DISCLAIMER
All’infuori
degli OC Amaya e Umiko, i personaggi qui presentati non mi
appartengono (purtroppo).
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
{
Partecipante
al contest ‘Like
an Hero – Eroe per un giorno’ indetto
da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp
}
Just… Stay
{ I ~ Ascolta il Mondo }
La
Città K non sarebbe stata nulla senza la sua verde corona di
foreste: era la perfetta armonia dell’ingegno umano con la
potenza
naturale, il luogo dove in più punti i pilastri dei palazzi
si
univano alle colonne arboree come in una pacifica metamorfosi; a
significare che, se lo si voleva, era davvero possibile una soluzione
che unisse le esigenze più moderne agli arcani e continui
richiami
della Madre Terra.
Sì,
perché quest’ultima chiamava, gridava, a volte
cantava; e se si
sapeva riconoscere la sua voce, si poteva comprendere da essa cose
che nessuno avrebbe mai sospettato: allarmi, ammonizioni… a
volte,
anche il futuro che il suo grembo oscuro custodiva, pronto a
esplodere e a rovesciare certezze e giorni già scritti.
Come
successe quel mattino.
… Quel
mattino l’aria era pesante, rigonfia di un fastidioso sentore
d’umidità e intrisa di così profondo
silenzio da dare l’idea di
trovarsi in un sogno; il cielo era sereno, ma era comunque ben
udibile il rombo di una tempesta in avvicinamento.
È
come se la Terra provasse sbigottimento. Così
Umiko definì la sensazione che provò sulla pelle
appena si fu
lasciata le stanze della propria abitazione alle spalle e
trovò solo
il cielo a coprirla; il chiarore malato del Sole la costrinse ad
abbassare immediatamente il capo, spingendola poi a rabbrividire per
il freddo.
«Ma
che razza di giornata è?», mormorò,
prima di stringersi
maggiormente nel golfino – siamo
in piena primavera, e fino a ieri si stava così
bene… perché oggi
si congela? –
e lasciare il vialetto di casa, per scendere in strada e raggiungere
al più presto la vicina fermata dell’autobus.
La
faccenda si prospettava peggiore rispetto a quello che aveva creduto
osservando l’orizzonte da sotto le coperte; e se dopo poche
ore non
avesse avuto quell’odioso esame per cui studiava da mesi, si
poteva
stare ben certi che avrebbe voltato i piedi nel tempo di un respiro e
si sarebbe rinchiusa nuovamente in casa, lontana dalla confusione che
percepiva in ogni cosa la circondasse.
Tuttavia,
la vista delle tante persone nella sua identica situazione le
alleviò un po’ la fatica che quell’anomala
giornata le aveva
posato sulle spalle. Forza…
è solo la tensione. Oggi pomeriggio sarà tutto
passato, in un modo
o nell’altro,
si
incoraggiò mentre raggiungeva il suo obiettivo, strofinando
le gambe
l’una contro l’altra e finendo per inveire contro
ogni cosa ed
essere esistente – pure sé stessa – per
aver indossato una gonna
in un giorno come quello.
E
a quel punto, come se non avessero fatto altro che aspettare
l’istante adatto, nella sua mente si delinearono un volto
noto e un
vecchio ricordo.
Ma
insomma, Umiko! Dove stai andando, a un appuntamento? Si
vede che non sono più lì con te, sei diventata
ancora più sbadata!
…
Non
dire sciocchezze, sbadata lo sono sempre stata! E poi tu sei sempre
con me, perché ora mi dici così?
Il
rumore dell’autobus
in avvicinamento la distolse immediatamente da ogni pensiero,
spingendola a scrutare le foreste poco distanti e la nebbia –
ma
quando è sorta?
– che gradualmente invadeva la strada. «Giornata
strana… già», sussurrò dopo
alcuni attimi di stasi, non senza
sentire un’ombra di attesa nella propria voce –
quasi le sue
stesse parole avessero dato inizio a qualcosa di nuovo.
Quell’ennesima
scossa sulla pelle non svanì neppure quando il cuore della
città
iniziò a sostituire la periferia; e se non fosse stato per i
messaggi
che improvvisamente iniziarono a bombardarle lo schermo del telefono,
di sicuro le strade che si snodavano intorno come serpenti impazziti,
i palazzi sempre
più
alti e i volti indistinguibili gli uni dagli altri, non avrebbero
fatto altro che aumentare il suo disagio.
