle o brutte che fossero.
Durante l'intera cena non era riuscita a spiccicare parola, schiacciata dall'influenza della magia nera, e una volta sola in veranda aveva cercato di ribellarsi come aveva fatto quel pomeriggio, senza successo. Ecco perché avrebbe voluto piangere, ecco perché sarebbe volentieri tornata indietro nel tempo e rischiare di affrontare Freya senza magia e con una qualsiasi altra spada pur di rimanere se stessa.
Merlino fece scorrere la porta finestra ed uscì in veranda, abbozzando un sorriso impacciato nella sua direzione. Se fosse stata al suo posto - se si fosse trovata davanti alla versione cattiva di Merlino - probabilmente non avrebbe osato tanto.
«Posso?», le chiese, indicando il posto libero sulla piccola panca.
Alex non rispose, anche se avrebbe voluto dirgli che doveva sedersi e stringerla forte tra le braccia, tanto forte da soffocarla o almeno farle perdere i sensi.
Lo stregone si sedette e coi gomiti puntati sulle cosce unì le mani sotto il mento, lo sguardo fisso verso la stalla di Flash.
Avrebbe pagato milioni per sapere quello a cui stava pensando e probabilmente li avrebbe gettati via, perché la tristezza nei suoi occhi era eloquente: era lei il problema, ciò che lo faceva soffrire tanto. Sapevano a che cosa sarebbero andati incontro quando avevano deciso di estrarre Excalibur da quella roccia, ma se avessero anche lontanamente immaginato che si sarebbero sentiti così lontani l'uno dall'altra...
«Okay, non ci girerò troppo intorno», esordì finalmente Merlino, sospirando. «So che puoi sentirmi, Alex, e voglio che tu sappia che sono terribilmente dispiaciuto per quello che stai passando. È colpa mia, tutta colpa mia. Vorrei... vorrei poterti aiutare, ma non so come».
L'infermiera urlò forte, ma l'eco della sua voce rimase dentro la sua scatola cranica. Merlino non doveva sentirsi in colpa, aveva deciso lei di andare fino in fondo!
«Ed è un pessimo momento per discuterne, ma non abbiamo scelta: oggi in ospedale Abby potrebbe aver leggermente anticipato le nostre nozze. Era l'unica a non aver ricevuto il permesso per andare all'agriturismo e ha detto alla dottoressa che non poteva mancare al nostro matrimonio. Quindi... si farà questo week-end».
Il silenzio che Merlino ricevette sarebbe stato lo stesso anche senza la magia nera, tant'era lo shock. Era giovedì, il che voleva dire che al massimo avevano due giorni per organizzare tutto. E lei al momento era impegnata nel cercare di non finire come Morgana!
«Lo so che non era così che te lo immaginavi, nemmeno io a dire il vero, ma ormai non possiamo farci molto. Volevo solo avvisarti e assicurarti che troveremo una soluzione, okay? Voglio sposare la mia Alex, nessun altro».
Merlino posò timidamente una mano sulla sua, abbandonata in grembo, e Alex sentì di nuovo l'impellente desiderio di piangere dal dolore. La sua mano era così vicina al loro possibile bambino...
«Ehi. Alex, sei tu?».
La bionda sbatté rapidamente le palpebre e sentendole muoversi ai suoi comandi, sentendo una lacrima scorrerle sul viso, si voltò di scatto verso Merlino e lo abbracciò stretto, posando il viso contro il suo petto.
«Sono io», singhiozzò, sollevata e con così tante cose da dire da non sapere da dove iniziare. «Non ho molto tempo, perciò non mi interrompere. Non è colpa tua se mi trovo in questa situazione, non voglio più sentirtelo dire. Mi dispiace di non essere abbastanza forte per prendere il controllo, ma ho deciso di stare lontana da Excalibur per un po'. Dì ad Artù di cambiare posto alla chiave dell'armadio, mi raccomando».
Merlino sorrise e tirò su col naso, anche lui con gli occhi lucidi.
«Abby ha fatto bene, sai? Prima di affrontare Freya avremmo dovuto sposarci comunque e in fondo non importa nemmeno quando o come, quello che conta è che saremo io e te: è il nostro matrimonio, dopotutto. E per quel giorno sarò in me, costi quel che costi».
«Non avrei potuto essere più d'accordo», sussurrò lo stregone, posandole un bacio sul capo. «Ti amo, Alexandra».
Anche io, rispose, ma le parole le tornarono indietro come un pacco inviato all'indirizzo sbagliato. Provò e riprovò a trovare il meccanismo in grado di farle riguadagnare il controllo, ma non ci riuscì. Fu costretta ad assistere impotente mentre si liberava dall'abbraccio di Merlino e si alzava per rientrare in casa, lasciandolo di nuovo sopraffatto dalla tristezza.

