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Autore: Urban BlackWolf    23/10/2017    4 recensioni
Inesorabilmente trascorse settimane da quella giornata di fine giugno, di Haruka e Michiru non si hanno più notizie. Le hanno cercate ovunque, interminabili ore passate tra le sponde di quel corso d'acqua quasi irriconoscibile, ma di loro non c’è più alcuna traccia.
Ma quando la speranza sembra ormai stata vinta dalla rassegnazione, un giovane dalla zazzera dorata e gli occhi verdi come i prati delle montagne ai quali appartiene, comparirà al servizio di una delle famiglie più in vista di Berna deciso a scoprire cosa realmente sia accaduto dopo quella maledetta sera.
-Sequel de: le trincee dei nostri cuori-
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Makoto/Morea, Michiru/Milena, Minako/Marta, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Sblocco ipnotico

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

I caldi e scrutatori occhi di Setsuna Meiou si posarono ancora una volta sulla scena che stava andando consumandosi nel suo studio da cieca dieci minuti. Michiru era riuscita a portarle Sigmund e tutto il suo carico di segreti. Per farlo sentire più a suo agio lo avevano fatto accomodare informalmente sulla sedia accanto alla finestra, dove la dottoressa era solita perdere lo sguardo lontano, alle fronde degli ultimi cipressi di chiusura del perimetro del parco. Ora, torturandosi l’orlo dei pantaloncini con dita nervose, accarezzato dallo sguardo compassionevole di Michiru ancora ostinatamente accovacciata accanto a lui, il ragazzino stava immobile in attesa di quella fatidica conversazione che per tante settimane aveva cercato di eludere dissimulando come meglio gli era venuto uno stato mentale apatico e privo di sostanza.

“Allora sto aspettando Sigmund.” La voce tranquilla della dottoressa irruppe colpendolo quasi fosse stata una bastonata. Contraendo lievemente le spalle lasciò che il mento si schiacciasse contro il cotone della camicetta.

“Vuoi che ti ricordi quali siano state le parole precise? - Serrando le mani dietro alla schiena guardò attraverso il vetro facendo mente locale. - Non l’ho fatto con cattiveria. Non sono un disonesto, ma avevano fame. Corretto?”

Vedendolo muovere impercettibilmente la testa, il medico proseguì cercando tatto. “E sono frasi che hai ripetuto per tutta la notte.”

“Si dottoressa.”

Senza guardarlo lei continuò. “La signorina Milena ed io siamo più che convinte che tu non sia un disonesto. Ma allora spiegami perché hai seguitato a mentirci.”

“Io non vi ho mentito.” Disse prendendo coraggio in quella che ormai era una difesa ad oltranza priva di logica ed appigli. Era stato scoperto. Doveva farsene una ragione ed accettarne le conseguenze.

Non scomponendosi, Setsuna tornò a fissarlo severa. Non poteva e voleva continuare a farsi prendere in giro da un mocciosetto, anche se in gamba e coraggioso come quello.

“Hai parlato della tua famiglia e del fatto di non essere ne un ladro, ne un disonesto, ergo intuisco che tu debba esserti ricordato il tuo passato Sigmund. E’ poi questo il tuo vero nome?”

Dopo qualche secondo di un ovvio silenzio, Michiru gli strinse una mano nella sua costringendolo a guardarla. “Forza… Non aver paura.”

“Non sono qui per costringerti a parlare, ne tanto meno per giudicarti, ma ritengo che tu debba delle spiegazioni anche e soprattutto alla signorina Buonfronte, che da quando ne ha avuto la forza si è sempre prodigata per te non stancandosi mai di stare dalla tua parte.”

Scuotendo nuovamente la zazzera in senso affermativo lui prese allora un grosso respiro iniziando. “Si… il mio nome è Sigmund. Sigmund Rosch e a febbraio compirò tredici anni.”

“Sei di razza germanica?”

“Si. La mia famiglia proveniva da Friburgo, ma quando mio padre fu richiamato al fronte mia madre decise che sarebbe stato più sicuro spostarci più a sud, verso la Svizzera, dove sapeva che avremmo trovato un luogo piu' adatto per me ed i miei fratelli.”

