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Autore: Alessia Krum    28/10/2017    1 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33
Abbastanza brava

- Cerca di muovere meno le braccia e lavorare di polso! - gridò Julian, parando con facilità un affondo di Acquamarina. La ragazza ci stava mettendo tutto l’impegno possibile, ma dopo un’ora di allenamento i muscoli delle braccia le dolevano talmente tanto che non riusciva più a reggere il peso della spada. Chiese un attimo di pausa e appoggiò l’arma ad un albero lì vicino, per rilassare il braccio.
- Come va? - le chiese il ragazzo, avvicinandosi e riponendo la propria spada nel fodero. 
- Questo affare pesa tantissimo. - si lamentò Acqua, spostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi. 
- Vedrai che col tempo migliora, devi solo abituarti al peso. - sorrise lui - Però sei bravina, sai? Soprattutto in difesa. - Acqua sollevò lo sguardo e si appoggiò all’albero con il braccio ancora forte. Aveva le sopracciglia aggrottate e le guance arrossate.
- Però non sembra. Insomma, Max  mi disarma in cinque secondi. - protestò, ripensando a quando avevano duellato per scherzo. Julian rise e recuperò la sua spada.
- Lui disarma tutti in pochissimo tempo. Massimo due minuti e sei distrutto. - commentò. - Però ecco cosa puoi prendere da lui: è dinamico e non sta mai fermo nello stesso punto, si muove in modo fluido ed è elastico. -  Julian parlava mostrandole alcuni attacchi veloci, ripetitivi ma sempre diversi. Acqua riusciva a capire il funzionamento di certi meccanismi, il difficile era metterli in pratica. C’erano determinati movimenti che, eseguiti dal ragazzo, sembravano una sciocchezza, mentre quando cercava di farli lei…era tutta un’altra storia. Julian compì ancora qualche affondo a vuoto, concentrato con lo sguardo fisso avanti. Acqua riconosceva che era un ottimo insegnante, ma non poteva fare a meno di pensare a come sarebbe stato avere Max al suo posto. Ora che il suo occhio era un po’ più allenato, riusciva a mettere a confronto i loro due stili. Julian andava dritto al punto, era aggressivo e tenace, preciso e costante. Era un bravo combattente, anche perché aveva imparato da solo, ma la differenza tra lui e Max era abissale. Il Generale era molto più raffinato, veloce, sciolto, aveva la sua tecnica infallibile e una destrezza insuperabile. Stordiva l’avversario con la velocità e lo spingeva a fare quello che voleva. Era un trappola dalla quale era impossibile uscire.
Acqua ricordò quella che era sempre stata la sua tattica di combattimento. Nella sua infanzia non le erano mai mancate le occasioni per lottare con Max (che fosse per gioco o per un reale litigio, era sempre lui a vincere, anche se cercava di non esagerare) e Acqua pensò in quel momento che forse lui la stava allenando già allora. Se non allenando, l’aveva portata a considerare il combattimento come una cosa quasi normale. Le diceva sempre che sapersi difendere era molto importante e, per un pretesto o per un altro, erano più le volte che iniziavano a  fare a botte che quando giocavano normalmente. Forse era per quello che stava lentamente uscendo il suo lato guerriero: perché c’era sempre stato, e Max non aveva fatto altro che nutrirlo e farlo crescere per tutto quel tempo. Acqua si riscosse dai suoi pensieri quando Julian le porse la spada.
- Ora io ti attacco e tu cerchi di difenderti, vediamo cosa  succede. - le propose. Acqua serrò le dita attorno all’elsa e si allontanarono per mettersi in posizione. La ragazza sollevò il braccio destro, ignorando i muscoli che protestavano, e pose la spada trasversalmente per proteggersi. In meno di tre secondi Julian le fu addosso e l’attaccò con forza dall’alto. Acqua parò il colpo, ma il ragazzo era stato così violento che il suo braccio distrutto non riuscì a contrastarlo. La spada si abbassò di molto e le due armi scivolarono una sull’altra producendo uno stridio fastidioso.