***

Sabato

«Sono così emozionata! Insomma, damigella d'onore!».
«Non me lo ricordare», esclamò Cathleen, porgendo ad Abby entrambe le mani per aiutarla a salire sul Van che avevano noleggiato per il trasporto dei bambini all'agriturismo.
«Quel posto era mio prima che Merlino decidesse di darlo a te. Non spettava nemmeno a lui decidere!».
La ragazzina sorrise furbescamente e salì sul mezzo, portandosi appresso il carrellino dell'ossigeno. In quei giorni era notevolmente migliorata, ma pur di evitarsi problemi il giorno del matrimonio era disposta a tutte le precauzioni possibili.
«Okay, ci siamo tutti?», chiese il paramedico, capitolando all'interno per contare i bambini e scambiare un sorriso con la signora Chapman, seduta accanto alla nipote. «Benissimo, si parte!».
Il viaggio non durò molto, nonostante Cathleen non avesse mai superato i quaranta chilometri orari per non causare problemi ai piccoli pazienti.
Ad attenderli alla reception trovarono praticamente tutti: Abraham, Wanda e Rebecca Morris, Edwin Greenwood, Merlino e Artù. L'unica grande assente era Alex, la quale era andata a Newport a ritirare il Versace che Merlino le aveva regalato per il galà al castello di Windsor e che lei aveva deciso di trasformare nel suo abito da sposa. Lei lo aveva deciso, proprio così. A quanto pareva, la distanza che aveva messo tra se stessa ed Excalibur l'aveva aiutata a liberarsi dalla presa ferrea della magia nera e ora, ad appena un giorno dal suo matrimonio, aveva quasi il pieno controllo di sé. Non era stato affatto facile e Artù ne aveva sofferto più di tutti, ma alla fine ce l'aveva fatta.
«Benvenuti, è un vero piacere avervi tutti qui», esclamò la signora Morris, sorridendo entusiasta. «Vogliamo che vi sentiate come a casa vostra, quindi...».
«Che diavolo ti è successo all'occhio?!», la interruppe Mark, per poi scoppiare a ridere indicando il livido sul volto di Artù, il quale alzò lo sguardo e sbuffò irritato.
«È una lunga storia», tagliò corto Merlino. In realtà, oltre che lunga si trattava anche di una storia impossibile da raccontare, in quanto nessuno avrebbe mai creduto che a fargli quell'occhio nero fosse stata Alex nel tentativo di impossessarsi di Excalibur.
Dopo la loro breve chiacchierata in veranda Merlino aveva avvisato il sovrano della sua decisione e quando quest'ultimo l'aveva beccata nella sua stanza mentre tentava di scassinare la serratura del suo armadio aveva subito capito che c'era qualcosa che non andava e doveva fermarla. La situazione era ben presto degenerata in una colluttazione in cui Artù non aveva dato tutto se stesso per paura di farle del male e invece l'Alex cattiva non si era fatta tanti scrupoli. Alla fine la vera Alex era riuscita a riprendere il controllo e si era scusata un'infinità di volte, confessando loro che l'ultima cosa che ricordava era che aveva deciso di andare a riposarsi un po' prima dell'inizio del turno in ospedale. La scoperta che la magia nera potesse controllare il suo corpo durante il sonno li aveva spaventati così tanto che da allora non erano più riusciti a dormire serenamente.
«Wanda, Abraham, vi ringraziamo ancora per aver permesso tutto questo», disse Cathleen, togliendo Merlino e Artù dall'impaccio.
«Come ho già detto, è un piacere. Ora Rebecca, tesoro, ci daresti la lista con le camere dei nostri ospiti?», le chiese la madre, per poi rivolgersi di nuovo ai ragazzini e aggiungere: «I nostri ragazzi qui vi accompagneranno di sopra, così che possiate sistemarvi e riposarvi un po'».
«Sono stufo di riposare», esclamò Mark, trovando d'accordo anche Danilo, Gabriel e persino la piccola Jessica.
Abby scosse il capo, con un sorriso dolce sul viso. Il solito fomentatore.
La signora Morris, presa in contropiede, si voltò verso il marito, il quale scrollò le spalle col suo solito aspetto bonario.
«E va bene, inizieremo subito con le attività che abbiamo preparato per voi». L'uomo si avvicinò a Mark e gli prese l'orecchio destro tra le dita, torcendolo un poco. «Ma non voglio sentire nessuno lamentarsi, è chiaro?».
«Sissignore!», si concesse un gridolino acuto, per poi massaggiarsi l'orecchio torturato ed arrossire di fronte allo sguardo divertito di Abigail.
Cathleen e Merlino spinsero le carrozzine dei più piccoli fino al montacarichi solitamente usato dal personale di servizio, mentre Artù si spostò in salotto con la signora Chapman, Mark, Danilo e Abby, in attesa del loro turno.
Rufus lasciò il suo tranquillo posticino accanto al camino per avvicinarsi ai ragazzini ed annusare loro le mani. Ci volle poco perché tornasse a sdraiarsi pancia all'aria sul pavimento in legno per ricevere le loro carezze.
Artù si chinò dietro la sedia a rotelle di Abby, in modo da far quasi sfiorare le loro guance, e le sussurrò: «Sei stranamente silenziosa. Va tutto bene?».
Abby annuì brevemente e quando si voltò verso di lui si limitò a posargli un lieve bacio sulla guancia. L'ex sovrano si assicurò che Mark non avesse visto nulla, poi le rivolse di nuovo la propria attenzione con un sopracciglio inarcato; quindi aprì la bocca per chiederle il motivo di quel bacio, ma non ne ebbe il tempo.
«Ehi, il montacarichi è libero», esclamò Cathleen, tanto all'improvviso che Artù sobbalzò un poco, tirandosi su di scatto.
«Ci stanno solo due carrozzine per volta però, quindi dovremo fare un terzo...», stava spiegando Merlino, ma quella volta fu lui ad essere interrotto.
«Non c'è problema: la porto io Abby, alla vecchia maniera».