Michiru lo guardò stupita chiedendogli quanti ne avesse e lui rispose tre.

“Io sono il più grande. Poi vengono mio fratello Franz, Jilia e Maria.”

Setsuna iniziò ad ipotizzare cosa fosse accaduto a quelle persone quando Sigmund tornò a raccontare della linea di combattimento occidentale.

“Volevamo raggiungere Basilea. Nostra madre ci faceva viaggiare prevalentemente di notte, anche se al buoi i colpi di mortaio dei focolai di battaglia della frontiera con la Francia erano più visibili e minacciosi. Avevamo paura, ma io cercavo di non pensarci troppo, perché una volta raggiunta la Confederazione saremmo stati tutti in salvo e lontani dalla guerra. Ma dopo qualche giorno di marcia, ci rendemmo conto di esserci persi e avvicinati troppo al fronte ed allora diventò tutto più complicato. Dovevamo restare rintanati nelle fattorie abbandonate o nei boschi nell’attesa che le milizie passassero giornalmente con viveri e munizioni. Io non ne capivo il motivo, visto che erano del nostro esercito, ma mia madre non voleva sentire ragioni.”

“Credo pensasse a proteggervi Sigi. Se la sua intenzione era quella di arrivare alla frontiera svizzera se foste stati intercettati dai soldati, sareste stati immediatamente riportati indietro.” Disse Michiru inginocchiandosi più comodamente sul pavimento.

“Muoverci di notte andò bene fino a quando non terminammo tutte le scorte di cibo. Allora, anche se mia madre non voleva, iniziai ad andare in giro di giorno in cerca di qualcosina e spesso riuscivo anche a trovare cose buone. Gli alberi erano pieni di frutti e nonostante il saccheggio di molte case abbandonate, non tornavo ma a mani vuote. Ma una mattina, mentre stavo perlustrando i dintorni del rudere dove ci eravamo fermati, una serie di colpi di mortaio lanciati dal fronte vicino, colpirono la struttura in pieno. Io rimasi ferito mentre mia madre ed i miei fratelli… I soldati di un nostro contingente mi raccolsero e mi portarono nel loro campo e da li verso l’interno con una camionetta medica. Non so altro. Un paio di giorni dopo ero qui.”

Ricordava tutto Sigmund, tutto fino al momento dell’esplosione. Il dorso brillante del grillo che aveva deciso di seguire tra i fili d’erba ed i fiori di campo, il marrone della terra e quello molto più scuro del bastoncino con il quale lo stava pungolando, il vento caldo dell'estate, il fischio acuto proveniente dall’alto, che si fa sempre più vicino e penetrante, lui che alza la testa ed il tempo che sembra fermarsi per un istante eterno prima che un boato assordante ed un violento spostamento d’aria cambino per sempre la sua vita.

“Quando sei arrivato eri in forte stato confusionale ed è per questo che hanno scelto di ricoverarti. E’ la struttura più indicata e gli accordi internazionali fanno si che in Svizzera si accolgano feriti di ogni paese. Da quando hai iniziato a ricordare, Sigmund?” Chiese Setsuna.

“Che importanza vuole che abbia!” Michiru iniziò ad accarezzargli la schiena fulminandola con una luce critica.

“Per me ne ha signorina. Non pretendo che voi capiate o approviate le mie domande, ma come medico di questa struttura ho la necessità di sapere. Anche se con le migliori intenzioni di questo mondo, Sigi ha mentito e deve capire che il tempo che personalmente ho speso per lui poteva essere direzionato su altri pazienti.”

“Mi manderete via?! - Le interruppe spaventato. - Io non saprei dove andare.”

“Stai tranquillo. Nessuno ti manderà via da qui. Vero Dottoressa Meiou!?” Più un ovvia costatazione che una reale domanda.

Setsuna riconobbe in quelle iridi cobalto lo scintillio proprio di un carattere forte che mai nessuna amnesia avrebbe potuto velare. Intimamente, nel profondo, contro tutto e contro se stessa, Milena Buonfronte era sempre Michiru Kaiou.