“Ripensandoci,
forse saresti dovuta venire con noi. Stai studiando da tantissimo
tempo e non ti sei ancora presa una pausa. Lì in
città com’è il
tempo? Qui si sta bene. Mi manchi.”
“Come,
in piedi a quest’ora? Comunque, qui non è molto
bello… è
nuvoloso, e non ho nemmeno visto l’alba. E per
l’esame… ci
proviamo: chissà di farcela.”
“Anche
se non sono lì con te sento che sei agitata, e non mi piace.
È
successo qualcosa? Sai
che mamma ti veglia anche da qui.”
“Solo
stanchezza, che passerà appena questa giornata
sarà conclusa. Lo
so, ti sento sempre e non vedo l’ora di rivedere te e
papà. Vi
voglio bene.”
“Dovresti
tornatene a casa. Non puoi affrontare una prova del genere con tale
ansia.”
“Troppo
tardi; ormai sono qui, a pochi passi dall’inevitabile.
In qualche modo ce la farò.”
“Sei
la solita testarda…
ma d’altronde,
con la madre che hai non poteva che essere così. Testarda, e
sempre
con la testa tra le nuvole.”
Lo
diceva anche lui.
Umiko strinse i denti e artigliò un angolo
dell’inseparabile
borsa, per poi sospirare.
“Mamma…
ascolta, stamattina mi è ritornata in mente una persona, e”
Alzò
la testa di scatto e quasi lasciò cadere il cellulare a
terra, il
cuore che aveva iniziato a battere furiosamente appena quel
suono l’aveva raggiunta.
In
quel preciso momento tutto – voci, persone, mezzi –
si fermò,
lasciando che fosse solo il tamburo della Paura a scandire il ritmo
della realtà.
«Annuncio
d’emergenza da parte dell’Associazione Eroi: alcuni
Esseri
Misteriosi sono apparsi nel centro della Città K.
I
residenti sono pregati…»
Gli
occhi della giovane fissarono il caos esplodere senza realmente
vederlo: si posarono sulle figure lanciate in fuga, fantasmi e ombre
che non riuscivano ad afferrare, perché il cervello non era
in grado
o voleva rispondere agli impulsi che il corpo mandava. Nonostante i
rumori si aggrovigliassero intorno a lei, insieme alle urla e al
continuo gracchiare delle sirene d’allarme, una cappa di
immobilità
l’aveva avvolta, soffocandola nei suoi stessi tremiti e
impedendole
di avanzare anche solo di un passo; tale era il terrore, la
sensazione di essere
sola.
Tutto
ciò fu questione di attimi, perché
improvvisamente una mano
sconosciuta l’afferrò per un braccio e la
trascinò fuori
dall’autobus ormai deserto, lasciandola poi a respirare a
fatica
nella folla che abbandonava piazze e vie per disperdersi in ogni
dove. Stai
calma. Stai calma o la situazione diverrà peggiore,
fu la prima cosa che la ragazza riuscì a pensare appena uno
spiraglio di lucidità ritornò a lambirle la mente
e tutte le membra
vennero scosse da pungoli d’adrenalina, e
prima di tutto via da qui!
Mettendo
al sicuro il cellulare ancora incastrato tra le dita, iniziò
a
correre anche lei alla cieca, cercando al medesimo tempo di formulare
un piano.
Ritornare
a casa? Sono troppo lontana, e credo che nessun edificio possa essere
realmente sicuro… no, devo trovare un’altra
soluzione.
Una
serie di boati alle sue spalle le fece accelerare il ritmo della
corsa, trasformando le sue gambe in un pulsare di disperazione.
Quando
si lanciò un’occhiata indietro, vide persone con
la sua stessa
espressione, e polvere… polvere dove si agitavano enormi
ombre
nere, che non la spinsero a urlare solamente perché il
respiro le si
era mozzato.
Dai
dai, pensa!,
ricominciò a inveire allora la voce della
razionalità, mentre il
caos si intensificava, che
cosa potrebbe essere sicuro?
Uno
scantinato? No…
no no no! Ci dovrà pur essere qualcosa, maledizione!
Non
sapeva nemmeno dove stesse andando: riusciva a comprendere ben poco,
gli occhi che lacrimavano di sofferenza e terrore frantumando le
immagini in figure tremolanti e guizzi di luce abbagliante, mentre
solo l’istinto di sopravvivenza le impediva di rovinare a
terra e
divenire vittima di una morte atroce. Ma
per quanto avrebbe resistito?