- Posso tenerla con entrambe le mani? - domandò Acqua, che tremava per lo sforzo di sorreggere un peso doppio. Julian sollevò la sua spada e ritornò alla posizione di partenza.
- In teoria no. - rispose - Ma se ti aiuta, fai pure. L’importante in battaglia non è tenere la spada come da manuale. - Julian aspettò che Acqua si preparasse e ripartì con gli attacchi. Acqua capì che li stava facendo sempre più complessi, e sempre uno diverso dall’altro. Riuscire a sistemare la spada nella direzione adatta per parare i colpi diventava sempre più difficile. Con due mani l’arma era molto più leggera, ma Julian ci stava dando dentro. Acqua dovette fissare un piede dietro di sé per riuscire a contrastare gli ultimi affondi, alcuni dei quali la fecero indietreggiare per il contraccolpo. La ragazza stava capendo cosa significava esattamente lavorare di polso. Julian era quasi fermo con il corpo e con le braccia, l’unica parte che si muoveva era la mano con la spada, velocissima. La cosa che non riusciva a capire era come facesse ad imprimere tanta forza al colpo senza utilizzare i muscoli delle braccia. Forza e gioco di polso. La lama fendeva l’aria  rapidissima, e Acqua non riusciva più a stargli dietro. Riuscì a parare un colpo basso di striscio, ma non arrivò in tempo per bloccare quello successivo verso l’alto. La lama di Julian sfiorò la punta di quella di Acqua e finì la sua corsa nel vuoto tra la spalla e l’orecchio della ragazza. Acqua la guardò con la coda dell’occhio, incredula. Se l’era fatta scappare. Delusa e ansimante, la spostò con la punta della propria lama. 
- Niente male. - affermò Julian, riponendo la spada. Acqua sbuffò e conficcò la punta della propria arma nel terreno, appoggiandovisi sopra. 
- Dici? - sibilò. Anche Julian aveva il respiro corto come lei. 
- Non so se te ne sei accorta, ma hai resistito per un quarto d’ora. - sorrise lui, sedendosi sui talloni di fronte a lei. Scosse la testa per spostare i ciuffi che come al solito sfuggivano alla coda e gli cadevano sugli occhi, per poi sollevare lo sguardo penetrante verso il viso di Acqua.
- Per oggi abbiamo fatto abbastanza, non credi? - le domandò.
- Continuiamo domani? - replicò Acqua, abbassandosi nella stessa posizione del ragazzo. Lui la fissò un attimo negli occhi, divertito dall’aria battagliera quanto insolita della ragazza, e annuì.
- Perfetto. - sorrise Acqua, ed entrambi si alzarono e recuperarono le loro cose per tornare all’interno del castello.

***
 
La biblioteca era calma e silenziosa, avvolta in un’atmosfera ovattata, come se fosse esentata dal normale scorrere del tempo e dagli effimeri drammi umani. L’unica persona al  suo interno era un vecchio, ricurvo per il peso degli anni e gracile come uno scheletro mangiato dal tempo. Un vecchio, chino su un volume che pareva essere nato secoli prima, un vecchio i cui occhi cristallini erano persi alla ricerca della verità. C'era qualcosa di strano che non riusciva ad afferrare. Archias odiava quei momenti. Avvertiva una strana vibrazione nell’aria, come una punta di oscurità nascosta che non aspettava altro che uscire allo scoperto. Come al solito, non riusciva a decifrarla. Il dono della Veggenza che il Dragone gli aveva concesso era straordinario quando gli permetteva di spalancare le porte del destino e conoscere i segreti del futuro, ma in quei momenti l’avrebbe volentieri donato a qualcun altro. Era come essere costretti a sopportare enormi periodi di vuoto, come se i suoi occhi spalancati fossero aperti su una stanza scura. Aveva gli strumenti per vedere, ma spesso era costretto a rassegnarsi a non percepire altro che il buio più profondo. Sapere che c'era qualcosa di inafferrabile che aspettava di essere scoperto, e non poterlo fare, era frustrante. 