“Sigmund, dovresti sapere che quello che viene detto nel mio studio è strettamente confidenziale. Per adesso non ritengo che il Dottor Grafft debba essere messo al corrente sull’evoluzione del tuo quadro clinico.”

Sospirando un poco il ragazzino ammise che la memoria gli era tornata dopo qualche giorno dal ricovero, anche se continuava ad avere dei vuoti, ma sapendo di essere rimasto solo, con un padre al fronte impossibilitato nel prendersi cura di lui, aveva taciuto. Il silenzio tornò ad invadere lo studio. Quanta compostezza in quel semplice racconto, quanta onesta accettazione in quella perdita abissale che avrebbe abbattuto perfino un adulto, ma che non aveva piegato comunque la forza di vivere di un bambino. Michiru ne rimase scioccata. Lei non ricordava, non sapeva perché il suo cervello si stesse rifiutando di ridarle il passato, ma qualunque cosa l’avesse ferita non sarebbe stata peggiore della perdita di una madre e di tre fratelli. Improvvisamente il coraggio dimostrato da Sigi la indusse a prendere in mano le redini del suo destino e a decidere cosa avrebbe fatto del suo futuro.

“Continui a stupirmi piccolo Sigmund. Ti sei tenuto dentro questo dolore per tanto tempo ed è giusto che adesso tu lo condivida. Se ti sentissi ancora di volerne parlare io sono qui e sono sicura che anche la signorina Milena vorrà ascoltarti. Intesi?” Disse il medico chinandosi verso di lui.

“Io non sono un trova lacrime! Sono un tedesco e non sono abituato a frignare!” Se ne uscì stentoreo come un eroe dei Nibelunghi di wagneriana memoria facendo sorridere all’unisono le due.

“Lo sappiamo Sigi, lo sappiamo.” Scompigliandogli i capelli Michiru guardò Setzuna che afferrò al volo. E il signor Rosch?

“Sigmund sai su quale fronte sia attualmente impegnato tuo padre?”

“No dottoressa.”

“Va bene, non importa. Mi metterò subito alla ricerca della sua compagnia. Vedrai, riuscirò a trovarlo e a fargli sapere che stai bene.” Setsuna chiuse qui l’argomento evitando di chiedergli che fine avessero fatto i corpi dei suoi famigliari. L’apparente compostezza del ragazzino non l’aveva tratta in inganno. Con una perdita come quella avrebbe dovuto continuare a lavorare su di lui, adesso più che mai. Ma per ora poteva bastare così.

“Bene, adesso vai a riposare un po’, ricordati che c’è sempre un ladro da mettere nel sacco e per questa sera voglio saperti in perfetta forma. Non vorrai lasciarci da sole spero!? Milena, volete accompagnarlo voi nella sua camera?” Concluse sorridendo al bambino per cercare di distrarlo.

Ormai privo di quell’arroganza difensiva che non aveva fatto altro che sbandierare contro la donna da quando era arrivato, saltò giù dalla sedia e salutandola agitando la mano si diresse con Michiru verso la porta. Di colpo sembrava essere tornato un ragazzino di dodici anni, anche se l’infanzia, quella vera fatta di giochi e compiti pomeridiani, era stata ormai inesorabilmente abbandonata su qualche campo di battaglia del fronte occidentale.

“Sigi aspettami fuori un attimo. Devo chiedere una cosa alla dottoressa. Vengo subito.” E non appena lui fu uscito, richiudendosi l’anta alle spalle ed inalando una buona dose di ossigeno, la bernese guardò l’altra consegnandole di fatto tutto il proprio orgoglio e la reticenza fin li dimostrata.

“Dottoressa, sareste ancora disposta a sottopormi ad una seduta d’ipnosi?"

 

La stanza era in ombra, ma non del tutto oscurata, illuminata dalla lampada da tavolo e dal bruciare di una semplice candela. Setsuna non riteneva necessario criptare totalmente il paziente privando l’ambiente della luce o di tutti i suoni provenienti dall’esterno. Voltandosi verso la ragazza ferma in piedi ad un paio di metri, sorrise cercando di darsi una calmata. Non si aspettava questo, anche se dopo l’ultima crisi, lei per prima aveva tirato in ballo la cosa. Aveva avuto solamente un paio d’ore per prepararsi mentalmente a quella seduta ed in tutta onestà il medico sentiva di non essere ancora del tutto pronta. Aveva assistito a tante di quelle sedute ipnotiche condotte dal suo Professor, com’era solita chiamare il Dottor Freud, che non avrebbe mai avuto problemi ad istaurare un legame con un paziente. Ma Michiru Kaiou era diversa e se non avesse sentito di persona quella richiesta non ci avrebbe mai creduto.