La
domanda sembrò trovare una soluzione quando si
ritrovò circondata
dagli alberi del Nature Park [1], e qui le gambe smisero di sostenere
il suo impeto facendola cadere. Echi di distruzione si confusero con
il suo respiro, continuando a raggiungerla anche quando si premette
le mani sulle orecchie fino a sentire le dita tremare.
«Nuovo
annuncio da parte dell’Associazione Eroi: alcuni eroi sono
già
giunti sul posto e hanno ingaggiato battaglia con i mostri. Si
pregano i residenti di non avvicinarsi per alcun motivo al luogo
degli scontri.
Il
livello di calamità stimato è Tigre.»
«Forse…
forse per adesso sono al sicuro», sussurrò la
giovane dopo
qualche istante, sentendo gli altoparlanti ululare per
l’ennesima
volta e rendendosi conto di essere rimasta rannicchiata per
più di
dieci minuti. Sciolse
la posizione e si rimise in piedi, barcollando per alcuni secondi
prima di riprendere equilibrio e avanzare nella rigogliosa
vegetazione del parco. Il canto dei piccoli ruscelli che lo
attraversavano la guidarono verso il suo cuore arboreo, lungo il
sentiero principale e sui ponti di legno che solcavano i corsi
d’acqua. «Magari
da qui potrei anche raggiungere le foreste…
chissà se c’è un
modo», si chiese, guardandosi intorno con quanta
più attenzione
possibile.
E
fu così che il suo sguardo incontrò la lunga
chioma miele di una
donna, appoggiata alla balaustra di uno di quei ponti ma
così
protesa verso il vuoto da sembrare sul punto di spiccare il volo, e
gli occhi di chi da tempo combatte una battaglia con sé
stesso.
◊♦◊
A
volte il Futuro lo sentirai nel cuore.
Ti
sveglierai un mattino, e saprai di essere diventata madre, che
quell’amico a te tanto caro ritornerà in
città, o che quelle
saranno le ultime ore della tua esistenza. Ciò che per noi
è più
importante, questo ce lo suggerisce la nostra anima: momenti che solo
tu dovrai conoscere, parole che nessun altro potrà
comprendere.
E
con tutti i giorni di nebbia e pioggia che si erano susseguiti sui
tetti della città, il suo momento era giunto proprio in una
giornata
soleggiata. Buffo…
sì, tremendamente, maledettamente buffo; un altro
scherno che si imprimeva sulla pelle e feriva maggiormente la carne
già martoriata.
Al
male segue il peggio; al peggio segue ciò che non vuoi
prevedere.
Questa
ruota non si fermerà perché tu
l’implorerai; la Vita esige sempre
qualcosa di più che semplici parole.
La
prima cosa che Amaya aveva lasciato cadere tra le onde del piccolo
torrente era stata la sua amata sciarpa. L’aveva fissata
mentre
veniva inghiottita dalle acque fino a scomparire sul fondo ed essere
trascinata lontano come un sogno dimenticato, e non aveva versato
nemmeno una lacrima, nonostante quello fosse stato l’ultimo
regalo
che i suoi genitori le avessero fatto; in tal modo aveva avuto la
prova definitiva che le residue tracce di umanità
l’avessero ormai
abbandonata, che fosse arrivato il momento di salutare per sempre il
mondo e lasciare il futuro agli altri.
Una
macchina guasta non ha alcun motivo per continuare a sbuffare e
riversare intorno il suo fumo malato, anche il silenzio la disprezza;
in quei momenti è più decoroso spegnersi per
sempre e non
appesantire più la tristezza propria e altrui – già,
come se ti fosse rimasto qualcuno da rattristare. Ti stanno tutti
aspettando oltre la barriera del tuo corpo; e ti serve ancora un
passo, Amaya, un solo passo per iniziare a volare.
In
quei medesimi istanti il vento che le scompigliava gentilmente i
capelli trascinava echi di grida e implorazioni da ogni dove;
tuttavia, i rumori si infrangevano contro la sua persona senza
toccarla più di qualche attimo.
Tutta
la Città K sembrava sul punto di precipitare con lei; ma
anche
quello non aveva molta importanza. Il suo mondo si era infranto al
suolo già da tempo, e lei era rimasta a fissarne i cocci
tremolanti
– e a ferirsi con essi – da sola.
«Hey…
hey! Che cosa sta facendo?»
Non
è giusto: dovevo essere io ad andarmene. Loro sarebbero
riusciti a
rialzarsi… io, come è ormai chiaro, no.
«Perché
è immobile?»
