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Autore: Itsamess    28/10/2017    2 recensioni
«Dean, io credo… credo che sia questo il motivo per cui siamo qui. Forse dobbiamo aiutare a trovare quel ragazzino!»
 
«Sì, proprio. Abbiamo viaggiato nel tempo per trovare un bambino? E non mi tirare fuori quelle stronzate religiose per cui “succede tutto per una ragione”» ribatté Dean facendo le virgolette con le dita «Ho già Castiel per quello.»
 
Suo fratello sospirò.
«Non sto dicendo questo. È solo che lo hai detto anche tu, per noi non avrebbe senso finire in Indiana… eppure siamo qui, è il 1983 e un ragazzino è appena scomparso. Quante probabilità c’erano?»
 
 
[Crossover Supernatural/Stranger Things]
[Sono 11.000 parole, io vi ho avvisati]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia contiene spoiler sulla PRIMA stagione di Stranger Things, e spoiler sparsi su Supernatural fino alla quinta (ovvero, fin dove sono arrivata a guardarla) ma in realtá il contesto non è importante, essendo una semplice Case Fic.

Rating giallo per il linguaggio non proprio da Oxford Cambridge


 


Andiamo, Sammy, a tutti piacciono gli anni Ottanta!
 
 
 


Era tutto così perfetto da sembrare un sogno.
 
Ok, forse non c'era nessuna ragazza carina e ancora nessuno aveva portato le ciambelle, ma era comunque il tipo di sogno che Dean avrebbe fatto volentieri
(era sempre meglio degli incubi a tema Disco Inferno senza Disco)
 
Era notte fonda. Uno spicchio di luna simile ad uno squarcio nel cielo emanava una debole luce biancastra, il resto lo facevano i fari dell'Impala.
Non che ce ne fosse un reale bisogno, comunque: la strada era libera, per non dire completamente deserta. Dean immaginò che fosse un po’ per via dell’ora tarda e un po’ perché quel tratto stava diventando famoso per le sue inspiegabili tempeste di fulmini, per cui gli automobilisti preferivano girare a largo.
 
In effetti non era esattamente il massimo guidare con la paura di essere fritti da una scarica elettrica, pensò Dean, accarezzando distrattamente il volante dell’auto, ma non è che avessero molta scelta: i fenomeni elettromagnetici erano un classico segno di presenza demoniaca, un po’ come un’enorme freccia luminosa da parte dell’universo che indicava ai Cacciatori dove cercare.
Nell’ultima settimana si erano verificate già tre tempeste di fulmini in una zona completamente pianeggiante, per cui era piuttosto ovvio che si trattasse di un lavoro per loro.
 
Come sempre, avrebbero seguito la solita routine: sosta nel primo motel libero, doccia rigenerante, litigio per decidere a chi spettava il lato del letto migliore, qualche ora di sonno e al mattino una bella colazione a base di caffè e toast umidicci, prima di chiudersi tutto il giorno nella biblioteca locale a fare ricerche.
Insomma, una domenica da sballo – per di più in compagnia di un simpaticone come Sam.
 
Dean cercò di scacciare il pensiero della giornata seguente e di concentrarsi solo sulla strada, che scorreva sotto di lui come un fiume d'asfalto, dritta e perfetta. Premette leggermente sull’acceleratore, godendo nel sentire il virile rombo della motore della sua piccolina.

Guidare di notte, che piacere assoluto.
Nessun idiota a tagliargli la strada, nessun camion a impallargli mezzo specchietto retrovisore… nessun ostacolo – solo la luna, la strada, lui e il suo gusto musicale impeccabile.
 
Proprio in quel momento, Springsteen stava cantando Born to Run in una straordinaria versione live, tutta riff di chitarre e urla del pubblico. Era grandioso poterla mettere su senza il costante brontolio di Sam che gli ripeteva che quel disco lo avevano già sentito centinaia di volte.
E anche se fosse stato così?
Quella canzone era un fottuto classico, e ai classici si porta rispetto.
 
The highway's jammed with broken heroes on a last chance power drive 
Everybody's out on the run tonight 
but there's no place left to hide 

 
Dean lanciò un'occhiata al fratello, addormentato sul sedile del passeggero. Aveva la tempia destra appoggiata al vetro del finestrino e i capelli, ultimamente fin troppo lunghi, sparpagliati sopra alla fronte.
Forse era soltanto un cliché da fanfiction – non che Dean leggesse quella robaccia, ovviamente – ma Dean non poté fare a meno di pensare che suo fratello sembrava davvero più giovane e vulnerabile, ad occhi chiusi.
Era buffo, gli ricordava di quando erano piccoli e al volante c'era papà e le notti in cui passavano la frontiera le trascorrevano in auto. Quando la strada era particolarmente accidentata per via delle buche e dei dossi, Dean si toglieva il giubbotto e lo infilava sotto alla testa di Sam per evitare che si facesse male sbattendola contro il finestrino.
 
(Dio, quando stava diventando sentimentale. Ci mancava solo che gli scendesse una lacrimuccia e la musica salisse in un crescendo drammatico – non erano mica nella scena finale di uno stupido telefilm!)
 
Where we really wanna go 
and we'll walk in the sun 
But till then tramps like us 
baby we were born to run 

 
Dean abbassò il finestrino e inspirò a pieni polmoni l'aria della notte. Era tanto fredda da dargli alla testa, e per un istante il rumore del vento coprì le parole della canzone. Era uno di quei momenti perfetti in cui la sua vita di merda gli sembrava un po’ meno di merda, e lui poteva essere semplicemente se stesso... Dean. Non più il cacciatore, non più il ragazzo tornato dal regno dei morti, non più l’uomo giusto che aveva sparso sangue all’inferno. In momenti come quello, il peso delle sue colpe sembrava sparire, una canzone alla volta, un chilometro alla volta.
 
Si sentiva libero, nato per correre, come il vecchio Bruce. Sorridendo fra sé e se, Dean alzò ancora un po' il volume della canzone, tanto Sam restava addormentato e lui restava il guidatore, e lo sanno tutti che è il guidatore a scegliere la musica.
Quindi, Springsteen.
 
«Whoa-oh-oh-oh-oh-oh-oh… Ru-uh-uh-un!» canticchiò senza vergogna, cercando comunque di mantenere un tono di voce non troppo alto. Non voleva rischiare di svegliare Sam e doversi sorbire l’ennesimo recap di quale fosse il caso e come avrebbero fatto a risolverlo.
 
Tanto si trattava solo di una tempesta di fulmini, il solito demone annoiato che cerca di fare un po’ di casino… Lui e Sam avrebbero pronunciato i loro esorcismi, annaffiato tutto di acqua santa e amen (in ogni senso).
 
Davvero, era un lavoro di routine. Sarebbe andato tutto liscio, sicuro al 100%.
E mentre Springsteen riprendeva a cantare il ritornello, Dean premette più a fondo sull'acceleratore.
 
«Rallenta.» commentò stancamente Sam.
Ovvio, era tipico di lui dormire fino all'ultimo e svegliarsi apposta per rompere. Con la coda dell'occhio, Dean lo guardò passarsi una mano sul volto per nascondere uno sbadiglio, prima di ripetere con maggior convinzione: «Dean, dico sul serio, rallenta. Il cartello diceva limite a 90.»
 
«Rilassati, Sammy! È una strada secondaria, non ci sono autovelox!»
 
«Non si tratta dell'autovelox. Rispetta il limite, stai già andando abbastanza veloce...» brontolò lui «Potrebbe essere pericoloso.»
 
«Pericoloso per chi? Non c'è un cazzo di nessuno qui!»
 
Sam aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma Dean lo precedette: non aveva affatto l’intenzione di discutere con lui, non alle cinque del mattino. Tanto valeva farlo contento.
 
«D'accordo, d'accordo, rallento!» sbottò allora, esasperato. Non riusciva a capire perché suo fratello ci tenesse tanto... che differenza avrebbe fatto un miglio orario in più o in meno? Lui e Sam avevano passato dei mesi ricercati dal FBI con l’accusa di pluri-omicidio, non potevano farsela sotto per una multa per eccesso di velocità!
 
Ma non aveva davvero aveva voglia di litigare, così, con un sospiro, sollevò il piede dal pedale di destra.
«Lo hai sentito, piccola?»  le sussurrò mentre si  protraeva leggermente verso il cruscotto dell’auto «Limite a 90. Maledette strade di provincia… Comunque io te lo dico, Sam, la prossima volta che critichi la mia guida ti ritrovi a fare l’autostop sul ciglio della strada, tipo Donna in Bianco!»
 
Suo fratello borbottò qualcosa sul fatto che stava solo cercando di non farli ammazzare tutti e due e Dean si trattenne a malapena dal ribattere che la morte non era mai stata in grado di fermare i Winchester, che erano andati e tornati dall’altro mondo tanto spesso da meritarsi una tessera Mille Miglia.
 
Con i suoi soliti brontolii, Sam gli aveva rovinato l’umore – oltre ad avergli fatto perdere l’ultimo coretto di Born to Run – per cui Dean non aveva tanta voglia di scherzare. Tirò su il finestrino, lanciò un’occhiataccia al tachimetro e esclamò in un tono volutamente plateale: «Tò, 88 miglia orarie. Soddisfatto ora?»
 
Sam non ebbe il tempo di rispondere nulla, perché esattamente un attimo dopo si sentì qualcosa di simile ad un suono secco e violento, come uno schioccare di frusta.
«Ma che -»
 
Una saetta di luce, bianca e accecante, balenò davanti agli occhi di Dean e prima che potesse capire di che cosa si trattasse – un angelo caduto? Una fottuta stella cometa? – la vide infrangersi sul cofano dell’Impala, tutta fumo e scintille.
 
Dean frenò di colpo, in mezzo alla strada.
 
«Sammy! Sammy, stai bene?!» si ritrovò a gridare, mentre freneticamente spostava lo sguardo dalla testa del fratello al suo torso alle sue gambe, per accertarsi che non fosse rimasto ferito in nessuna parte del corpo. Per fortuna, Sam non sembrava essersi fatto nulla di grave, almeno a prima vista.
 
«Cosa è stato?» boccheggiò lui, ancora sotto shock.
 