Quella donna non era un tipo collaborativo, ne si fidava di lei, anzi, Setsuna aveva da sempre l’impressione di starle vagamente sullo stomaco. In più, non esisteva un metodo valido di procedere e neppure un sistema.

“Dottoressa, non sembrate soddisfatta della mia richiesta." Affermò l’altra stirando le labbra in quello che era più un ghigno che un segno d’apertura.

Continuando a preparare la stanza Setzuna rispose francamente. “Non vorrei che fraintendeste il mio stupore Milena, ma purtroppo per quello che ho potuto notare dalle nostra modesta conoscenza, non siete affatto un soggetto ubbidiente, ovvero una persona idonea per l’ipnosi. Ma questo non deve affatto scoraggiarci."

“Siete stata voi a tirare in ballo questa cosa.” Disse leggermente stizzita rimanendo inchiodata al pavimento.

“Lo so e ribadisco che sia l’unico modo per velocizzare il vostro processo di guarigione.”

“Questo l’ho compreso bene altrimenti non sarei qui. Lasciate però che prima di procedere io vi faccia alcune domande. - E ad un cenno la ragazza proseguì vergognandosi un poco. - Come mi sentirò dopo? Sono abbastanza adulta per intuire che non potrò mai riacquistare la memoria tutta insieme e con una semplice seduta, ma… sarà doloroso? Intendo… fisicamente. Non vorrei passare per una bambina capricciosa, ma non voglio soffrire ancora se poi non avrò alcun risultato concreto.”

“Sono domande lecite Milena. Ma prego… sedetevi. Dunque, ogni paziente è diverso dall’altro, ma tutti, senza esclusione, dopo una seduta di ipnosi mostrano sempre quiete, rilassatezza ed un senso più o meno marcato d’euforia. In fin dei conti è un sonno indotto. Non dovreste provare alcun dolore fisico e se dovessi accorgermi di uno stato di malessere interverrò risvegliandovi. Per i colpi morali, ovvero quelli che, come vi ho sempre detto a mio modesto giudizio vi hanno bloccato la memoria, beh …”

Michiru si sedette sul comodo lettino di pelle scura provando a rilassare i muscoli della schiena sull’ampio cuscino che la dottoressa le aveva preparato per farla sentire più comoda.

“Come si procederà?” Chiese stringendo le mani al grembo mentre l’altra, notando quanto fosse tesa, le si sedeva informalmente accanto.

“Uno dei metodi che generalmente uso è quello d'indurre un rilassamento progressivo, soprattutto quando tra medico e paziente non c’è confidenza. E questo è purtroppo il nostro caso. E’ una tecnica lenta, ma risulta rassicurante per la maggior parte delle persone che non hanno mai provato l’ipnosi.”

“Perciò dopo questa esperienza ricorderò già qualche cosa?!”

La risposta non era univoca e Setsuna lo sapeva bene. “Vedete ci sono situazioni nelle quali la mente inconscia si comporta in modo protettivo, così che certi avvenimenti, soprattutto se traumatici, non siano immediatamente a nostra disposizione. Questo è il vostro caso, perciò è molto probabile che dopo voi non ricordiate nulla, ne di positivo, ne di negativo.”

Staccandosi di scatto dal cuscino, Michiru la guardò come se avesse appena detto una bestemmia. Ma allora a cosa diavolo serviva?

Afferrandola saldamente per le spalle la dottoressa lasciò che si ristendesse spingendola delicatamente. “State calma. Tutto dipende dalle vostre aspettative. Se realmente vorrete ricordare qualcosa o qualcuno, accadrà.”

“Qualcuno?”

