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Autore: RottingMind    27/10/2017    0 recensioni
Gli specchi riflettono tutto, dagli oggetti alla vita del suo osservatore. In una città misteriosa però non ci sono: quale è il segreto dietro Ailarenuf, sperduta nel nulla e con abitanti stravaganti?
Pian piano si impara come è la gente del posto: non tengono niente dentro, ma dicono tutto apertamente, alla luce del sole, come se non avessero paura di venir scoperti o di essere sentiti da orecchie maligne. Puoi vedere bambini che giocano a palla così come adulti che si fanno nei parchi accanto, e tutto scorre in maniera naturale, come i due fiumi della città; tutt'ora la trovo una cosa strana, fuori dalla norma e dal concetto di civiltà, ma qui sembra esserlo.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Esiste una città, in una zona non precisata, dove non ci sono specchi. O meglio, non è che non ci sono, è proibito il loro possesso fino a quando non ci si sveglia, anche se il concetto di sveglia ed essere svegli è un po' complicato ad Ailarenuf. 
Iniziamo con alcuni fatti: mi trasferii dopo un incidente in auto, e ricordo che stavo guidando di notte, poi ho solo frammenti a riguardo. Un’altra cosa che ricordo è che odiavo come stava andando il mio lavoro: i debiti si stavano accumulando e forse ero costretto a chiudere la mia attività di rivenditore di usati, che mandavo avanti da dieci anni nel mio paese natale.
Dopo la degenza all’ospedale, durata più di quanto mi aspettassi, trovai un annuncio sul giornale con scritto “Cercasi aiutante per negozio”: contando la mia esperienza nel settore e la mia ormai inesistente voglia di restare in paese, decisi di trasferirmi ad Ailarenuf, città che prima di allora non avevo mai sentito nominare. Dopo aver risolto le beghe economiche e firmato qualche carta, riuscii ad andarmene e ad iniziare la mia nuova vita.
Ovviamente all’inizio non fu facile: poiché ero un estraneo, venivo trattato con diffidenza, alle volte ricevendo occhiate torve come se stessero a significare “Tu non sei il benvenuto qui” o “Non durerai molto”. Il proprietario del negozio dove riuscii a farmi assumere era, al contrario di alcuni, gentile e disponibile: forse alle volte tendeva a dire cose strane, ma al tempo non potevo sapere bene cosa intendesse, specie quando una volta durante una pausa mi disse “Sai, da quando sono sveglio mi sembra di essere una persona nuova, è proprio una bella sensazione, mi sento più libero.” Al che io replicai così “Quindi tu diventi una persona nuova tutti i giorni?” e lui rispose con “Oh, non ti preoccupare, un giorno ti succederà anche a te, succede a tutti qui.” Il resto di quella giornata proseguì normalmente, con qualche cliente un po’ sopra le righe, ed intendo che sembravano sotto acidi, e di quelli brutti.
Un altro particolare delle persone di Ailarenuf che notai fu che avevano molto prurito: tutte, e dico tutte le persone con le quali avevo a che fare ogni giorno si grattavano almeno una o più volte. Ma non in maniera leggera del tipo “una grattata e via”, ma più simile al togliersi forzatamente la pelle a causa di un’infezione, e la cosa più strana era il fatto che non vedevo mai la pelle arrossarsi o sangue uscire, anche se probabilmente si trattava di una mia svista.
La città, vista dall’alto, sembra un accampamento militare antico: la forma era quella che poteva sembrare un quadrato dagli angoli smussati, che si allargava a partire dal centro, dove con impetuosità scorrevano i due fiumi Nuhir e Tlenneper, con il primo che era il più grande di portata rispetto al secondo. Perdersi era difficile, poiché essendo squadrata si poteva ritornare al punto da dove si era partiti con molta facilità; l'architettura era per la maggior parte moderna nella parte più periferica, e andava a ritroso nel tempo man mano che ci si avvicinava al centro cittadino: si passava dallo stile ottocentesco fino al tardo medioevo, con una mescolanza di strutture che faceva sembrare il tutto un'enorme torre di Babele, ma più espansa verso il suolo che verso l'alto.
Per quanto riguardava l'etnia contenuta al suo interno posso solo dire che si vedeva più o meno gente da tutto il mondo, anche se la maggioranza era bianca, e si parlava più inglese che altro, ma vi erano minoranze indiane, arabe, europee e pochi asiatici, specialmente cinesi, che vivevano reclusi e sfruttati per la manodopera, o alle volte venduti come schiavi in maniera illegale, e so queste cose perché qui nei bar si sente tutto. Pian piano si impara come è la gente del posto: non tengono niente dentro, ma dicono tutto apertamente, alla luce del sole, come se non avessero paura di venir scoperti o di essere sentiti da orecchie maligne. Puoi vedere bambini che giocano a palla così come adulti che si fanno nei parchi accanto, e tutto scorre in maniera naturale, come i due fiumi della città; tutt'ora la trovo una cosa strana, fuori dalla norma e dal concetto di civiltà, ma qui sembra esserlo.