«Un fulmine, credo. Ci ha colpiti un cazzo di fulmine! Ma quante probabilità c'erano?!» sbottò Dean, sbattendo una mano sul volante con uno scatto di rabbia. Cos'altro gli doveva succedere quella sera? Per una volta, poteva restare sereno per dieci minuti senza pensare ad angeli, demoni e compagnia bella? Dean non sapeva con certezza se quel fulmine fosse da ricondurre ad un demone o a cosa - e francamente in quel momento non gli importava. Ci avrebbe pensato più tardi. Intanto, restava di accertarsi che, oltre a Sam, anche l’altro pezzo del suo cuore stesse bene.
 
Dean aprì di colpo la portiera e si precipitò fuori per controllare i danni alla carrozzeria dell’Impala.
 
Purtroppo, la situazione non era buona, perchè l’auto era completamente avvolta da un fumo denso e grigiastro. Come se non bastasse, il fulmine aveva centrato in pieno il cofano, che ora era tutto ammaccato come il coperchio di una vecchia scatola da scarpe.
Non c'era bisogno di dare un’occhiata al motore per capire che doveva essersi completamente fuso.
A Dean piaceva un sapore affumicato di tanto in tanto, ma negli hamburger, non sulla sua auto.
 
«Qualcuno potrebbe spiegare a Dio che prendersela con noi è un conto, ma che NON DOVREBBERO ANDARCI DI MEZZO DELLE AUTO INNOCENTI??» non poté fare a meno di urlare contro il cielo.
 
Sam mascherò con un colpo di tosse una mezza risata.
 
Che cosa ci trovava di divertente?
Era vero, l’Impala aveva visto di peggio – tutti loro avevano visto di peggio – ma questo non cambiava il fatto che quello stupido l'incidente del fulmine avrebbe tremendamente rallentato la loro tabella di marcia: avrebbero dovuto chiamare un carro attrezzi, cercare un meccanico, aspettare che sostituisse il motore e solo in quel momento tornare in quel tratto di autostrada e finire il lavoro…
Maledetto demone, Dean non vedeva l’ora di rispedire all’Inferno quel bastardo.
Dopotutto, quello che ora stava friggendo dentro all’Impala era un motore originale, ed era improbabile che il meccanico di un piccolo paesino texano ne tenesse uno uguale in garage.
L’Impala non sarebbe più stata la stessa.
 
Dean non riusciva davvero a crederci.
Deglutì a fatica il groppo che aveva in gola: «Mi viene quasi da piangere»
 
«È per via del fumo» commentò stancamente Sam, che sapeva sempre cosa dire a chi stava soffrendo.
 
Il fratello lo ignorò.
«E come se non bastasse ora siamo bloccati qui, nel bel mezzo del nulla!» esclamò allargando le braccia. Si guardò intorno alla ricerca di un casolare, o di un’area di servizio, ma non c’era assolutamente niente che indicasse la presenza dell’uomo: solo un’enorme distesa desolata e pianeggiante, puntellata qua e là da arbusti secchi. Sulla linea dell’orizzonte, davanti a loro, restava in bilico una foresta, resa ancora più spettrale dal  tenue chiaro di luna.
Insomma, era classico scenario da film horror, gli mancava solo un inquietante ululato in lontananza. Dean sospirò: già la vista non prometteva nulla di buono.
«Conoscendo la nostra fortuna immagino che non ci sia neanche campo-»
 
«Non c'è, ho appena controllato,» gli confermò Sam, rimettendosi in tasca il cellulare «Deve essere per via degli sbalzi elettromagnetici della zona… Non ci resta che aspettare che passi di qui qualcuno.»
 
Dean scosse la testa.
«Questo tratto di strada è chiuso, ricordi? Pericolo tempeste di fulmini!» esclamò teatralmente, ripensando come, poche ore prima, avesse riso fragorosamente leggendo quel cartello. Oh, l’ironia drammatica.
 
«Allora non lo so, potremmo andare a piedi nel centro più vicino e chiedere aiuto. Ci sarà pure una città, da queste parti…»
 
Coprendosi la bocca con un lembo della maglietta per evitare di respirare il fumo che continuava ad uscire dal cofano, Sam si riavvicinò all’Impala e aprì la portiera. Dean lo guardò frugare qualche secondo nel vano porta oggetti e poi estrarne quella che sembrava uno spiegazzatissimo atlante stradale. Facendosi luce con il telefono, Sam prese ad esaminarlo.
 
«Ecco… Hawkins. Dalla cartina sembra che si trovi a meno di quattro miglia da qui. Non sono tante, non potremo impiegarci molto.»
 
Dean gli rivolse uno sguardo accigliato.
«Stai scherzando, vero? Non mi starai davvero chiedendo di abbandonare qui la mia auto?»
 
Suo fratello sospirò.
«Dean, l’hai detto tu, la strada è chiusa. Nessuno passerà da queste parti… e poi- odio fartelo notare ma non credo che un ladro potrebbe essere interessato all'Impala. Sai, non se la sta passando… benissimo.» concluse, indicandogli l’auto in panne con un  debole cenno della testa.
 
«Non me lo ricordare!» gemette debolmente Dean, chiudendo gli occhi con gravità «Non riesco nemmeno a guardarla...»
 
«È sempre per via del fumo.»
 
«La vuoi piantare?» ribatté Dean, prima di arrendersi ad un mezzo sorriso.
Suo fratello gli sorrise di rimando, anche se il suo volto era segnato dalla stanchezza e Dean si ritrovò a pensare a quanto gli fosse familiare avvertire di nuovo quel legame con lui, guardarlo e sapere con certezza che anche se sarebbero stati loro due contro il mondo avrebbero sempre potuto contare l’uno sull’altro. Certo, ora si trattava soltanto di uno stupido guasto al motore e il conseguente ritardo sulla tabella di marcia, ma in qualche modo non gli dispiaceva tornare ai vecchi tempi – con una bella missione sul campo e un lavoro vecchio stile, per la serie Sala & Brucia, senza che ci fossero angeli e apocalissi di mezzo…
Con Sam non lo avrebbe mai ammesso, ma tutto questo gli era mancato.
 
Nel frattempo, suo fratello aveva iniziato a stipare negli zaini tutto quello che gli sarebbe potuto servire – vari documenti e distintivi falsi, il diario di papà, torce elettriche, sale grosso, acqua santa, amuleti e un paio di coltelli – si era infilato nella tasca della giacca la pistola e aveva richiuso il portabagagli. Era ora di andare.
 
«Come hai detto che si chiama ‘sta città?» domandò un’ultima volta Dean, sistemandosi il proprio zaino sulle spalle.
 
«Ehm… Hawkins, mi pare.»
 
«Beh, tutti ad Hawkins, allora!» gli fece eco lui, con finto ottimismo «L'ultimo che arriva paga la colazione!»

 
---
 


Stavano camminando da circa un’ora quando iniziarono ad addentrarsi nella foresta.
In realtà ne avrebbero anche fatto a meno, visto che non era ancora completamente giorno e le loro torce non sarebbero servite a molto dato che non c'era nessun sentiero da seguire, tuttavia secondo la cartina Hawkins si trovava esattamente al di là del bosco, mentre continuare a camminare lungo l’autostrada avrebbe soltanto allungato il percorso.

Nel complesso non doveva trattarsi di una grande foresta, ma Dean non ci si sentiva  proprio agio. Non era il suo ambiente. C'era troppo poco asfalto e fin troppo muschio. Era Novembre e gli alberi erano spogli. I loro rami si contorcevano come artigli scuri nel cielo vagamente rosato del mattino.
 
«Ci mancava solo il Bosco dei 100 Acri» brontolò Dean. Con un sospiro, abbassò lo sguardo sui propri stivali, tutti inzaccherati da foglie secche e terriccio umido. Passo dopo passo, i suoi piedi stavano praticamente affondando nella terra scura come quelli di Artax nella Palude della Tristezza. Ciò che però era strano era che a quanto pareva lui e Sam non erano i soli ad aver attraversato il bosco di recente, perché il suolo era disseminato da decine e decine di orme umane. A giudicare dalla loro lunghezza, sembravano essere state lasciate da persone adulte. Non erano messe una in fila all'altra, ma si vedeva che puntavano tutte verso una stessa direzione.
«Hey, Sam, le hai viste anche tu queste impronte?»
 
«Ce ne sono a centinaia,» commentò lui, smettendo di camminare. Si accovacciò per esaminarle meglio e sfiorò delicatamente l'impronta più vicina: «La terra è ancora umida. Non possono essere più vecchie di qualche ora. Potrei sbagliarmi, ma è come se la scorsa notte qui ci fosse stata una processione, o qualcosa del genere…»
 
«Una processione nel bel mezzo di una foresta? Ti prego, dimmi che non si tratta di un maledetto sabba stregonesco, lo sai che odio quel genere di cose!»
 
Sam borbottò qualcosa di incomprensibile e si rialzò. Sembrava aver notato qualcosa di importante, perché aveva lo sguardo fisso su un punto davanti a lui, anche se Dean continuava a vedere solo le sagome scure degli alberi. Stava per chiedergli se avesse trovato un indizio, o qualcosa del genere, quando lo vide correre qualche metro più avanti e sparire dietro l’ennesima pianta. Dean gli si lanciò dietro, imprecando contro tutto quel fango e freddo.
 
Sam non era andato lontano: si trovava in piedi di fronte a quella che a prima vista sembrava una vecchia quercia. Era fermo, immobile,  lo sguardo fisso su un rettangolo bianco.
La sua voce era poco più di un sussurro.
«Non era un sabba. Era una squadra di ricerca» disse, indicando a Dean il foglio inchiodato sul tronco.
 

                
 
Dean osservò il foglio, domandandosi se fosse questo che Sam aveva intravisto fra gli alberi, poco prima.
Si trattava di uno di quei volantini che avvisano della scomparsa di una persona, o un gatto – i classici avvisi che in realtà non servono a nulla se non a far sentire meglio i parenti (o i padroni) del disperso. Per quanto ne sapeva lui, nessuno era mai stato ritrovato grazie ad uno stupido pezzo di carta e probabilmente questa non sarebbe stata un'eccezione.
«Questo Will Byers ha lo stesso taglio di capelli che avevi tu ai tempi di Stanford, ma a lui sta meglio. Forse perché ha dodici anni e non ventidue.»
 
