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Autore: RoryJackson    30/10/2017    10 recensioni
"Chi sei?" Chiese una voce dietro di lei. Era una voce maschile, calda e profonda, stranamente umana. Rory si fermò impietrita. Possibile che fosse lui...? Girò il viso verso la voce la quale proveniva effettivamente dalla creatura, completamente sveglia e all'impiedi.
Questa volta, Rory, poté ben vedere gli occhi della creatura: dalla forma leggermente triangolare, confinavano con il muso beige. Le iridi rosse come il fuoco. - CAP 1
"Tu non sei in grado di spezzare un giuramento" constatò la giovane, placando in un momento l'animo di Shadow, [...] "Io mi fido di te" - CAP 10
Shadow: un essere tanto temibile eppure tanto umano. Un riccio dal cuore indurito per l'ingiustizia subita da parte degli uomini e che, per questo, odia con tutto se stesso. Riuscirà mai a cambiare idea?
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Rory uscì dal rifugio, guardandosi attorno, alla ricerca di Shadow. Ma di lui non c’era traccia. Se n’era andato e il solo pensare che avrebbe dovuto fermarlo e parlargli, la addolorava.
Alzò gli occhi verso il cielo. In quella radura era possibile vedere molte più stelle rispetto alla città: non vi era neanche un faro acceso nei dintorni. Fece un profondo respiro. L’aria pungente e fresca della vegetazione che ricopriva quella esigua radura, la rilassava. Decise di fare due passi, studiando quei minuti cespugli fioriti sparsi tutti intorno, che ornavano e profumavano l’ambiente di aromi genuini.
Dopo circa un minuto di cammino, sentì un fruscio provenire dal fogliame di un albero. Si voltò di scatto, fiduciosa, per poi scoprire che a provocare quel rumore era stato un piccolo scoiattolo, che la fissava dall’alto di un ramo. Sospirò e continuò a camminare, attraversando tutta la radura ed addentrandosi nel folto dei boschi che la contornavano.
Dopo aver oltrepassato quella densa coltre floreale, arrivò in un piccolo spiazzo alquanto angusto e desolato, ma abbastanza lontano dal rifugio del nuovo amico blu e dei suoi compagni acciocché potesse abbandonarsi ai pensieri. In mezzo allo spiazzo c’era un maestoso salice piangente e, dopo aver scostati gli abbondanti e fini pioventi rami che gli facevano da tenda, decise di sedersi proprio ai piedi dell’albero, per poi perdersi in un abisso di ricordi.
In quella notte silenziosa, in cui solo il frinire delle cicale spezzava la quiete, tra tutti i pensieri che aveva per la testa, le venne la musica che ascoltava sua madre, in particolare il suo cantante preferito. Non poté fare a meno di sorridere, malinconica.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi con la schiena contro il tronco del salice, canticchiando a bassa voce l’unica canzone che le piaceva tra quelle preferite dal genitore. Cercami, di Renato Zero. E non poté fare a meno di pensare a quanto quelle parole la rappresentassero.
“Questa vita ci ha puniti già, troppe quelle verità che ci son rimaste dentro... Oggi che fatica che si fa… com’è finta l’allegria, quanto amaro disincanto. Io sono qui, insultami, feriscimi…!”
Si maledisse: tra tutte le canzoni che esistevano, doveva proprio cantarne una così significativa?
Dopo aver pianto in silenzio, si alzò e si stiracchiò, decidendo controvoglia di ritornare. Era inutile restare da sola, lì, in quel bosco, ad autocommiserarsi.
Quando, però, sorpassò la fitta cortina di foglie, un’ombra catturò la sua attenzione. Appoggiato di spalle contro una quercia, c’era Shadow, che la squadrava severo sottecchi. Rory spalancò gli occhi, sgomenta, e si asciugò velocemente gli occhi ancora gonfi. Non tentò né di nascondere il viso, dal momento che le chiazze rosse sulle guance e sul naso erano ancora eccessivamente visibili per non essere notate, né di sorridere: in quel momento sarebbe stato del tutto fuori luogo, data l’austerità dello sguardo del riccio dal manto oscuro.
Silenzio.