Era quello il pertugio giusto sul quale far forza. “Il mio obbiettivo è un altro. Quello cioè di sbloccarvi l’inconscio così che i ricordi fluiscano lentamente e man mano, con tempi e ritmi stabiliti dalla vostra stessa mente.”

Aspettando qualche secondo che l’altra si calmasse, sorrise ricordando il suo Professor e quell’accento teutone che metteva quando parlava con lei in inglese.

“Setsuna, ricordatevi che per aiutare una mente ferita ogni metodo per approcciarsi all’ipnosi è corretto, ma io amo indurre i pazienti sedendomi dinnanzi a loro invitandoli a fissarmi l’indice ed il medio della destra. Yea. E state attenta a non guidare troppo con il suono della vostra bellissima voce o potreste influenzarli. Domande brevi e precise, mi raccomando.” Battuta simpatica per farle capire di non parlare mai troppo.

Prendendo un grosso respiro, la dottoressa piazzò a circa trenta centimetri dal viso di Michiru due dita chiedendole se fosse pronta.

“Guardatele Milena ed ascoltate il suono dei vostri respiri.”

Setsuna aveva ben chiaro dove volesse arrivare. Dopo che il caso di Milena Buonfronte le era stato assegnato e conosciuto il suo legame con le signorine Aino e Kino, si era fatta raccontare praticamente tutto di lei, stilando così una personalissima ed informale cartella clinica, grazie alla quale, all’insaputa della stessa ragazza, era riuscita ad indirizzare le loro sedute su un unico argomento; ovvero la perdita. Il medico sapeva da sempre di Haruka, della sua morte alle pendici della diga, di quel lato saffico che Kaiou aveva scoperto di possedere durante il viaggio da Bellinzona a Berna, ma aveva trovato nella mente ostinata di Michiru un’avversaria valida, anche se a suo parere sciocca.

Non avendo mai amato, Setzuna non riusciva proprio a capire e questo le faceva passare intere notti insonne china sul piano della sua scrivania. Come si poteva azzerare la memoria per tentare disperatamente di non soffrire per la perdita di un grande amore? Così facendo non andavano perse anche tutte le cose positive e i ricordi lasciati da quella passione?

“Unite ai vostri respiri il movimento della fiamma della candela e stringete le mani a pugno per favore.”

La ragazza ubbidì socchiudendo gli occhi cercando di rilassarsi scivolando lentamente verso l’incoscienza.

Ci volle più del previsto, perché per quanto fosse convinta, il sapersi impossibilitata nel reagire di fronte alla guida di un'estranea le faceva paura, ma una volta abbattuto anche l’ultimo ostacolo della veglia, Setsuna poté costatare la completa rilassatezza dei muscoli di Michiru. Gli occhi chiusi. Il respiro regolare. Afferrandole i pugni tentò di aprirli sentendo opposizione. Un paio di minuti e la paziente iniziò a lacrimare e deglutire più del dovuto facendole capire che era libera di iniziare a guidarla là dove voleva.

“Sapete dove vi trovate?”

“Nell’Ospedale riabilitativo di Muhleberg.”

“Sapete chi siete?”

“Si.”

“Potete dirmi il vostro nome?”

“Michiru Kaiou.” Setsuna provò un brivido nel sentirlo pronunciare con tanta naturalezza. Nessun dolore fisico. Nessuna negazione. Il potere benedetto dell’inconscio.

"Vi piace il parco dell'ospedale?"

"Si, molto."

“Bene, ora siete all'aperto. C’è un sentiero davanti a voi. Vi va di percorrerlo?” All’assenso proseguì con il farle descrivere cosa riuscisse a vedere alla sua destra e alla sua sinistra.

All’inizio gli scenari descritti erano quelli del corpo principale della struttura ospedaliera, poi quelli della mensa ed infine quelli della zona del parco meno curata, ma man mano che Michiru camminava, tutto intorno andava aprendosi in una natura rigogliosa fatta di sottobosco e muschi, di tinte verdi e colori brillanti. Un'ambiente alpino e Setzuna capì.

"Siete uscita fuori dalla cancellata?"

"Si."

Usando il suono, il medico le chiese cosa stesse ascoltando.

“Uccelli. Un cuculo forse. E vento tra le fronde dei pini.”

