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Autore: Akisan    23/10/2017    5 recensioni
A volte il destino riserva sorprese mozzafiato, ricche di avventure e compagni formidabili.
A volte, invece, decide semplicemente di prenderti per i fondelli.
Così, senza neanche sapere bene il perché, Alex si ritrova suo malgrado a fare comunella con un Arrancar con seri problemi di gestione della rabbia, una ragazzina logorroica totalmente priva di buonsenso, e un individuo subdolo che, secondo lei, ha buone probabilità di discendere direttamente dal demonio.
Il tutto in un ambiente ricco di Hollow, gatti, sarcasmo allo stato brado e situazioni equivoche.
Mooolto equivoche.
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Alex: «Sono distrutta. Abitiamo in un anfratto sconosciuto nella provincia del Nulla, come diavolo fanno ad esserci così tanti serial killer?»

Liz: «Non è giusto, non ce l’avevano detto che entrando in polizia avremmo avuto così poco tempo libero!»

Alex: «Neanche la vittima dell’ultimo delitto ha più molto tempo libero.»

Liz: «Ops. Un’altra persona che come noi stasera non vedrà le nuove puntate di Once Upon a Time. Solo che lei è morta e noi invece dobbiamo indagare sulla sua dipartita. Non ce li abbiamo una vecchietta impicciona o un moccioso saccente alto come un comodino che facciano il lavoro al posto nostro?»

Alex: «Per caso stai cercando di aumentare il tasso di omicidi?»

Liz: «Quindi un prete in bicicletta è fuori discussione?»

Alex: «Pensavo piuttosto di affidare le indagini a quel novellino dall’aria sofferta che ha il potere di vedere le sfumature dell’anima altrui e che si sente a disagio vicino ai criminali per via della loro aura maligna.»

Liz: «Ottima idea! Peccato solo che stare a stretto contatto coi criminali lo metta così in crisi. Verrebbe quasi da pensare che la cosa potrebbe causargli un danno psicologico, oltre che quasi sicuramente fisico. Saremmo mica così irresponsabili?»

Alex: «Hai ragione. Meglio farlo seguire da uno strizzacervelli. Uno che sorrida molto in maniera assolutamente non inquietante e che non abbia l’abitudine di invadere lo spazio personale altrui. E che lo inviti spesso a cena.»

Liz: «Bella lì.»

 
 
Bleach non mi appartiene. Grimmjow non mi appartiene. Nessuna scrivania è stata spaccata durante il mio blocco dello scrittore. Nessun vicino di biblioteca è stato spaventato da improvvisi gesti di frustrazione proveniente dalla mia persona. Nessuna pagina bianca di word col suo puntatore a sbarretta lampeggiante è stata maledetta per aver sbeffeggiato la mia incompetenza. Nessun paragrafo è stato cestinato con repulsione il giorno dopo essere stato scritto con entusiasmo pensando di aver appena avuto l’idea del secolo. Nessuno dei miei personaggi riflette in alcun modo il mio stato d’animo. LA VITA È BELLA, OKAY?

 
 
Capitolo 47: Piccoli Brividi. Ma proprio piccoli.

 
Tonk.

Tonk.

Tonk.

Ahi.

Tonk.

Ahia.

Tonk.

Okay, basta.

Promemoria per il futuro: sbattere continuamente la testa contro uno specchio (anche se solo mentale) non era il modo migliore per costringere il proprio cervello a collaborare e accettare senza proteste le nuove informazioni.

D’altra parte, la scelta era tra fare quello o correre in cerchio strillando.

Mmmmh, trauma cranico o panico isterico?

La vita era densa di interrogativi laceranti.

Alex se ne era posti parecchi ultimamente: perché il suo mondo interiore era ricoperto di specchi, contando che lei a malapena gettava uno sguardo alla sua immagine riflessa al mattino quando si pettinava? Era forse un messaggio subliminale dell’Universo del tipo: “Presta più attenzione al tuo aspetto fisico, stupida barbona”?

Perché da Meiko era riuscita perfettamente a mantenere una parvenza di sanità mentale, mentre ora riacquisendo quei ricordi si sentiva come se avesse appena comprato un biglietto di sola andata per la Landa dei Pazzi Furiosi dalla compagnia leader mondiale nella produzione dei coperchi da battere?

Quanto tempo era passato da quando Dania aveva sfondato le sue barriere mentali con la delicatezza di un autotreno in corsa?

Ore?

Giorni?

Qualche era geologica?

Quante botte le avrebbe rifilato su quelle curve perfette una volta risvegliata?

Quante ne avrebbe somministrate senza alcun ritegno a Grimmjow per averla ficcata in quella situazione?

Quale distorta e malaugurata linea di pensiero poi l’aveva condotta a fare un’azione così sconsiderata e imbecille come legarsi sentimentalmente a lui?

O a farsi nuovamente coinvolgere in una storia che già una volta le era costata la vita?

A questo proposito, doveva ricordarsi di fare due chiacchiere con Urahara.

Già, perché finché era stata solo e completamente Alex, era stato facile (più o meno) accettare la spiegazione della reincarnazione e non farsi troppe domande. Meiko muore e si reincarna in Alex. Facile. Lineare.

Un cazzo proprio.

Lungi da lei presumere di sapere proprio tutto sulla meccanica del continuo traffico di anime tra mondo umano, Soul Society, Inferno e Hueco Mundo, ma così a naso le veniva da pensare che probabilmente un Hollow non avrebbe dovuto reincarnarsi in un essere umano.

E non un essere umano qualsiasi, nooo, guarda tu il caso proprio in un’umana destinata a vivere lì nei dintorni e finire di nuovo risucchiata nella stessa storia che l’aveva fatta ammazzare.

A meno che il suddetto Hollow non andasse a morire proprio di fronte ad uno Shinigami noto per pacioccare con le anime.

Ooooooh sì, Urahara le doveva decisamente delle spiegazioni.

Tonk.

Ma porca…!

No, sicuramente l’avevano presa in giro, non c’era alcun modo in cui tutti quei ricordi avrebbero potuto starci dentro la sua scatola cranica, piuttosto si sarebbe cacciata due dita in gola e li avrebbe sputati fuori così!

Dove diavolo era un pensatoio quando serviva?

L’unica nota positiva era che la personalità di Meiko se ne era rimasta a cuccia.

Non che Meiko fosse effettivamente un’altra persona pronta a soppiantare Alex alla guida del suo corpo, il che significava che grazie alle loro occasionali discussioni Alex aveva sbloccato l’achievement “Schizofrenica a Piede Libero”.

Evvai.

Detto questo, se Alex fosse stata appena un po’ più lucida, probabilmente si sarebbe chiesta da dove arrivasse l’energia che la stava sostenendo nella sua lotta per non farsi inglobare completamente dai ricordi di Meiko. Peccato che invece stesse impiegando il suo tempo a tirare testate contro una superficie riflettente, ragion per cui aspettarsi da se stessa una linea di pensiero logica e fondata su solide basi probabilmente era un po’ eccessivo.