Ailarenuf è uno di quei posti che ti fa capire se hai la stoffa per starci oppure no, e lo fa tramite la natura: d'inverno i due fiumi, a causa delle piogge intense, finiscono per ingrossarsi, e se non si sta attenti a dove si passa può capitare di venire travolti dalla piena, specie quando si passa sopra il Nuhir, sul ponte Nsecht, rovinato da molte piene del fiume e continuamente rimesso a posto ogni volta. Di sotto e negli edifici circostanti si possono vedere delle targhe che indicano il livello dell'ultima piena, se supera quella precedente: una tra le più memorabili è stata quella avvenuta durante il seicentocinquantatreesimo anniversario della fondazione della città, con il fiume che arrivò a più di tredici metri di altezza dal suo livello normale, considerata la piena più disastrosa accaduta in città. Oltre ai fiumi in piena il posto è soggetto, a seconda delle vie, a forti raffiche di vento, che sembrano essere specialmente forti vicino alla vecchia torre dell'orologio, situata nel quartiere Ontret, situato a pochi minuti di distanza dal quartiere dove mi ero stabilito, che per mia fortuna era poco più a nord rispetto al centro. La cosa più spettrale del vento, oltre al fatto che soffia anche quando nel resto della città non lo fa, è che sembra che ti si arrampichi sulla pelle, ti striscia sopra, come delle formiche che scorrono sulla tua mano quando dormi, ma indefinitamente più raggelante: le prime volte che mi capitò mi sembrò quasi che mi stesse urlando di andarmene da questo posto maledetto e di non tornare mai più.
Ailarenuf ha queste e molte altre stranezze, ma quella più orripilante, raccapricciante e folle mi capitò vario tempo dopo il mio arrivo, dopo quasi sei mesi dal mio trasferimento: fu un qualcosa di casuale, ma che mi fece capire varie cose di questo posto, specie dei suoi abitanti e di alcuni loro comportamenti.
Il fatto, come ho detto, oltre ad avvenire in maniera accidentale, avvenne durante un giorno di pioggia intensa: il Nuhir si stava ingrossando ed io stavo rientrando dal lavoro in macchina sotto un temporale che pareva fosse un segno dell'apocalisse. Generalmente dovevo fare una parte circostante il centro, poiché in alcune zone non si poteva passare a causa di divieti o perché troppo strette per un veicolo, ma quel giorno non potei a causa di un blocco stradale imposto dai vigili, che bloccarono la strada che facevo di routine poiché vi era pericolo che il fiume vi potesse sgorgare una volta straripato: il brutto del centro storico era proprio l’essere racchiuso dai due corsi, come se fosse un occhio nel centro della città. La strada che fui costretto a fare non era di certo ben messa, dato che vi erano almeno cinque centimetri d’acqua sul manto stradale, che rallentavano la macchina in maniera considerevole, anche se la mia fortuna era l’essere da solo in strada la scarsa illuminazione dovuta dalla pioggia rendeva difficile il proseguire. Finalmente, dopo svariati metri riuscii ad uscire dalla zona acquosa, percorrendo una salita non troppo ripida per poi trovarmi in una strada bagnata ma senza troppa acqua, e quella fu la mia sfortuna: dopo una salita il più delle volte vi è anche una discesa, ed è ciò al quale andai incontro. La macchina, che non ha mai funzionato troppo bene e che tenevo più per affetto che per altro, fu ciò che mi uccise: i freni, già mal funzionanti, non funzionarono proprio, facendomi perdere il controllo della vettura e schiantare contro la piccola muraglia di cemento, finendo nel fiume Tlenneper, che era arrivato a livelli che solo gli anziani avevano visto nei loro anni di gioventù. La macchina si schiantò di muso nel fiume, finendo inghiottita dall’oscurità dell’immenso fiume: anche se ero terrorizzato da tutto ciò che stava accadendo, provai ad uscire lo stesso, picchiando contro i vetri mentre l’acqua entrava senza sosta, appesantendo il tutto e portando lentamente a fondo la bara metallica. Dopo vari sforzi, i più dei quali furono quasi inutili, riuscii ad uscire dall’abitacolo, cercando di nuotare a riva, ma il Tlenneper decise in maniera diversa per me, mandandomi addosso un’onda di fango enorme appena emerso, che mi ributtò sotto nell’oblio. Se pensate che la mia sventura sia finita qui, portate ancora un poco di pazienza.
