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Autore: syila    30/10/2017    8 recensioni
"... Se vorrai rivedermi dipenderà da te; posso fare molto di più che darti qualche consiglio via E-mail, togliere di torno la concorrenza o rapirti da un corteggiatore molesto. Posso darti lezioni di canto, di portamento e di dizione, posso fare di questa ballerina di fila una etoile di prima grandezza; posso farti innamorare di nuovo di questo mestiere, perché io vedo la passione che hai dentro e che invece tu pensi di avere perso"
Questa storia ha partecipato alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook
Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Christophe Giacometti, Phichit Chulanont, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"

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Quante notti ho vegliato anelante!
Come a lungo infelice lottai!
Quante volte dal cielo implorai
la pietà, che tu chiedi da me! ~
Ma per questo ho potuto un istante,
infelice, non viver di te?


Un Ballo in Maschera - Scena Seconda - Giuseppe Verdi

Un Ballo in Maschera

“Che cosa fai lì?”
“Cosa si fa in un letto di solito?”
“Ah, dipende! Si può fare colazione, si può leggere, studiare, dormire, si può fare anche altro quando si è in due o in tre...”
“Fermati! Dormire! Dormire era quello che appunto stavo tentando di fare fino ad un attimo fa...” l'espressione imbarazzata e insonnolita del suo compagno di stanza emerse dalle coperte e un paio di occhi bruni dal taglio allungato scrutarono l'importuno che alla luce dell'abat-jour gli sorrideva divertito.
I denti candidi e la pelle ambrata di Phichit scintillavano nella bolla dorata e Yuuri emise un sospiro sconfitto, lui e la sua aria ammiccante erano lì per restare e non se ne sarebbero andati prima di aver ottenuto ciò per cui erano venuti.
“Facciamo ancora in tempo, dai alzati, dobbiamo vestirci, ho già rimediato tutto l'occorrente”
“Per andare... Dove?” chiese di rimando l'altro, angustiato all'idea di lasciare il tiepido giaciglio per avventurarsi Dio solo lo sapeva, assecondando l'ultima idea balzana dell'amico.
Stavolta fu Phichit a stupirsi “E me lo domandi? È la notte di Capodanno! Andiamo al Gran Ballo dell'Operà!”
Yuuri socchiuse le palpebre accentuando la delicata mandorla dello sguardo in una sottile pennellata corvina tracciata in modo mirabile sui morbidi lineamenti del suo viso.
“Non se ne parla”
La sua dichiarazione risoluta venne bloccata dal gesto fulmineo del giovane thailandese, il quale, una volta seduto sulla sponda del letto, gli afferrò le mani tra le sue scuotendole vigorosamente “Come puoi pensare di passare l'ultima notte dell'anno a dormire!”
“Non solo lo penso, sto per metterlo in pratica!” fu la risposta piccata seguita da un paio di blandi tentativi di liberarsi dall'insistente disturbatore.
“E io? Vuoi lasciarmi da solo?”
Yuuri esitò, giocarsi la carta dell'amicizia fraterna era un colpo basso, che lui non poteva ignorare.
“Phichit sono stanco, le prove, lo spettacolo pomeridiano, cerca di essere comprensivo! E poi non sarai da solo, anche tua madre è stata invitata, no?”
“Vuoi farmi andare con la mamma? Come un marmocchio o una fanciulla in età da marito? Dai Yuuri... Accompagnami...” insistette lamentoso, mentre lo tirava per un braccio “Prometto che torneremo presto”
“Aspettiamo la Mezzanotte, brindiamo e torniamo a casa, d'accordo?”
Il sorriso dell'amico divenne, se possibile, ancora più luminoso.




“Devi viverla come un'occasione di fare un po' di public relations”
“Credi che ne abbia bisogno?”
Il ragazzo dalla pelle ambrata gli scoccò un'occhiata eloquente dietro la mascherina d'oro, che faceva risaltare il brillio gioioso dei suoi occhi neri; Yuuri sospirò, indossò a sua volta la maschera bianca decorata di piume e cristalli e si preparò a varcare la soglia del magnifico Foyer parato a festa con una profusione di luci e cascate di addobbi floreali dietro i quali contava di nascondersi una volta esauriti i convenevoli di rito.