Era una cosa che Dean faceva spesso- quella di usare l'ironia come scudo, come diversivo per non mostrare al mondo che stava solo fingendo di stare bene. Vedere quel volantino gli aveva messo addosso la cupa malinconia delle tragedie già avvenute, per cui nessuno può fare più niente. Detestava sentirsi cosí.
«Povero ragazzino.»
 
«Già…» commentò distrattamente Sam, che già da un pezzo non stava più guardando le fotografie, né il testo dell’avviso. La sua attenzione era tutta su una minuscola sequenza numerica, scarabocchiata malamente in alto a destra.
«Dean... Dean, guarda la data…»
 
«6 novembre 1983» lesse lui, senza capire «Non è possibile, questo volantino sembra appena stampato!»
 
«Forse è soltanto uno scherzo,» abbozzò Sam, stringendosi nelle spalle «Halloween è appena passato… Deve essere uno scherzo, non possiamo davvero aver-»
 
«Abbiamo viaggiato nel tempo!» decise Dean con lo stesso tono di voce mezzo entusiasta e mezzo trionfante con cui aveva raccontato a Sam la sua teoria sul finale di Inception, per cui tutto il film non è che un sogno del protagonista. Scosse la testa e sorridendo aggiunse: «Dio, era da tutta la vita che desideravo dire una cosa del genere!»
 
Sam scosse vigorosamente la testa, nel tentativo di scacciare quell’idea dalla propria testa e soprattutto da quella di suo fratello.
«Non parlerai sul serio! Non possiamo davvero aver viaggiato nel tempo!»
 
Le labbra di Dean si incurvarono in un mezzo sorriso: «Beh, ci sono successe cose più strane!»
 
Era vero, era decisamente vero.
I Winchester avevano cacciato ogni genere di creatura e sperimentato possessioni demoniache, dimensioni parallele e resurrezioni.
Un viaggio nel tempo non era poi così improbabile.
 
«D’accordo ma… come?» esclamò Sam, ancora confuso «Pensi che si tratti di questo bosco? Chissà, forse c’entra qualche maledizione… o una fattura, ti ricordi quel campo di grano in Oregon?»
 
«Ma quale fattura!» ribatté Dean, non senza rabbrividire di ribrezzo al pensiero delle streghe. Allargò le braccia ed esclamò: «Non dirmi che non hai ancora capito! È piuttosto ovvio, se ci pensi!»
 
«A che cosa dovrei pensare, esattamente?» chiese Sam, un po' infastidito.
 
«Al fatto che sia proprio come nel film!» rispose con nonchalance Dean, felice per una volta di poter illuminare suo fratello su qualcosa che evidentemente non aveva ancora notato. «Facci caso: l’Impala raggiunge le 88 miglia orarie, viene colpita da un fulmine e bum- ci ritroviamo come Micheal J. Fox!»
 
Aveva accompagnato quasi ogni parola con un  gesto entusiasta delle mani, eppure Sam ancora non aveva capito di cosa diavolo stesse parlando.
«Ehm…»
 
Improvvisamente, Dean perse il sorriso.
«Non dirmi che non sai chi è!»
 
Suo fratello arrossì e distolse lo sguardo.
«Non lo so, Dean, sei tu che passi tutte le sere su Netflix! Scusami tanto se preferisco dormire!» ribatté, sulla difensiva «O… leggere-»
 
«Ma Ritorno al Futuro è un classico!»
 
«Per te ogni cosa che non conosco o che non mi piace è un classico.» replicò Sam, a cui probabilmente non erano andate giù tutte le discussioni su Born to Run.
«E ora potremmo tornare al problema principale?»
 
«Intendi dire il nostro viaggio nel tempo?»
 
«Sì, Dean, il nostro viaggio nel tempo! Ho capito che non stai nella pelle all'idea di ritrovarti nel tuo film preferito ma riflettici… finora non abbiamo mai sentito parlare di fenomeni atmosferici in grado di piegare lo spazio/tempo e invece ecco che tutto ad un tratto un fulmine ci colpisce e ci ritroviamo nel passato! Non pensi che sia strano?»
 
«Siamo noi, ovvio che sia strano» borbottò Dean. Si sfilò lo zaino dalle spalle e ne estrasse la bottiglia d’acqua, offrendone prima un sorso al fratello.
 
«Grazie» sospirò Sam, restituendogli la bottiglia «Non lo so… questa storia non mi piace.»
 
«Andiamo, Sam, a tutti piacciono gli anni Ottanta!» commentò l’altro «Bon Jovi, Star Wars, MacGiver… Prima o poi, troveremo un modo di tornare indietro- noi due siamo tornati dal regno dei morti, questa cosa non potrà essere così difficile! E comunque non capisco che cos’hai da lamentarti… potevamo finire al tempo dei dinosauri o delle bombe atomiche, e invece ci sono capitati gli anni Ottanta-»
 
«L’ ‘83.» puntualizzò Sam e improvvisamente c’era una strana tristezza nella sua voce «Ci troviamo nell'83. Lo stesso anno, lo stesso mese della morte della mamma. Non ti sembra strano che continuiamo a finire sempre in questo preciso punto della storia?»
 
Le labbra di Dean si ridussero ad una linea sottile che sostituí il sorriso che aveva avuto fino  quel momento. Non aveva voglia di parlarne. E poi cosa credeva, Sam, che lui non se ne ricordasse?
Come poteva dimenticare che il 1983 era stato l’anno in cui la sua vita era cambiata per sempre - l’anno in cui lui aveva smesso di essere un semplice bambino di quattro anni e si era trasformato nel soldato di cui suo padre aveva bisogno?
Se lo ricordava. Se lo ricordava fin troppo bene.
«Che intendi dire?»
 
«Non lo so. È solo che non capisco perché dovremmo finire sempre in questo momento. Se è solo una coincidenza, è abbastanza crudele.»
 
Non so se lo hai notato, fratellino, ma tutta la nostra vita è stata abbastanza crudele. 
Senza volerlo, Dean ripensò alla notte dell’incendio e al modo in cui le fiamme avessero continuato ad ardere per ore prima che i pompieri potessero spegnerle. Ripensò al fatto che, in tutti i suoi ricordi, sua madre indossava sempre la solita camicia da notte bianca, come se a lui non fosse concesso di immaginarla in nessun altro modo. Ripensò al djinn che gli aveva fatto assaporare cosa si provasse, per una volta, ad avere una vita normale – e ripensò a quanto gli fosse costato, alla fine, dovergli dire di no.
 
Forse Sam aveva ragione e anche questo era un inganno, un’allucinazione assurdamente realistica causata da chissà quale essere soprannaturale.
 
«È come se tutto cominciasse sempre in questo momento e noi fossimo costretti a riviverlo ancora e ancora…» stava infatti dicendo Sam, stringendosi nelle spalle «Magari si tratta di un Trickster. Uno vero, stavolta.»
 
Dean si ritrovò a scuotere la testa: «Intendi un bastardo dotato di una sconfinata fantasia e troppo tempo libero? No, non credo si tratti di un Trickster… perché mai dovrebbe farci questo? Ok che è 1983, è un anno importante per noi, ma questa è Hawkins, non Lawrence. Se davvero qualcuno volesse colpirci usando i nostri stessi ricordi non ci avrebbe portati in questa minuscola cittadina in cui non abbiamo mai messo piede. Non avrebbe alcun senso…»
 
«E se invece stessimo completamente sbagliando approccio? Se stavolta non si trattasse di noi, ma di lui?» realizzò improvvisamente Sam, facendo un vago gesto in direzione dell’albero dietro di sé.
 
Dean lo guardò senza capire.
«Di lui… l’albero
 
«Non l’albero! Will Byers!» esclamò Sam, indicando il volantino «Dean, io credo… credo che sia questo il motivo per cui siamo qui. Forse dobbiamo aiutare a trovare quel ragazzino!»
 
«Sì, proprio. Abbiamo viaggiato nel tempo per trovare un bambino? E non mi tirare fuori quelle stronzate religiose per cui “succede tutto per una ragione”» ribatté Dean facendo le virgolette con le dita «Ho già Castiel per quello.»
 
Suo fratello sospirò.
«Non sto dicendo questo. È solo che lo hai detto anche tu, per noi non avrebbe senso finire in Indiana… eppure siamo qui, è il 1983 e un ragazzino è appena scomparso. Quante probabilità c’erano?»
 
«La gente sparisce continuamente!» sbottò Dean.
 
«Sì, ma i viaggi nel tempo non sono così frequenti, o sbaglio? È chiaro che sia stato qualcosa a condurci qui – chiamalo come vuoi, Dio, il Destino-»
 
«Delle indicazioni stradali»
 
«Il punto è che forse possiamo dare una mano. Non vuoi cercare di sfruttare al meglio il tempo che abbiamo qui?»
 
Dean non poté fare a meno di pensare che se si fosse trattato di una concorrente di Miss America l’avrebbe votata all’istante, perché Sam sembrava davvero convinto delle proprie parole – perché era fatto così, aveva questo profondo desiderio di rendersi utile agli altri, anche quando si trattava di sconosciuti, anche quando non restava niente da fare.
Con un sorriso amaro, Dean ripensò a quanto in fretta lui stesso, pochi minuti prima, avesse dato quel Will Byers come già spacciato.
Ma Sam no.
Forse era questo il più grande pregio, e il suo più grande difetto.
Aveva sempre troppa speranza.
 
«Ma non sappiamo nemmeno se è un lavoro per noi!» cercò di dire Dean, pur sapendo benissimo che suo fratello non lo avrebbe ascoltato «Magari è soltanto un ragazzino scappato di casa, magari è stato fatto a pezzi dal suo vicino…»
 
«O magari è un lavoro per noi.» concluse sorridendo Sam «Ci basterà fare qualche domanda una volta giunti in città, non perderemo molto tempo, te lo prometto.»
 
Dean stava per rispondergli che tanto di tempo ne avevano quanto volevano -dato che erano di circa trent’anni in anticipo su qualsiasi cosa avessero in programma per quella settimana – ma al contrario avvicinò l’indice alle labbra e fece segno a suo fratello di fare silenzio.
 
Senza dire una parola, Sam annuì.
Lo aveva sentito anche lui.
Un rumore di rametti spezzati, un fruscio di foglie secche.
Ma soprattutto, un suono che sembrava simile al click di una macchina fotografica.
Non erano soli.
 