Venni ripescato il giorno dopo, tra il fango e vari legni portati a valle dallo scorrere del fiume durante la piena, avvenuta tredici anni dopo la più spaventosa: in principio sembravo ancora vivo, ma probabilmente cominciai a soffrire di qualche strana allucinazione quel giorno. Le persone di Ailarenuf mi sembravano diverse, e non solo per il fatto che erano più cordiali verso di me quando mi trovarono, ma proprio fisicamente. Cominciai a vedere cicatrici che non avevo mai visto, squarci e parti mancanti dei loro corpi, con le più strane sfumature di colorito di pelle, ma mi dissi che era solo lo shock a farmelo vedere, che era tutto normale e che avevo solo bisogno di riposo. Ma non fu quella la sorpresa più grande quando riuscii a tornare a casa mia dopo aver persuaso i medici, fu quella di avere uno specchio nel bagno e di ciò che vidi riflesso: come ho accennato all’inizio, qui non ci sono specchi, poiché è proibito il loro possesso fino a quando non ci si sveglia. E la mia sveglia fu un buco in corrispondenza dell’occhio destro, grande non più di cinque centimetri di diametro, che mi passava da parte a parte del cranio. Al tocco la carne era nera, senza risposta, ma non riuscivo e soprattutto non volevo credere a ciò che vedevo: uscii fuori, correndo disperato per calmarmi, ma tutti sembravano simili tra loro, con i loro occhi infossati, la pelle mangiata da vermi o addirittura solo muscoli con ossa. Una persona che mi chiese se stessi bene non aveva più le guance e gli occhi, mostrando un sorriso ripugnante in volto: fuggi nuovamente, correndo senza sosta per le vie, ma quando arrivai al vecchio campanile capii che era inutile continuare così, che era inutile correre via, ed il vento me lo urlava, gridandomi che ormai ero il benvenuto qui, che ero a casa.
Una persona esterna può pensare che la sveglia sia quella che avviene tutti i giorni quando ci alziamo dal letto, ma qui è qualcosa di diverso, oscuro, ripugnante e anche distruttivo per il cervello, che ti può mandare all’ospedale psichiatrico: a Funeralia ci si arriva solo quando si muore, e fino a quando non si muore nuovamente non si può sapere bene dove si è, si pensa solo di essere in un posto strano con regole che alle volte possono sembrare un po’ fuori dal comune, ma qui tutto è normale nella città dei morti e dei contrari.

Esiste una città, in una zona non precisata, dove non ci sono specchi. O meglio, non è che non ci sono, è proibito il loro possesso fino a quando non ci si sveglia, anche se il concetto di sveglia ed essere svegli è un po' complicato ad Ailarenuf. 
Iniziamo con alcuni fatti: mi trasferii dopo un incidente in auto, e ricordo che stavo guidando di notte, poi ho solo frammenti a riguardo. Un’altra cosa che ricordo è che odiavo come stava andando il mio lavoro: i debiti si stavano accumulando e forse ero costretto a chiudere la mia attività di rivenditore di usati, che mandavo avanti da dieci anni nel mio paese natale. Dopo la degenza all’ospedale, durata più di quanto mi aspettassi, trovai un annuncio sul giornale con scritto “Cercasi aiutante per negozio”: contando la mia esperienza nel settore e la mia ormai inesistente voglia di restare in paese, decisi di trasferirmi ad Ailarenuf, città che prima di allora non avevo mai sentito nominare. Dopo aver risolto le beghe economiche e firmato qualche carta, riuscii ad andarmene e ad iniziare la mia nuova vita.
Ovviamente all’inizio non fu facile: poiché ero un estraneo, venivo trattato con diffidenza, alle volte ricevendo occhiate torve come se stessero a significare “Tu non sei il benvenuto qui” o “Non durerai molto”. Il proprietario del negozio dove riuscii a farmi assumere era, al contrario di alcuni, gentile e disponibile: forse alle volte tendeva a cose strane, ma al tempo non potevo sapere bene cosa intendesse, specie quando una volta durante una pausa mi disse “Sai, da quando sono sveglio mi sembra di essere una persona nuova, è proprio una bella sensazione, mi sento più libero.” Al che io replicai così “Quindi tu diventi una persona nuova tutti i giorni?” e lui rispose con “Oh, non ti preoccupare, un giorno ti succederà anche a te, succede a tutti qui.” Il resto di quella giornata proseguì normalmente, con qualche cliente un po’ sopra le righe, ed intendo che sembravano sotto acidi, e di quelli brutti.
