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Autore: Emma_Jane84    27/10/2017    1 recensioni
Bertram è un virtuoso del pianoforte, con la strada del successo spianata davanti a sé: fino a quando un incidente gli lascia una mano paralizzata e lo costringe ad andarsene da Vienna per tornare in Inghilterra, a guadagnarsi da vivere come insegnante privato.
Rose è cresciuta suonando le composizioni di Bertram, ma quando ha la possibilità di incontrare l'uomo che ha idolatrato fin dall'infanzia si trova di fronte a un'amara realtà: lui è sgarbato, scortese, un animale ferito che si rintana nell'ombra.
A spingerli l'uno verso l'altra c'è soltanto quella composizione che lui inizia la sera e lei prosegue di giorno. Sulle note di una sonata, due anime iniziano a parlarsi attraverso il pentagramma prima ancora di potersi guardare negli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, L'Ottocento
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Vienna, Dicembre 1812

 

La notte in cui rientrava a casa imboccando la signorile Domgasse, Bertram Foster era un po' alticcio e si sentiva di buon umore. Aveva fatto tardi per festeggiare con gli amici, e ora l'alba tremolava su un orizzonte grigio, attendendo di poter spuntare tra le nubi e i grossi fiocchi di neve che precipitavano dal cielo.

Il concerto privato della sera precedente era andato bene, oltre ogni sua immaginazione. L'afflusso di pubblico aveva coperto le spese per l'affitto della sala e il trasporto del pianoforte: le sue sonate erano state un successo, e così il quartetto d'archi che aveva diretto personalmente. Il pezzo forte, però, era stata la sua esibizione a quattro mani con Herr Beethoven. La concessione che il suo maestro gli aveva fatto partecipando al concerto era stata determinante per la sua riuscita.

Che ironia. La buona società di Vienna squadrava con sospetto Beethoven l'uomo, accusandolo di essere un burbero misantropo, ma avrebbe pagato senza battere ciglio il proprio peso in oro pur di assistere a una sua esibizione. Il grande virtuoso aveva smesso da tempo di esibirsi, nonostante a pregarlo fosse l'intera nobiltà viennese: era stato solo in nome della loro amicizia se aveva acconsentito a suonare in pubblico ancora una volta.

Bertram si fermò un momento, per ripararsi sotto un balconcino e scrollare cilindro e soprabito dal velo di neve che vi si era depositato sopra.

Avrebbe dovuto mettersi allo scrittoio, e comunicare a Victoria il trionfo del concerto. Avrebbe dovuto farlo subito, appena raggiunto il suo appartamento e recuperata la sensibilità nelle dita. Sua sorella gli era sembrata molto giù di corda nell'ultima lettera, e desiderava darle una notizia che potesse rallegrarla almeno un po'. Da ciò che gli aveva scritto, il soggiorno in Sud Tirolo aveva giovato ai suoi nervi; ma, se Bertram la conosceva abbastanza, probabilmente stava contando i giorni che la separavano dal suo rientro in città. Che errore aveva fatto Max a portarla laggiù! Victoria doveva aver assordato il povero marito a suon di lamentele.

Quando pensava a Victoria infuriata gli veniva in mente l'aria della Regina della Notte. Lei la cantava divinamente, e arrivava al fa quasi sempre senza sforzo. Immaginando i litigi tra la sorella e il cognato nel bel mezzo delle nevi del Sud Tirolo, Bertram si mise a fischiettare quell'aria soprappensiero.

Sussultò quando un rumore di passi spezzò la successione di note.

Qualcuno lo stava seguendo.

Cercò di dominare il senso di allarme, e strinse più forte il pomello del bastone da passeggio. Che assurdità, non c'era nessuno. La luce fioca delle lampade a gasolio ingialliva ancora un manto di neve striato dalle scie delle carrozze. Di tracce umane, solo quelle dei suoi stivali.

Sospirò, stringendosi nel mantello. Per un attimo aveva sperato che un ammiratore lo avesse pedinato fin dalla sala dei concerti solo per stringergli la mano e comunicargli tutta la sua stima.

Bertram si infilò con gratitudine nell'ombra protettiva dell'androne del palazzo. Aveva iniziato a nevicare più forte.

«Buongiorno, Herr Foster».

La voce era contraffatta, ma Bertram sapeva riconoscere il tono del creditore.

Non fece in tempo a sollevare il bastone, che si sentì immobilizzare le braccia. Gli strapparono la sua unica arma dalle mani, e lo sbatterono con la faccia al muro.

Sapore di sangue, come ferro liquido, gli corse dalle gengive sulla lingua.

Dovevano essere tre. Uno gli bloccava i polsi, l'altro gli spingeva la faccia alla parete. Il terzo era la figura che scorgeva con la coda dell'occhio, che se ne stava ferma a braccia incrociate. La neve rendeva le ombre bluastre: il suo mantello era nero? Viola? Grigio?