«Che coooosa?», squittì Mark, diventando rosso come un peperone mentre guardava il biondo passare un braccio sotto le ginocchia della sua ragazza e avvolgerle l'altro intorno alla schiena per sollevarla.
«Su, non devi essere geloso», gli disse Daisy, ma il modo in cui Abby avvolse il braccio intorno al collo di Artù (con l'altro teneva la bombola d'ossigeno portatile) e soprattutto il modo in cui gli sorrise guardandolo negli occhi, rese nulla ogni tipo di rassicurazione.
Mark si precipitò sul montacarichi e quasi lasciò fuori Danilo, tanta era stata la furia con cui aveva premuto il tasto del primo piano.
Nel frattempo una piccola processione seguì Artù e Abby su per le scale: Merlino con la sedia a rotelle piegata sotto il braccio, Cathleen con le chiavi delle stanze e Daisy Chapman. Abby sarebbe stata nella stanza della nonna ovviamente, perciò una volta in corridoio Cathleen si diresse verso il montacarichi e Merlino riaprì la carozzina per permettere ad Artù di lasciarla andare.
«Grazie mille, da qui ci penso io», disse la nonna sorridendo, ma Abby si voltò più che poté per guardarla negli occhi.
«Posso stare un momento con Artù, per favore?».
L'anziana fu così sorpresa dalla sua richiesta che rimase per qualche secondo in silenzio, a bocca aperta.
«Per favore», insistette Abby e la nonna non poté far altro che acconsentire con un sorriso incerto. Aprì la porta della stanza e la tenne aperta per farla entrare, poi fece cenno ad Artù di seguirla all'interno.
Rimasti soli il re di Camelot ebbe finalmente l'opportunità di chiederle il perché del suo strano comportamento.
«Che significava quel bacio?».
La ragazzina sorrise e gli fece segno di sedersi sul letto, quindi con lo sguardo rivolto verso la finestra rispose: «Ti ho baciato perché ti voglio bene e fino ad oggi eri l'unica persona a cui non l'avessi dimostrato. Conoscerti è stato... confortante. Ho sempre avuto paura che dopo la morte non ci fosse nulla, che il Paradiso fosse solo una bugia per farci sentire meglio, ma tu... tu sei davvero tornato, dopo secoli, e questo mi ha ridato speranza».
«È questo il mio scopo, a quanto pare».
Finalmente Abby lo guardò negli occhi: la sua ossidiana si immerse nel proprio oceano ma non ne venne inghiottita, piuttosto il contrario. Artù sentì un brivido corrergli sulla pelle, una specie di presentimento, e ne capì il perché quando lei gli chiese: «Com'è morire?».
Istintivamente Artù si portò una mano sulla ferita inflittagli da Mordred, ora più che mai pulsante. Abby seguì quel movimento e con uno sforzo voltò la direzione della sua sedia a rotelle per stendere un braccio e sollevargli gentilmente il maglioncino dal collo a V che indossava. Timidamente, senza incrociare i suoi occhi, con le dita sfiorò la spessa cicatrice e rabbrividì un poco.
«Avevo paura», rispose alla fine Artù, prendendo la mano di Abby per stringerla forte tra le sue. «Ero spaventato e il dolore era insopportabile. Volevo che finisse e ho pregato perché la morte mi prendesse».
Abigail abbassò il capo, ma il sovrano le portò un dito sotto il mento perché i loro occhi si fondessero nuovamente. Li trovò arrossati ed umidi di lacrime, ma comunque bellissimi.
«Però c'era Merlino al mio fianco e sai com'è fatto... ha lottato anche per me, mi ha infuso coraggio e alla fine, quando la morte è veramente calata su di me, grazie a lui non avevo più paura. Il dolore è scomparso e sapevo che i miei cari avrebbero sofferto, ma sapevo anche che si sarebbero rimessi in piedi. Il mio corpo è diventato leggero, leggerissimo, ma la stretta di Merlino... è come se fosse arrivata fino al mio spirito. A volte la sento ancora, prima di addormentarmi, pronta a cacciare via gli incubi».
La ragazzina si tolse le canule dalle narici per tirare su col naso e si asciugò le lacrime che le avevano bagnato le guance, ricomponendosi. Addossata contro lo schienale della carrozzina respirò profondamente e gli rivolse un breve sorriso.
«Grazie per avermene parlato, non dev'essere stato facile».
Artù ricambiò il sorriso e si sporse per posarle una mano sulla nuca ed avvicinarle la fronte alle sue labbra, dove le lasciò un bacio delicato. «Quando vuoi», sussurrò.
Quindi si alzò dal letto e la superò per uscire e trovarsi di fronte ad un Mark rosso di gelosia, il quale aveva cercato invano di origliare la loro conversazione.
Artù si chiuse la porta alle spalle e ancor prima che Mark potesse lamentarsene disse piano: «Dalle un paio di minuti».
Quando fu sicuro che il ragazzino avesse recepito la serietà della situazione, si chinò su di lui e posandogli una mano sulla spalla aggiunse: «Stringila forte, okay? Tutte le volte che puoi. Anche quando non vorrà, tu fallo».
Mark annuì, come ipnotizzato dal blu dei suoi occhi, e quando Artù se ne fu andato fece davvero quello che gli aveva detto: aspettò per quella che gli sembrò un'eternità e poi bussò, sorprendendo Abby mentre tentava di sollevarsi dalla sedia a rotelle per sdraiarsi sul letto. Era troppo debole per farcela da sola, perciò il ragazzino non ci pensò su due volte: abbandonò la propria carrozzina e la raggiunse sulle sue gambe, la prese per le braccia e lasciò che si affidasse completamente a lui, artigliando le dita sulle sue spalle. Mark la sostenne e poi l'adagiò con cautela sul letto, raggiungendola di conseguenza. E fece l'altra cosa che Artù gli aveva detto di fare: la strinse forte, incurante che la porta della stanza fosse rimasta aperta o che la signora Chapman potesse beccarli. La strinse forte e pregò perché non dovesse lasciarla mai.