Non riusciva neanche a soffermarsi abbastanza sul pensiero dei suoi amici per chiedersi che ne fosse di loro e in che stato li avrebbe trovati nel caso in cui si fosse risvegliata con almeno due neuroni al posto giusto, invece che impastati insieme a formare una marmellata di cervello e personalità confuse.

La lucidità andava e veniva, la sanità mentale era un lontano miraggio e ODDIO STAVA DI NUOVO PRENDENDO A TESTATE QUELLO STUPIDO SPECCHIO ADESSO BASTA VERAMENTE!
      

Mentre la testa di Alex era in tal modo impegnata ad affrontare la battaglia della vita contro la sua vetrosa nemesi, il resto del suo corpo era affidato alle cure di mani più che competenti…

 
«… e poi gli altri genitori hanno chiamato la polizia perché pensavano che ci avessero rapite! Ti ricordi che ridere quando tua madre è arrivata sbraitando per spiegare che quella banda di motociclisti ti faceva da baby sitter tre volte alla settimana?»

Normalmente, Alex avrebbe fatto una smorfia con un sospiro, giusto per fare un po’ di scena, per poi farsi scappare un sorriso appena i loro sguardi si fossero incrociati.

Questa volta invece non fece proprio niente, probabilmente perché era troppo impegnata ad essere in coma.

E non il coma delle favole, dove si rimaneva magicamente in stasi con un filo di ombretto sulle palpebre, i capelli sempre con la piega, le mani incrociate serenamente sul petto e un tappeto di fiori bianchi come materasso.

No, questo era il tipo di coma in cui un corpo, anche se addormentato, aveva comunque delle funzioni da espletare e un’igiene da mantenere, oltre che una sicurezza personale da garantire.

Beh, se non altro aveva smesso di rotolare giù dal letto in preda alle convulsioni.

Visto? Non era poi così male!

«Forza, bella addormentata, è l’ora del bagnetto! No, non voglio sentire storie, non vorrai mica svegliarti tutta sporca e puzzolente, vero?»

Certo, Alex ovviamente non stava mangiando, quindi il suo intestino non aveva motivo di funzionare (senza contare che la sua attuale dieta a base di energia spirituale fornita da loro era straordinariamente priva di scorie), tuttavia almeno una volta al giorno c’erano comunque del sudore da asciugare, della pelle da pulire, dei vestiti da cambiare e via discorrendo.

Perciò anche questa volta Liz aveva preparato la solita tinozza d’acqua con una spugna e degli asciugamani.

Mettendosi al lavoro, si chinò per sussurrare con aria cospiratoria: «In realtà mi sto nascondendo da Aramis. Sono giorni che mi insegue per costringermi a mangiare tonnellate di carne. Non è colpa sua, contando che da quando tu sei in questo stato apparentemente è l’unica cosa che riesco a mandare giù per via dell’energia che ti sto fornendo, o qualcosa del genere. La cosa comincia a farmi sclerare un po’, se devo essere sincera. Non sono mai stata vegetariana, ma così si esagera.»

Qualche ora, qualche kilometro e qualche malumore più in là, Aramis spezzò il collo della sua preda con un gesto secco.

Che il mondo prendesse atto del grande impegno fisico, mentale e morale che stava dimostrando in quel particolare periodo della sua esistenza, prego, e mettesse una buona parola per lui di fronte al grande equilibrio karmico.

Setacciare  quella landa desolata per ore alla ricerca di una forma di vita abbastanza grande da riempire la pancia era ben al di là della fatica e delle buone azioni che normalmente si sarebbe lasciato convincere a compiere, ma questa era una di quelle rare occasioni in cui Aramis si sentiva abbastanza motivato da mettere effettivamente un briciolo di impegno in ciò che faceva.

Hip hip urrà per lui.

Nel caso in cui per qualche motivo non fosse ben chiara l’entità del suo sacrificio, sarebbe bastato sottolineare che non stava neppure facendo tutto questo per se stesso, e che oltretutto era ancora ben lontano dall’essersi sentito rivolgere il minimo ringraziamento.

Il fatto era che ciò che si mangiava all’interno della fortezza (a parte il rancio della prigione, che nessuno di loro aveva la minima intenzione di scoprire cosa contenesse) era principalmente a base delle verdure, frutta e riso che venivano coltivati in un orto interno alla struttura.

Già, perché paradossalmente Dania considerava il nutrirsi di carne una barbarie.

Dania.

Detta Satana.

E poi dicevano che era Aramis quello strano.

Comunque, secondo lei gli animali erano le uniche creature del creato veramente pure e degne di rispetto, perciò consumare carne a casa sua era severamente proibito.

Il che di per sé non sarebbe stato un enorme problema. Peccato che il coniglietto avesse scelto proprio quel momento per diventare esclusivamente carnivoro.

Per forza di cose quindi Dania aveva dovuto fare un’eccezione per lei, con la clausola che il tutto avvenisse al di fuori del suo regale sguardo e che le sue cucine non venissero contaminate dalla minima goccia di sangue.

E qui erano cominciati i guai; per Aramis infatti la soluzione si era rivelata se non comoda, almeno semplice: andare a caccia, uccidere qualcosa, dissanguare quel qualcosa, portarlo indietro fatto a pezzi e nutrire Liz.

Non gli era neanche passato per l’anticamera del cervello che non poter cucinare sarebbe stato un problema.

Certo, sapeva che gli esseri umani avevano la fissa di cuocere il cibo -lui stesso aveva mangiato il suo cibo cotto per mesi- ma era anche talmente abituato all’idea di mangiare la carne cruda che le veementi obiezioni di Liz ci avevano messo un po’ per acquistare senso.

Più o meno.

Aramis aveva provato a spiegarle che la sua forma spirituale aveva delle esigenze diverse dal suo corpo fisico, e che quindi mangiare così tanta carne cruda non poteva farle male, ma poi aveva capito che in realtà per lei era solo una questione psicologica: Liz aveva fame e il sapore chiaramente le piaceva, ma sostanzialmente le faceva schifo ritrovarsi davanti dei pezzi di carne cruda e misteriosa.

Quindi non solo Aramis si impegnava in un’attività altruistica ben più di quanto normalmente avrebbe fatto, ma al suo ritorno invece di essere ringraziato doveva anche sorbirsi l’ennesima fuga a gambe levate di un coniglietto ostinato che si rifiutava di mangiare.

Una parziale soluzione era stata cominciare ad arrostire la carne su un falò improvvisato, ma presto Aramis si sarebbe dovuto inventare qualcosa di nuovo.

Non ci aveva mai fatto veramente caso, ma prendersi cura di un essere umano era davvero complicato.