Un altro particolare delle persone di Ailarenuf che notai fu che avevano molto prurito: tutte, e dico tutte le persone con le quali avevo a che fare ogni giorno si grattavano almeno una o più volte. Ma non in maniera leggera del tipo “una grattata e via”, ma più simile al togliersi forzatamente la pelle a causa di un’infezione, e la cosa più strana era il fatto che non vedevo mai la pelle arrossarsi o sangue uscire, anche se probabilmente si trattava di una mia svista.
La città, vista dall’alto, sembra un accampamento militare antico: la forma era quella che poteva sembrare un quadrato dagli angoli smussati, che si allargava a partire dal centro, dove con impetuosità scorrevano i due fiumi Nuhir e Tlenneper, con il primo che era il più grande di portata rispetto al secondo. Perdersi era difficile, poiché essendo squadrata si poteva ritornare al punto da dove si era partiti con molta facilità; l'architettura era per la maggior parte moderna nella parte più periferica, e andava a ritroso nel tempo man mano che ci si avvicinava al centro cittadino: si passava dallo stile ottocentesco fino al tardo medioevo, con una mescolanza di strutture che faceva sembrare il tutto un'enorme torre di Babele, ma più espansa verso il suolo che verso l'alto.Per quanto riguardava l'etnia contenuta al suo interno posso solo dire che si vedeva più o meno gente da tutto il mondo, ma i più erano bianchi o caucasici, e si parlava più inglese che altro, ma vi erano minoranze indiane, arabe, europee e pochi asiatici, specialmente cinesi, che vivevano reclusi e sfruttati per la manodopera, o alle volte venduti come schiavi in maniera illegale, e so queste cose perché qui nei bar si sente tutto. Pian piano si impara come è la gente del posto: non tengono niente dentro, ma dicono tutto apertamente, alla luce del sole, come se non avessero paura di venir scoperti o di essere sentiti da orecchie maligne. Puoi vedere bambini che giocano a palla così come adulti che si fanno nei parchi accanto, e tutto scorre in maniera naturale, come i due fiumi della città; tutt'ora la trovo una cosa strana, fuori dalla norma e dal concetto di civiltà, ma qui sembra esserlo.
Ailarenuf è uno di quei posti che ti fa capire se hai la stoffa per starci oppure no, e lo fa tramite la natura: d'inverno i due fiumi, a causa delle piogge intense, finiscono per ingrossarsi, e se non si sta attenti a dove si passa può capitare di venire travolti dalla piena, specie quando si passa sopra il Nuhir, sul ponte Nsecht, rovinato da molte piene del fiume e continuamente rimesso a posto ogni volta. Di sotto e negli edifici circostanti si possono vedere delle targhe che indicano il livello dell'ultima piena, se supera quella precedente: una tra le più memorabili è stata quella avvenuta durante il seicentocinquantatreesimo anniversario della fondazione della città, con il fiume che arrivò a più di tredici metri di altezza dal suo livello normale, considerata la piena più disastrosa accaduta in città. Oltre ai fiumi in piena il posto è soggetto, a seconda delle vie, a forti raffiche di vento, che sembrano essere specialmente forti vicino alla vecchia torre dell'orologio, situata nel quartiere Ontret, situato a pochi minuti di distanza dal quartiere dove mi ero stabilito, che per mia fortuna era poco più a nord rispetto al centro. La cosa più spettrale del vento, oltre al fatto che soffia anche quando nel resto della città non lo fa, è che sembra che ti si arrampichi sulla pelle, ti striscia sopra, come delle formiche che scorrono sulla tua mano quando dormi, ma indefinitamente più raggelante: le prime volte che mi capitò mi sembrò quasi che mi stesse urlando di andarmene da questo posto maledetto e di non tornare mai più.
Ailarenuf ha queste e molte altre stranezze, ma quella più orripilante, raccapricciante e folle mi capitò vario tempo dopo il mio arrivo, dopo quasi sei mesi dal mio trasferimento: fu un qualcosa di casuale, ma che mi fece capire varie cose di questo posto, specie dei suoi abitanti e di alcuni loro comportamenti.