***

«Pronto?».
«Alex, dove sei? Ti sento malissimo!».
«Ti ho messo in vivavoce perché sto guidando. Che cosa c'è?».
«Ti fermeresti a casa? Ho dimenticato il caricabatterie e ne ho bisogno».
Alex sbuffò, stringendo un po' più forte le mani intorno al volante. «È proprio necessario, Artù? Non puoi usare quello di Merlino?».
«Lo sai benissimo che i nostri cellulari sono di marche diverse! Di che cosa si tratta? Oh...».
Finalmente c'era arrivato. Era vero che in quei due giorni era riuscita a contenere la magia nera e che ora la voce dentro la sua testa era lontana e debole, ma non si fidava ancora a stare nei paraggi di Excalibur, specialmente da sola. E se avesse ceduto al suo richiamo? Tutti i suoi sforzi sarebbero andati in fumo e il suo matrimonio sarebbe stato da rimandare, tutto per colpa di un maledetto caricabatterie.
«Vedila come la prova definitiva: se la superi, allora non hai più di che temere».
«Vuoi davvero farmelo fare?! Giuro che se non dovessi farcela questa volta non mi limiterò ad un occhio nero!».
Detto ciò Alex mise bruscamente fine alla telefonata e cambiò itinerario.
Fino ad allora non le era mai capitato di trovarsi da sola a casa di Merlino e il silenzio che l’accolse non appena varcò la soglia le fece uno strano effetto. Come se non bastasse, il richiamo di Excalibur, così facile da raggiungere in quel momento, era più forte e suadente che mai. Dovette continuare a ripetersi il motivo per cui si trovava lì – maledetto Artù – e camminare spedita e con gli occhi puntati sulle proprie scarpe per resistergli. Raggiunta la camera da letto del sovrano però le fu impossibile ignorare la voce metallica che le rimbombò tra le pareti del cranio: “Dovresti portarmi con te, lo sai”.
«Non se ne parla», rispose, aprendo il primo cassetto del comodino. Ovviamente il caricatore non era dove Artù era sicuro di averlo visto l’ultima volta.
“E se Freya decidesse di attaccare proprio quando meno te lo aspetti? Saresti indifesa”.
Excalibur non aveva tutti i torti, ma se non fosse stata abbastanza forte e l’avesse impugnata prima del previsto, mandando a monte il suo matrimonio?
“È più importante il tuo matrimonio o distruggere Freya?”, le chiese ancora, con tono stizzito.
«Distruggere? Mi sembra eccessivo, come termine».
“O lei o Merlino, scegli tu”.
Il cuore le finì in gola a quelle parole e non poté fare a meno di girarsi verso l’armadio, dalle cui fessure proveniva un bagliore dorato inequivocabile.  La spada la conosceva alla perfezione ormai, le era entrata nella testa, e sapeva benissimo che il suo punto debole erano le persone che amava.
A piccoli passi fece il giro del grande letto a baldacchino, fino a ritrovarsi davanti alle ante chiuse.
“Devi fare chiarezza sulle tue priorità, Alexandra”.
L’infermiera strinse i pugni lungo i fianchi e dopo qualche secondo di immobilità in cui le era sembrato di sentire dei battiti provenire dall’interno dell’armadio – un secondo cuore perfettamente sincronizzato col suo – si voltò di scatto e urlando scese in cucina. Aprì un paio di cassetti e mentre cercava le pinze da barbecue notò nella presa sotto la finestra il caricabatterie bianco di Artù.
Imprecando sottovoce contro l’antenato, salì nuovamente al piano di sopra e stendendo una mano verso le ante dell’armadio sussurrò: «Aliese». La serratura scattò e Alex sospirò, trovandosi di fronte un’Excalibur luminescente che, quasi dolcemente, le disse: “Hai fatto la scelta giusta”.
Alex la ignorò e con estrema attenzione afferrò la fibbia del fodero con le pinze, quindi uscì dalla camera da letto reale tenendo il braccio steso davanti a sé, la spada a distanza di sicurezza.
Stava per uscire quando il suo sguardo intercettò una specie di bagliore provenire dalla libreria sopra la televisione a schermo piatto.
Sconsolata lasciò la spada nel portaombrelli - ricevendo in ricambio un paio di epiteti coloriti - e fece il giro del divano. Fu facile individuare la fonte del bagliore misterioso: l'unico oggetto magico presente su quella libreria era l'agglomerato di cristalli che Merlino si era portato a casa per non dover andare ogni volta alla caverna. Peccato che fino a quel momento fosse stato completamente inutile, come se lontano dalla fonte magica avesse perso ogni potere di divinazione.
«Okay, sono qui», esordì, sentendosi una stupida ed una pazza nel rivolgersi a delle stalattiti. Ma in fondo di che si sorprendeva? Pochi minuti prima aveva avuto una conversazione con una spada!
I cristalli si illuminarono nuovamente prima di trasmettere la replica della visione che aveva monopolizzato i suoi sogni per diverso tempo, la visione che teoricamente avrebbe dovuto realizzarsi quella sera stessa.
«Il falò all'agriturismo, i marshmellows, Abby, Cath e me... Sono cose che ho già visto, perché...?». Ma non ebbe il tempo di terminare la domanda perché scorse qualcosa di diverso nella visione, diverso e terribile.

«Ci fai vedere qualcosa?», le domandò ad un tratto la ragazzina, eccitata come una bambina a Natale.
«Merlino non vuole che usi la magia se non è strettamente necessario», disse guardandosi le spalle, verso l’agriturismo, da dove i ragazzi sarebbero tornati a momenti.
«Ma Merlino ora non c’è, giusto?», la stuzzicò anche Cathleen, facendole l’occhiolino. «Dai che non vedi l’ora di mettere in mostra i frutti del tuo allenamento».
Ed era vero. Alex si accertò che Merlino non fosse ancora uscito dalla cascina e sospirò, sussurrando: «Okay, mi hai convinta».
Cathleen e Abby le lasciarono un po’ di spazio e Alex si concesse un respiro profondo prima di stendere una mano verso le fiamme e chiudere gli occhi, bisbigliando: «Upastige draca».
Le sue iridi ebbero qualche difficoltà a diventare dorate, ma quando l'energia parve stabilizzarsi le ceneri incandescenti si sollevarono sopra il falò e diedero vita ad un drago, il quale però si accartocciò quasi subito su se stesso e svanì in una nuvola di scintille e polvere.
«Che... che cos'è successo?», domandò Cathleen preoccupata, ma Alex, rimasta altrettanto a bocca aperta, non riuscì a risponderle. Non solo non avrebbe saputo cosa dirle, ma i ragazzi stavano tornando.  

"Alexandra. Alexandra!"
L'infermiera smise di guardare all'interno dei cristalli e si voltò di scatto, trovandosi a pochi centimetri di distanza dalla donna col viso nascosto dal cappuccio che aveva pregato di rivedere così tante volte. Eccola, finalmente. Aveva così tante cose da chiederle!
"Alexandra, svegliati!", le gridò ancora, stendendo le mani verso le sue braccia per afferrarle, ma esse la trapassarono bruciandole la pelle, le vene e le ossa tant'erano fredde.
«Svegliarmi? Non capisco!», balbettò.
"Fallo, Alexandra! ORA!"
Il suono assordante di un clacson la fece trasalire e nello stesso momento si ritrovò nella sua auto, prossima ad uno scontro frontale con un camion. L'adrenalina prese il sopravvento e questo, oltre all'intervento della donna misteriosa, le salvò la vita: sterzò bruscamente e tornò nella propria corsia giusto in tempo.
Alex strinse forte il volante, gli occhi sbarrati fissi sulla strada oltre il parabrezza, e non appena poté accostò. Solo allora riuscì a respirare profondamente e a rendersi conto di quanto stesse tremando: il respiro, le mani, le lacrime che le velavano gli occhi, i denti. Si slacciò la cintura di sicurezza ed uscì dall'auto, inspirando quanta più aria i suoi polmoni potessero contenere mentre con le mani si tirava indietro i capelli.
Non le era mai capitato di avere una visione ad occhi aperti e non era pronta, affatto. Per quanto tempo aveva guidato senza saperlo? Era un miracolo che fosse ancora viva. Per non parlare poi di ciò che aveva visto! Era troppo da metabolizzare, troppo.
Il cellulare iniziò a suonare e Alex lo tirò fuori dalla tasca dei jeans per sentire di nuovo i sudori freddi: era Artù che la stava chiamando.
Appoggiandosi al cofano caldo dell'auto, rispose con tono incerto: «Pronto?».
«Alex, dove sei?».
Le stesse parole che le aveva rivolto nella visione...
«Ahm, per strada. Ti... ti serve qualcosa?».
«In effetti sì! Ti fermeresti a casa? Ho dimenticato...».
«Il caricabatterie», concluse per lui, passandosi una mano sul viso.
«Esattamente! Come facevi a saperlo?».
Prima regola delle visioni: attenzione agli spoiler.
«Io, ahm... mi sembrava di averlo visto in cucina questa mattina, prima di uscire di casa».
«In cucina? E io che pensavo fosse in camera da letto... Comunque, andresti a prenderlo? Ne ho bisogno».
Alex ripensò a ciò che l'aspettava a casa e decise di tentare la sorte: aveva visto attraverso i cristalli che quella sera sarebbe rimasta a corto di magia, perciò aveva ragione di credere che non avrebbe ceduto ad Excalibur. Tolto questo fardello, poteva sfruttare l'occasione per verificare per la prima volta cosa volesse dire avere un vantaggio sugli eventi non ancora accaduti: cosa poteva accadere cambiando il futuro? Era davvero possibile cambiarlo?
«Va bene, vado», rispose alla fine, ricordandosi di Artù.
«Ah, è stato facile! Avevo come il presentimento che ti saresti opposta per via di Exc-».
Alex pose bruscamente fine alla telefonata e tornò dietro al volante.