Soprattutto per qualcuno come lui che a malapena si prendeva la briga di occuparsi di se stesso.

Aramis scosse la testa sospirando. Non poteva quasi crederci di pensare ciò che stava pensando, ma Grimmjow aveva ragione: sia lui che Alex erano stati troppo indulgenti con Liz. Quello non era un mondo in cui ci potesse permettere di essere sensibili e delicati (non troppo almeno) e Liz doveva imparare ad adattarsi ben più di così.

Mmmmh, contando che Alex al momento era indisposta, a chi avrebbe mai potuto scaricare quella patata bollente?

 
Mentre Aramis rimuginava su queste e simili questioni, scoprendo le gioie dell’essere effettivamente parte produttiva di un gruppo invece che solo un parassita, Grimmjow aveva portato l’atto del pensare un passo più in là e si era addormentato.

 
Fino a poco tempo prima, Grimmjow aveva sempre e solo fatto due tipi di sogni.

Nel primo caso c’erano sangue e grida.

Anche nel secondo c’erano delle grida, ma di un altro tipo.

Entrambi includevano del contatto fisico, ragion per cui spesso un tipo sfociava nell’altro e viceversa.

Alex era il soggetto in molti di questi, soprattutto la seconda tipologia.

Grimmjow in realtà non aveva una particolare preferenza: entrambi ottenevano lo stesso effetto su di lui, di cui poi raccoglieva i benefici non appena si svegliava con le braccia attorno ad Alex, una gamba sopra alle sue e una mano già a metà strada verso l’orlo della maglietta che lei usava come pigiama.

Meglio ancora quando era lei a fare quel tipo di sogni: in quei casi Grimmjow si torturava da solo cercando non muoversi mentre Alex gli si strusciava addosso senza svegliarsi. Quei rari sprazzi di pazienza di solito avevano vita breve, tuttavia ne valevano decisamente la pena.

Durante la sua prigionia invece, di giorno Grimmjow aveva fantasticato di uccidere Dania, di notte aveva sognato di torturarla, e Alex aveva assunto un ruolo diverso dal solito.

Da avversaria era diventata complice, tanto da sorridergli coperta di sangue dopo aver cacciato insieme a lui la sua torturatrice.

Grimmjow non condivideva mai le sue prede, e il fatto che sognasse continuamente di farlo la diceva lunga sullo stato della sua ossessione per Alex.

Non lo aveva neanche aiutato molto il fatto di essere stato costretto a svegliarsi da quei sogni imprigionato in una cella, ben lontano dall’oggetto dei suoi desideri.

Uno dei due, almeno. Dania gli era spesso vicina, ma mai abbastanza da farsi uccidere da lui.

Alex invece era in un’altra dimensione e non sapeva neanche della sua scomparsa.

E adesso che finalmente ce l’aveva di nuovo tra le mani, lei era priva di sensi, quindi ancora una volta al di fuori della sua portata.

Sembrava quasi che lo facesse apposta!

Tutta questa frustrazione doveva andare a finire da qualche parte, quindi nessuno stupore quando Grimmjow fece un sogno ancora diverso.

In quel sogno, Alex camminava avanti e indietro di fronte ad uno specchio come un leone in gabbia.

Era scalza, calpestando senza alcuna cura i frammenti di vetro sparsi sul pavimento provenienti dalla miriade di specchi rotti che li circondavano.

A giudicare dalle lunghe tracce rosse rapprese sulla sua faccia, alcuni di questi li aveva sfondati a testate.

«Perfetto, proprio la persona di cui avevo bisogno» si lamentò Alex continuando a camminare senza guardarlo. «Chi diavolo è l’idiota che ha pensato: “Ehi, Alex ha bisogno di una guida spirituale che la aiuti a ritrovare il controllo e l’equilibrio! Ho avuto un’idea brillante, perché non le mandiamo l’Espada della Distruzione?”»

Grimmjow incrociò le braccia. «Ancora non hai finito?»

Alex scosse bruscamente la testa. «Sì. No. Non è così facile, okay? Senti, già che sei qui a disturbare: come ci si sente a non avere una coscienza?»

«Non prendo gli specchi a testate, tanto per dirne una.»

«In questo momento sono abbastanza sicura di odiarti, tanto per dirne una.»

Passandosi le mani tra i capelli, Alex si fermò dando le spalle allo specchio.

«Ho mangiato delle persone.»

«Io pure. Vuoi piangere un po’? Uccidi Hollow tutti i giorni, che te ne frega se li hai anche mangiati in passato? È la dannatissima catena alimentare.»

«Non cominciare con questo discorso! Non è la stessa cosa che mangiare un coniglio o una mucca!»

«Sì che lo è. Tu eri abbastanza forte per sopravvivere, loro no.»

«Non so cosa sia più raccapricciante. Il fatto che i tuoi ragionamenti da Hollow comincino ad avere senso, o il fatto che ricordare che in passato siamo stati nemici mi turbi meno del previsto. Con questo intendo dire che al momento potrei tranquillamente ammazzarti, ma al tempo stesso vorrei anche saltarti addosso. E adesso perché sto parlando così?»

Guardando quei profondi occhi scuri (al momento in effetti un po’ squilibrati) e immaginandoseli sopra di sé mentre le sue mani gli si stringevano attorno al collo, Grimmjow represse un brivido.

«Non mi dispiacerebbe affatto essere ammazzato da te.»

«Se stai implicando qualcosa del tipo “odio e amore sono due facce della stessa medaglia” ti trasloco la faccia dall’altra parte del cranio con un pugno.»

«Allora sì, sto dicendo proprio questo.»

«Ho cambiato idea: posso spaccartela già adesso?»

«Pensavo che non me l’avresti più chiesto.»

Nell’istante successivo Alex gli stava correndo incontro, incurante di tutto ciò che pestava coi piedi scalzi.

Si fermò esattamente di fronte a lui, lasciando solo uno spazio esiguo a separarli.

«Quando mi sarò svegliata, troviamo uno spiazzo deserto lontano da tutti e ammazziamoci di botte come se non ci fosse un domani.»

Cazzo, quanto amava questa donna.

«Datti una mossa, allora. Più tempo ci metti e più sono alte le probabilità che uccida Aramis per tenermi in allenamento. Anche lo Shinigami sta cominciando a sembrare invitante. Ultimamente si è accorto di avere una spina dorsale.»

Un lampo di rabbia mista a divertimento le attraversò lo sguardo.

«Sei morto, Arrancar.»

Eeeee Grimmjow Junior si stiracchiò per dare il buongiorno al mondo.

Peccato che subito dopo il suo proprietario si risvegliò, mentre Alex dormiva ancora.
                                                          

Spostando invece l’attenzione su ben altri scontri di volontà, in un’altra stanza Liz si morse le labbra mentre osservava con apprensione gli spostamenti del suo carceriere.