Il fatto, come ho detto, oltre ad avvenire in maniera accidentale, avvenne durante un giorno di pioggia intensa: il Nuhir si stava ingrossando ed io stavo rientrando dal lavoro in macchina sotto un temporale che pareva fosse un segno dell'apocalisse. Generalmente dovevo fare una parte circostante il centro, poiché in alcune zone non si poteva passare a causa di divieti o perché troppo strette per un veicolo, ma quel giorno non potei a causa di un blocco stradale imposto dai vigili, che bloccarono la strada che facevo di routine poiché vi era pericolo che il fiume vi potesse sgorgare una volta straripato: il brutto del centro storico era proprio l’essere racchiuso dai due corsi, come se fosse un occhio nel centro della città. La strada che fui costretto a fare non era di certo ben messa, dato che vi erano almeno cinque centimetri d’acqua sul manto stradale, che rallentavano la macchina in maniera considerevole, anche se la mia fortuna era l’essere da solo in strada la scarsa illuminazione dovuta dalla pioggia rendeva difficile il proseguire. Finalmente, dopo svariati metri riuscii ad uscire dalla zona acquosa, percorrendo una salita non troppo ripida per poi trovarmi in una strada bagnata ma senza troppa acqua, e quella fu la mia sfortuna: dopo una salita il più delle volte vi è anche una discesa, ed è ciò al quale andai incontro. La macchina, che non ha mai funzionato troppo bene e che tenevo più per affetto che per altro, fu ciò che mi uccise: i freni, già mal funzionanti, non funzionarono proprio, facendomi perdere il controllo della vettura e schiantare contro la piccola muraglia di cemento, finendo nel fiume Tlenneper, che era arrivato a livelli che solo gli anziani avevano visto nei loro anni di gioventù. La macchina si schiantò di muso nel fiume, finendo inghiottita dall’oscurità dell’immenso fiume: anche se ero terrorizzato da tutto ciò che stava accadendo, provai ad uscire lo stesso, picchiando contro i vetri mentre l’acqua entrava senza sosta, appesantendo il tutto e portando lentamente a fondo la bara metallica. Dopo vari sforzi, i più dei quali furono quasi inutili, riuscii ad uscire dall’abitacolo, cercando di nuotare a riva, ma il Tlenneper decise in maniera diversa per me, mandandomi addosso un’onda di fango enorme appena emerso, che mi ributtò sotto nell’oblio. Se pensate che la mia sventura sia finita qui, portate ancora un poco di pazienza.
Venni ripescato il giorno dopo, tra il fango e vari legni portati a valle dallo scorrere del fiume durante la piena, avvenuta tredici anni dopo la più spaventosa: in principio sembravo ancora vivo, ma probabilmente cominciai a soffrire di qualche strana allucinazione quel giorno. Le persone di Ailarenuf mi sembravano diverse, e non solo per il fatto che erano più cordiali verso di me quando mi trovarono, ma proprio fisicamente. Cominciai a vedere cicatrici che non avevo mai visto, squarci e parti mancanti dei loro corpi, con le più strane sfumature di colorito di pelle, ma mi dissi che era solo lo shock a farmelo vedere, che era tutto normale e che avevo solo bisogno di riposo. Ma non fu quella la sorpresa più grande: quando riuscii a tornare a casa mia dopo aver persuaso i medici, fu quella di avere uno specchio nel bagno e di ciò che vidi riflesso: come ho accennato all’inizio, qui non ci sono specchi, poiché è proibito il loro possesso fino a quando non ci si sveglia. E la mia sveglia fu un buco in corrispondenza dell’occhio destro, grande non più di cinque centimetri di diametro, che mi passava da parte a parte del cranio. Al tocco la carne era nera, senza risposta, ma non riuscivo e soprattutto non volevo credere a ciò che vedevo: uscii fuori, correndo disperato per calmarmi, ma tutti sembravano simili tra loro, con i loro occhi infossati, la pelle mangiata da vermi o addirittura solo muscoli con ossa. Una persona che mi chiese se stessi bene non aveva più le guance e gli occhi, mostrando un sorriso ripugnante in volto: fuggii nuovamente, correndo senza sosta per le vie, ma quando arrivai al vecchio campanile capii che era inutile continuare così, che era inutile correre via, ed il vento me lo urlava, gridandomi che ormai ero il benvenuto qui, che ero a casa.Una persona esterna può pensare che la sveglia sia quella che avviene tutti i giorni quando ci alziamo dal letto, ma qui è qualcosa di diverso, oscuro, ripugnante e anche distruttivo per il cervello, che ti può mandare all’ospedale psichiatrico: a Funeralia ci si arriva solo quando si muore, e fino a quando non si muore nuovamente non si può sapere bene dove si è, si pensa solo di essere in un posto strano con regole che alle volte possono sembrare un po’ fuori dal comune, ma qui tutto è normale nella città dei morti e dei contrari.

 

   
 
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