Da giorni si stava sforzando di andare a fondo in quella sensazione che gli attanagliava le viscere, una vocina che gli gridava che c’era qualcosa di oscuro in agguato, qualcosa che si nascondeva nell'ombra. Sentiva di avere la soluzione a portata di mano, ma non riusciva a raggiungerla. 
Il Saggio si sollevò con qualche difficoltà dallo scranno nero che occupava per uscire un attimo in terrazzo. Forse fare un giro all'aria aperta lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Fece vagare per qualche minuto lo sguardo sui tetti delle case che si ergevano ai piedi del castello, come tanti pargoletti protetti dal padre. Sorrise, guardando la città brulicare di energia. Era incredibile quanto il ritorno della primavera avesse sollevato gli animi di tutti, ma purtroppo la bella stagione non era riuscita a porre rimedio al suo tormento. Per un attimo lasciò i pensieri liberi, un’infinità di piccoli demoni che gli affollavano la mente. Pensò a tutto quello che era successo, e a tutto quello che doveva ancora venire. Pensò alla sua città natale, distrutta da molto tempo, e a quello che il futuro riservava per loro. Appoggiato alla balaustra del terrazzo e completamente rapito dai suoi pensieri, non si era accorto di aver abbassato lo sguardo sul parco del castello. Tra gli alberi,  nascosti dalle fronde, il Saggio vide la principessa e il ragazzo dallo sguardo che catturava la notte allenarsi nel combattimento. Difficilmente un occhio normale avrebbe potuto scorgerli, ma lui vedeva. La Veggenza era un dono particolare, che non si limitava al futuro, ma riguardava anche le cose del presente. Archias vedeva e sapeva cose incredibili. Quando il Dragone glielo permetteva, il suo sguardo oltrepassava le barriere degli oggetti, scavava nelle profondità delle anime, esplorava i pensieri, scandagliava il futuro. Era un incarico unico e di un'immensa importanza, e allo stesso tempo dolce e affascinante, dall’infinita bellezza. I più grandi misteri del mondo si schiudevano davanti ai suoi occhi, ma lui era schiavo del Dragone. Poteva vedere solo quello che Lui decideva di fargli vedere, ed era sempre Lui a permettergli di rivelarne una piccola parte agli altri uomini, sotto forma di enigmi complicati e quasi impossibili da risolvere. Teneva per sé tutto il resto, a costo di rovinare per sempre il corso del destino. Non gli pesava, perché sapeva che quello era il suo, di destino.
Un lampo di consapevolezza gli attraversò la mente. Non era quello che aveva sperato, ma il Dragone aveva comunque scelto di mostrargli qualcosa. Quando gli ingranaggi del portone della biblioteca si misero in movimento per far entrare la figura di Max, il Saggio aveva già trovato la copia degli Annali di cui aveva bisogno e l’aveva sistemata sulla propria scrivania, per poi tornare a dedicarsi alla lettura. 
Il giovane Generale si dirigeva verso la sezione della biblioteca dedicata all’Archivio, quando passò davanti alla scrivania del Saggio.
- Credo che quello che stai cercando sia qui. - gli si rivolse il vecchio, con la sua voce debole, ma allo stesso tempo così piena di autorità. Aveva parlato lasciando lo sguardo incollato alle pagine ingiallite del suo libro, ma sollevò gli occhi sentendo Max ritornare sui suoi passi. Un sorriso gli increspò le labbra sottili quando vide lo stupore sul volto del ragazzo che sfumava, come se stesse pensando che avrebbe dovuto aspettarselo. Max lanciò un’occhiata al volume dalla copertina di alghe che era stato preparato per lui e si avvicinò per prenderlo, ringraziando il Saggio.
- Ragazzo. - lo chiamò il vecchio, prima che potesse raggiungere il libro. Max si fermò e rimase ad ascoltare, incrociando lo sguardo limpido del guardiano della biblioteca. - Non credo che quello che hai intenzione di fare porterà dei risultati. - gli disse, con la voce ferma e tranquilla di chi sa quello che dice. Max sapeva che non era un tentativo di fermarlo. Il Saggio non si metteva mai contro le decisioni degli altri, qualunque esse fossero. Gli sorrise, come se niente fosse.