La corda che la teneva ancorata alla sedia era legata con abilità, accidenti a lui.

«Non ho fame.»

Aramis sparse una generosa dose di rosmarino su un cosciotto di un animale non ben identificato e che aveva tutta l’aria di essere stato tolto dal fuoco dopo appena un minuto scarso di cottura.

«Abbiamo tutto il tempo che ci serve» le rispose tranquillamente. «Non ho fretta.»

Malvagio.

«Aspetterai molto. Ti verranno i capelli bianchi.»

«Ma davvero.»

«Prova solo a seguirmi un attimo: non posso mangiare tutta questa carne, non è salutare! Mi prenderò il verme solitario. Mi verrà lo scorbuto e mi cadranno i denti. La gente noterà le mie nuove abitudini alimentari e comincerà a credere che sia uno zombie obiettore di coscienza!»

Aramis prese il piatto e si sedette sulla sedia di fronte alla sua.

Era armato di forchetta.

Urgh.

«Questa scena non è già stata fatta da qualcun altro?» chiese Liz voltando la testa lontano dal piatto.

«Coniglietto, guardami. Adesso sei meno umana di quanto tu non sia mai stata, quindi il tuo stomaco si comporta di conseguenza.»

 Liz sapeva che i suoi erano solo capricci. Sapeva che non era colpa di Aramis se il suo organismo aveva deciso all’improvviso di giocare all’allegro carnivoro.

Tuttavia c’era una piccola parte nascosta dentro di lei che di fronte a quell’ennesimo cambiamento della sua persona aveva tirato il freno a mano esclamando un categorico “No!”.

Forse era lo stress.

O forse le mancavano i borbottii di Alex e aveva un bisogno viscerale di far in modo che qualcuno accanto a lei sollevasse gli occhi al cielo.

Che dire, davvero molto maturo da parte sua!

Azzardando un’occhiata in direzione di Aramis, si accorse che aveva messo da parte il piatto e la stava osservando con un’espressione indecifrabile.

Senza dire una parola, si alzò e uscì dalla stanza.

Liz rimase a fissare perplessa la porta.

Dopo un paio di minuti, giusto quando stava cominciando a chiedersi se per caso non lo avesse offeso, entrò Rei.

Sedendosi nel posto lasciato libero da Aramis, inclinò la testa.

«Voglio sapere per quale motivo sei legata ad una sedia?»

«È ora di cena.»

«Capisco.»

«Lui dov’è andato?»

«Non ne ho idea. Mi ha solo detto che avevi bisogno di vedermi.»

Un velo di imbarazzo scese sulla stanza e all’improvviso Liz si sentì enormemente stupida.

«Ehm, potresti…?» chiese accennando con la testa alle corde.

«Oh, sì, certo.»

Una volta slegata, Liz rimase comunque seduta.

«Ti spiacerebbe dare di nuovo un’occhiata alla mia anima?»

«Sei ancora un essere umano, Liz. Solo con qualche caratteristica in più.»

«No, non è quello. Potresti controllare se per caso ha cambiato colore o qualcosa del genere? Voglio dire, non vorrei che fosse più scura. Oddio aspetta, fermo. Non so se voglio saperlo: se mi dici che è effettivamente più scura, non sarebbe come una profezia che si auto avvera? So che dovrei essere più cattiva quindi mi comporto automaticamente peggio perché mi aspetto di avere quel tipo di cambiamento e così mi sento anche giustificata, mentre invece se non l’avessi saputo non avrei creduto di dovermi comportare così e quindi sarei stata più buona. Una sorta di effetto placebo metafisico, insomma. Però se non me lo dici ed è effettivamente così non posso neanche prendere i giusti provvedimenti perché non ne sono a conoscenza e quindi…»

Rei aspettò pazientemente che finisse di blaterare.

«Liz, quante cose ti sono successe?»

«Sì, lo so che tutti quanti ne abbiamo viste tante e…»

«No, io sto parlando di te. Elencami tutte le cose che ti sono accadute da quando tutta questa storia è cominciata.»

Liz si appoggiò allo schienale della sedia, guardando in alto e richiamando alla memoria gli avvenimenti degli ultimi mesi.

«Beh, innanzitutto da un giorno all’altro Alex è scomparsa senza dirmi niente. Poi qualche settimana dopo sono stata rapita e portata nell’Hueco Mundo per essere usata come mezzo di persuasione dal Super Cattivo, che voleva che Alex liberasse Aramis. Poi siamo riusciti a scappare, ma siamo dovuti rimanere nascosti per un sacco di tempo. Ho scoperto di avere dei poteri, e adesso non sono neanche più completamente umana. Alex è in coma. Non vedo la mia famiglia da un sacco di tempo.»

«E hai paura di stare diventando malvagia perché, dopo tutto quello che ti è successo, la tua mente ha deciso di puntare i piedi di fronte all’ennesimo aspetto di te che è stato cambiato senza il tuo consenso?»

«Ma è una cosa stupida per cui prendersela. Cosa c’è o non c’è nel mio piatto dovrebbe essere l’ultimo dei miei problemi. Sono una bambina viziata.»

«Se ti dicessi che per salvare la vita di Alex dovresti mangiare carne cruda per tutto il resto dei tuoi giorni, lo faresti?»

Liz rimase in silenzio per un momento. Poi, quasi di controvoglia, disse: «Sì.»

«Perché allora Aramis ha bisogno di inseguirti con una forchetta e legarti ad una sedia?»

Liz abbassò la testa, arrossendo.

«Perché una parte di me vuole esasperarlo.»

«Perché?»

Liz avrebbe voluto sparire sotto al pavimento.

«Non lo so» mormorò mortificata.

Rei sospirò. «Liz, ti assicuro che ad Aramis non può fare che bene essere esasperato un po’ da te. Da quello che mi avete detto, è un Hollow che ha passato la sua esistenza a farsi viziare dagli altri e a vivere solo per se stesso. Prendersi cura di qualcun altro sarà un’esperienza nuova e formativa per lui.»

Liz risollevò la testa, solo parzialmente convinta.

«Allora perché se n’è andato, adesso?»

«Tu lo conosci meglio di me. Cosa ne pensi?»

Liz sospirò. «Starà escogitando un qualche piano malefico per farmi mangiare.»

«Hai fame?»

Lo stomaco di Liz brontolò in risposta.

«C’è davvero bisogno di questo piano malefico?»

Liz sospirò e prese il piatto.

«Sei più infido di quanto non sembri a prima vista» commentò dopo aver masticato meticolosamente la prima forchettata.

Tutto sommato, il gusto non era poi così male.

Okay, a chi voleva darla a bere? Era squisita.

Accidenti a lei.

Rei scrollò le spalle. «Ho i miei momenti.»

