Crossover
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Autore: Registe    29/10/2017    3 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 10 - Axel (III)





Roxas





Ritrovò Roxas dopo circa mezz’ora. Il ragazzo aveva superato la collina vicina alla loro e sarebbe andato anche oltre se le forze gli fossero bastate. “Non credi che scappare in questo modo, senza nessuno a difenderti, sia una cosa da stupidi?” lo apostrofò Axel.
“Io non so combattere!”.
“Non è un buon motivo per sparire. Io e Xigbar possiamo tenere a bada tutti quegli Occhi” rispose omettendo la parte in cui era quasi caduto vittima di una loro magia di sonno. “E poi non ti ricordi di come ho sistemato quei banditi che ti inseguivano? Te l’ho già ripetuto mille volte, stai vicino a me e non ti succederà nulla”.
“Axel, quelli sono draghi!”
Il n. VIII sospirò, approfittandone per riprendere fiato.
L’argomentazione del ragazzo era giusta, fottutamente giusta. Il che riportava all’ancor più pressante stimolo di prenderlo di peso, impacchettarlo, far fuori tutti gli Occhi, tornare al Castello e scolarsi la prima bottiglia  a disposizione dell’armadietto di Luxord nella speranza di poter lasciare al n. II il “piacere” di far rapporto al Superiore e cercare di scoprire per quale motivo dei draghi se la fossero presa con un frigorifero. Persino da quella distanza si potevano vedere le figure alate alzarsi in cielo e planare su ciò che restava del villaggio di Stagview e dei suoi abitanti.
Anche Roxas le osservava, ancora grondante di sudore e rosso in viso per lo sforzo. Una volta chiaro che non sarebbe riuscito a sfuggirgli si era acquattato tra una roccia piena di muschio e la corteccia di un albero, facendo passare lo sguardo da lui al cielo. Quando una delle bestie mandò un verso ancora più acuto degli altri si portò le mani alla testa quasi a voler sprofondare in quel pertugio improvvisato. “Perché il Cavaliere del Drago è furioso? La gente di Stagview ha portato al dono degli dèi tutti i giusti tributi, per quale motivo …”
“Cosa ti fa pensare che io sappia la risposta?” rispose, mordendosi la guancia subito dopo per il tono pungente appena usato.
Era chiaro che la favoletta per spaventare i bambini, quella del Cavaliere del Drago che scendeva sulla terra per punire i peccatori e portare in cielo le anime pure, avrebbe presto necessitato di qualche modifica.
Sin da quando aveva messo piede al Castello dell’Oblio ed aveva seguito i propri superiori nelle missioni di ricognizione gli avevano spiegato che il Cavaliere del Drago non fosse un’invenzione dei vecchi sacerdoti, ma una creatura realmente esistente. Il Superiore ne aveva accertato la presenza, così come il fatto che per anni fosse rimasto isolato, lontano dal mondo mortale nella sua landa abitata solo da draghi. Non che vi avesse mai dato peso, d’altro canto.
Fino a quel momento.
Facendo appello al tono più conciliante del proprio repertorio si avvicinò a Roxas. “Un motivo in più per tornare dal Superiore e chiederglielo di persona. Vieni con me, raggiungiamo gli altri e …”
L’ombra grigia si stagliò sopra di loro, oscurando il sole, e l’ennesimo grido di terrore del n. XIII svanì nel verso del mostro alato proprio sopra la loro testa.
Di riflesso Axel si buttò dietro ad un albero, osservando la creatura svettare sopra gli alberi, col collo enorme che si muoveva in aria alla ricerca di qualcosa.
Qualcosa che, si rese conto con orrore, poteva benissimo essere un qualcuno.
E quel qualcuno potevano essere loro due.
Un secondo verso, ancora più alto. Strinse i denti con tutta la forza che aveva in corpo, sforzandosi di non gridare come un moccioso. Dalla sua posizione riusciva solo a vedere un pezzo della tunica di Roxas, ancora più acquattato nel suo nascondiglio, e pregò che non strillasse.