- Sempre meglio provare, no? -  

***

Max non staccò gli occhi dal libro quando sentì la porta del Salone degli Anemoni aprirsi. Doveva per forza riuscire a trovare qualcosa di concreto sugli Annali, altrimenti certi membri del Consiglio l’avrebbero scannato vivo, dopo tutto quello che aveva detto il giorno prima. Gli serviva solamente uno straccio di prova che dimostrasse che il Dragone non era scomparso, qualcosa che provasse la sua esistenza. Non sapeva per quale motivo, ma tutti avevano iniziato a pensare che quella del Dragone fosse solo una leggenda inventata per dare speranze alla gente. E ora che le speranze si erano sgretolate, in pochi continuavano a credere alla sua esistenza. Se era vero che la sua vita era legata a quella del pianeta stesso, come poteva non intervenire per porre fine al delirio di quei quindici anni di guerra? Era un interrogativo alquanto ricorrente, e a dire il vero anche piuttosto fondato, ma Max sapeva che ci doveva essere qualcosa a supporto delle sue idee. Per il momento però, aveva trovato solamente le testimonianze di due vecchi e una ragazza vissuti secoli prima che sostenevano di aver avuto incontri con “lo spirito dorato dell’anima del mondo”, ma non erano dati molto utili, dato che l’epoca di cui si parlava era molto antica.
Perso dietro ai suoi ragionamenti, Max si era scordato della persona che era entrata poco prima, fino a quando non avvertì qualcuno che si sedeva accanto a lui sul divanetto. Sollevò a fatica gli occhi dalle righe finissime che decoravano ininterrottamente le pagine ingiallite del volume. Aveva già un’idea di chi potesse essere il visitatore.
- Acqua. - sorrise, sollevato, come se finalmente qualcosa in quella lunga giornata fosse andata nel verso giusto. Lasciò il libro sul tavolino, senza curarsi delle pagine che si richiudevano per conto loro, e le si avvicinò come un naufrago che finalmente avvista la terra. 
- Scusami, non volevo disturbarti. - sussurrò Acqua, accoccolandosi accanto a lui sul divanetto. Max le circondò le spalle con un braccio e avvicinò la bocca all’orecchio della ragazza.
- Tu puoi disturbarmi quanto ti pare. - le rispose lui, dolcemente. Non gli importava di perdere tempo se era Acqua a farglielo perdere. Anzi, non poteva neanche considerarla come una perdita di tempo, perché ogni volta che passavano dei momenti insieme gli sembrava di rinascere, di lasciarsi tutti i problemi alle spalle. 
Era come un toccasana per il suo umore. 
Sorrise ricordando l'episodio di quella mattina sulla Terra. Quando Max era venuto a portare la posta, Acqua non aveva resistito alla tentazione di dargli un bacio. Era stata velocissimo, Acqua aveva fatto un passo avanti e con nonchalance aveva appoggiato le labbra sulle sue. Era stato un bacio dolce e innocente, come uno di quei baci che si danno i bambini, per vedere che effetto fa. Era stato così rapido che Max si era domandato se ci fosse stato veramente. Il ragazzo l'aveva guardata, in piedi sulla porta mezza nascosta dietro lo stipite, e le aveva detto, con un sorriso malizioso: - Principessa, un po' di contegno, per favore. -
Acqua aveva riso. - Ops...  - gli aveva risposto, poi era scomparsa, chiudendosi dietro la porta. Max era andato via con un sorriso indelebile sul viso, che non l’aveva abbandonato per le due ore successive. Acqua era come una tempesta per la negatività: distruttiva.
E la tempesta era appena ricominciata.