***

Merlino si appoggiò allo steccato che definiva lo spazio per i cavalli, dove al momento Artù stava conducendo il cocchio per i due piccioncini del gruppo, Mark e Abigail.
Provò di nuovo a chiamare Alex, ma continuò a non rispondergli. Sospirò e si stropicciò il viso con le mani, fino a quando con la coda dell'occhio non vide Cathleen raggiungerlo.
Il paramedico diede le spalle alle travi di legno per issarsi su quella più alta e sedersi incastrando gli anfibi tra quelle più in basso.
Prima che potesse chiedergli qualsiasi cosa, Merlino le domandò: «Dove sono Danilo, Gabriel e Jessica?».
«Stanno aiutando Wanda a preparare una torta di mele. Tu invece, tu dove sei?».
Merlino le rivolse un sorriso dubbioso. «Sono qui, mi vedi».
«Nah, la tua testa è da un'altra parte e sono pronta a scommetterci le chiappe che stai pensando ad Alex. Non doveva essere già tornata, a quest'ora?».
A che scopo fingere che non fosse come diceva?
«Ho un brutto presentimento, Cath», confessò.
La rossa si sporse verso di lui per massaggiargli la schiena ossuta, in segno di conforto. «Sei solo nervoso per domani, è normale».
«Domani...», ripeté Merlino, sospirando nuovamente. «Inizio a pensare che sia una pessima idea sposarsi con Freya là fuori, pronta ad attaccarci in qualsiasi momento».
«Ehi, se fosse davvero pronta ad attaccare Darrell ci avviserebbe, no?».
«Suppongo di sì», mormorò, alzando gli occhi nei suoi. «Mi sto facendo prendere dal panico, uh?».
Cathleen sorrise a trentadue denti e saltò giù dalla staccionata per gettargli le braccia intorno al collo. «Andrà tutto bene, ne sono certa».
«Ragazzi!».
I due sciolsero l'abbraccio per voltarsi verso Artù, il quale aveva appena tirato le briglie del proprio cavallo per fissare quello nero che era appena comparso dal fitto della foresta. A guidarlo, una ragazza dai lunghi capelli biondi scompigliati dal vento.
«Ma quella è Alexandra!», esclamò Mark, strabuzzando gli occhi.
Vederla cavalcare in quel modo era sempre sconvolgente, tanto era bella e naturale in ogni sua mossa: sembrava nata per stare in sella.
Nei pressi della staccionata l'infermiera disse a Flash di rallentare e lo stallone nitrì, fermandosi poco dopo per annusare il muso del cavallo da traino.
«Ciao a tutti», esordì con un pallido sorriso, mettendo i piedi per terra. «E scusate il ritardo. Mi sono persa qualcosa?».
«No, nulla di particolare», rispose Cathleen, raggiungendola per prenderle dalle braccia la custodia scura in cui c'era il suo vestito da sposa.
«Ho provato a chiamarti», la rimproverò invece Merlino, per poi accarezzarle il viso con apprensione.
Alex deviò il suo sguardo, sorridendo nervosamente. «Scusami, non l'ho sentito».
«Va tutto bene? Mi sembri... strana», le disse, ma non le diede il tempo per dargli spiegazioni: appesa alla sella di Flash vide niente meno che Excalibur. «Alex... Perché l'hai portata qui? Come...?».
«Per favore Merlino, possiamo rimandare? Sto morendo di fame».
Detto questo lasciò Flash alle cure di Artù e superò Merlino per entrare nella cascina, dove sperava di trovare qualche dolce appena sfornato.
Lo stregone, sempre più preoccupato, fissò Cathleen in una silenziosa richiesta d'aiuto. Lei corrucciò le labbra ed abbassando vergognosamente lo sguardo gli diede le spalle per seguire i passi di Alexandra.
«Donne», sbuffò Artù mentre apriva il recinto per farvi entrare il destriero nero. «Chi le capisce è bravo».
Per una volta Merlino dovette dargli ragione.