Ci
sono tante cose di cui parlare, una volta insieme… tante
confessioni e rivelazioni, come di quella volta che…
«NON
LO FACCIA!»
La
donna ebbe un singulto involontario e saltò indietro; perse
l’equilibro e scivolò dalla balaustra ricadendo
sul ponte,
salvandosi così da un salto vertiginoso che non le avrebbe
concesso
scampo. «Che
cosa diavolo…»
Appena
le sue mani riuscirono a fare abbastanza presa sul legno da
permetterle di trovare un equilibrio, alzò il volto. Gli
occhi
cerulei inchiodarono quelli spalancati di una giovane dai lunghi
ricci ebano – l’ho
intravista qualche minuto fa; perché è ancora qui?
–, e si strinsero vedendo con quanta fretta questa le si
stava
avvicinando.
«Che
cosa pensava di fare?», quasi urlò la sconosciuta
quando le fu a
pochi passi, «poteva cadere!»
«E
a te che importa?», rispose acida Amaya rimettendosi in
piedi,
ignorando volutamente la mano tesa della ragazza. «Da quando
uno
deve dare spiegazioni di quello che fa? E perché hai gridato
così
forte, eh?»
«Ho
urlato perché temevo di vederla precipitare. Sembrava
bisognosa di
aiuto.»
«Beh,
non è così!» Non
ho mai avuto aiuti da nessuno, io.
L’altra
indietreggiò di un passo, colpita e resa cauta da quel tono
tagliente. In quello stesso istante i suoni della distruzione si
fecero più vicini.
«Evacuazione
d’emergenza: il livello di calamità è
salito da Tigre a Demone. I
residenti sono invitati ad abbandonare la città.
Ripeto:
i residenti sono invitati ad abbandonare la città.»
«I
mostri…», sussurrò la giovane, e a
quelle parole Amaya stirò la
bocca in una smorfia. «Che cosa credevi, che ci lasciassero
tutto il
tempo di scappare? Inizia a correre, che con quelle gambe corte che
ti ritrovi figuriamoci quanto andrai veloce.»
Nonostante
si fosse già voltata, la donna comprese che l’altra
fosse arrossita, e quasi
si morse la lingua. È
colpa sua; se mi avesse lasciato in pace…
«Ha
ragione: avrei dovuto essere già lontana da qui. Ma anche
lei
dovrebbe scappare, prima che la raggiungano.»
La
donna rimase stupita più dalla calma della risposta che
dalle
parole. Respirò forte, prima di rivolgere
l’attenzione al torrente
sotto di lei. «Metti in salvo le tue di chiappe, so badare a
me
stessa.» Io,
ormai, non posso mutare più la mia sorte.
Il
mondo sta attendendo di vedermi cadere.
Forse
fu lei stessa a evocarlo; ma in quel momento il ponte iniziò
a
tremare, scosso da forze sempre più intense. Tutto intorno
esplosero
scricchiolii di alberi abbattuti e strutture collassate, urla, gridi
inumani così raccapriccianti da ghiacciarle il sangue nelle
vene; ma
in tutto questo, una mano afferrò la sua e la strinse con
forza,
impedendole di cadere di nuovo.
«Corri
con me.»
Amaya
fissò per alcuni attimi il volto della ragazza, e non
riuscì a
rispondere perché quest’ultima la stava
già trascinando via,
verso una possibile via di salvezza.
Tuttavia,
un buio profondo e inarrestabile circondò entrambe nel tempo
di un
pensiero; e lei riuscì a fissare solamente il mondo
rovesciarsi,
prima di essere completamente divorata da
quell’oscurità. È
questo morire, vero? Non c’è sofferenza, non
c’è più nulla.
Posso piangere, ora?
Lenta,
dolce come un bacio, la luce iniziò a penetrare sotto le
palpebre
della donna, illuminandole le lunghe ciglia e rapendola a poco a poco
dal rifugio d’oblio in cui era stata adagiata. «Ancora
un istante. Voglio quella pace, sono così
stanca…», balbettò,
per poi spalancare gli occhi di colpo. Sbatté le palpebre un
paio di
volte, prima di riconoscere che era ancora sul ponte, quindi
balzò a
sedere; a quel punto, un forte dolore alla parte posteriore del capo
le diede un capogiro, facendola ricadere di lato.
«Maledizione…
che male, che male!», mugugnò diminuendo il ritmo
dei respiri, per
calmarsi. Era ridisceso un silenzio pesante sull’ambiente: e
così
come quando l’aria si gonfiava di grida, non era un buon
segno.