Max le lasciò un bacio delicato sulla tempia, affondando il naso nei capelli della ragazza, poi un altro poco più in basso, e continuò così, tracciandole sulla pelle un disegno che solo lui comprendeva. Acqua si lasciò trasportare dalla dolcezza del momento, lo assecondò seguendo con la testa i movimenti di lui ad occhi chiusi. Ogni volta che Max le sfiorava la pelle con le labbra, un brivido le correva lungo la schiena. Max continuò il suo disegno lungo la sua guancia, fino ad arrivare al profilo della mandibola e giù, lungo il collo, per poi risalire. Acqua lo fermò solo quando arrivò all’angolo della bocca: voltò di poco il viso per far combaciare le sue labbra con le sue.
- Non avevi qualcosa da fare? - sorrise lei, appoggiando la fronte su quella del ragazzo.
- Sì, ma può aspettare cinque minuti. - rispose lui, finendo la frase direttamente sulle labbra della ragazza. 
- Mh, comunque ero venuta per farti una domanda. - sorrise lei. Anche se era stata lei stessa a ricordare il motivo di quella visita, non aveva proprio voglia di lasciare da parte il momento delle coccole. 
- Dimmi. - sorrise Max. Ma Acqua non aveva voglia di rovinare subito l’atmosfera tenera che si era creata. Sicuramente la sua domanda avrebbe fatto arrabbiare il ragazzo, perciò cercò di schivare il momento ancora per un po’.
- Non è urgente…prima vorrei sapere che cosa stavi facendo. - disse, acciambellandosi accanto a lui. Max la assecondò, fingendo di dimenticarsi della domanda per un attimo. Le circondò le spalle con un braccio, recuperò il libro degli annali e se lo sistemò sulle gambe, girato verso la ragazza. 
- Una cosa inutile. - le rispose, sospirando. - Cercavo una traccia per dimostrare a dei vecchi testardi che il Dragone esiste veramente. Ma qua sopra non c'è nulla. - 
Acqua avrebbe voluto sapere di più riguardo ai vecchi testardi, perché sentiva - lo sapeva - che Max le stava tacendo qualcosa. Però non rischiò un’altra domanda, perché immaginava che quella per cui era venuta lì fosse già abbastanza azzardata. Non poteva giocarsi quell’occasione. La ragazza sfiorò le fragili pagine del volume cogliendo brandelli di frase qua e là, ma senza concentrarsi troppo sulle parole che leggeva.
- Queste parole sono in lingua antica! - esclamò, soffermandosi sugli strani caratteri che riusciva a capire solo a sprazzi. Una volta in biblioteca aveva trovato un libro di grammatica antica, ma dopo qualche giorno lo aveva lasciato perdere. A parte le cose elementari, era tutto troppo complicato perché lei riuscisse a studiare la lingua da sola. Sul foglio riconobbe gli articoli, il verbo essere e qualche parola qua e là, quelle più semplici e simile alla lingua corrente. Oro, anima, respiro. 
- Che cosa significa questa frase? - domandò a Max. Il ragazzo sorrise e tradusse senza il minimo sforzo. - "La luce color dell'oro avvolse le sue membra intorno ad egli e da allora nulla fu più come prima. Davanti a noi si ergeva la figura maestosa dell’anima del mondo, respiro dell'eternità." - 
- Wow. - fu l’unico commento della principessa, anche se non sapeva bene per cosa fosse. Forse per il significato di quelle parole che, anche se tradotte velocemente, avevano una forza evocativa unica. Non sapeva come spiegarlo, ma le avevano provocato una sensazione di calda familiarità. Come si faceva a vedere l’anima del mondo? Probabilmente Acqua avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo fare. 
Max rimase zitto qualche istante, lasciando che il silenzio alimentasse i muti ragionamenti della ragazza, poi ripose di nuovo il libro sul tavolo e fissò gli occhi nei suoi.
- Allora, questa domanda? - le chiese. Acqua tornò in sé, come risvegliandosi da un sonno profondo, e si rivolse a lui con un filo di voce.
- Non arrabbiarti, ti prego. - disse, temendo che Max avrebbe riso a quella richiesta. Sembrava la tipica frase di un bambino colto con le mani nel sacco. Ma Max sollevò impercettibilmente le sopracciglia e non aggiunse una parola; si limitò a farle un cenno, per spronarla a parlare.