Stando al parere dell'amico le pubbliche relazioni erano il segreto del successo, anche in un mondo elitario come quello della lirica “Oggigiorno non sei nessuno se non sai venderti al tuo pubblico”.
E lui, all'indomani del fortunoso debutto nella Tosca, come sostituto del brillante tenore canadese Jean Jeaques Leroy, si era trovato per le mani un successo che non era abituato a gestire.
“Sono solo un paio di recensioni sui blog di appassionati” aveva provato a minimizzare subito conoscendo la predisposizione di Phichit a qualsiasi cosa odorasse anche lontanamente di “mediatico”.
“Ah si? E la critica allo spettacolo su Le Monde? Ne vogliamo parlare?”
“Era un piccolo trafiletto...”
“Quel Coreano... Seung-Gil Lee è tirchio come l'Avaro di Moliére nei suoi giudizi, sai bene che i coreani sono ancora più maniacali dei giapponesi con la lirica, eppure ha parlato benissimo di te!”
“Ha scritto solo che il tenore chiamato in sostituzione del protagonista ha delle qualità interessanti ed è da tenere d'occhio... Non ha nemmeno fatto il mio nome!”
“Già! Ma per questo ci sono i social e gli amici che sanno usarli!”
“Si... Grazie Phichit...”
“Oh, figurati! Lo faccio volentieri!”
“Era ironico...”
“Oh...”
Senza dirgli nulla il thailandese aveva caricato il video della rappresentazione ovunque fosse possibile, corredandolo di foto prese dalle prove, dal backstage e perfino dal camerino, mentre si cambiava d'abito, beveva o mangiava un tramezzino al volo.
Il risultato era stato l'abbordaggio ai suoi profili di un'orda di internaute entusiaste, che probabilmente non distinguevano i tenori Verdiani da quelli Mozartiani, ma che in compenso strillavano in maiuscolo quanto il cantante giapponese fosse KAWAIII, CUUUTE o SUPERCUTE, in base al grado di entusiasmo.
Le più convinte poi si lanciavano in paragoni spericolati tra lui e la stella pop del momento, giudicandolo alla stregua di un idol. “Magari si aspettano che salga sul palco e mi metta a improvvisare un rap su Celeste Aida...”
“Come si dice: in bene o in male l'importante è che se ne parli” aveva sentenziato l'amico atteggiandosi a vecchio saggio della montagna e Yuuri aveva abbozzato.
La recensione a cui teneva di più, però, non era mai arrivata.
Da una settimana il suo account di posta produceva solo spam, avvisi di scadenza e solleciti di pagamento, sembrava che Cho-cho san fosse sparita dalla faccia della Terra.




“Potresti incontrarla qui stasera...”
“Eh?”
“Dico... La tua Madama Butterfly, magari è venuta anche lei alla festa”
Il giovane giapponese si sentì accapponare la pelle, come se un blocco di ghiaccio si stesse strusciando languidamente sulla sua schiena; a volte sospettava che Phichit gli avesse installato a sua insaputa una specie di microchip in grado di leggere pensieri, senza calcolare che le emozioni affioravano spontaneamente sul suo viso e chi lo conosceva bene capiva subito se aveva qualche cruccio, se soffriva di nostalgia per la sua famiglia o se, come in quel momento, stava pensando ad una certa persona particolare.
“Sciocchezze!” balbettò arrossendo suo malgrado “Quale motivo avrebbe di essere qui? Per quel che ne so potrebbe vivere a Pechino, a New York, fare la casalinga, avere ottant'anni e dieci nipoti!”
Phichit lo vide ingollare spavaldamente un intero calice di champagne nel tentativo di nascondere il suo disagio e sorrise; forse sarebbero rimasti alla festa ben oltre la Mezzanotte.
“E allora mi spieghi come fa la nostra pensionata a conoscere così bene le tue abitudini e il tuo indirizzo?”