I fratelli si voltarono di scatto, spostando lo sguardo da destra a sinistra, ma la boscaglia era troppo fitta perché potessero vedere chiaramente intorno a sé.
In altre circostanze non avrebbero esitato a dividersi e a perlustrare il bosco in solitaria, ma non sembrava una buona idea farlo adesso che erano senza telefoni funzionanti e con soltanto qualche arma di base nello zaino.
E poi non era detto che si trattasse di una persona, né che quella persona avesse intenzioni ostili... magari si trattava solo di una coppietta in cerca di intimità, o di un vecchietto che faceva una passeggiata.
(Quel bosco tutto fango e radici non era l’ideale per nessuna delle due attività, ma Dean scelse di non pensarci)
 
«Andiamo» disse infine Dean, mettendo una mano sulla spalla del fratello e indicandogli quella che sembrava essere una colonna di fumo nel cielo, indice di un camino acceso. La città non doveva essere troppo distante da loro e Dean non vedeva l’ora di uscire da quel maledetto bosco.
Rinfilò lo zaino: «Gambe in spalla. Prima raggiungiamo Hawkins, prima capiremo qualcosa di più di questa storia.»

 
---
 

 
«Hawkins, dolce Hawkins!»
 
Le parole di Dean volevano essere sarcastiche, eppure suonarono stranamente appropriate nel silenzio di una cittadina appena sveglia: non soltanto le sei e mezza del mattino erano ancora troppo presto per poter sentire il rombo delle auto e il lamento dei clacson, ma Hawkins non sembrava un posto in cui potessero esistere dei rumori del genere. Sembrava una di quelle cartoline pubblicitarie che si trovano nelle agenzie immobiliari. Sotto a quel cielo che stava virando dal rosa all’azzurro, Hawkins sembrava una cittadina felice e tranquilla, di quelle in cui l’evento più importante dell’anno è la tombolata di Natale. Le strade erano ampie e i viali alberati, le casette squadrate e ridipinte con colori pastello. Quasi ogni abitazione era circondata da un prato tagliato all’inglese, reso lucido dalla pioggia della sera prima.
Era tutto molto roseo e piacevole alla vista – quasi stucchevole, come i donut ricoperti di glassa che vendevano alle stazioni di servizio.
Dean si chiese se la scomparsa di quel ragazzino fosse l’unica cosa strana avvenuta ad Hawkins, o se fosse soltanto la punta dell’iceberg.
 
Con un sospiro, si sedette sul ciglio del marciapiede e domandò con poca convinzione: «Il cellulare ancora non ti funziona, giusto?»
 
«No» gli confermò Sam, prima di aggiungere con un mezzo sorriso: «E in effetti trovandoci negli anni 80 ha piuttosto senso. Temo che per le ricerche dovremo fare alla vecchia maniera, biblioteca e buona volontà-»
 
«Hey, hey, piano tigre! Anche se questo fosse un lavoro per noi – cosa che ancora non sappiamo – ti ricordo che priorità resta la mia auto!» puntualizzò subito Dean «Non mi piace l’idea di averla lasciata tutta sola!»
 
«Starà benissimo senza di noi, te lo assicuro» mormorò Sam, sperando che il fratello non ricordasse in che condizioni – fumose e ammaccate – avevano abbandonato l’Impala.
Se le fosse successo qualcosa, Dean non glielo avrebbe mai perdonato, poco ma sicuro.
 
Porgendogli una mano, Sam aiutò il fratello ad alzarsi dal marciapiede: «Per ora pensiamo solo a cercare un motel... Lasciamo lì le nostre cose, chiamiamo un carro attrezzi e facciamo qualche domanda in giro sulla scomparsa di Will Byers»
 
«Ma sentilo, La Scomparsa di Will Byers! Sembra il titolo di un brutto film» brontolò Dean, che ancora non era convinto che si trattasse di qualcosa di loro competenza. Magari era solo un ragazzino che aveva marinato la scuola – anche se ovviamente ad uno scolaretto modello come Sam non poteva neanche venire in mente una cosa del genere.
«Se vuoi continuare a perdere tempo con questa storia, va bene, ma prima… torta, ho bisogno di energie!»
 
Sam si arrese ad un sorriso ed annuì.
Dopotutto, non avevano mangiato nulla dalla sera e non potevano pensare di affrontare creature soprannaturali a stomaco vuoto.
«Mi sembra di vedere l’insegna di un diner, poco più avant-»
 
In quell’istante, un ragazzino in bicicletta gli sfrecciò davanti, tagliandogli la strada: «L’ultimo che arriva è un Demogorgone!» urlò a quelli che dovevano essere i suoi amici, che qualche secondo dopo lo seguirono – è il caso di dirlo – a ruota.
 
«Hey, guardate dove state andando!» urlò loro dietro Dean, trattenendosi appena dall’aggiungere un paio di imprecazioni per rendere più chiaro il messaggio. Quei maledetti bambini erano identici in tutte le dimensioni temporali.
«Sam, stai bene?»
 
Lui annuì: «Sì, sì, non mi hanno nemmeno sfiorato.»
 
«Per un paio di centimetri! Cosa altro ci deve succedere, in questo dannato posto?»
 
Dean sperava che quantomeno la torta del Benny’s Burger fosse la migliore della sua vita, perché fino a quel momento Hawkins non rientrava esattamente nella Top Ten delle sue città preferite. E così, con l’ennesimo sospiro della giornata, entrò insieme al fratello dentro al diner - che a dire il vero dall’esterno non prometteva benissimo, vista l’insegna a lutto appesa sulla porta.

 
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Che nel 1983 fosse sabato lo si poteva intuire dal fatto che nel diner non stessero facendo colazione solo uomini in carriera e studenti di fretta, ma intere famigliole felici, sedute a tavoli ricolmi di milkshakes, patatine fritte e pancakes.
Finalmente la giornata iniziava a girare per il verso giusto.
 
Sam e Dean si sedettero in uno dei pochi tavoli rimasti liberi e dopo un po’ la cameriera venne a prendere le loro ordinazioni.
«Scusate l’attesa! È il mio primo turno nel weekend e come vedete è un casino… Cosa posso portarvi?» domandò una voce femminile.
 
«Per me solo un caffè, grazie» disse Sam.
 
Dean gli lanciò un’occhiataccia: fra il guasto all’Impala, il bosco e i vari isolati avevano camminato per ore, si meritavano qualcosa di buono!
Si schiarì la voce e senza staccare gli occhi dal menù prese ad elencare: «Per me una birra media, delle patatine e una fetta di torta della casa, meglio se di mele, ma sono flessibile. Oh, e anche i waffle, già che ci sono!»

Quando finalmente Dean alzò lo sguardo decise che Hawkins si meritava un paio di punti in più perché la cameriera di quel posto era davvero carina.
Non esattamente il suo genere – le donne le preferiva un po’ più formose – ma comunque carina: la ragazza aveva una bellezza sottile, capace di emergere da particolari come il colore chiaro degli occhi, la forma a diamante del viso, una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro che doveva essere sfuggita alle forcine.

Secondo la targhetta che portava sul grembiule rosso magenta, si chiamava Nancy.
E nonostante Dean avesse appena scoperto il suo nome, non poté fare a meno che aggiungere in un tono basso e seducente: «Sempre che tu non sia sul menù, dolcezza-»
 
Sam gli tirò un calcio sotto al tavolo.
«Devi scusarlo... Mio fratello è un po' sotto shock» lo giustificò, abbozzando un sorriso mortificato in direzione della ragazza «So che sembra pazzesco ma siamo appena stati colpiti da un fulmine.»
 
Nancy si portò una mano alla bocca: «Oh mio Dio, vi serve un dottore?!»
 
«Ci serve un carro attrezzi» la corresse Dean «E un meccanico, ma che sia bravo, non il primo che passa-»
 
«Non potresti darci un indirizzo?» concluse Sam gentilmente «Te ne saremmo davvero grati.»
 
La ragazza arrossì: «C-certo io… posso guardare sull'elenco telefonico, così su due piedi non mi viene in mente nulla… ma forse può aiutarvi il mio ragazzo, Steve- lui ne sa più di me di motori e meccanici.»
 
Sam sfoderò il suo solito sorriso aperto e riconoscente e Dean riuscì quasi a sentire il cuore di Nancy che accelerava all’impazzata.
Era strano, per una volta, non essere lui al centro delle attenzioni di una ragazza.
Non era certo che gli piacesse.
 
«Sarebbe l’ideale!» stava intanto dicendo Sam «E un’ultima cosa, Nancy… sai dove possiamo trovare un telefono pubblico funzionante? Abbiamo provato con qualche cabina telefonica, in città, ma sembrano tutte fuori servizio»
 
«Oh, è così da qualche giorno, la linea va e viene. Ma potete provare con il telefono del diner, non credo sia un problema per il nuovo proprietario. Se volete chiedo…»
 
Sam si accigliò: «Cosa è successo al precedente proprietario?»
 
«Si è suicidato tre o quattro giorni fa. Un colpo di pistola, una cosa orribile» rispose la ragazza, abbassando la voce «Una delle cameriere è una mia amica e mi ha detto che non se la sentiva di venire a lavorare oggi, così eccomi qui.»
 
«Eccoti qui» le fece eco Dean, anche solo per dire qualcosa.
 
«Già… beh, corro a portare le vostre ordinazioni in cucina» concluse Nancy in fretta, pur continuando a guardare solo Sam «E chiedo a Billy per il telefono»
E così dicendo corse via prima ancora che potessero ringraziarla di nuovo.
 
«Che ragazza carina» commentò Sam, mentre tirava fuori dallo zaino un pezzo di carta. Si trattava del volantino che avevano trovato nel bosco, quello che avvisava della scomparsa di Will Byers.
 
«Wow.. Di solito non ti sbilanci mai così tanto. Quella Nancy deve aver proprio fatto breccia nel tuo cuore!»
 
Sam sospirò: «Che hai capito? - intendevo dire che è stata umanamente carina. Gentile, insomma. Disponibile a darci una mano.»
 
«Sì, sì come vuoi.» tagliò corto Dean, che non aveva affatto voglia di questi discorsi smielati di prima mattina perché gli facevano passare l’appetito.
«Cosa intendi fare per il caso Byers?»
 
«Lo chiamiamo così ora?» ridacchiò suo fratello.
 
«Io lo chiamerei anche Caso Chiuso, ma so che tu invece ci tieni particolarmente, quindi avanti, illustrami il tuo piano geniale per trovare questo ragazzino!»
 