***

«Che diavolo!», esclamò Cathleen, raggiungendola sulle scale che portavano alle camere. Rischiò anche di cadere, inciampando sulla custodia del vestito.
«Lo diventerò io, se mi rovini l'abito!», gridò Alex, prendendoglielo dalle braccia con fare protettivo.
«Così non va, okay? Non puoi continuare a mentire a Merlino! Adesso la spada non ti possiede più, non hai scuse!».
Alex si voltò di scatto e la guardò dall'alto, con quel suo sguardo intimidatorio che la faceva somigliare moltissimo ad Artù.
«Credi che sia tutto qui? Che sia così semplice? Tu non hai idea del peso che grava sulle mie spalle!».
«No, non lo so e non lo saprò mai», sussurrò Cath, salendo un paio di gradini per guardarla negli occhi da più vicino. «Ma non sei sola, Alex. Possiamo aiutarti, se solo ti aprissi con noi».
La bionda alzò gli occhi al cielo, ma dopo qualche istante tornò a fissare quelli dell'amica con un'espressione totalmente diversa: triste, stanca, sull'orlo di una crisi di nervi.
Le porse una mano e Cathleen l'afferrò e la strinse forte, seguendola fino alla stanza che avevano assegnato loro. Ovviamente lei e Merlino non avrebbero dormito insieme quella notte, come voleva la tradizione.
Una volta chiusa la porta, Alex si sedette sul bordo del letto e si prese il viso tra le mani, iniziando a farfugliare imprecazioni.
«Ehi... ehi, è tutto okay», cercò di tranquillizzarla la rossa, accarezzandole la schiena. «Dimmi che cos'è successo».
«Okay», rispose quando si calmò, concedendosi un respiro profondo. «Ahm, da dove comincio?».
«Dall'inizio sarebbe l'ideale».
Alex le lanciò un'occhiata arrendevole. «Se solo fosse facile, capire quando tutto è iniziato».
In un modo o nell'altro le raccontò della visione e del suo risveglio in auto, dell'incidente sfiorato e di come gli eventi che aveva già vissuto avessero iniziato a ripetersi. Dopo la conversazione con Artù per il suo caricabatterie - di cui lei già sapeva tutto - era andata a casa con l'unico scopo di capire se gli eventi potessero davvero cambiare, se potesse sfruttare le visioni a suo vantaggio oppure dovesse attenercisi per non scatenare conseguenze catastrofiche nella linea temporale.
La realtà dei fatti era che non era successo niente di quello che aveva visto. Forse proprio perché l'aveva visto, o forse perché stava soltanto diventando pazza e si era sognata tutto. Certo, la chiamata di Artù era successa veramente, ma poteva trattarsi di una coincidenza. Una coincidenza molto bizzarra, ma pur sempre una coincidenza.
Excalibur non le aveva parlato, incitandola a portarla con sé all'agriturismo, né i cristalli avevano attirato la sua attenzione per mostrarle la visione in cui realizzava di aver consumato tutta la sua riserva di poteri.
«Aspetta, quale visione?», le chiese Cathleen, scioccata. «Non ce ne hai mai parlato!».
«Non è saggio condividere le visioni».
«Chi te l'ha detto, Merlino?».
«No, l'ho provato sulla mia pelle. Le persone si lasciano condizionare e... insomma, è complicato».
«Ecco, ci risiamo: i segreti di Alex. Suona bene, dovrebbero farci un film».
L'infermiera si tirò indietro i capelli e smise di raccontare, decidendo di non rivelarle l'apparizione della donna miseriosa, nè della sua cavalcata fino alla tomba di Morgana, colei che pensava si celasse sotto quel cappuccio. Aveva gridato il suo nome, pregandola di farsi vedere, ma non aveva ricevuto risposta. Forse l'avrebbe vista quella sera, come nelle sue precedenti sbirciatine al futuro.
Cathleen, ancora al suo fianco, sospirò e le prese una mano tra le sue. «Ascolta, Alex: le persone normali riescono a sopravvivere senza sapere in anticipo cosa succederà, quindi non vedo perché non dovremmo riuscirci anche noi».
«Forse perché Freya può attaccarci in qualsiasi momento col suo esercito di maghi e chissà cos'altro?», le domandò con tono sarcastico.
«Come ho detto a Merlino: per quanto riguarda Freya abbiamo Darrell a coprirci le spalle».
L'infermiera non pensava che affidarsi a lui fosse la cosa giusta da fare, soprattutto perché ciò che gli permetteva di avere informazioni su Freya era un'incantesimo pronunciato dalla stessa Dama del Lago e che perciò dava a lei gli stessi privilegi del poliziotto. Ma non avevano altra scelta, no?
«Lo so che non ne vuoi parlare, però... in quella visione non è che hai visto...?».
Alex seguì il suo sguardo ammiccante e si ritrovò a guardarsi il ventre. Si abbracciò in modo protettivo e fissò il pavimento, serrando le labbra. Qualcuno bussò con decisione alla porta e non dovette essere scortese.
«Avanti!», esclamò frettolosamente, alzandosi addirittura per andare ad aprire.
«Scusate se vi disturbo», esordì Artù, sbirciando all'interno. «Mentre aspettiamo che la cena sia pronta i bambini hanno chiesto di poter guardare un film tutti insieme, volete venire?».
«Certo, ottima idea! Fammi solo... rinfrescare un attimo, va bene?».
Cathleen sospirò e si alzò dal letto per lasciarla sola. Mentre usciva chiese ad Artù: «Che film si guarda?».
«La spada nella roccia. Merlino l'ha portato dall'ospedale, così che potessi finalmente vederlo».
«Ottimo, abbiamo tutti bisogno di ritornare spensierati e sinceri come i bambini».
Cathleen gettò un'ultima occhiata ad Alex, la quale ignorò la frecciatina e chiuse la porta. Ci si appoggiò con la schiena e chiudendo gli occhi si portò le mani sul ventre. Se lo accarezzò con tenerezza e le venne quasi da sorridere, mentre lacrime di incertezza e paura le rigavano il volto.