Touché.
L'invio di mail da parte della misteriosa Cho-cho san era cominciato pochi giorni dopo il suo approdo alla Compagnia dell'Operà di Parigi.
Si era appena trasferito dagli Stati Uniti dove aveva lasciato un ingaggio sicuro, ma poco appagante nella Compagnia del tenore italiano Celestino Cialdini, per seguire un sogno: calcare il palcoscenico dell'Operà e poi di tutti i maggiori teatri mondiali.
Pur di lavorare e cantare nel tempio della musica francese aveva accettato un umiliante demansionamento passando dall'essere il protagonista di piccole produzioni provinciali a corista, comparsa, perfino trovarobe.
Era così che aveva conosciuto Phichit; sua madre era una delle sarte del teatro e lui studiava e lavorava da costumista.
Avevano un letto in più nell'alloggio che il Teatro affittava a canone agevolato ai suoi dipendenti e un coinquilino avrebbe aiutato ad alleggerire le ingenti spese che comunque il vivere a Parigi comportava.
Yuuri continuava a studiare da solo, perché i soldi del suo ingaggio non bastavano a coprire i costi delle lezioni di un insegnante privato; aveva scovato una piccola aula di danza in disuso adibita a magazzino nel dedalo di stanze e corridoi del teatro e l'aveva accomodata adattandola alle sue necessità.
Era convinto che nessuno sarebbe venuto a disturbarlo in un posto tanto fuori mano, né si sarebbero lagnati del rumore o della musica dato che le pareti erano insonorizzate.
Spesso si tratteneva di sera o andava lì al mattino presto prima di cominciare le prove, quando l' edificio era popolato solo da operai e macchinisti chiamati a mantenere in perfetta efficienza la complessa struttura scenica e l'enorme impianto di fili, tubi e quadri elettrici che alimentava la magia dell'Operà.
Nonostante la quiete di quell'angolo remoto però Yuuri aveva avuto da subito la sensazione di non essere solo; più di una volta era uscito in corridoio cercando di dare corpo alle sue paure, ma fuori non c'era nessuno e se tendeva l'orecchio poteva sentire i carpentieri al lavoro di sotto o la musica del pianoforte che saliva dalla sala prove.
La settimana successiva al suo trasloco era arrivata la prima E-mail.
L'oggetto riportava “Suggerimenti per accedere all'aula B (questo il nome del suo piccolo studio improvvisato) anche fuori dall'orario di apertura del teatro”
Appurato che non si trattava di spam il giovane giapponese aprì gli allegati e trovò una dettagliata descrizione del percorso da fare per avere libero accesso all'edificio in qualsiasi momento, corredata da una piantina tecnica e dal percorso consigliato”
In firma era riportato un formale quanto singolare:
"Cordiali saluti, vostra Cho-cho san"

Solo Phichit e sua madre erano a conoscenza del fatto che si fermasse a provare in quel bugigattolo, ma quando esibì loro il testo della mail entrambi si mostrarono stupiti quanto lui.
Nemmeno la signora Chulanont, che lavorava a Teatro da più di dieci anni conosceva quella scorciatoia!
Le indicazioni, tuttavia, si rivelarono esatte, ma i ringraziamenti di Yuuri non ebbero alcuna risposta.
La successiva mail di Cho-cho san arrivò tre giorni più tardi e stavolta tono e contenuti erano molto diversi: in un inglese pulito, quasi letterario la misteriosa utente aveva letteralmente crocifisso la sua performance nel coro del Nabucco, stroncando senza appello la sua inconsistenza scenica e arrivando a definirlo un “Pesce che apriva la bocca a comando senza far uscire nient'altro che aria”.
Il soggetto chiamato in causa era scioccato, più che per la critica negativa, per il fatto che sarebbe stato impossibile distinguere la sua voce da quella degli altri coristi a meno di essere all'interno del coro o dietro le quinte!
Del resto la valutazione era motivata; quel giorno Yuuri era quasi afono a causa di una brutta raucedine e aveva risposto scusandosi con lei, senza aspettarsi una eventuale replica.
Invece la replica era arrivata, sebbene in una forma un po' inusuale.
Il giorno successivo un fattorino si era presentato a casa e gli aveva consegnato un cesto pieno di arance; vuotandolo scoprì anche una sciarpa, un paio di guanti e una cuffia di cachemire impacchettati con cura accompagnati da un bigliettino su cui era stampigliata in rilievo una farfalla.
Senza dubbio un dono di Cho-cho san.
“Per essere una stalker ti fa dei bei regali! Prova a dirle che ti fanno male le gambe a fine giornata, potrebbe comprarti un'auto!” aveva esclamato Phichit ridendo e Yuuri aveva brontolato qualcosa di incomprensibile, poi aveva preso un'arancia, la sciarpa e si era chiuso in camera a meditare sull'accaduto.
Da quel momento le e-mail e i regali si erano succeduti ad un ritmo regolare; non passava giorno senza notizie da quella che Yuuri aveva classificato come una sorta di dispotica fata madrina; un angelo custode terribilmente autorevole e competente, prodigo di suggerimenti, quanto parco di informazioni private.
Di lui invece sembrava sapere tutto, non solo quelle scarne indicazioni disponibili online, ma i suoi gusti musicali, le sue preferenze cinematografiche, perfino la sua debolezza riguardo al cibo.
L'idea che una sconosciuta entrasse in modo tanto perentorio nella vita privata di qualcuno avrebbe autorizzato una persona mediamente perspicace ad allarmarsi e non che il giovane giapponese non fosse preoccupato, però, al di là di consigli pertinenti e piccoli pensieri, la misteriosa Cho-cho san teneva a distanza il suo interlocutore innalzando una rigida barriera di formalismi contro la naturale curiosità di Yuuri.
Ad esempio usava il “voi” nei discorsi e si firmava col cordiale distacco di un direttore bancario.
Mai c'erano state allusioni sessuali o affettive e se faceva riferimento al suo corpo era per appuntare una critica sulla capigliatura da istrice ola sciatteria con cui aveva annodato il cravattino.