Non avrebbe voluto essere tanto brusco, ma l’intera faccenda stava andando avanti già da troppo tempo: Hawkins sarebbe dovuta essere solo una breve sosta per riparare la macchina e invece si erano ritrovati nelle pieghe del tempo, appiedati e alla ricerca di un bambino che probabilmente non sarebbe tornato più a casa.
Purtroppo, era fin dai tempi dei suoi studi di Legge a Stanford che Sam aveva un debole per le cause perse.
 
«Senti, se non hai voglia di aiutarmi smetti di girarci intorno e dimmelo in faccia. Io ho il sospetto che c’entri qualcosa di soprannaturale, ci sono troppe cose che non tornano-»
 
«A parte Will?»
 
«Molto divertente» rispose Sam, per nulla divertito. Dispiegò il volantino sul tavolo, lisciandolo con il palmo della mano. «Hai sentito quello che ci ha detto Nancy… la corrente va e viene da giorni, presumibilmente da quando è scomparso Will. Sai meglio di me che-»
 
«I cali di tensione sono classici segnali di presenza demoniaca» recitò a memoria Dean, all’unisono con il fratello «Lo so, lo so… ma un indizio non basta a fare una prova.»
 
«E il suicidio del vecchio proprietario di questo posto? Anch’esso avvenuto, guarda caso, proprio quattro giorni fa. Ci siamo mossi per molto meno, e lo sai.»
 
Dean si morse un labbro: «Chissà, forse mi sono stancato di doverti consolare ogni volta che non riusciamo a salvare qualcuno»
 
Sam si ritrasse davanti a quelle parole come se il fratello avesse tirato fuori un coltello.
«E questo cosa vorrebbe dire?»
 
«Che ti conosco. Conosco quello sguardo da Io vi salverò che ti viene ogni volta che ci imbarchiamo in una nuova missione, ma senti qui l’ultima notizia: non possiamo salvare tutti»
Erano parole troppo dure perché Dean potesse rimangiarsele, e infatti non lo fece. Si alzò dal tavolo e afferrò lo zaino.
«Mi faccio portare le cose al bancone. Tu mangia pure con Nancy, se ti va.»
 

 
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Dean avrebbe voluto fare un’uscita di scena un po’ più trionfale, qualcosa con un crescendo di musica e tensione drammatica, con Sam che lo guardava allontanarsi con gli occhi inondati di lacrime e lui che invece se ne andava sbattendo la porta, ma aveva davvero troppa voglia di quella torta per pensare di abbandonare il diner senza nemmeno averla assaggiata.
Pazienza se sarebbe stato solo di un paio di metri distante da Sam.
 
Prese posto ad una degli sgabelli alti intorno al bancone, giusto in tempo perché una cameriera, diversa da Nancy, gli portasse l’ordinazione.
Assaggiò un paio di patatine, mentre distrattamente si guardava intorno: i locale si era riempito ancora di più, sempre ammesso che fosse possibile, ed ora era invaso da un brusio festoso e assurdamente normale.

Ad esempio, il gruppo di ragazzini che aveva preso posto al tavolo accanto a quello di Sam stava discutendo animatamente su chissà quale gioco, brandendo torce e  pacchetti di patatine come se si trattasse di una questione di vita o di morte e Dean non poté fare a meno di chiedersi se si sarebbe annoiato a vivere una vita del genere – tutta staccionate bianche e waffle a colazione – o se invece prima o poi ci si sarebbe abituato: chissà, forse con il tempo le orecchie avrebbero smesso di ronzargli, il cuore gli sarebbe battuto nel petto ad un ritmo più lento e regolare, le cicatrici sarebbero guarite del tutto. Forse sarebbe stato felice, lì ad Hawkins.
 
Ma era inutile pensarci. Quello non era il suo posto, ma solo un posto di passaggio – come tutte le città in cui lui e Sam avevano messo piede, persino la vecchia Lawrence. Chi passa la vita fra un’auto e la strada è incapace di fermarsi per troppo tempo in un posto solo, un po’ come un nomade o come Mary Poppins, pensò Dean bevendo un altro sorso di birra.
Hawkins non sarebbe stata l’eccezione: lui e Sam sarebbero ripartiti nel giro di qualche ora, giusto il tempo di trovare un meccanico e tornare nel futuro.

 
 
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Sam aveva letto e riletto il volantino sulla scomparsa di Will Byers almeno un milione di volte, ma ancora non aveva trovato nulla di utile che gli potesse dare uno straccio di indizio.
Avrebbe potuto chiamare il numero di telefono della madre – tale Joyce Byers – ma a cosa sarebbe servito? “Buongiorno signora, ho come la sensazione che la scomparsa di suo figlio sia collegata ai fatti strani che stanno avvenendo in città, per caso ha notato qualcosa di sospetto, ultimamente?”
Gli avrebbe attaccato il telefono in faccia – o peggio, forse si sarebbe convinta che suo figlio fosse ancora vivo quando Sam non aveva alcuna certezza che fosse così.
 
Sam si abbandonò ad un sospiro di sconforto.
Odiava ammetterlo, ma iniziava a pensare che Dean avesse ragione – forse si era solo impuntato perché quel ragazzino scomparso gli aveva fatto pena, perchè gli era sembrato troppo innocente per conoscere l’orrore del mondo - si trattasse del mondo soprannaturale o solo di quello della malvagità umana.
 
Ripiegò il foglio, deciso a chiudere per sempre la questione, quando esattamente dietro di sé sentì pronunciare le parole: «Eleven ha detto che Will è vivo, e io mi fido di lei.»
 
Sam restò immobile.
Era stata la voce di un bambino a parlare, uno dei quattro che avevano preso posto dietro di lui non appena Dean si era allontanato. Non poteva avere la certezza che si trattasse proprio di quel Will, ma dopotutto Hawkins era una piccola cittadina, per cui era improbabile che si trattasse di un semplice caso di omonimia.
Soppesò le alternative: avrebbe potuto continuare ad origliare la conversazione di quei ragazzini – con la reale possibilità di non ottenere alcun’informazione utile se non un mucchio di congetture fantasiose – o invece fare loro una domanda diretta – rischiando però di spaventarli prima ancora di sapere qualcosa.
Decise di aspettare.
Tanto, controllò con la coda dell’occhio, Dean era ancora a metà della sua torta.
 

 
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Era una delle torte migliori che avesse mai assaggiato, pensò Dean affondando la forchetta nell’ultimo pezzo di crostata, tanto che avrebbe voluto tornare indietro nel tempo all’infinito per poterla gustare di nuovo e di nuovo e di nuovo.

Un momento del genere aveva bisogno di una colonna sonora adeguata, anche solo per sovrastare il brusio del diner che si era fatto quasi fastidioso.
Per fortuna, c’era un vecchio jukebox in un angolo – di quelli che negli anni Duemila ormai si vedevano solo nei mercatini – e Dean non potè resistere alla tentazione di andare a vedere che canzoni si potessero scegliere.
 
Non restò deluso: i Police, Lionel Richie, Bryan Adams, Bonnie Tyler…
Alcune di quelle canzoni erano un po’ troppo romantiche per i suoi gusti, ma restavano comunque pietre miliari della musica.
Era difficile sceglierne una sola, per cui Dean premette a caso sul pulsante che lo ispirava di più e gli Eurythmics riempirono il locale con la loro Sweet Dreams.
 
Dean annuì soddisfatto e tornò al bancone per finire la propria colazione, ma la sua attenzione fu catturata da un ragazzo, seduto da solo in un angolo non troppo distante dal jukebox. Da lì la musica si doveva sentire alla grande.
Aveva con una zazzera di capelli castano chiari, gli occhi sottili e l’aria stanca di chi sembra essere rimasto fuori tutta la notte. Al collo, portava una macchina fotografica semi-professionale.
 
Da quando era iniziata la canzone, il ragazzo aveva chiuso gli occhi ed aveva iniziato a muovere la testa a ritmo di musica. Fin qui non era stato niente di diverso da quello che avrebbe fatto una qualsiasi altra persona, se non fosse stato per il modo in cui il ragazzo si stava muovendo – lentamente, con la stessa rispettosa solennità con cui avrebbe unito le mani per pregare.
Dean non poté fare a meno di riconoscersi in lui e di pensare a quante volte avesse sparato una canzone nello stereo tanto forte da non sentire più neanche i propri pensieri, utilizzando ogni nota come un mattone del muro che voleva costruire fra sé e il mondo.
Se davvero anche quel ragazzo lo faceva per il suo stesso motivo, beh, doveva essere molto solo.
 
«Forte questa canzone, eh?» gli domandò non appena gli fu abbastanza vicino.
 
Il ragazzo aprì gli occhi di scatto: «Uh?»
 
«Questa canzone… l’ho messa io al jukebox.»
 
«Grazie?» abbozzò il ragazzo, abbassando lo sguardo.
Ok, non era esattamente un chiacchierone, ma Dean non era il tipo da arrendersi facilmente.
 
«Forse c’è un po’ troppo sintetizzatore, ma per essere un pezzo commerciale non è male, no?»
 
«No, signore»
 
«Puoi chiamarmi Dean, se vuoi,» provò a dire, senza nemmeno capire perché si stesse incaponendo tanto. Era ovvio che quel ragazzo non avesse voglia di parlare con lui. «O anche no»
Dean non prendeva bene i rifiuti, di qualsiasi tipo – ragazze, ragazzi, lettori di carte di credito – per cui si strinse nelle spalle.
«Goditi la colazione, amico»
 
Fece per tornare a sedersi al bancone quando quello gli gridò dietro: «Jonathan… mi chiamo Jonathan Byers»
 

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«Quindi Will si trova in una dimensione parallela?»
 
«A quanto mi ha detto El è… specchiata rispetto alla nostra, ma sì, potremmo definirla parallela»
 
«Mpf-e come lo andiamo a prendere?»
 
«Non lo so»
 
«Non puoi chiedere ad Eleven?»
 
«Non lo sa neanche lei»
 
«Bell’aiuto ci dà»
 
«La pianti? Guarda che se non fosse per lei neanche sapremmo che Will è vivo»
 
«Sempre che sia la verità…»
 
«È la verità»
 
«Dimenticavo che è della tua fidanzatina che stiamo parlando, Mike»
 
«Cosa significa… fidanzatina
 
«Ignorali, El, sono solo degli idioti! La chiudete la bocca?! Siamo qui per parlare di Will! Ci serve un piano.»
 