Nonostante sentisse su di sé tutto il peso di quegli occhi cremisi, che tanto sembravano voler intimorire, la ragazza si avvicinò a lui, determinata. Ed ora che lo aveva di fronte, nella sua solita postura, constatò di essere stata per tutto quel tempo udita da lui. Perché anche lui era lì. Perché lui aveva deciso di farsi trovare.
Rory si accostò di fronte al riccio, lo sguardo fisso su quello della creatura, la quale pareva fosse in attesa di qualcosa.
“Perdonami”, disse lei, ferma e risoluta. Shadow allargò gli occhi impercettibilmente, mentre si lasciava cadere le braccia morbide sui fianchi.
“Non le pensavo davvero quelle cose, prima… e non avrei dovuto dirti quelle cose, quella sera… Non so che cosa mi sia preso”.
“Te lo spiego io”, disse lui, severo, “hai pensato bene di potermi giudicare, pur non sapendo nulla di me”.
Rory sobbalzò per quell’accusa, resa ancor più minacciosa dalla profondità della sua voce. Non replicò, abbassando lo sguardo a terra e chiudendo le mani a pugno. Il riccio non sapeva perché era in procinto di enunciare certe parole. Mai aveva pensato di esplicare ad anima viva cosa avesse davvero provato durante quei momenti, tuttavia sentenziò: “Tu non sai cosa significa vedere la persona a cui tieni di più, morire davanti ai tuoi occhi”. Il suo tono era talmente basso e cavernoso da calcare il leggero tocco rauco nella sua voce.
Rory spostò di scatto lo sguardo verso il riccio, sentendosi pressata dalla sua presenza e sospirò. Shadow teneva i suoi occhi, resi color del sangue a causa dell’oscurità, immobili su di lei.
“Hai ragione, non avendo vissuto la tua esperienza non ho il diritto di giudicare”, convenne, annuendo col capo, infine sussurrò: “Ma so cosa significa perdere la persona che più si ama, davanti ai propri occhi”.
Il riccio bicolore aggrottò la fronte, spiazzato, osservando la ragazza alzarsi leggermente la maglietta per scoprire il fianco sinistro. Una profonda cicatrice circolare marchiava la sua pelle.
“Mia madre è morta otto anni fa, un rapinatore le sparò alla testa” rivelò ciò che avrebbe dovuto dirgli quella volta a casa, prima che venissero interrotti da Jessica. “E questa cicatrice dimostra quanto io sia cretina”.
Shadow distolse lo sguardo da quello sfregio indelebile e chiuse gli occhi. Persino per la Forma di Vita Definitiva, quel segno sul suo corpo era insopportabile da vedere. Dentro di lui cominciò a prendere sopravvento la sensazione di disgusto e di odio che, dopo la morte di Maria, sempre aveva provato nei confronti dell’umanità, ciononostante era mista ad un sentimento ben più viscerale che lui riuscì finalmente a decifrare. Era dispiaciuto. Per lei.  
Rory interpretò il suo silenzio come un incitamento a continuare il suo racconto.
“Era un 20 settembre qualunque. Era pomeriggio inoltrato e, dal momento che mio padre era fuori per lavoro, mi offrii per accompagnare mia madre ad un colloquio di lavoro, presso un ufficio in periferia a dir poco abbandonata a se stessa. Avevo voglia di bere qualcosa, quindi mia madre mi diede i soldi per comprare una bottiglia d’acqua ad un bar vicino. Fu lì che il rapinatore la vide: poiché indossava un tailleur classico, probabilmente costui pensò che fosse una di quelle donne ricche ed eleganti in giro a fare una passeggiata nei sobborghi. Io mi nascosi dietro una macchina poco lontano, incapace di fare qualsiasi cosa, mentre mia madre venne minacciata con una pistola da quell’uomo, solo perché non volle cedergli la borsa. Avevo quattordici anni e colta dal tremore, presi il cellulare per chiamare il 113. Avevo appena finito di parlare con uno della polizia quando accadde. La vidi cadere a terra, il sangue, che usciva a fiotti dalla fronte, imbrattava l’asfalto, il suo viso rivolto verso di me e i suoi occhi, vacui, fissi nel vuoto”, Rory si ritrovò a parlare con un tono che non l’apparteneva. Distante; assente; persa nel ricordo di quell’orrendo giorno che, in quel momento, stava rivivendone ogni millisecondo. Come una costante che non potrà mai essere razionalizzata. Troppo debole anche per essere raggiunta da un pianto da tempo già consumato.