“Phichit come ti sembra il fiocco del papillon?”
“Hai tenuto conto del fatto che possa essere un uomo?” chiese lui di rimando, facendolo impallidire.
No, o meglio si, l'idea lo ha sfiorato qualche volta; alcuni indizi lo suggerivano: nonostante il linguaggio ricercato, quasi poetico, il suo modo di esprimersi era diretto, franco, andava al punto e sviscerava le questioni con una durezza aliena da una mente femminile, più incline alla metafora e all'allusione.
Una donna sarebbe stata meno diretta nelle sue critiche, ma Yuuri dovette ammettere con sé stesso che i tempi erano cambiati e di donne sgradevoli e aggressive ormai era pieno il mondo.
“È importante in definitiva?”
“Tu cosa preferiresti: uomo o donna?” insistette il giovane thailandese.
“Cambia poco” rispose l'altro con un accento forse troppo risentito e per darsi un tono buttò giù il secondo calice di champagne della serata “In fondo è solo un'entità virtuale, è apparsa all'improvviso e altrettanto all'improvviso è scomparsa” Phichit intuì che il silenzio della misteriosa Madame Butterfly aveva ferito l'amico più delle sue critiche al vetriolo e per rimediare azzardò un cauto “Forse le si è impallato il computer o la connessione internet, succede anche ai migliori nerd!”
“O forse la mia prova di Cavaradossi è stata il colpo di grazia alla scarsa considerazione che ha delle mie doti e ha deciso di bannarmi a vita”
“Le tue vibrazioni negative sono fuori controllo!” decretò il suo interlocutore “in questi casi c'è solo una cosa da fare! Saccheggiare il buffet prima che l'orda dei barbari spazzoli via anche le briciole! Aspettami qui, tornerò tra poco coi generi di conforto”
Yuuri seguì la zazzera corvina finché non si confuse nel caos colorato della festa, che impazzava attorno a lui incurante delle sue gramaglie, celate dalla vezzosa mascherina bianca.
Prese al volo una coppa dal vassoio di un cameriere di passaggio e si immerse in nuove, tristi, considerazioni.