***

Erano stati gli ottanta minuti più strani della sua vita.
Quel cartone animato non rappresentava affatto ciò che era successo a Camelot, come lui fosse diventato re e quale ruolo avesse avuto la magica spada nella roccia, eppure aveva notato dei dolorosi parallelismi.
Mago Merlino era stato rappresentato come un vecchio potente e di buon cuore, imbranato, facilmente irritabile e a cui stava molto a cuore il destino di Artù - per tutti Semola - per il quale avrebbe anche barato con la magia se necessario.
Il padre adottivo del giovane somigliava terribilmente al suo, Uther Pendragon, con la sua severità e il suo odio per la magia. Ma Semola, al contrario di ciò che aveva fatto lui, aveva difeso il mago, ribellandosi per la prima volta per affermare: «Solo perché non capite qualcosa, non vuol dire che sia sbagliata!». Avrebbe dato di tutto per tornare indietro nel tempo e dire le stesse parole a suo padre, per impedire che molte persone innocenti morissero ingiustamente.
E che dire di Caio, il fratellastro? Si era profondamente vergognato quando si era reso conto che spesso e volentieri anche lui aveva trattato Merlino alla stessa maniera, disprezzandolo come scudiero e rifilandogli i lavori più umilianti.
Quel cartone animato avrebbe dovuto farlo sorridere, invece gli aveva lasciato più amaro in bocca di quanto si sarebbe mai aspettato. Aveva fatto così tanti errori, da giovane... E a molti di questi non avrebbe mai potuto rimediare.
Le luci del salotto si riaccesero grazie a Cathleen, la quale si era alzata non appena erano partiti i titoli di coda, e solo allora Artù si rese conto che Alex e Merlino erano spariti. Cercò lo sguardo del paramedico e lo trovò tanto confuso quanto il proprio. Quando si erano allontanati?
Il sovrano si alzò a sua volta, sentendo le ginocchia gemere per la posizione scomoda a cui le aveva costrette per troppo tempo, e raggiunse il paramedico.
«Vado a cercarli, tu resta qui con i bambini».
«Artù...», lo trattenne Cathleen, afferrandolo per il polso.
Non era la prima volta che vedeva quell'espressione sul suo volto: sembrava in conflitto, addolorata per qualcosa.
«Forse dovremmo lasciare loro un po' di spazio. Hanno tante cose da dirsi».
«Che cosa? Che significa?».
Cathleen sobbalzò, lasciandolo andare. «Niente. Sai com'è... cose da... da matrimonio».
Non gliela raccontava giusta. Forse, dopo anni trascorsi a non accorgersi delle menzogne delle persone che gli stavano accanto, stava iniziando ad imparare.
«Cathleen... Si tratta di quello che non puoi dirmi? Perché chiaramente è un peso che non riesci a sopportare e io non voglio più vederti in questo stato».
Il paramedico si torturò le labbra con i denti, gli occhi pieni di dubbi. Alla fine lo afferrò di nuovo per il polso e lo trascinò nel disimpegno dove c'era il bancone della piccola reception. Dopo essersi accertata che nessuno avesse notato il loro allontanamento - grazie alla perfetta imitazione di Anacleto di Mark - la rossa prese il volto di Artù tra le mani e lo fissò intensamente negli occhi.
«Okay, hai ragione: non ce la faccio più a tenermelo per me», esordì a bassa voce. «Ma devi promettermi che non ne farai parola con nessuno».
«Cathleen...».
«Promettimelo, Artù».
L'ex re di Camelot fu costretto a cedere. «Prometto».
«Okay, allora...». Intrecciò forte le mani e respirò profondamente per farsi coraggio, dondolando anche sui talloni tanto era il nervosismo. «Si tratta di Alex».
«E fino a qui mi era piuttosto chiaro», sbottò il biondo, iniziando a perdere la pazienza. «Avanti, dimmelo! Quanto potrà essere...?».
«Alex potrebbe essere incinta», farfugliò Cathleen, così piano e così veloce che nessuno avrebbe potuto capire il senso delle sue parole. Incredibilmente però Artù ci riuscì e ne fu così sconvolto che rimase a bocca aperta, col cuore sul punto di cedere prima del tempo.
Notando le sue condizioni Cathleen si prodigò nel farlo sedere sulla piccola panchina imbottita posta proprio di fronte al bancone e poi si chinò tra le sue gambe, stringendogli forte le mani tra le sue.
«Potrebbe, ho detto potrebbe!», tentò di rassicurarlo. «Sono solo sospetti. Alex... si rifiuta di fare il test».
«Test?», ripeté Artù con sguardo stordito, quasi spiritato.
«Oh... Nel Medioevo non avevate i Clearblue, eh? Come facevate a sapere se una donna aspettava un bambino?».
Artù fissò il pavimento e parve sul punto di volersi scavare una fossa, ma Cathleen abbozzò un sorriso e sedendosi al suo fianco disse: «Non voglio saperlo davvero. Ti basti sapere che adesso le cose sono molto semplici. Ciò nonostante, Alex sostiene di non volerlo sapere fino a quando non avrà sconfitto Freya. Dice che se fosse davvero incinta avrebbe troppa paura di scendere in battaglia».
Il silenzio in cui era piombato Artù continuò per i due minuti successivi, nei quali Cathleen aveva provato di tutto per ottenere una reazione. Quando finalmente si voltò a guardarla aveva gli occhi lucidi di lacrime.
«Non dovevi dirmelo, Cathleen», sussurrò addolorato. Aveva perso la sua famiglia, i suoi amici, sua moglie e il figlio che non aveva mai conosciuto. Ora aveva ritrovato Merlino, la sua ultima discendente, un amore... Non voleva perdere tutto una seconda volta, non poteva.
«Adesso come farò a...? Non posso rischiare la vita del mio bis-bis-bis-bis...».
«Me l'hai promesso», lo minacciò con ben poca cattiveria, finendo poi per abbracciarlo. «Ehi, adesso siamo in due: possiamo tenerci d'occhio a vicenda».
Artù annuì piano col capo e sciolse l'abbraccio per accarezzarle una guancia. Cathleen sorrise dolcemente e gli posò un leggerissimo bacio sull'angolo della bocca, quindi si alzò e gli porse entrambe le mani per aiutarlo a fare lo stesso.
«Ah, eccovi qui ragazzi!», esclamò Wanda. «Scusatemi, ho interrotto qualcosa?».
«No, nulla», rispose Artù con gentilezza.
«Bene. La cena è pronta. Sapete dove sono Alex e Merlino?».
I due si scambiarono un'occhiata e sospirando dissero all'unisono: «Andiamo a cercarli».