«Scusate ma Eleven non può semplicemente andare nel Sottosopra e tele-trasportare via Will? Non potrà essere molto diverso dallo spostare gli oggetti con la mente-»
 
«Shhh abbassa la voce, Dustin!»
 
«Ahia!»
 
«Dici che qualcuno lo ha sentito?»
 
«Non credo… ma io ve l’avevo detto che fare la riunione al Benny’s Burger era una pessima idea!»
 
«Che ci posso fare, ragazzi? Avevo fame!»
 
Sam aveva decisamente sentito abbastanza.
La maggior parte delle persone, a quel punto, avrebbe pensato che quei ragazzini fossero completamente fuori di testa e che stessero solo cercando di elaborare il lutto per il loro amico inventando una storia fantasiosa, ma Sam sapeva che stavano dicendo la verità.

Will era vivo.
Su questo Sam non si era sbagliato, ma per il resto neanche lui avrebbe mai immaginato che fosse stato rapito da una creatura mostruosa e portato in una dimensione alternativa. E poi c’era quella Eleven - ma che razza di nomi davano a quei tempi? - Eleven che dalla voce non poteva avere più di dieci anni ma che era dotata di poteri psichici.

Sam aveva sentito i propri pugni serrarsi per la rabbia.
Che fosse anche lei una dei bambini speciali creati da Azazel? Dopotutto l’anno era quello giusto, il 1983...

In ogni caso, quella ragazzina sembrava terrorizzata, perchè parlava con un filo di voce e solo se costretta, come se non ci fosse abituata, come se crescendo quasi nessuno le avesse rivolto la parola.
 

 
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Non era poi così difficile fare conversazione con Jonathan, una volta che si capiva il suo punto debole - e questo punto debole era la musica.
A Dean era bastato frugarsi nelle tasche e tirare fuori tutte le monete da 50 centesimi che aveva. A quel punto, con finta noncuranza aveva chiesto al ragazzo se avesse qualche canzone da consigliargli.
Era stato un trucchetto da dilettanti, ma Jonathan non aveva opposto resistenze.
Era chiaro che avesse bisogno di qualcuno con cui parlare, che lo volesse ammettere o no.
 
«E così ti chiami Byers… Sei il fratello del ragazzino che è scomparso?»
 
Jonathan annuì, mordendosi il labbro.
«Will. Si chiama Will»
 
«Giusto, Will!» finse di ricordarsi Dean, pensando che Sam fosse molto più bravo di lui a gestire il dolore dei parenti delle vittime.
«Mi dispiace… Come procedono le ricerche?»
 
«Non procedono» rispose secco il ragazzo, senza alzare lo sguardo dalla propria cioccolata.
Non l’aveva neppure toccata. Ormai doveva essere una brodaglia gelida. Probabilmente non era entrato nel diner perchè avesse davvero fame, ma perchè non sapeva dove altro andare.
Jonathan prese un profondo respiro – come se fino a quel momento fosse stato in apnea, ed in un certo senso era stato così – e disse in fretta: «Mio fratello è scomparso quattro giorni fa e ancora non abbiamo notizie. Will non- non ha esattamente la testa sulle spalle, capisci? Vive in un mondo tutto suo, è molto fantasioso, e distratto. La nostra non è proprio la classica famiglia felice, ma tiriamo avanti… almeno finora. Will non è mai stato lontano da casa tanto a lungo, mia madre sta uscendo pazza…»
 
Il fiume di parole che si era tenuto dentro aveva rotto gli argini e Dean non avrebbe saputo dire se fosse un bene, perché ora si ritrovava con un ragazzo con gli occhi lucidi e ben pochi consigli da dare.
«Anche io ho un fratello» si ritrovò a dire, tanto per riempire il silenzio «Posso solo immaginare cosa significhi perderlo.»
 
(in realtà Dean non poteva solo immaginarlo. Lo aveva vissuto ed era stato semplicemente straziante. Forse era per questo che aveva sentito il desiderio di aiutare Jonathan: quel ragazzo era simile a lui per così tanti aspetti che era come guardarsi in uno specchio – anche se ovviamente Dean non avrebbe mai portato i capelli in quel modo, anni Ottanta o no)
 
«Mia madre… continua a ripetere che tornerà a casa, che è vivo, che può sentirlo…»
 
«Aspetta, intendi dire che lo avverte come presenza o che sente materialmente la sua voce?» domandò Dean, accigliandosi.
 
Jonathan lo guardò stranito.
«Che importanza ha? Sono un mucchio di stronzate… comunque pensa che mio fratello possa comunicare con lei attraverso la luce…»
 
Dean annotò mentalmente l’informazione e scelse di cambiare argomento, anche perché temeva che il ragazzo avrebbe smesso di parlare con lui, se avesse insistito sulla questione del soprannaturale.
Aveva notato il fango ancora umido che macchiava gli stivali di scarpe di Jonathan, per cui gli chiese: «Eri tu nel bosco, poco fa, non è vero?»
 
«Stavo cercando mio fratello» rispose subito lui, mentre le mani si spostavano meccanicamente sulla macchina fotografica in un inconscio istinto di protezione.
 
«Non devi giustificarti.»
 
«Non so neanche io cosa stavo cercando, nel bosco. È solo che non saprei dove altro guardare. A volte lui e i suoi amici giocano là. La sua bici… Hanno ritrovato la sua bici in un fosso»
 
«Jonathan, non devi giustificarti» ripeté Dean, fissando i propri occhi in quelli del ragazzo «Dico solo che fino a quando non si scopre cosa sia successo a tuo fratello dovresti fare attenzione a girare nei boschi da solo… potrebbe essere pericoloso.»
 
«Non ce la faccio a restare a casa con le mani in mano!» sbottò a quel punto Jonathan, mentre la canzone che aveva messo al jukebox – Should I Stay or Should I Go dei The Clash – si avviava ormai verso l’ultimo brigde «Io non- non ci riesco. È tutta piena di lucine e lampadine e ho paura… Ho paura che potrei uscirne pazzo come mia madre»
 
Jonathan si passò una mano sul viso, sfregandosi gli occhi come se volesse fisicamente impedirsi di piangere frenando le lacrime sul nascere.
La valanga di parole di poco prima si era arrestata, ed ora ogni suono che usciva dalla sua bocca sembrava richiedere uno sforzo sovraumano.
«Il fatto è che- è colpa mia. Avrei dovuto badare io a lui. Sono suo fratello maggiore, era compito mio-»
 
«Non puoi vivere con il rimpianto di non aver fatto abbastanza. Il senso di colpa ti mangerà vivo, prima o poi» mormorò Dean, mentre veloci gli scorrevano davanti agli occhi le immagini della notte in cui aveva guardato morire Sam, un coltello alla schiena e un sorriso felice sulle labbra. Gli era morto fra le braccia e Dean aveva sentito la vita scivolare via da sé, prima che dal fratello. A quel punto, fare un patto con un demone era sembrato la scelta più ovvia, perché che valore aveva la sua vita ora che Sam non c’era più?
Offrire al demone quei dodici mesi di vita era stato come pagare un diamante rarissimo con della carta straccia.
 
«Pensavo dovessi farmi sentire meglio» mormorò Jonathan, costringendo Dean a tornare alla realtà.
 
«Non sono bravo con le parole» ammise lui «Mettiamo su un’altra canzone?»

 
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La canzone scelta da Dean era quasi finita quando il tavolo di Eleven, Dustin, Mike e il ragazzino di cui Sam non aveva colto il nome decise di levare le tende dal diner, per tornare a casa e preparare tutto l’occorrente per una nuova missione notturna.
Sam non poteva più restare con le mani in mano.
Non era certo di sapere cosa avessero in mente quei ragazzini ma non poteva essere nulla di buono visto il rudimentale equipaggiamento da Cacciatori che intendevano portare con sé, qualcosa come fionde e taglierini.
Afferrò il proprio zaino, lasciò una banconota sul tavolo e si fiondò verso il jukebox dove Dean stava chiacchierando con un ragazzo pallido e magro.
«Dean, devo parlarti. Subito»
 
«Non puoi aspettare la fine della canzone?» gemette Dean «Lo sai che Eye of the Tiger è il mio cavallo di battaglia nei karaoke di tutti e cinquanta gli Stati!»
 
«American Idol dovrà aspettare, temo» tagliò corto suo fratello «È piuttosto importante»
 
Dean alzò gli occhi al cielo: «D’accordo, d’accordo! Scusami, Jonathan, è stato comunque un piacere conoscerti... Dico sul serio»
Dopo aver dato una stretta di mano al ragazzo, Dean seguì su fratello fuori dal diner.
«Che c’è?»
 
«Ho delle grosse novità sul caso» affermò Sam non senza una punta di orgoglio, aspettandosi che il fratello si congratulasse con lui.
 
Dean, tuttavia, non parve particolarmente impressionato.
«Anche io»
 
«Come anche tu?» sbottò lui, incredulo «Ma se sei rimasto tutto il tempo a canticchiare insieme a quel ragazzo!»
 
«Primo, non abbiamo “canticchiato”, ci siamo lasciati trasportare dalla musica, è diverso! E secondo, esiste una cosa chiamata multitasking, Sam... Il ragazzo con cui ho parlato era il fratello del piccolo Will Byers. Mi ha detto che sua madre crede di poter comunicare con lui attraverso segnali elettrici. Luci che si accendono e si spengono, cose così… forse il fantasma di Will è rimasto nella casa-»
 
«Will non è un fantasma, è vivo»
 
«Ancora con questa storia?» sospirò Dean, scuotendo la testa con rabbia «Ti avevo detto di non lasciarti coinvolgere!»
 