«L’aura di Aramis è davvero così terribile?» gli chiese a bruciapelo.

«È un Hollow» si limitò a risponderle, chiaramente non contento della piega che aveva preso la discussione.

«E?»

«E ciò che fanno per sopravvivere, volenti o nolenti, gli resta addosso. Se tu avessi due amici, di cui uno ti raccontasse storie divertenti, mentre l’altro storie dell’orrore, di chi preferiresti la compagnia?»

«Di tutti e due. Basterebbe che quello patito dell’horror non parlasse a sproposito.»

«Ma Aramis non è mio amico.»

Buongiorno, Capitan Ovvio.

«Tu gli stai simpatico.»

«Quale onore.»

Liz lo fissò in silenzio, masticando lentamente.

«Lo sai che non ci sta ascoltando, vero? Non rischi di montargli la testa con elogi inattesi o fornirgli munizioni con dettagli imbarazzanti.»

«Non c’è niente da dire.»

Va bene, va bene. Messaggio ricevuto.

Quel ragazzo era testardo come Alex.

Non che la cosa le dispiacesse.

«Okay, cambiamo discorso. Qual è il tuo piatto preferito?»

Parlare con Rei non era difficile. Al contrario di un certo qualcuno, era franco e diretto, nonché estremamente flemmatico.

Liz non se ne era resa conto per un po’, probabilmente per via delle circostanze burrascose del loro primo incontro, ma Rei era una persona estremamente rilassante da avere attorno.

Ascoltava pazientemente tutte le sue chiacchiere, e, anche se Liz sapeva benissimo che spesso non comprendeva neanche la metà di ciò che diceva, era perfettamente in grado di tagliare dritto al nocciolo della questione senza lasciarsi distrarre da tutte le parentesi aperte e mai chiuse, i discorsi accessori e le sidequest narrative in cui lei spesso e volentieri si lanciava quando si inoltrava in un discorso.

Non parlava per enigmi e, quando poteva, rispondeva alle domande in modo chiaro e preciso.

Aveva anche un tranquillo senso dell’umorismo che non si esprimeva in risate spontanee o smorfie di scherno, ma piuttosto con uno sguardo divertito o una frase pronunciata in tono assolutamente normale ma che inserita nel contesto risultava evidente che fosse una battuta.

Infine (e Liz non aveva la minima idea del perché quel particolare l’avesse colpita così tanto) pur essendo alto più o meno come Aramis, Rei aveva le spalle più larghe.

Liz si diede uno schiaffo mentale.

Accidenti, dov’era Alex a farle da bussola morale quando serviva?

Perché in sua assenza Liz diventava sempre più scema??

Datti una mossa a svegliarti, ti prego!

 
**

«Quante volte ti ho già intimato di abbassare quel cappuccio, Loa? Detesto non poter vedere il volto di colui con cui sto parlando.»

«Prova a farlo ancora una volta, magari è quella buona.»

Dania recise con delicatezza uno stelo secco dalla pianta di rose che stava potando.

Il suo giardino personale era zona proibita per chiunque, con l’unica eccezione di Loa, e anche nel suo caso solo ed esclusivamente per questioni importanti.

Non che Loa si attenesse anche solo in maniera vaga a quella regola, dato che la sua definizione di “importante” nel corso degli anni era arrivata a comprendere fatti come “è sparito il mio gatto a nove code preferito”, “quale potrebbe essere il lucido più adatto per la mia falce” e “mi stavo annoiando”.

«Hai avuto contatti con S nell’ultimo periodo» affermò il suo secondo incrociando le braccia.

«Se l’hai compreso solo adesso mi costringi a riformulare la mia opinione sulla tua intelligenza.»

«In quel caso non sarei l’unico a brillare nel firmamento della stupidità. Gli anni ti hanno ammorbidita.»

Dania sorrise, accarezzando col dorso di un dito i petali di una rosa gialla.

«Io sono perfettamente a conoscenza dell’importanza dei nostri ospiti, ma cos’è stato a fermare la tua mano, Loa? Per caso la palese somiglianza dello Shinigami con la nostra S ti ha fatto esitare?»

«Speravo che l’avresti torturato per ottenere informazioni, non che avresti permesso a lui e i suoi amici di trasferirsi qui come se fossero in villeggiatura.»

«L’idea ha sfiorato la mia mente, lo ammetto. Tuttavia se c’è una cosa che il vivere così a lungo mi ha insegnato, è che la fretta è la peggior nemica quando si vogliono ottenere dei risultati. Sapevo che c’era una ragione precisa per cui S mi aveva posta sul cammino di Grimmjow, perciò sono stata paziente e ho aspettato che il destino facesse il suo corso. Il giorno in cui sono arrivati a salvarlo ho capito che S non avrebbe sacrificato una persona a lei cara come Rei semplicemente per donarmi dei nuovi giocattoli con cui passare il tempo, perciò ho deciso di aspettare ancora una volta. Ora il mistero si è risolto.»

Loa spostò il peso da un piede all’altro, chiaramente spazientito ma cercando di non darlo a vedere.

Dania ricordava un tempo, prima che il loro destino cominciasse a gravare così pesantemente sulle loro spalle, in cui Loa non avrebbe avuto alcuna remora a dimostrarle a chiare lettere il suo dispiacere. Negli ultimi anni tuttavia aveva imparato ad essere più cauto.

Dania si era distaccata troppo a lungo dalle proprie emozioni per sapere se la questione le facesse piacere oppure no.

«Quindi?» la spronò Loa.

«Quindi S ci ha fatto un enorme dono. Finalmente siamo in possesso della chiave per porre fine alla maledizione.»
**

Se si escludeva il riprendere i sensi in una bara di vetro senza uno straccio di privacy con sette nani imbecilli intenti a fissarla mentre si decomponeva, non c’erano poi così tanti scenari disponibili per una ragazza al risveglio da un lungo coma incantato.

Il buonsenso avrebbe suggerito la possibilità di ritrovare i propri amici pronti a far festa al suo capezzale, o la propria anima gemella intenta a festeggiare il lieto evento con una sacrosanta e meritatissima limonata.

Senza limoni.

Aaaaah, l’inguaribile ottimismo di un’imbecille.

No, ovviamente il buonsenso non era abbastanza importante per giustificare l’occupazione di spazio nella vita di Alex, perciò il suo destino aveva provveduto da tempo a sbarazzarsene in modo da lasciare il campo libero per elementi ben più importanti.  

Come la totale mancanza di senso logico in ciò che i suoi occhi stavano al momento registrando.

Cercando in tutti i modi di esprimere con parole umane il senso di sconcerto che la stava attanagliando, Alex aprì la bocca. Poi la chiuse.

Poi la aprì di nuovo.

Poi la richiuse.

«Credimi, so perfettamente come ti senti.»