- Volevo chiederti di poter partecipare a una battaglia al tuo fianco. - sospirò Acqua, timorosa. L’espressione di Max si indurì.
- Acqua, sai che probabilmente questa è la domanda più inutile della storia? - replicò Max.
- Già, avevo immaginato che avresti reagito così. - disse Acqua, spostando lo sguardo sul pavimento. Si alzò dal divanetto, allontanandosi leggermente. - Per questo ho anche pensato ad un piano. Il mio ruolo sarebbe unicamente quello di seguirti e coprirti le spalle, proteggendo te e altri dove tu non arrivi. In questo modo ti starei incollata come la tua ombra e potrei usare i miei poteri come scudo. Sarebbe utile ad entrambi. - spiegò, cercando qualche segno di approvazione che però non arrivava. - Seriamente. - riprese, abbandonando il tono remissivo e avanzando di qualche passo con la schiena raddrizzata e le braccia incrociate - I miei poteri sono un’arma pazzesca, ora che li so usare come se fosse la cosa più naturale del mondo. Posso fare qualsiasi cosa sia utile all’esercito, tutto quello che vuoi. Riesci anche solo ad immaginare a tutto quello che potrei fare? - Max non rispose, limitandosi a un sorriso tirato. Sapeva benissimo di che cosa era capace Acqua, quella che non lo sapeva era lei. Il suo silenzio spazientì ulteriormente la ragazza, che continuò a parlare senza sosta: - Ti giuro che eseguirò ogni tuo ordine senza discutere. Max, sento una voglia di mettermi in campo che non riesco  frenare. Non posso più nascondermi dietro un pretesto, perché troppa gente sta morendo mentre io sto a rimuginare invece di fare qualcosa di utile. E so di essere pronta e forte abbastanza per questo.- Acqua sentiva il cuore rimbombare nelle orecchie, mentre le sue parole galleggiavano nell’aria. Max si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e alzò lo sguardo verso di lei. Inaspettatamente, si ritrovò ad annaspare in cerca di una scusa.
- Acqua, questo è ciò che si chiama desiderio di morte, e non è una cosa molto bella. - le disse, ostentando un’aria divertita che però non fece altro che rendere l’intera situazione ancora più seria. - Quante volte devo ripeterti che non voglio che ti lanci in missioni suicide? - 
- E io cosa dovrei dire a te che sei sempre in prima linea a rischiare la vita? - ribatté la ragazza, senza pensarci un secondo. Max la guardò dal basso, sempre seduto sul divanetto, senza sapere più quale argomento mettere in campo.
- È diverso, Acqua. - sputò il Generale, a denti stretti. Lui stesso riconobbe l’infondatezza di ciò che aveva detto, ma doveva tentare tutti i modi possibili per proteggerla. Lei non poteva e non doveva trovarsi coinvolta in una battaglia. Sarebbe stata la fine.
- Cosa è diverso? - continuò imperterrita Acqua. Max accampò un’altra stupida scusa.
- Che io ci sono dentro da quando sono nato…per te è un altro discorso. - 
- In che senso?  - sbottò lei, spazientita da tutte quelle risposte enigmatiche e poco sensate. - È perché non sono cresciuta qui? -
- Acqua, ci sono tante cose, non è solo quello… -
- Come fai a dirlo? - domandò la ragazza, senza lasciare spazio a Max. Lui si alzò dal divano, avvicinandosi a lei e scostandole un ciuffo dalla fronte.
- Acqua, basta, per favore. - mormorò, con aria supplice.
- No, Max.- protestò lei, scostandosi lievemente dalle sue dita. Il suo tono era insistente come quello di un bambino capriccioso, che sa di stare per cedere e ne è indispettito.
- Per favore. - insistette il ragazzo, regalandole uno di quei sorrisi che avrebbero potuto far sciogliere un ghiacciaio perenne. Acqua lasciò che lui chiudesse l’argomento con un piccolo bacio. La principessa sospirò, e decise di lasciar perdere.
   
 
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