Ovunque fossero in quel momento il n. II e la n. XII non erano a portata di udito, ed anche tendendo ogni muscolo del corpo fino allo spasmo non riuscì a sentire altro rumore del proprio cuore martellare nel petto e i versi senza forma della bestia. Si accorse che la propria mano stava componendo le strie elementali che intessevano i portali di teletrasporto del Castello e si costrinse a ricacciare l’istinto di fuggire di lì, serrandola invece contro un pezzo di corteccia: il protocollo di sicurezza del Castello vietava nella maniera più categorica di aprire portali in presenza di altre creature, specie se potenzialmente pericolose. Costrinse il pensiero di fottersene delle regole e scappare di lì in un angolo della mente, inghiottendo un grido quando l’ombra si fece più intensa, segno che la creatura era scesa di quota.
La prima cosa ad infrangersi fu la coda. Abbatté più di sei alberi con un solo movimento, sradicandoli o spezzandone i fusti a metà per permettere alla bestia di scendere. Schioccò una seconda volta quando questa poggiò le due zampe a terra, trascinando con sé un’altra parte di bosco. Vi era solo il suo ruggito.
Il suo ruggito e l’intero bosco che cadeva in pezzi al suo passaggio, con la stessa forza che aveva usato per abbattere muri e case in pietra.
Le ali terminavano con artigli grandi quanto un uomo ed entrambe si arpionarono al terreno come se fossero un altro paio di ali. Uno di essi atterrò su una quercia, spaccandola di netto. Gli occhi del mostro , di un verde simile a quello dei rettili, iniziarono a vagare forsennati tra un albero e l’altro, affamati; Axel si strinse ancora di più contro il suo tronco, costringendosi quasi a non respirare mentre il fiato del drago, simile ad una pozza sulfurea, gli scese in gola forzandogli un conato. Parte del suo corpo rispose quasi apprezzando il fuoco che il corpo della bestia emanava, ma la paura ed il cuore a mille fecero il resto. Premette ancora di più la schiena contro l’albero fin quasi a sparire contro il tronco, imponendosi di non tremare.
Il mostro mandò più versi, acuti e forti, con il collo che si muoveva oltre gli alberi senza mai smettere di cercare. Il terreno tremava ad ogni passo, si scuoteva quando la bestia ringhiava di disapprovazione, priva del pasto. Lentamente la creatura iniziò a spostarsi da loro, cercando verso un punto sulla loro destra: quella parte di bosco cedette immediatamente contro il suo peso, ed in quel momento Axel si accorse che il drago stava dando loro le spalle.
Gli sarebbe bastato allontanarsi, scivolando tra le foglie e confondendo il rumore dei propri passi tra i versi del mostro ed il tonfo delle sue zampe; si sporse quanto bastò per incrociare lo sguardo terrorizzato di Roxas, portarsi un dito alle labbra per intimargli di rimanere in silenzio e fare un primo, flebile passo lontano dal nascondiglio. La bestia colpì il terreno con la coda, ma il suo sguardo era altrove. Capendo che il n. XIII non sarebbe mai uscito allo scoperto senza aiuto si mosse verso di lui tra i cespugli, un passo alla volta.
Un respiro alla volta.
Osservò l’animale muoversi lentamente lontano da loro, stavolta con la testa ed il collo piegati verso il basso, tra gli alberi.
Roxas aveva le lacrime agli occhi per la paura e grazie al cielo dalla sua bocca religiosa non usciva nemmeno un suono inarticolato, quindi lo afferrò per il bavero della tunica e lo spinse in piedi senza troppi riguardi, dritti dritti nella direzione opposta agli occhi del drago.
Fu in quel preciso momento che un suono, una coppia di fischi, squarciò quel poco silenzio che era riuscito a rubare.
Esattamente sopra il nascondiglio, appollaiato tra gli alberi e nascosto tra le foglie arancioni, l’Occhio di Zaboera puntò l’iride contro di loro, ripetendo il suo verso di allarme.
L’istante successivo si ritrovò a fissare lo sguardo verde del drago a pochi metri dalla propria testa.