“Io avverto anche… acqua.” Stimolò.

Respirando pesantemente Michiru scosse la testa affermativamente facendole capire di essere riuscita a condurla dove sperava.

“Un fiume. Non è grande. Ma è rumoroso.”

“Perché?”

“E’ prigioniero.”

Prigioniero? Pensò non capendo.

“Di cosa?”

La ragazza serrò gli occhi abbassando la testa verso sinistra, come se stesse guardando qualcosa. “Un muro… alto. Molto alto, con contrafforti possenti.”

La diga e spinse.

“Siete da sola? Avvertite qualcuno accanto a voi?”

“Non lo so.”

Stringendo le labbra, il medico passò allora al senso tattile iniziando a massaggiarle il dorso delle mani per poi riuscire ad aprirle.

“Avete qualcosa nelle mani?”

“Nnn… no, ma… sono sporche. Le sento viscide.”

Continuando ad accarezzarle delicatamente i palmi con i pollici, le rifece la domanda e questa volta Michiru rispose di si.

“Un fazzoletto. Ho un fazzoletto, ma è sporco…” Ed iniziò ad agitarsi respirando più velocemente.

“Ssss… State tranquilla, non vi accadrà nulla di male. Guardatelo bene e ditemi di cosa è sporco.”

“Di rosso… E’ sangue…”

“Il vostro?”

“No… Ho freddo.”

“Di chi è il sangue Michiru?”

L’altra ansimò. “Respirate affondo. Ci sono io qui con voi. - Le strinse le dita mettendo in gioco l’ennesimo senso. - Avvertite l’odore del sangue?”

“Si. E’ ferroso. E’ troppo… non riesco a fermarlo.”

“Avvertite altri odori?”

Immediatamente sembrò calmarsi ispirando. O si che lo sentiva. Lo sentiva bene l’odore della sua bionda. “Dolcissimo. Leggermente pungente.”

Ma subito dopo, l’inizio di un tremore e lo sbattere velocemente i denti gli uni contro gli altri. “Ho freddo…”

“Cosa vi provoca questo freddo Michiru?”

“L’acqua. E’ dappertutto. E’ violenta e mi spinge verso il basso. Non riesco a stare a galla.”

“Vedete qualcuno accanto a voi. Chi è Michiru?”

Lei mosse la testa colta da leggeri spasmi al petto. Setsuna si trovò a dover decidere in fretta se continuare o fermarsi li. Provò un ultima domanda. Il colore della capigliatura di Haruka. In fin dei conti era l’unico appiglio con il suo passato che Michiru aveva sempre dimostrato di non volere abbandonare.

“Vedo dei capelli biondi come il grano giovane. E’ importante per voi Michiru?”

“E’ la mia vita.”

“Dov’è… ora?”

“Al mio fianco, ma… sei troppo pesante… Non riesco a tenerti… amore.” E a quel parlare improvvisamente con una terza persona, delle lacrime, questa volta di pianto, iniziarono a scivolarle sulle guancie decretando la fine della seduta.

“C’è una luce davanti a voi. E’ calda e rassicurante. Toccatela.”

Alzando una mano a mezz’aria Michiru stirò le labbra tornando a respirare più lentamente. “Ora vi ha completamente avvolta. Camminate al suo interno e continuate a farlo fino a quando ne sentirete il bisogno.”

La riemersione avvenne lentamente come l’immersione, ma serenamente, tanto che quando riaprì gli occhi la ragazza guardò il medico come se stesse aspettando chissà cosa.

“Bentornata.” Disse Setsuna guardandola aggrottare la fronte mentre le asciugava le guance.

“Tutto qui?”

“Cosa vi aspettavate orsi su palle colorate e giocolieri con clave infuocate?!” Ci scherzò su alzandosi per andare a tirare le tende della finestra consigliandole di non muoversi.

“Ma… non è successo niente! Non ricordo assolutamente nulla.”

Ed invece era successo molto, più di quel che la stessa Dottoressa si sarebba mai aspettata per una prima seduta.