Alex si voltò verso Rei, che aveva l’aria di un martire gettato da più di tre giorni nella gabbia dei leoni.

Leoni affamati.

«Si sono rimpiccioliti.»

«Già.»

«Sono bambini.»

«Ah-ah.»

«Che diavolo…? Anzi, no. Assolutamente no. Non voglio neanche saperlo. Io me ne torno in coma. Ci vediamo tra quindici anni o vent’anni, quando saranno di nuovo tutti nell’età della ragione.»

«Non puoi.»

«Non posso?»

«No.»

«Dannazione.»

La cosa bella di Rei era che non faceva troppe domande.

Nessun “allora, cosa hai visto?” o “sei ancora te stessa, lì dentro?” o, peggio ancora: “devo chiamarti Aliko o Meilex?”.

Ecco, quest’ultima era esattamente il tipo di cazzata che Aramis avrebbe sparato in un’occasione simile e di cui Alex non aveva assolutamente bisogno.

Fortuna che il diretto interessato fosse troppo impegnato ad avere quattro anni e correre avanti e indietro inseguito da Grimmjow per prestarle attenzione.

Perciò Alex si mise a fare stretching per terra, assicurandosi che i suoi poveri muscoli non fossero rimasti atrofizzati, mentre Rei la aggiornava brevemente sugli avvenimenti dell’ultima settimana.

A quanto pareva, mentre Alex era impegnata nel suo sonnellino di bellezza aveva continuato allegramente a succhiare via energia prima a Liz, e poi agli altri due, provocando simpatici effetti collaterali come improvvise tendenze carnivore, dolori atroci ed infine un trattamento ringiovanente fin troppo radicale.

A detta di Rei la cosa era sicuramente temporanea, ma era difficile capire se la sua fosse una certezza o piuttosto una disperata speranza, contando come per tutto il tempo Aramis aveva continuato a cercare di scalarlo come una montagna.

Curiosamente, nessuno dei tre marmocchi aveva manifestato particolare stupore nel vederla sveglia. Anzi, per essersi ritrovati improvvisamente alti come un comodino erano stranamente poco preoccupati.

Liz zampettava in giro per la stanza facendo il giro giro tondo da sola, andando a sbattere alternativamente contro persone e mobilio, Aramis aveva trovato dentro di sé l’anima dell’alpinista e Grimmjow sembrava semplicemente posseduto dal demonio.

Inutile dire che tutti e tre indossavano lo stesso vestito del giorno in cui erano stati messi al mondo, ovvero nessuno.

Pazienza per i due Arrancar, che già normalmente sembravano adottare l’uso di norme di buon senso comune come i vestiti solo ed esclusivamente per assecondare le assurde richieste di decenza del resto del mondo civilizzato, ma Liz non avrebbe dovuto essere particolarmente restia al pensiero di mettersi qualcosa addosso.

Rei afferrò Aramis e lo rimise per la trecentesima volta a terra. «Purtroppo qui non ci sono vestiti per bambini. Ho provato a mettere a Liz la sua maglietta, ma era troppo grande e continuava a farla inciampare.»

«Ho solo paura che le venga freddo.»

Un boato terrificante di distruzione si levò alle sue spalle.

Aramis e Liz si misero entrambi a saltellare esultando.

Rei non batté ciglio, limitandosi a sospirare.

Alex non si voltò nemmeno.

«Grimmjow ha rovesciato il letto, vero?»

«Già.»

Fu una giornata molto lunga.

 Alex si era aspettata di svegliarsi e, dopo aver rassicurato Liz, fare un discorso serio ed adulto sia con Aramis che con Grimmjow, magari con qualche recriminazione e sfuriata nel mezzo. Invece si era ritrovata a fare loro da babysitter.

Il che in effetti non era poi così diverso dalle loro normali dinamiche interpersonali, ma fare un discorso serio con qualcuno dalla mentalità prescolare non era la stessa cosa che affrontarlo effettivamente con un bambino di quattro anni.

Per un istante le era passato per la testa che magari un Grimmjow così piccolo sarebbe stato più propenso a rispondere alle sue domande, ma purtroppo la piccola peste aveva la capacità di concentrazione di un criceto sotto acidi.

Se non era impegnato a distruggere qualcosa, stava cercando di picchiare Aramis.

Se non stava cercando di picchiare Aramis, stava evitando Liz come se avesse la peste suina.

Se non era impegnato a fare tutte queste cose, allora stava tendendo un agguato ad Alex, che aveva perso il conto di tutte le cose che le aveva già tirato addosso, tra cuscini, pezzi di legno e imbottitura del materasso ormai passato a miglior vita.

 Grimmjow le tirava i capelli, le atterrava addosso dopo essere saltato giù dai mobili che ancora non aveva rovesciato, saltava fuori da tutti gli anfratti per morderle le caviglie e soprattutto ringhiava contro chiunque le si avvicinasse.

L’unica cosa che non faceva era parlare, perché a quanto pareva era troppo mainstream per lui.

Aramis invece parlava eccome, peccato che non avesse nulla di interessante da dire.

Lui e Liz erano per lo più impegnati in un affascinante gioco di ruolo in cui lei era un coraggioso cavaliere, lui un drago cattivo e Rei la principessa da salvare.

Più tardi nel pomeriggio un fracasso di vetri rotti la richiamò in bagno, dove, raccogliendo i frammenti da terra per evitare che qualcuno li pestasse, o peggio ancora li usasse come arma, ebbe la prima occasione di vedersi riflessa.

Uno specchio incrinato e senza pezzi non era la superficie migliore per osservarsi scrupolosamente (senza contare che Alex aveva il forte sospetto di aver sviluppato una leggera fobia nei confronti di qualsiasi superficie riflettente), ma non c’era esattamente bisogno di un microscopio per capire cosa ci fosse di diverso in lei.

Togliendosi la maglia, esaminò il suo foro hollow posto sulla bocca dello stomaco.

Le due escrescenze ossee a forma di X erano sempre al loro posto, ma da una delle due adesso si era estesa in una sottile linea d’osso che passava a zigzag direttamente sopra al seno, risaliva su per il collo e andava a mostrarsi in tutta la sua gloria nientemeno che in faccia, attraversando la guancia, costeggiando l’occhio e terminando infine sulla tempia.

Come tocco finale, da quest’ultima partiva una ciocca di capelli bianchi.  

Oh, perfetto.

Semplicemente splendido.

L’alba degli Orrori Viventi.

Miss Hollow dei poveri.

In fondo, perché no?

Aveva passato una settimana in coma per ricordare il proprio passato, perché non guadagnarci anche una strisciata di bianchetto in testa, una di osso dritta in faccia e già che c’era pure un capezzolo in meno?

Fanculo alla simmetria, che se ne faceva una ragazza di una faccia normale e soprattutto di due erogatori di latte a richiesta?