Il collo saettò su di loro con una velocità impensabile per una bestia di quella taglia; il cranio scrollò via degli alberi e le mandibole si aprirono, pronte a scattare. Axel si buttò di lato col fuoco tra le mani, mandando allo Spiromorfo tutte le regole basilari di sicurezza; fece scintillare la fiamma e la mandò verso la bestia, mancandola. Gridò al suo compagno di distrarre l’avversario, ma era già un miracolo vedere Roxas ancora intero dopo quell’attacco.
Sentì il panico stringergli le gambe.
Chiamò uno dei suoi chackram e lo mandò contro il nemico, ma l’arma infuocata rimbalzò sulle sue scaglie con lo stesso effetto che avrebbe ottenuto lanciandogli una manciata di petali.
Con un verso di battaglia la bestia allargò le ali, poi le puntellò a terra; Roxas ne evitò una per un soffio, troppo terrorizzato per scegliere un luogo preciso verso cui fuggire. Axel provò a scagliare altro fuoco, ma la creatura non ne sembrava infastidita: volgeva la testa da una parte e dall’altra, indeciso su chi azzannare, battendo le zampe e la coda con una forza tale da scuotere tutta la collina e rendendo impossibile il solo alzarsi in piedi e provare a scappare. Un colpo di coda tagliò la strada al n. XIII, che evitò il colpo –che probabilmente gli avrebbe schiacciato la testa- per pura fortuna, inciampando vicino ad una delle zampe posteriori, quasi strisciando sotto al ventre.
Il drago si mosse di scatto, considerando quella mossa un pericolo. Indietreggiò quanto bastava per avere di nuovo il giovane n. XIII in vista, e tempestò il terreno intorno a lui di colpi d’ala e d’artiglio; uno di essi si piantò nella tunica e lo inchiodò a terra.
Senza stare a pensare quanto fossero state remote le probabilità che il ragazzo venisse bloccato invece che infilzato su uno di quegli arti acuminati, Axel si fece avanti. Tutto il cervello gli stava intimando di lasciare il piccolo peso morto in pasto al drago, andarsene e pensare ad una scusa da rifilare al Superiore una volta tornato al Castello, ma maledisse la propria stupidità e corse verso il ragazzo, scagliando un chackram contro la zampa. “Lascialo in pace!”
Per tutta risposta la bestia mosse la propria mole verso di lui per schiacciarlo, ma Axel raggiunse Roxas con un salto, lo tirò a sé con tutta la forza che aveva in corpo e non appena parte della tunica si lacerò lo tirò a sé, liberandolo dalla presa.
“CHE COSA FACCIAMO?”
“Beh, tu che dici?” rispose cercando di farsi sentire. Il collo della creatura si alzò, le mandibole spalancate, pronte a scattare su di loro. “Ce la squagliamo! Al culo i protocolli di sicurezza!”
Quando aprì il portale spinse immediatamente il giovane Roxas lì dentro, e quando sentì i denti del drago chiudersi ad un palmo dal punto in cui si trovava proprio prima decise che non vi era nemmeno un istante da perdere e si tuffò alle sue spalle.
Gli strali oscuri del teletrasporto non gli erano mai sembrati così adorabili.
 


Il bianco accecante del Castello ed il fresco del pavimento marmoreo furono il più grande sollievo della sua esistenza; accanto a lui il n. XIII si buttò di peso per terra con gli occhi sgranati, ed Axel si concesse il lusso di imitarlo, almeno mentre i pensieri ricominciavano a prendere una forma sensata.
Il sollievo finì esattamente una manciata di secondi dopo, quando nello spazio che separava i suoi occhi dal soffitto comparve il profilo del n. VII.
Lo sguardo giallo della bestia, però, non fissava lui. Né Roxas.
“Cosa ci fa quello con voi?”
Una smorfia di disprezzo gli attraversò le labbra, scoprendone i denti, e Axel si costrinse a sdraiarsi sui propri gomiti per osservare l’oggetto della furia del licantropo.