“Ve l‘avevo detto che sarebbe stato come un sonno rigenerante. A proposito, come vi sentite?” Chiese mentre appuntava su un foglio qualche frase. Un fazzoletto macchiato di sangue, l’ovvietà che dovesse essere quello della sua Haruka, forse feritasi prima del crollo. Il distacco fra le due doveva essere stato molto più drammatico di quel che Minako, Makoto e la stessa Setsuna avevano supposto.

“Mi sento bene. Come se avessi dormito una notte intera. Quanto è passato?”

“Un’ora scarsa. Credo che tra non molto sarà pronta la cena.”

“Posso alzarmi?”

Tornandole accanto per sedere sul bordo del lettino, la donna le disse di aspettare ancora un poco approfittandone per parlare della seduta. Era prassi farlo con ogni singolo paziente.

“Ditemi onestamente… quando vi chiamo Milena, cosa provate?”

L’altra guardò altrove. “Credo… Credo disagio. Perché?”

“Lasciate che sia io a fare le domande. Comunque ho scoperto che avevate ragione riguardo a quel piccolo talismano che vi portate sempre dietro.” Indicò la tasca destra immediatamente protetta dalla mano dall’altra.

Allora esisti davvero. Non sei solo frutto del mio subconscio libidinoso. Si disse arrossendo ripensando al sogno fatto il giorno precedente.

“Prendeteli, coraggio.” Invitò la dottoressa “cavalcando l’onda” emozionale del momento.

Aprendo il fazzoletto Michiru guardò il ciuffo dorato sospirando. “Sono del mio amore, vero?”

“Credo proprio di si.”

“Perché allora non è qui con me!? Perché non ricordo nulla di lui?”

Lui. Setsuna rimase spiazzata. Oltre ai ricordi di tutta una vita, Michiru aveva azzerato anche le pulsioni sentimentali e sessuali che aveva scoperto di avere verso il proprio sesso e questo avrebbe potuto essere un ulteriore problema da dover affrontare. Come avrebbe preso la cosa la società, la famiglia, gli amici più cari e soprattutto, la stessa Michiru? Non volendo sovraccaricarsi di domande per non rischiare di danneggiare l’altra, fece finta di nulla cercando di rassicurarla ed aiutandola a rialzarsi capì con sua somma soddisfazione che lo sguardo, nei suoi confronti solitamente freddo ed asettico, si era fatto più dolce ed amichevole.

“Mia cara Setsuna, dall’ipnosi si possono ottenere molti benefici anche dal punto di vista del rapporto medico-paziente, yea. Istaurare una seduta sul dialogo, aiuta non soltanto a capire il problema, ma a legare i due individui.” Ricordò del suo Professor Freud.

“Come vi ho già detto tutte le domande avranno una risposta, che sarete voi stessa a darvi. Ora camminiamo un po’. A me è venuta una gran fame e sono sicura che Sigmund ci starà già aspettando per la ronda serale.”

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale – 25/9/1915

 

Per tutto il tragitto dalla stazione centrale alla casa dei Kaiou, Giovanna non fece altro che guardarsi intorno con la classica aria della contadinotta spaesata, tanto da indurre la sorella a riprenderla più di una volta. Con occhi curiosi e camminando all’indietro facendo ondeggiare borsa in una mano e custodia del violino di Michiru nell’altra, cercava di filtrare qualsiasi cosa le sembrasse anche solo vagamente particolare, come le grandi vetrine dei negozi, l’infinità di tombini posti ai lati delle strade, il carico e scarico merci continuo ed un flusso di persone neanche lontanamente paragonabile a Bellinzona o Altdorf.

“Ma la pianti! Mi stai facendo vergognare.” Soffiò la bionda sperando di essere udita nel gran frastuono del marciapiede.

“Come?!”

“Ssss… Che ti urli! - Urlò a sua volta bloccandosi di colpo e facendo girare un paio di passanti. - Cerchiamo cortesemente di evitare di dare troppo nell’occhio?!"

“Scusa. Hai ragione, ma… perché i cavalli portano quelle strane mutande?”

E si ricominciava. Sbuffando Haruka riprese a camminare scuotendo la testa. E se non chiedeva, parlava. E se non parlava, guardava. E se non guardava, chiedeva e guardava insieme!