“Non so… scattò qualcosa dentro di me… E mi fiondai sul suo assassino. Persi il controllo e…mi trovarono in una pozza di sangue, credendomi morta”.
La ragazza si fermò qualche attimo, la tensione del riccio era pressoché palpabile, dopodiché continuò con tono incolore, abbassando lo sguardo: “Ma fortuna volle che respirassi ancora e mi trasportarono di corsa all’ospedale. Lì, durante l’operazione per togliere la pallottola, per circa un minuto il mio cuore smise di battere”.
La giovane si morse il labbro e si meravigliò nel notare le mani del riccio, strette in pugno, tremolare. Era come se tutta quella vicenda scorresse davanti agli occhi della creatura, la quale poteva solo osservare passivamente la scena, bloccata. Ancora una volta, si scoprì incapace di poter cambiare il corso degli avvenimenti. Ed era dannatamente frustrante.
“Fu un miracolo, anche solo il fatto che il mio cuore tornò a pulsare. Stetti in coma dodici giorni. Poi, quando le speranze erano ormai perdute, mi svegliai. Era notte fonda e mio padre non c’era… sotto consiglio dei medici, era ritornato a casa a riposarsi. Ero sola…”
Alla fine del racconto sopraggiunse un minuto di silenzio, durante il quale l’umana poté contemplare l’espressione indurita del riccio, che per tutto il tempo aveva ascoltato ad occhi chiusi, senza proferire parola alcuna.
“Ma tutto ciò non è una giustificazione al mio comportamento”, disse, dolcemente destando Shadow dai suoi pensieri, “per questo ti chiedo scusa”.
L’espressione del riccio, dopo un istante passato a fissarla meravigliato, si raddolcì di colpo e le sue mani smisero di tremare. A quella vista, ella non poté fare a meno di abbozzare un sorriso. Shadow l’aveva perdonata.
“A cosa pensavi?” mormorò lui, nel suo solito tono rigido ma con una sfumatura di sensibilità e gentilezza davvero inusuali per lui, incrociando le braccia. Finalmente concepì perché quella ragazza gli fosse tanto affine.
Rory, avendo compreso che la domanda fosse riferita al fatto che aveva pianto, sospirò e scosse il capo.
“Beh, io…” esordì lei, esitante, indecisa se riferirgli o meno ciò che l’aveva tenuta sulle spine tutti quei giorni. Gettando uno sguardo su quello particolarmente interessato del riccio, optò per dirgli la verità, mormorando: “In questi giorni ti ho pensato molto”. Senza aggiungere dettagli inutili. Shadow s’intirizzì bruscamente, sbarrando gli occhi, sconcertato sentendosi all’improvviso preda di una tempesta interiore. Si spostò di qualche passo volgendo la visuale verso un punto vuoto, irritato: odiava mostrarsi così insicuro agli occhi di qualcuno. Ma quella rivelazione quasi lo sconvolse, travolgendolo in un tumulto di emozioni contrastanti. Tirò un breve respiro, imponendosi di darsi una calmata.
La giovane, accorgendosi della sua confusione, decise di sedersi lì, accanto al riccio che se ne stava in piedi, con lo sguardo rivolto verso il cielo stellato. E intuì che, per quanto fosse fiero del suo essere “Forma di vita Definitiva”, non erano in molti a mostrare interesse per lui.
“Ah, volevo anche ringraziarti”, continuò lei seria, portandosi una gamba al petto, “per avermi salvato la vita… due volte”.
“Dovevo...”, ribatté lui risoluto, ostinandosi a tenere il viso ben rivolto verso un qualsiasi punto, purché non si trattasse del viso della giovane, ed emise un sospiro molto più simile al suo solito sbuffo immusonito, per sciogliere l’impaccio. La ragazza scosse il capo, allietata da quell’improvviso imbarazzo. Il riccio nero dovette fare appello a tutto il suo ardimento per poter pronunciare ad alta voce queste precise parole: “...e, poi, ti devo anche io delle scuse, per averti spintonato”.