«Non sono coinvolto» ribatté Sam, senza sapere se fosse una bugia o meno «E comunque non è questo il punto. Al diner ho sentito dei ragazzini che parlavano di Will… è vivo, ma si trova in un’altra dimensione. Loro la chiamano il Sottosopra, ma credo si tratti solo di una realtà alternativa alla nostra in cui ogni cosa è diversa, specchiata. Questa dimensione, questo Sottosopra, ha alcuni punti di contatto con il nostro mondo. E da lì sono uscite delle creature che hanno rapito Will. E una di questi ragazzini ha dei poteri psichici ed è in grado di localizzarlo, almeno fino a quando non si sposta»
 
Sam aveva parlato in fretta, per paura di dimenticare qualche dettaglio, e Dean era rimasto davvero senza parole.
«Realtà parallele, una X-Girl che ha un potere GPS e delle creature che vengono letteralmente dall’altro mondo… Wow, Sammy, hai decisamente vinto tu!» commentò Dean con un mezzo sorriso, dando al fratello un’affettuosa pacca sulla spalla – che era il suo modo da macho per dirgli che era orgoglioso di lui.
«Scusami per quello che ho detto, prima. Non dovevo attaccarti in quel modo»
 
«Lascia stare, è acqua passata» rispose Sam, pur avvertendo un familiare senso di sollievo all’idea di aver risolto la questione con lui.
«E poi c’è dell’altro»
 
Suo fratello scoppiò a ridere.
«Come può esserci dell’altro?»
 
«I ragazzini di cui ti ho parlato... hanno in programma di fare una spedizione nel bosco per andare ad aiutare il loro amico, stanotte-»
 
«Dici che potrebbero diventare i prossimi ospiti del Resort Sottosopra?» lo interruppe Dean.
 
Suo fratello annuì con gravità e disse: «Dobbiamo impedire loro di avvicinarsi al bosco»
 
«Dobbiamo impedirlo all’intera città» lo corresse l’altro «Jonathan mi ha detto che lo sceriffo di qui ha organizzato delle ronde notturne per cercare il piccolo Byers, per cui anche stasera la squadra di ricerca pattuglierà il bosco, senza armi, senza protezioni, e soprattutto senza avere la minima idea di cosa si troverà ad affrontare-»
 
«Veramente, neanche noi ce l’abbiamo» gli fece notare Sam.
 
Dean gli rivolse il suo solito sorriso un po’ strafottente.
«Sì, ma noi siamo noi»
 

 
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L’ufficio dello sceriffo Hopper profumava di zucchero a velo e glassa al limone.
 
Dean non aveva avuto neanche bisogno di entrare per sapere che per l’intero corpo di polizia locale di Hawkins doveva essere giorno di ciambelle.
Quella città continuava a riservargli delle piacevoli sorprese.
 
«Mpf…anche io sono sceriffo!» mormorò Dean a bocca piena, congratulandosi con se stesso per aver convinto Sam ad andare a tenere d’occhio i Mini Ghostbusters, lasciando a lui il compito di parlare con lo sceriffo per spiegargli la situazione. E ora eccolo lì, a strafogarsi di ottime ciambelle con un tipo simpatico come Hopper. Davvero un’ottima scelta.
 
L’uomo sembrò lieto della notizia, perché la bocca gli si incurvò in un sorriso gentile: «Ah sì? Che distretto?»
 
«Oh, un po' qui, un po' lì..» rispose Dean, facendo un gesto vago con la mano «Non mi piace restare fermo in un posto.»
 
«Un cane sciolto, eh?»
Dean abbozzò un mezzo sorriso ma Hopper lo precedette:
«Io sono allergico ai cani.»
 
E dopo mezzo secondo di pausa (mezzo secondo in cui Dean smise di sorridere) aggiunse: «Era una metafora. Significa che non ho bisogno di quelli come lei. Quindi, sceriffo Manson, la ringrazio per essere passato a tenere d'occhio lo sviluppo delle indagini, ma abbiamo tutto sotto controllo.»
 
Dean rischiò di strozzarsi con l’ultimo boccone di ciambella, sorpreso dalla rapidità con cui Hopper era passato dall’essere un bonario ufficiale di polizia all'inflessibile esecutore della legge, ma recuperò in fretta il controllo della situazione.
Se Hopper voleva davvero giocare al poliziotto cattivo, anche lui aveva un paio di assi nella manica niente male.
 
Prese un profondo respiro in modo tale che il suo petto sembrasse più massiccio, si passò una mano fra i capelli – in un gesto che voleva risultare sicuro di sé, ma che riuscì soltanto a sporcargli la fronte di zucchero a velo – e disse: «Se per “sotto controllo” intende dire che nella sua zona continuano a verificarsi degli inspiegabili cali di tensione elettrica, una creatura non meglio identificata è fuggita da un laboratorio governativo e negli ultimi quattro giorni è sparito almeno un ragazzino, credo che lei abbia ragione, Sceriffo Hopper»
 
L’uomo si accigliò: «Lei come sa tutto questo? Si tratta di informazioni riservate!»
 
«Oh… abbiamo le nostre fonti» rispose vagamente Dean, dato che ammettere di aver origliato la conversazione di un gruppo di ragazzini gli pareva troppo brutto.
 
«E cosa aveva in mente per risolvere la situazione?»
 
«Lasci fare a me e alla mia squadra» sentenziò Dean in tono deciso, prima di uscire trionfalmente dalla porta.
 
Dieci secondi dopo, la sua testa fece nuovamente capolino nell'ufficio dello sceriffo.
«Non è che potrei prenderne un'altra?»
 
Inaspettatamente, Hopper sorrise e gli porse di nuovo la scatola delle ciambelle.
I due poliziotti cattivi sarebbero anche potuti diventare amici, dopotutto.
 

---
 

Alla fine, tutto si era più o meno svolto secondo i piani: Dean aveva convinto lo sceriffo a rimandare il pattugliamento del bosco e, ciambella dopo ciambella, si era fatto consigliare da lui un bravo meccanico che provvedesse all'Impala; Sam aveva dovuto noleggiare una bicicletta per poter seguire a vista il gruppo formato da Eleven, Mike, Dustin e Lucas nelle sue scorribande in giro per la città, ma alla fine nessuno dei ragazzi si era messo nei guai.
Tuttavia, il tramonto si faceva sempre più vicino e con esso la possibilità che le creature del Sottosopra colpissero ancora.
 
«Creature del Sottosopra è troppo lungo, come nome» rifletté Dean mentre lui e il fratello si facevano di nuovo strada nel bosco «Non potremmo chiamarle in modo più semplice?»
 
Sam si strinse nelle spalle.
«I ragazzi li chiamano Demogorgoni»
 
«Demogorgoni?» ripeté suo fratello, pensieroso «Mi piace. È di effetto!»
 
«Deriva da un gioco di ruolo, Dungeons and Dragons, ma ne parlava già Boccaccio nel Decamerone… e prima che tu me lo dica, ho già controllato sul diario di papà, e non c'è nulla a riguardo…» spiegò Sam, di tanto in tanto rallentando il passo a causa delle radici sporgenti «Come li uccidiamo questi mostri, Dean?»
 
«Alla vecchia maniera: acqua santa, sale e fuoco»
 
«E se non bastasse?» si ritrovò a chiedere Sam.
Dovevano parlarne, prima o poi: esisteva anche l'eventualità che non ne uscissero vivi e lo sapevano entrambi. «Non sappiamo cosa avremo di fronte, Dean-»
 
«Vi aiuteremo noi!»
 
I due fratelli si voltarono di scatto.
Il ragazzino che Sam aveva identificato come Mike si era fatto avanti a testa alta e aveva parlato in tono deciso, ma si vedeva che gli tremavano le mani.

Dean non poté fare a meno di pensare alla sua prima Caccia, all'adrenalina che gli scorreva nelle vene all'idea di vendicare la mamma, al freddo della pistola nella sua mano, al crepitare del fuoco in cui avevano bruciato le spoglie dell'umano che era stato posseduto.
In Mike riusciva a rivedere la stessa fame in fondo agli occhi, ma invece di esserne fiero provò solo una cieca rabbia.
«E tu cosa ci fai qui, ragazzino?»
 
«Voglio aiutarvi a salvare Will» disse semplicemente Mike.
 
«E anche io» disse Dustin, facendosi avanti da dietro ad un cespuglio.
 
«E anche io» gli fece eco Lucas
 
«E io» promise Eleven.
 
Dean alzò gli occhi al cielo.
«Che cos'è, L'Attimo Fuggente? Abbiamo capito che volete bene al vostro amico, ma così ci rallentate soltanto… Se mi preoccupo per voi non posso combattere il Demogorgone, e se non combatto il Demogorgone, Will muore.»
 
I bambini rimasero in silenzio, probabilmente sotto shock per la vicinanza fra il nome del loro amico e un verbo adulto e terribile come “morire”.
Nel vedere le loro espressioni spaventate, Dean si ritrovò ingenuamente a sperare che si fossero finalmente convinti della pericolosità della missione e che sarebbero tornati a casa, ma quei ragazzini dovevano essere cresciuti a pane e fumetti Marvel, perché continuarono a voler fare gli eroi.
 
«Ma noi siamo pronti,» protestò Lukas «ci siamo preparati per questo!»
 
A quel punto, Dean non riuscì più a trattenersi.
«Preparati? Preparati? Una fionda e due taglierini non sono armi, sono giocattoli! Non siete minimamente pronti ad affrontare una creatura del genere e ci sareste soltanto di impiccio... Tornatevene a casa, questo è un lavoro da adulti.» ringhiò.
 
Evidentemente furono le parole giuste, perché i quattro ragazzini si scambiarono uno strano sguardo e corsero via. Dean sperava solo che avessero imparato la lezione.
 
«Ci sei andato giù pesante» commentò Sam non appena sparirono dalla vista.
 
«A proposito, grazie di avermi dato manforte.»
 
«Mi è sembrato te la stessi cavando benissimo da solo… che bisogno c’era di aggredirli? Volevano darci una mano, potresti almeno – non lo so – apprezzare il tentativo..?»
 
Dean smise di camminare.
«Apprezzare il tentativo? Si sarebbero fatti uccidere, ecco cosa sarebbe successo! Quindi, se devo fare la voce grossa per tenerli alla larga dal Demogorgone-»
 
«Non dico che hai sbagliato, ma dovresti tenere a mente che si tratta solo di ragazzini spaventati che vogliono rendersi utili…» gli fece notare Sam, cercando di ignorare il senso di déjà-vu che gli dava quella descrizione. Si strinse nelle spalle: «Dopotutto, noi avevamo la loro stessa età quando abbiamo iniziato a Cacciare…»
 
La voce di Dean era tagliente quando gli disse: «Infatti, non auguro a nessuno quello che abbiamo passato noi.»
 