“Per evitare di sporcare le strade Giovanna. Su pensaci.”

“Ingegnoso! Ma è proprio vero che gran parte delle case hanno l’illuminazione elettrica?”

“Si, te lo avrò ripetuto un centinaio di volte! Coraggio affretta il passo.” Disse guardando il basalto nero scivolarle sotto le suole.

“La fai facile tu! Non devi mica camminare con queste torture ai piedi. Poi fai poco il cittadino, fratellino, perché sono convinta che anche tu quando sei arrivata non riuscivi a staccare gli occhi da tutto questo.”

Haruka rise sapendo quanto l’altra avesse colto nel segno. Appena arrivata in città, alla prima automobile aveva goduto, alla seconda gioito, ma quando avevano iniziato ad essere troppe a sfrecciarle davanti, aveva avvertito sensi di vertigine che non avrebbe mai pensato di avere per dei bolidi tanto perfetti. Troppo baccano e luci, polvere ed esseri umani che spuntavano da ogni dove. Aveva avuto bisogno di alcuni giorni per trovare il coraggio di uscire di casa da sola e quando era riuscita a farlo alla prima consegna affidatale, si era persa vagando per le strade e venendo immancabilmente ripresa dalla signorina Rostervart. Alla seconda uscita, per evitare una carrozza, aveva centrato in pieno un palo dell’illuminazione stradale. Per non parlare del vestiario, del comportamento da tenersi nei dialoghi, il fatto di essersi temporaneamente trasformata in un cameriere ed il vivere nella casa della sua dea dove tutto le ricordava lei.

Già, la sua Michiru. Quando aveva visto il suo ritratto appeso nello studio del padre durante il colloquio d'assunzione a cameriere, l'era quasi venuto un colpo.

“Allora hai capito cosa dire alla ragazza che ti aprirà la porta?” Chiese Haruka svoltando l’angolo ritrovandosi così sulla Nydeggasse Strasse dove troneggiavano alcuni dei palazzetti barocchi più belli del centro città.

“Ho una missiva urgente per il signor Kaiou per conto del signor Giovanni Tenou.” Rispose zelante.

“E te ne vai.”

“E me ne vado.”

Fermandosi accanto ad in portone, la bionda indicò con il mento quello vetrato del palazzo posto dalla parte opposta della carreggiata.

“Quella è la casa di Michiru?!”

“Quella è la casa di suo padre.” Sottolineò con non curanza passandole la busta con poche, ma essenziali spiegazioni che aveva precedentemente scritto sul treno.

“E tu l’hai fatta dormire in un sacco sbattuta per terra?! L’hai costretta a lavarsi con l’acqua ghiacciata, ad arrampicarsi su rocce taglienti e a nutrirsi di topi? Certo non si è innamorata di te per denaro, questo è poco ma sicuro.”

“Giovanna piantala. Dai, tieni.”

Improvvisamente una voce di donna e un nome. “Tenou!”

“Si.” Risposero le sorelle voltandosi all’unisono.

Spalancando gli occhi ed un sorriso via via sempre più marcato, Haruka si ritrovò a salutarla gentilmente.

“Signorina Rostervart… Siete voi!”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi e chiedo subito venia a quelle di voi che dovessero sapere di psicoanalisi. Come sapete non è assolutamente il mio campo, ma essendo anche piuttosto intraprendente, ho voluto cimentarmi in questa prova: una seduta di ipnosi. Naturalmente ho solo lambito l’immenso mondo della mente umana e mi è bastato per sperare di non aver scritto troppe baggianate.

Il segreto di Sigi è stato svelato e purtroppo non è stato assolutamente piacevole, ma le guerre sono così ed è per questo che bisognerebbe pensarci molto molto bene prima di fare i gradassi sulla pelle degli altri ed iniziare conflitti assolutamente privi di logica.

Intanto Giovanna ed Haruka sono arrivate a Berna con il compito di alleviare almeno in parte la trepidazione della famiglia Kaiou, ma la bionda non sa che, una volta ritrovata la sua dea, con molta probabilità si ritroverà a dover ricominciare tutto da capo con lei. O no?

Alla prossima

Ciauuuu.

 

 

 

 

   
 
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