Tanto non avrebbe mai dato il proprio contributo genetico per rimpolpare la nuova generazione.

No, un attimo. Fermi tutti.

Quello era solo il suo corpo spirituale.

Quello fisico era ancora a casa, ed era in tutto e per tutto normale.

Grazie al cielo e alle nuvolette bianche tutte!

Accasciandosi a terra per il sollievo, Alex si rimise la maglia.

Perché cavolo il suo pensiero era andato direttamente alla maternità, poi?

Brrrr.

E, a proposito di bambini…

«Piantala di cercare di mangiarmi!» sbottò Alex scocciata cercando di sottrarre il braccio dalle grinfie di Grimmjow, ma lui lo trattenne con insistenza, mettendosi addirittura a ringhiare.

«Sai cosa? Spero davvero che quando sarai tornato grande ti ricorderai di tutto questo. Così non potrai negare nulla quando scoppierò a riderti in faccia.»

Grimmjow ringhiò un’altra volta, e un’idea maligna si fece strada nella testa di Alex.

Sicuramente non… no dai, non poteva farlo.

Eppure…

Lentamente, senza distogliere lo sguardo, Alex afferrò un asciugamano e tirò fino ad averne strappato una striscia, che poi fece dondolare con aria invitante davanti alla faccia di Grimmjow.

Dire che la guardò malissimo sarebbe stato un eufemismo.

«No?» gli chiese agitandola ancora un po’ per buona misura.

Evidentemente no.

Peccato.

«Non sei affatto divertente.»

Il giorno seguente l’invasione degli organismi ultrabassi non era ancora terminata.

Proprio ciò di cui Alex aveva bisogno, come se non avesse avuto già così tante gatte da pelare da poter fabbricare una pelliccia per tutta la banda e avanzarne ancora.

Se non altro così i gagni avrebbero avuto qualcosa di decente da mettersi addosso, contando che al momento si erano adattati usando le federe dei cuscini.

Aveva delle questioni di cui discutere con mezzo mondo. Peccato che la metà di questo mondo al momento fosse a malapena grande abbastanza da non dover indossare un pannolino.

Liz doveva ancora spiegarle in cosa consistesse il patto che aveva stretto con Dania; peccato che, essendo la più debole dei tre, probabilmente sarebbe stata l’ultima a tornare adulta.

Per quanto riguardava Aramis, il discorso era più complicato. Arrabbiarsi con lui per averle nascosto delle informazioni sarebbe stato come prendersela col Sole perché era troppo giallo, ma Alex avrebbe comunque preferito che non si fosse “dimenticato” di accennare a qualche piccolo inutile dettaglio come, chessò, IL MOTIVO PER CUI SI ERA SACRIFICATA PER LUI.

Sarebbe bastato un semplicissimo: “Ehi, so che ti stai chiedendo perché  Aizen abbia messo su tutto questo teatrino per liberarmi dal sigillo, quindi magari invece che fare finta di esserne all’oscuro come un babbeo sarebbe meglio che ti dicessi fin da subito che quando mi ha fatto diventare un Arrancar mi ha impiantato la telepatia sperando che non impazzissi come gli altri suoi esperimenti e che la sviluppassi aumentando i miei poteri in modo tale da aiutarlo nel suo piano malvagio. Perché gli serve un telepate abile nell’ipnosi? Beh, diciamo che l’unica persona al mondo che possiede la chiave per ottenere ciò che serve ad Aizen, che è anche la stessa a cui Urahara fa la guardia nel mondo umano per conto degli Shinigami, in realtà ha queste informazioni inserite nella parte più profonda del suo subconscio, quindi sarebbe impossibile convincerla a condividerle anche con la tortura. Non so chi sia questa persona, ma comunque ci vuole per forza uno come me. Ecco qua, questo è il motivo per cui tu mi hai sigillato.”

Sarebbe stato davvero tanto difficile?    

Inutile quindi dire che Aramis, essendo il codardo che era, probabilmente se la stava prendendo comoda apposta.

Avere quattro anni per lui significava evitare discorsi scomodi, comportarsi da immaturo senza alcuna conseguenza e soprattutto giustificare tutto quanto in futuro con una conveniente amnesia o sostenendo di non essere stato consapevole delle proprie azioni.

Il che lasciava Grimmjow.

Urgh.

A dirla proprio tutta, la cosa più frustrante di quella storia non era il fatto di essersi ricordata del loro passato come nemici. Sì insomma, ma va?

Non che la cosa la rendesse esattamente felice e soddisfatta, soprattutto per quanto riguardava la distruzione della colonia. Ah già, e la sua morte.

Certo, non era stato lui ad ucciderla, ma se lui e tutta la sua banda di Arrancar mafiosi si fossero fatti gli affari loro invece che portare guerra a casa sua dubitava fortemente che si sarebbe sentita offesa.

In ogni caso, ciò che la rendeva di pessimo umore non era l’essersi riappropriata di quei ricordi, quanto il fatto che al momento stessero occupando una parte così sostanziosa dei suoi pensieri.

Come già accennato prima, aveva una marea di problemi a cui pensare, tra cui cosette non esattamente insignificanti quali “come salvarci la pellaccia prima da Dania e poi da Aizen”. Quindi perché cacchio e stracacchio continuavano a venirle in testa strategie su come cercare di evitare che il loro rapporto naufragasse in mezzo da un mare di recriminazioni?

Perché le si stava formando nel cervello una lista dei compromessi che entrambi avrebbero dovuto accettare per assicurarsi che il loro potesse essere un rapporto a lungo termine anche una volta finito lo stato di emergenza?

Perché aveva una voglia matta di trascinarlo in uno spiazzo deserto e sfidarlo ad un duello all’ultimo sangue?

E perché invece che con la sua morte, come la definizione “all’ultimo sangue” avrebbe suggerito, la sua fantasia si concludeva con lo sbatterlo a terra e marchiarlo a sangue con un morso?

WTF?

Aveva bisogno di una vacanza.

Da sola.

Su un’isola deserta.

Invece doveva accontentarsi di restarsene seduta per terra ad una certa distanza dalle mura esterne osservando la versione formato tascabile di un Arrancar che inseguiva una lepre cornuta con le parole “stasera sei la mia cena” chiaramente scritte in stampatello sulla fronte.

Ce n’erano già un paio sbranate ai piedi di Alex, che non riusciva a capire se si trattassero di un regalo o una minaccia.

Liz aveva finalmente smesso di piangere per gli “animetti motti” e li stava pungolando con un bastoncino, mentre Aramis dormiva beatamente sopra una roccia.

Rei stava facendo a Liz una lezione di anatomia usando come riferimento le interiora dei conigli morti.

Sul serio, poteva tornarsene in coma ancora un pochino?


**

Rina non era poi così piccola. Non aveva paura del buio, mangiava a bocca chiusa (quando se lo ricordava) e soprattutto capiva quando una persona era cattiva.