L’Occhio di Zaboera, lo stesso che li aveva segnalati al drago, fluttuava come una sfera mostruosa rossa e blu al centro della stanza, con la pupilla che in un lampo ispezionò tutta la stanza.
“IMBECILLE!”
Saïx superò sia lui che Roxas con un salto, estendendo un braccio per afferrare uno dei tentacoli del piccolo intruso. Quello si spostò di lato ed emise un suono preoccupato, ma era chiaro che ormai le immagini impresse nelle sue pupille fossero già arrivate agli osservatori demoniaci. Con un secondo suono volò alla massima velocità consentita verso una delle porte che conducevano ai livelli superiori, ma con un secondo salto Saïx lo raggiunse e ne acciuffò una propaggine; la creatura si mosse per liberarsi, ma il n. VII la sbatté sul pavimento e vi fu sopra con una violenza tale che anche il Castello tremò. Dalla gola emise un verso orribile, fortissimo, e Axel non riuscì ad evitare le schizzi di umor vitreo che attraversarono la stanza quando la mano del licantropo trapassò il bulbo oculare senza fermarsi, squarciandone la membrana. Ancora avvinghiato alla carcassa sul pavimento ne strappò i tentacoli uno ad uno sporcando di icore le superfici bianche, ed a quella vista Roxas, già pallido, vomitò.
Axel non riuscì a comprendere quanto fosse durato il tutto: senza dubbio pochi attimi, eppure nella sua testa lo spettacolo del licantropo furioso che infieriva sulla creatura demoniaca sembrò durare un’eternità. Un’eternità e forse anche qualcosa di più, specie nel momento in cui le pupille del mostro, ridotte a due fessure nelle iridi gialle, si volsero verso di lui. Dalle labbra del n. VII ne scivolò un rivolo di saliva bianchissima. “Tu lo hai portato qui, Axel”.
“È stato un incidente, siamo stati attaccati!”
“Il protocollo di sicurezza mi è sempre sembrato piuttosto chiaro”.
Si rimise in piedi con la carcassa dell’occhio ancora stretta tra le dita. La gettò per terra tra loro due, poi con un passo la calpestò, portandosi a meno di un braccio da lui. Axel sentì la saliva morirgli in gola.
All’improvviso il drago affamato gli sembrò un’opzione preferibile. Quando Saïx colmò la distanza che li separava riuscì a sentire l’alito umido della creatura e fece d’istinto un passo indietro, ma quello lo afferrò per la tunica. “TI RENDI CONTO DEL DISASTRO CHE HAI COMBINATO? QUELLE CREATURE SONO GLI OCCHI DEL GRANDE SATANA E ADESSO SA DI NOI!”
“Ma non è stata colpa di Axel!”
Fu la voce flebile del n. XIII a farsi avanti. Era ancora minuscolo, piegato in due dopo aver rimesso, ma sollevò la testa cercando di non tremare. Axel avrebbe voluto dirgli di non rispondere in quel modo al licantropo, ma il piccoletto aveva ormai catturato l’attenzione del proprio superiore. “C’era un drago, e se l’era presa con noi! Cosa dovevamo fare? Farci uccidere?”
“Sì”.
Sentì la propria gola farsi rovente, secca, a quella risposta che inchiodò sia lui che il ragazzo sul posto. Per un secondo smise persino di divincolarsi dalla stretta, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva appena sentito.
“La sopravvivenza della famiglia prima di tutto”.
Il palmo libero del predatore atterrò proprio sulla sua testa, incurante dei capelli. “E chi mette la propriainsignificante vita prima della famiglia non può farne parte”.
Quando strinse, tutto si trasformò in una scarica di dolore. La prima fitta parti dove il pollice era stretto, vicino all’orbita, ed in un istante la vista di Axel si coprì di rosso mentre il cranio sembrò sul punto di esplodergli. Il rumore secco di qualcosa di spezzato proprio dentro la sua testa gli levò tutte le poche forze rimaste.
L’ultima cosa che sentì fu la propria voce, quasi irriconoscibile per il dolore che la attraversava, sommersa dalle grida di quella che sembrava essere la voce del Superiore.
  
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