La richiesta di sostituire il brillante, famosissimo e strapagato tenore canadese Jean Jeaques Leroy era arrivata come un fulmine a ciel sereno nella tranquilla routine di Yuuri.
Il Direttore dell'Operà si era presentato in sala prove seguito da un'assortita rappresentanza del personale amministrativo e dopo un concitato consulto coi suoi omologhi del coro e dell'orchestra lo avevano chiamato da parte sbattendogli in faccia la proposta indecente.
Non c'era la busta di riserva; a due giorni dalla Prima e con la Stagione lirica in pieno svolgimento le opzioni erano: prendere o prendere.
E lui aveva accettato.
Poi era andato a casa e si era buttato a letto senza cenare, con un febbrone da cavallo scaturito da una mostruosa ansia da prestazione e dal terrore di fallire.
Le quarantottore successive erano trascorse in una folle corsa alla preparazione: le prove dei costumi, le prove con l'orchestra, le prove con un maestro di canto chiamato all'ultimo per rifinire i dettagli della sua interpretazione, le prove delle prove, la prova generale.
Yuuri era arrivato alla sera del debutto con la testa avvolta nella bambagia e lo stomaco attorcigliato, in preda ai crampi. Era pallido come un cencio, le gambe gli tremavano e sudava freddo.
Non ce l'avrebbe fatta; guardava le assi di legno del palcoscenico, testimoni di tanta gloria passata e sapeva che poteva inciamparci, steccare un acuto o peggio uscire completamente afono.
Il suo problema non era la voce, la pronuncia in quell'italiano ostico contro cui combatteva da quando Celestino lo aveva voluto nella sua scuola, non era nemmeno la difficoltà di cantare muovendosi e gestendo il difficile spazio della scena e l'interazione con gli altri protagonisti.
No il problema era che temeva il ridicolo più della stonatura; aborriva l'idea che il pubblico sarebbe scoppiato a ridere una volta alzato il sipario, perché... Sul serio: non era credibile un giapponese smilzo, alto un metro e settanta nei panni prestanti del bel pittore della Tosca.
Una cortigiana d'alto bordo come lei lo avrebbe tenuto giusto come reggi-lampada o valletto, non come amante!
A un'ora dall'inizio dello spettacolo Phichit aveva fatto irruzione in camerino rompendo la sacra concentrazione dell'artista al debutto e gli aveva mostrato il suo portatile indicando con enfasi la casella mail.
“Cho-cho san ti ha scritto dieci minuti fa!”
Ah!
La nebbia nel cervello di Yuuri si diradò quel tanto da permettergli di leggere la missiva senza accavallare le lettere.

“Pregevole monsieur Katsuki v'immagino immerso e coinvolto nei momenti convulsi che precedono l'alzarsi del sipario, quindi non vi tedierò con inutili raccomandazioni.
Abbiamo già ampiamente discusso delle vostre qualità vocali e dei vostri limiti, ciò che più mi preme ora è il vostro stato d'animo. Se l'ansia vi attanaglia e temete il giudizio del pubblico o della coprotagonista sappiate che ciò è nulla al confronto del fatto che assisterò personalmente allo spettacolo e vi terrò gli occhi addosso fino alla fine.
Devotamente vostra,
Cho-cho san”

Phichit non aveva mai sentito l'amico imprecare, ma quello che era uscito dalle sue labbra un attimo prima di chiudersi in bagno a rimettere l'anima era proprio un anatema da scomunica.
Il resto ormai era storia; il giapponese era salito su quel dannato palco e aveva portato a termine la sua missione, da bravo soldato; era perfino uscito sul proscenio a raccogliere i meritatissimi applausi dal pubblico delle grandi occasioni, poi si era trascinato fino al backstage dove era svenuto restando incosciente fino al giorno successivo.



Fine Prima parte


† La voce della coscienza †

Eccomi qui!
Di nuovo direte voi :3
Che volete farci, quando ho visto la proposta di questa challenge mi si è accesa la proverbiale lampadina, i due neuroni superstiti si sono messi al lavoro e, memore di un riferimento al Fantasma dell'Opera nella saga dei vampiri, è nata questa versione in salsa Mistery, dove, vorrei precisare: NON ci sono vampiri!
Ma un po' di suspance, un filo di mistero, romanticismo e un pizzico di angst.
Vedremo Yuuri, giovane e promettente cantante lirico, un po' sottostimato, anche a causa della sua timidizza e ritrosia, alle prese con una enigmatica stalker che si firma come la Madama Butterfly dell'opera pucciniana e che è prodiga di consigli, di doni e anche di stroncature feroci.
Riuscirà davvero ad incontrarla al ballo di Capodanno come dice Phichit?
La sorte, complice uno svizzero di nostra conoscenza, ci metterà lo zampino e...
Il seguito al prossimo capitolo!
Io e il nostro tenorino con gli occhi a mandorla saremo felici di sapere cosa ne pensate di questo esperimento; amo molto la lirica, anche se non mi azzardo a definirmi un'esperta o una melomane :3 Cho-cho san invece aspetta silenziosa nell'ombra, chi c'è dietro la maschera? Mhhh scommetto che avete già dei sospetti :3
Acuti sparsi e qualche Do di petto a tutti! :3



   
 
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