A volte era difficile.

Tipo Grimmjow a volte era bravo e a volte era cattivo.

Quando picchiava i mostri era bravo.

Quando faceva arrabbiare Alex era cattivo.

Anche Alex a volte era cattiva, ma solo quando sgridava Rina.

Rei era bravo, Liz era brava ma strana e Aramis era cattivo, anche se a volte era bravo anche lui. Ma solo con Liz.

Il tizio che Rina stava seguendo da un bel po’ quella notte era di sicuro cattivo.

Era vestito come la carta della morte che la strega con i capelli rossi e blu le aveva fatto vedere e le faceva venire i brividi.

Ogni tanto si fermava e si girava indietro, allora Rina si nascondeva dietro un albero o una casa.

Lui allora si girava di nuovo per andare avanti e allora inciampava, oppure gli cadeva una tegola in testa, oppure non vedeva un tombino aperto e ci cadeva dentro.

Aveva tutta una scia di gatti neri che lo seguivano miagolandogli attorno, e ogni volta che passava troppo vicino ad un vetro quello si rompeva.

Era meglio che guardare i cartoni animati.

«Non dovresti seguire quel cattivone, zuccherino», bisbigliò all’improvviso una voce di fianco a lei. «Nel caso non l’avessi capito porta molta sfiga.»

Che razza di spavento!

S le tappò la bocca con una mano per non farla gridare.

«Shhhhh!»

«Chi è quello?» chiese Rina appena S la lasciò andare.

Insieme si sporsero a guardarlo da dietro un albero.

«Una seccatura, ecco cosa. Però è divertente. Sta a guardare.»

Tirò fuori un foglietto rosa da una tasca e una penna.

Rina sapeva leggere un pochino, e per fortuna c’era la luce del lampione e S scriveva grande e in stampatello.

‘LOA SCEMO. KISS KISS.’

Dopo aver riempito il foglio di cuoricini, S lo piegò a forma di aeroplanino e lo lanciò in aria.

Lui volò in cerchio in paio di volte e poi atterrò ai piedi del tizio.

Lui lo aprì, lo lesse, e immediatamente da una finestra sopra di lui qualcuno rovesciò sul suo mantello nero un barattolo di vernice rosa.

Ridacchiando come una bambina S scappò via e Rina la seguì, perché lui si era arrabbiato e lei non voleva certo rimanere lì intorno.

«Perché gli succedono cose brutte?» chiese Rina dopo un po’.

«Perché il suo nome è stato maledetto e gli porta sfiga. Dove abita di solito non succede, però la sfortuna si accumula ogni volta che viene chiamato per nome, perciò quando arriva in questo mondo gli si scarica tutta addosso. Però meglio non chiamarlo troppo, o farà effetto anche su di te.»

«Perché è stato maledetto? E da chi?»

«Perché sì. Da una persona molto tempo fa.»

Rina odiava quando la gente le rispondeva “perché sì”.

«Anche il tuo nome è maledetto? Per questo ti chiami solo “S”?»

S si fermò e Rina le andò a sbattere contro.

«Sei stranamente sveglia, zuccherino. Che ci fai sempre attorno alla gente ritardata che bazzica in quel negozio?»   

Rina le fece la lingua. «Non trattare male i miei amici, strega!»

«Oh beh, immagino che ognuno abbia gli amici che si merita. Adesso però basta parlare di gente scema. Ho bisogno che tu mi faccia un favore…»
 
 

 
 
Angolo culinario

 
 
Aramis: «Ti va di venire a cena da me?»

Rei: «No.»

Aramis: «Cucino molto bene. Con ingredienti di prima qualità e assolutamente di origine non sospetta. Solo, non guardare nel mio frigorifero.»

Rei: «Non voglio venire a cena da te. E smettila di annusarmi.»

Aramis: «Non posso farne a meno. Il mio lavoro mi obbliga ad occuparmi della tua salute mentale, ad aiutarti nella tua ricerca del colpevole e occasionalmente a chiedermi con quale condimento risalterebbe di più il tuo aroma.»

Rei: «Cosa?»

Aramis: «Cosa?»

Rei: «Non ho bisogno di uno psichiatra.»

Aramis: «Indossi gli occhiali perché non ti piace il contatto visivo, vero?»

Rei: «O magari perché sono affetto da un patologico abbassamento della vista?»

Aramis: «Sei un personaggio inventato, mangusta. Se hai gli occhiali è perché sei un nerd, sei il secchione saccente del gruppo oppure devi nascondere un superpotere. O in alternativa sei Harry Potter. Fai attenzione, qualcuno potrebbe cogliere quegli occhiali e la tua riluttanza verso il contatto visivo come una… sfida.»

Rei: «Potresti ripetermi per quale motivo la polizia si fida così tanto di te?»

Aramis: «Di sicuro non perché sono un sociopatico che ha impiegato anni e anni di duro lavoro nello studiare la natura umana al fine di imitare alla perfezione ogni tipo di emozione e comportamento in modo da apparire a tutti come un affabile e affidabile membro della società malgrado in realtà io sia un pozzo senza fondo privo di qualsivoglia empatia che tormenta il suo prossimo per appagare una semplice ed egoistica curiosità personale. No, deve essere la mia meravigliosa cucina. Vuoi un po’ di fegato? Dovresti mangiare regolarmente per combattere le allucinazioni.»

Rei: «Non soffro di allucinazioni.»

Aramis: «Per ora. Ti piacciono i cervi?»

Rei: «Perché devo ricevere proprio il tuo aiuto per questa caccia al serial killer?»

Aramis: «Perché io, in quanto assolutamente non il serial killer che stai cercando, posso sostenerti mentalmente in questa sfiancante ricerca di questo criminale che non sono io. E posso darti da mangiare ogni volta che tornerai a casa stanco e affamato dopo aver visitato una nuova scena del delitto in cui mancano degli organi. Tipo il fegato.»

Rei: «Credo di essere appena diventato vegetariano. E di aver risolto il caso.»

Aramis: «Hai ragione, ecco là il nostro assassino!»

Grimmjow: «VENITE A PRENDERMI POLIZIOTTI IMBECILLI SONO IO IL CRIMINALE CHE STATE CERCANDO E NON SONO ASSOLUTAMENTE STATO MANIPOLATO E SFRUTTATO DA QUELLO STRIZZACERVELLI INQUIETANTE FIGLIO DI UNA CAGNA PER COPRIRE LE SUE TRACCE!»

Liz: «Evvai, stasera maratona di Emma e Hook!»

Alex: «Un’altra schiacciante vittoria per il dipartimento di polizia.»

Aramis: «La tua abilità nel braccare i criminali è strabiliante. Meriti un invito a cena.»

Rei: «…»

Liz: «Bella lì!»

 
  
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