«Siete in ritardo.»

«Difetto... da artista» ansimò Bertram. «Ho l'incasso del concerto. Seicento fiorini, sull'unghia. Ditelo a Weber. Tra una settimana riavrà tutti i suoi soldi.»

Sentì il capo dei sicari schioccare la lingua. L'uomo che gli teneva la testa frugò nel suo soprabito, e gli portò via le due scarselle gonfie di denaro. Frusciarono dalla mano del galoppino a quella del capo, in un tintinnio di commiato.

«Non bastano.»

«Ve l'ho detto, non ne ho altri con me.»

«Eravate stato avvertito.»

Lo stridio del pugnale gracchiò contro il fodero di ferro. Bertram ingoiò una supplica mentre la lama fredda gli sfiorava la gola. Facevano sul serio, questa volta.

«Herr Weber aspetta i suoi soldi da tanto tempo. Herr Weber non è un uomo paziente.»

«Signori, andiamo, cerchiamo di ragionare. Sapete che non posso pagarvi da morto.»

Il capo dei sicari prese una pausa. Bertram immaginò che stesse sogghignando.

Gli afferrarono la mano destra, battendo il palmo aperto sul muro. Lo costrinsero ad aprire le dita. La lama gli accarezzò il contorno delle dita, falange per falange.

Non poteva perdere lucidità, adesso. Nemmeno se il sudore freddo colava dalle tempie e gelava tra la mandibola e la cravatta, mettendo tra lui e il muro il viscidume del suo terrore. 

«Possiamo trovare un accordo. Sono un pianista, santiddio...come vi pagherò, se mi togliete quello con cui mi guadagno il pane?»

«Questo non è affare nostro.» 

«Farò quello che volete! Herr Weber di certo avrà bisogno di qualcuno che...» 

«Non è Weber che ci manda. È Gundermann.»

La speranza scivolò via insieme all'ultima sillaba di quel nome.

«Per...Christiane?» Era finito. Fottuto. «No, vi prego, vi prego ascoltate...devo parlare con Gundermann. Possiamo risolvere la faccenda da uomini...vi prego!»

Bertram si divincolò con tutta la forza della disperazione, ma la stretta violenta dei suoi assalitori era salda. Gli girarono il volto verso la mano aperta sul muro. Lo avrebbero costretto a guardare.

«Dio...»

Le immagini corsero veloci tra la lama del pugnale e la sua carne. Il peso dei tasti del piano sotto le dita. Il giorno in cui era arrivato a Vienna dall'Inghilterra, pieno di speranza per il futuro. Il concerto di quella sera: un successo. L'ultimo. Le lacrime annebbiarono la vista e gli lasciarono gli occhi, per correre lungo il mento, sul bavero della camicia.

«DIO, NO!»

Seguì la fitta lancinante. La carne che si lacerava, mentre il pugnale affondava tra l'indice e il medio, squarciando i tessuti. Bertram guardò il fiotto di sangue che sprizzava sulla neve. Guardò la sua mano strappata nel centro, come un foglio di carta da buttare.

Il sicario ritirò l'arma e allentò la presa su di lui.

«Che vi sia di avvertimento, Herr Foster. Giocando con il fuoco, si resta scottati.»

Mentre gli uomini fuggivano con il denaro, Bertram si accasciò a terra, tenendosi la mano ferita. Dio, che dolore. Avrebbe dovuto chiamare aiuto. Il sangue correva via, impiastricciava le neve. Se solo avesse potuto far smettere quelle scosse che gli annebbiavano la testa, e concentravano ogni pensiero, ogni respiro, ogni percezione sulla ferita aperta. La fine, la fine di tutto. Tanto valeva morire lì, dissanguato. Si morse furiosamente l'interno della guancia per scacciare il dolore con altro dolore. No, non avrebbe chiamato aiuto, anche se sentiva i diavoli dell'inferno pulsargli dal polpastrello fino al polso e dilaniargli la carne. Anzi, pregò che nessuno lo trovasse, e che il freddo lo stroncasse presto.

Perché in quell'alba sventurata, in quell'androne buio, la sua carriera di musicista era finita.



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NdEmmaJane

Salve ^_^ Ripropongo, dopo tanti anni e sotto un diverso pseudonimo, una storia che avevo pubblicato su EFP anni fa. Ispirata da Jane Austen (mio grande mito), dal film Amadeus e da un viaggio a Vienna, ho messo insieme questo romance Regency, che narra la storia di due musicisti dalle ali spezzate e di come, uno accanto all'altra, imparino di nuovo a volare. 
Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate, sarò felice di avere i vostri pareri costruttivi! ^_^

   
 
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