Sam non rispose nulla, perché non gli sembrava che ci fosse nient’altro da dire: sapeva che lui e Dean sarebbero stati persone diverse, se soltanto la loro vita fosse stata quella di tutti gli altri. Se fossero stati ragazzini normali, avrebbero passato anche loro i pomeriggi a fare giri in bici e a giocare a Dungeons and Dragons, invece di imparare a memoria esorcismi in latino. La vita a cui erano stati abituati era stata più dura e crudele di quella di qualsiasi altra persona, ma entrambi avevano saputo adattarcisi, a proprio modo, un po’ come un bonsai cresce con la forma che gli impone il filo metallico che hanno fissato sul tronco.
«Dean, sai che non volevo dire questo-»
 
Il fratello lo zittì con un gesto della mano.
«Ho sentito qualcosa.»
 
Estrassero le pistole caricate a sale, l’arma che speravano avesse maggior effetto sul Demogorgone – se non per ucciderlo, almeno per rallentarlo.
Il cuore di Sam gli rimbombava nella gola. Il cielo al tramonto aveva iniziato di tingersi di rosso sangue, mentre le sagome degli alberi si facevano sempre più scure. Una volta calate le tenebre sarebbe stato difficile muoversi, con tutte quelle radici sporgenti e le irregolarità del terreno.
 
«Avanti, bestiolina, non abbiamo tutto il giorno!» gridò Dean con il suo solito, sfrontato coraggio «Sappiamo che sei qui, fatti vedere!»
 
Si dice a volte “Attento a ciò che desideri”.
Dean desiderò non aver chiesto al Demogorgone di venire fuori dal proprio nascondiglio, perché quando la creatura gli si parò davanti capì perché quei ragazzini le avevano dato un nome tanto inquietante.
 
Il mostro non assomigliava a nulla che i Winchester avessero mai incontrato, e sì che cacciavano da quasi vent’anni. Così, ad occhio, doveva essere almeno due metri e mezzo, aveva un corpo dalla forma vagamente umanoide e camminava su due zampe. Non era particolarmente veloce e questo poteva rivelarsi l’unico vantaggio a loro disposizione. Per il resto, le dita della creatura erano ricurve e terminavano con artigli lunghissimi, ma ciò che davvero la rendeva mostruosa era la testa: il Demigorgone non aveva un vero e proprio volto – assomigliava di più alla corolla aperta di un fiore tropicale, e dentro era tutta denti e rivoli di sangue rappreso.
 
«Mira alla testa, Sam!» urlò Dean, fiondandosi di lato per evitare una zampata del Demogorgone. Riuscì a mancarla per una manciata di centimetri: rotolò sul terreno fangoso, ferendosi su una pietra sporgente il dorso della mano in cui impugnava la pistola. Il sangue prese a sgorgare copiosamente e Dean vide chiaramente la testa del Demogorgone voltarsi verso di lui come quella di un animale in caccia.
 
Intanto, Sam si era avvicinato alla creatura da dietro, per coglierla di sorpresa mentre questa lottava con Dean. Raccolse da terra un rametto e, quando si trovò a solo un metro dal Demogorgone, lo spezzò per avverirlo della sua presenza. Il mostro si scagliò contro di lui.
«Scappa, Dean!» gridò al fratello, mentre mirava alla testa del mostro e premeva il grilletto.
 
Il proiettile di sale entrò nell’orrenda bocca della creatura, perforandola in uno schizzo di liquido purulento e biancastro, ma l’effetto si fermò lì: con cupa sorpresa, Dean, che si trovava ancora in terra dietro alla creatura, osservò il foro del proiettile rimarginarsi nel giro di qualche secondo.
Uccidere quel Demogorgone sarebbe stato più difficile del previsto.
 
«Può rigenerarsi, Sam, i proiettili non servono!» provò ad urlare, mentre si rialzava fatica, le ossa doloranti per l’impatto con il terreno, ma suo fratello non lo stava già più ascoltando: il Demogorgone lo aveva sbattuto al suolo e si era fiondato su di lui per finirlo con i propri denti venefici. Sam sembrava privo di sensi. Non avrebbe neanche opposto resistenza.
 
«SAM!»
Dean si precipitò verso di loro, continuando a crivellare il corpo del mostro di proiettili che probabilmente non gli facevano neanche il solletico. Almeno aveva attirato l’attenzione del Demogorgone, che si girò verso di lui e-
 
Rimase immobile.
Come una statua di quel museo delle cere ad L.A., paralizzato, con gli artigli a pochi centimetri dalla faccia di Dean.
 
«Ma che cosa-»
 
Dean si voltò e vide che la ragazzina, quella che Sam aveva detto che si chiamava Eleven, aveva sollevato una mano, come per intimare al Demogorgone di fermarsi, e questo inaspettatamente lo aveva fatto.
 
La bambina aveva gli occhi chiusi e un rivolo di sangue che le scendeva dal naso. La parrucca bionda che aveva indossato fino a quel momento era caduta per terra, sporcandosi irrimediabilmente di fango.
«Portalo via» sussurrò Eleven, la voce tesa per lo sforzo.
 
In altre circostanze Dean avrebbe protestato per restare ad aiutarla, ma i poteri psichici lo mettevano in soggezione dal tempo in cui Sam era drogato di sangue demoniaco, per cui scelse di non obbiettare. Corse dal fratello, gli mise un dito sul collo e sospirò di sollievo nel sentire che c’era battito. Prendendolo sotto alle braccia, lo trascinò lontano dal mostro, ancora immobile.
 
Lo mise a sedere con la schiena poggiata contro ad un grosso albero, anche se essendo privo di sensi Sam non risultò particolarmente collaborativo e continuò a sbilanciarsi a destra o a sinistra. Gli occhi di Dean corsero veloci sul suo corpo per controllare che la ferita che gli attraversava mezzo avambraccio sinistro fosse l’unica, e per fortuna a prima vista sembrò così. Quel taglio non sembrava profondo, eppure fino a quando Sam non riprendeva conoscenza non c’era modo di capire se il Demogorgone gli avesse inoculato del veleno.
«Sam… Sammy, apri gli occhi» mormorò Dean «Eleven sta facendo il culo al Demogorgone e tu non puoi perderti questo spettacolo»
 
Il fratello non diede segni di averlo sentito e Dean scelse di passare alle maniere forti. Prese a dargli dei leggeri schiaffi sulle guance, come si divertiva a fare da ragazzino quelle rare volte che si svegliava prima del fratello.
 
«La smetti? Per favore.» gemette Sam dopo qualche secondo, riaprendo gli occhi. Dean continuò comunque a dargli qualche buffetto, già che c’era, e Sam gli scoccò un’occhiataccia e brontolò: «Eddai, già non mi sento molto ben- perché hai dello zucchero a velo sulla fronte?»
 
Dean scelse di ignorare la domanda.
«Bentornato fra noi, fratellino. Ora, mi dispiace disturbarti ma abbiamo un Demogorgone da uccidere.»
 
«Ehm, veramente no» mormorò Sam, lo sguardo fisso su qualcosa che si trovava dietro alle spalle di Dean.
 
Suo fratello si voltò: la radura era deserta, senza più traccia del mostro – il che era grandioso – ma neanche di Eleven.
«Ma dove è finita la ragazzina?»
 
Sam si rialzò in piedi a fatica.
«Non lo so… spero stia bene. Di sicuro sa difendersi molto meglio di noi, contro quelle creature!»
 
Dean lo guardò scrollarsi di dosso il più possibile il misto di rametti e fogliame che gli era rimasto sulla giacca, mentre sul viso gli compariva una smorfia di dolore per la ferita che aveva sull’avambraccio.
 
«Su, non è niente che un’aspirina e un po’ di alcol non possano curare!» lo rimproverò ridendo Dean «Tornando in città passiamo da un drugstore, farà orario continuato, credo...»
 
«Non così in fretta, Dean… Vieni qui.»
 
Suo fratello alzò gli occhi al cielo.
«Che c’è, hai bisogno di un abbraccio?»
 
«Quasi» rispose Sam sorridendo. Quando sua fratello gli fu abbastanza vicino, gli diede un’affettuosa pacca sulla guancia. Leggerissima, perché si trattava pur sempre di Sam. Non gli avrebbe mai fatto del male volontariamente.
 
«Hey, hey, e questa per che cos’era?!» protestò l’altro, ritraendosi da lui.
 
«Mi vendico per poco fa!» replicò Sam ridendo «Dove scappi? Torna qui! Dean, stavo scherzando! Dean!»


 
 
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«Dean. Dean...» chiamò a gran voce Sam, mentre spalancava di colpo la porta dell’ennesimo motel in cui avevano passato la notte.
 
Castiel gli fece segno di abbassare la voce ponendosi l’indice sulle labbra.
Dean era sprofondato nella poltrona più comoda della stanza, la testa reclinata sullo schienale, gli occhi chiusi e la bocca aperta.
 
«Ma guardalo!» brontolò debolmente Sam, mentre gli si avvicinava «Si è addormentato con il pc acceso...»
 
Con un sospiro, gli chiuse la schermata di Netflix e spense il portatile.
 








 
 
Angolo dell’autrice
 
Prima di tutto, un paio di note, dato che la storia è lunga e di cose da precisare ne avrei un po’ :
-L’immagine di copertina non è una manip. È una vera scena di Supernatural, dall’episodio 11x5.
-Scusatemi se ho scelto di lasciare il nome di Eleven in originale. Avendo guardato la serie in inglese, non ce la facevo proprio a chiamarla Undici.
-La canzone scelta da Jonathan viene citata più volte in Stranger Things perché era amata anche da Will, che infatti se la canticchia nel Sottosopra.
-Nancy non lavora mai al Benny’s Burger nella serie, ma ho immaginato che per un weekend si potesse anche fare un’eccezione ;)
-La  Scomparsa di Will Byers è il titolo del primo episodio di Stranger Things.
-Ho voluto disseminare nel testo un paio di indizi per farvi capire che Dean stava dormendo, per quello la canzone che seleziona casualmente al diner è Sweet Dreams degli Eurythmics e uno dei film citati è Inception. Oh, e  anche la primissima riga della fanfiction poteva mettervi sulla strada giusta, volendo XD
 
 
Credo sia tutto. Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui sorbendosi più di 11.000 parole di crossover improvvisato: siete dei veri eroi, degni di Hawkins e di montagne di Eggos.
Se avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione!
Un abbraccio enorme
 
Itsamess
 
  
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