***

Merlino non ce l'aveva più fatta. Vedersi in quel cartone animato non avrebbe causato alcun problema se lo avessero guardato un mese prima, quando la vita di tutti era incasinata ma semplice, specialmente per lui ed Alex.
La sua controparte di fantasia aveva detto tante cose sagge e giuste, ma una citazione in particolare lo aveva costretto ad alzarsi dal pavimento e ad allontanarsi. Protetto dall'oscurità simile a quella di un cinema, nessuno tranne la persona al suo fianco l'aveva notato, la stessa persona per cui stava soffrendo così tanto e senza saperne il perché.
«Vedi, giovanotto, questa faccenda dell'amore... è una cosa potentissima!».
«Più forte della gravità?», aveva chiesto il piccolo Artù al suo tutor.
«Beh, sì figliolo, in un certo senso... Io direi che è la forza più grande sulla Terra!».
Mai parole più vere erano state pronunciate. E odiava ammettere che non fossero sue.
Alex l'aveva evitato tutto il pomeriggio e ormai gli era chiaro che c'era qualcosa che la turbava e di cui non voleva metterlo a conoscenza. Ora finalmente capiva come doveva sentirsi Gaius quando lui si comportava allo stesso modo. Peccato che nel suo caso finiva sempre per cedere e confessare tutto al medico di corte, mentre con Alex, molto più simile all'antenato, insistere e promettere del pudding non era sufficiente. Anzi, farle pressione non avrebbe che peggiorato la situazione e dato che sentirla così lontana - per di più nei giorni in cui avrebbero dovuto essere una cosa sola - gli faceva così male da non riuscire quasi a respirare, aveva deciso di lasciare il salotto e rifugiarsi nelle stalle, il posto che più gli ricordava casa.
Aveva perso la cognizione del tempo, pensando e ripensando ad una soluzione, e quando sentì dei passi avvicinarsi ai box dei cavalli Merlino voltò semplicemente il capo verso l'ingresso. Mai si sarebbe aspettato di vedere proprio l'infermiera.
«Sapevo di trovarti qui», esordì appoggiandosi con una spalla allo stipite dalla vernice verde scrostata, le mani nelle tasche dei pantaloni color verde militare e una gamba incrociata davanti all'altra.
Era così simile ad Artù... Quante volte il re di Camelot l'aveva guardato allo stesso modo, con il dolore negli occhi e le labbra sorridenti per cercare di compensarlo, troppo orgoglioso per ammettere che c'era qualcosa che non andava? I Pendragon erano sempre stati in conflitto con i propri sentimenti: li ritenevano una debolezza, una cosa da femminucce. Ma non Alex. No, fino a poco tempo prima era sempre stata aperta e sincera, pretendendo lo stesso anche da lui, e riconoscere quanto fosse cambiata, come i ruoli si fossero invertiti nella loro relazione... fu l'ennesima coltellata al cuore.
Fu allora che vide il foulard rosso che portava al collo. Alex chinò il capo fino a sfiorare la stoffa con il naso e traendo un respiro profondo lo accarezzò con le dita. Forse non era troppo tardi, forse c'era ancora speranza.
«Spero non ti dispiaccia», gli disse ancora, evitando il suo sguardo.
«No, affatto», rispose Merlino con un lieve sorriso. «Il rosso è il tuo colore».
A quel punto il silenzio calò di nuovo tra loro e lo stregone continuò a fissare l'ibrido che aveva di fronte - metà Pendragon e metà strega - fino a quando non ricordò di aver detto pressoché le stesse parole ad Artù in merito a suo figlio Graalmir. Come sua discendente, Alex combinava entrambe le qualità e forse era per questo che era stata scelta per portare sulle spalle il gravoso fardello del destino.
Finalmente la bionda si staccò dallo stipite e sospirando afferrò un secchio di latta vuoto, lo capovolse e vi si sedette in modo da trovarsi davanti a lui, dall'altra parte del corridoio.
Con le braccia incrociate sopra le ginocchia disse semplicemente: «Mi dispiace».
«Per che cosa?», chiese Merlino, fingendo di non capire proprio come faceva con Artù per spronarlo ad articolare un discorso.
E allo stesso modo Alex alzò gli occhi al cielo prima di rispondere: «Ti ho a malapena rivolto la parola oggi. Devi scusarmi, non era mia intenzione. Io... sono solo stanca e stressata».
Merlino le rivolse uno sguardo di sufficienza, nonostante gli facesse malissimo mantenere le distanze: doveva farlo però, se voleva tutta la verità.
L'infermiera non si aspettava quella reazione, ma anziché lanciargli contro qualcosa come avrebbe fatto l'antenato si sollevò un poco e trascinandosi dietro il secchio si avvicinò allo sgabello di Merlino per stringergli le mani e portarsele alla bocca a mo' di preghiera.
«Parlami, ti prego».
«Ti ricordi quando tu mi feci promettere di non mentirti?», le chiese alla fine, guardandola intensamente negli occhi. «Io usai una scappatoia: non potevo mentirti su ciò che non sapevi, perciò continuai a mantenere il mio segreto».
Alex allentò la presa, la fronte corrugata e un velo di preoccupazione nella voce. «Dove vuoi arrivare?».
«So che mi stai nascondendo qualcosa, Alex. E ho provato a far finta di niente, a credere che prima o poi avresti aperto tu l'argomento, quando saresti stata pronta».
«Merlino...».
«Fammi finire, per favore», sussurrò chiudendo gli occhi traboccanti di vera sofferenza. «Domani dovremmo sposarci e mi dispiace, mi dispiace davvero, ma non posso farlo se non mi dici che cosa ti sta succedendo».
Alex rimase in silenzio, con le labbra socchiuse e gli occhi sgranati, e Merlino non poté far altro che alzarsi e dirigersi verso l'uscita. Era ormai fuori quando l'infermiera gli domandò: «Mi stai davvero dando un ultimatum?».
Lo stregone strinse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, e nel voltarsi si appoggiò allo stipite con una mano. «Mi dispiace. Non vedo cos'altro potrei fare, a questo punto».
Si scambiarono uno sguardo sofferto, consapevole di avere entrambi la propria dose di colpa. Merlino fu sul punto di crollare, di rimangiarsi tutto di fronte a quegli occhi verdi di solito pieni di vita e allegria di cui ora era rimasto solo il ricordo, ma Artù e Cathleen li interruppero giusto in tempo.
«La cena è pronta», esclamò Artù con tono incerto.
«Sì, arriviamo», mormorò il mago mentre Alex si alzava e con le braccia strette al petto, come a volersi confortare da sola, li raggiungeva a piccoli passi. Era come se volesse tenersi a distanza di sicurezza dal moro e così fu, dato che questo si avviò verso l'agriturismo senza aspettarli né guardarsi più indietro.


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Ehilà, eccomi tornata con questo capitolo che è un grumo di dolore, ammettiamolo. Ormai non manca molto alla fine e i nodi stanno venendo tutti al pettine.
Merlino e Alex si sposeranno? Lei gli dirà di essere incinta (se lo è)? E Freya quando attaccherà?
Grazie per essere arrivati fino a qui e per la pazienza!
Alla prossima :)

   
 
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