Rory sbatté gli occhi più volte, sorpresa per quell’insolito atteggiamento, e mentre sul suo volto spuntò un lieve sorriso incominciò a giocherellare solleticando i fili d’erba con le dita. “Beh, ci sono andata anche io pesante, se fossi stata al posto tuo avrei reagito allo stesso modo. D’altra parte, sapevo che, ostacolandoti, avrei scatenato la tua ira. Ormai so per certo che chi tenta di contrastarti farebbe prima a scavarsi la fossa da solo!”, disse, rivolgendogli poi un’occhiata penetrante. A questa sua opinione, la creatura dal manto onice non poté che piegare le labbra in uno sghembo sorrisetto sarcastico. Reazione che fece alzare gli occhi al cielo ed emettere un gemito seccato alla giovane. “Shadow, non è stata colpa di Tails, se sono entrata in quel dannato dirigibile. Sono stata io ad insistere”.
Il riccio bicolore volse di scatto lo sguardo verso di lei e strabuzzò gli occhi, colpito: “Ma, allora, tu…?”
“Sì”, rispose, rispondendo alla sua sottintesa domanda, “non è poi così difficile, sai?”
Il riccio nero inarcò un sopracciglio, imbronciato. Possibile che sia così facile analizzarmi?
“Perché l’hai fatto?” sbottò lui burberamente, con il tono nuovamente indurito. Rory sospirò e si portò una mano alla nuca, incerta.
“Volevo restituirti l’altro smeraldo del caos”, continuò lei, sommessa, “è stata tutta colpa mia, volevo rimediare…”
Shadow, nell’udire quelle parole, non poté fare a meno di fare una smorfia di disappunto. A lui piaceva il coraggio, ma non seppe giudicare se le azioni di quell’essere umano fossero ispirate da un impulso del momento dettato dall’audacia o dall’idiozia.
“E poi... ero sicura che saresti venuto a salvarmi”, mormorò con un lieve sorriso imbarazzato, “lo fai sempre”.
La creatura dal manto ebano, a quella confessione, distolse nuovamente lo sguardo per il troppo disagio, ma riuscì a mantenere intatta la sua solita aria austera, mettendosi a braccia incrociate.
“Quello che hai fatto non è paragonabile alla stupida lite che hai avuto con quell’insulso teppista, lo sai?”
Al che, la giovane sentì affluire il sangue alle guance e chiese, titubante, nonostante già sapesse quale sarebbe stata la risposta: “Tu… mi hai visto?”
Il riccio nero annuì, noncurante, provocando un ulteriore arrossamento delle gote della ragazza, la quale si coprì il viso con una mano.
“Penserai che io sia un maschiaccio...” sospirò lei, alzando gli occhi al cielo “...come tutti, del resto”.
“Ciò che io penso non importa”, ribatté lui, in tono neutro ma ben più morbido di quello precedente, lanciandole un’occhiata curiosa, “però, se ci tieni tanto, penso che hai la brutta abitudine di cacciarti nei guai”.
Rory sorrise ampiamente, divertita da quell’affermazione nella quale, per quanto Shadow l’abbia fatta passare come semplice constatazione, lei poté ben percepire una più che velata preoccupazione.
“Questo è sicuro!” disse con una leggera e limpida risata, dopodiché continuò: “però tu hai la bellissima abitudine di tirarmene fuori!”







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Angolo dell'autrice: Ciao, ragazzi, finalmente sono riuscita a quest'ultimo capitolo! In particolare volevo ringraziare una persona molto gentile, che per sua richiesta non citerò, la quale mi ha aiutato a correggere alcuni piccoli errori presenti nella precedente versione. Spero che non vi annoi, perché fra qualche capitolo scopriremo qualcosa di più sulla relazione che c'è tra Shadow e Rouge, e tra loro e la GUN. E si entrerà poi nel torbido della vicenda. E tutte le schifezze che ci sono dietro.
Spero vi sia piaciuto questo piccolo episodio (Suze, più tranquillo di così...!! ahaha)! E colgo l'occasione, come sempre, per ringraziarvi tutti per il vostro entusiasmo. Se avete altri errori da segnalarmi, fate pure! 
Ci si vede alla prossima (che verrà pubblicata con un po' di ritardo, sicuramente a metà dicembre, perché sto preparando diversi esami che darò tra gennaio e febbraio). 
Un bacio,
Rory

 
   
 
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