Uno,
due, tre. Con
uno sforzo, si voltò sulla pancia e si appoggiò
sui gomiti. Il
dolore alla testa si fece ancora più intenso, ma prima di
lasciarsi
scivolare nuovamente contro il suolo riuscì a lanciare una
lunga
occhiata intorno. La
città è invasa dal fumo, e anche il parco
è devastato, come se
fosse giunto un terremoto.
Quanto
tempo sono rimasta incosciente? E gli Esseri sono già stati
uccisi,
o…?
«Devo
farcela. Devo… alzarmi…»,
sussurrò per non darsi il tempo di
pensare alla peggiore fra le risposte, quindi si girò. A
qualche
distanza la sconosciuta giaceva a terra come lei, immobile; ma una
serie di mugolii di dolore l’abbandonava.
Almeno
è viva.
«Te l’avevo detto che non saresti andata
veloce», sospirò, per
poi trascinarsi verso la sua figura. «Lasciatemi stare, vi
prego…»,
la sentì soffiare da sotto le braccia strette sul volto,
appena le
fu vicino.
«Sono
la donna di prima, non ti spaventare. Che cosa ti fa male?»
«Il
polso destro… ci sono caduta sopra.»
«Muovilo.
Lentamente.»
Guardò
con attenzione la ragazza sciogliere la posizione e fare come le era
stato detto; un urlo soffocato elettrizzò l’aria. «Maledizione.»
«Calmati.
Lo muovi bene, quindi non è rotto… certo hai
preso un brutto
colpo, e per qualche giorno rimarrà gonfio, ma considerati
fortunata.» Aspetta,
e quelle?
«La
città… cos’è
accaduto?»
Amaya
non sentì immediatamente la domanda, perché il
suo sguardo era
concentrato sulle mani della sconosciuta. Cicatrici
da ustione. Appena qualche piega sulla superficie, ma ben
visibile…
questo non è il risultato di una semplice scottatura. Voltò
il capo e guardò la giovane fissare i lampi rossastri delle
fiamme
che si alternavano con gli alberi, mentre le colonne nere che si
levavano tutt’intorno a loro divenivano sempre più
numerose;
quindi si voltò dalla parte opposta e si mise in piedi,
barcollando
per qualche istante prima di trovare il suo equilibrio. «Spero
che tu riesca a camminare, perché dobbiamo andarcene da qui
in
fretta.»
«Gli
abitanti…»
«Non
ci pensare. Ora dobbiamo stare attente a evitare il fuoco.»
«Oh,
credimi… non è delle fiamme che ti devi
preoccupare.»
Amaya
rimase immobile; anche il turbinio dei suoi innumerevoli pensieri si
dissolse, mentre brividi gelidi presero a scivolare lungo la sua
schiena e le gambe iniziarono a cedere. Non
si voltò neppure, ma lasciò che fosse l’altra
a venire da lei. «Che cosa
sei? E cosa vuoi?» mormorò appena la
sentì a qualche passo dal
collo, senza nascondere il suo terrore.
«Tutto
ciò che ti appartiene; semplicemente tutto.»
Una
presa d’acciaio le afferrò entrambe le braccia
costringendola ad
alzare il viso; e fu impossibile non tremare davanti agli occhi
purpurei come sangue, privi di pupilla, che la dominavano con
compiacimento e scherno.
«Perché
hai così paura? Finirà prima di quanto tu
creda.»
La
donna deglutì, il respiro che veniva a mancare mano a mano
che le
unghie dell’Essere Misterioso penetravano nel collo.
«Quindi tu
non sei mai stata umana…»
«Umana?
Forse quella di cui ho preso le sembianze, di certo non io.
Pensa,
non ha opposto resistenza nemmeno quando le ho infilato i denti nella
carne… doveva essere proprio debole.»
«Maledetta.»
«Hai
detto qualcosa?»
Probabilmente
si era assopita anche la sua razionalità; perché
quando il mostro
abbassò il volto sul suo, fu così lesta a
morderle il labbro
inferiore, fino a spezzarglielo, da sorprendere pure sé
stessa.
Per
lo stupore l’Essere perse la presa sulle sue braccia, e lei
agì di
conseguenza; il pugno che sferrò non era molto forte, ma
andò
comunque a segno sul naso dell’altro.
«Uh…
quanta rabbia!», ghignò questi, lasciandola e
indietreggiando di
qualche passo; di certo non per paura, ma per metterla alla prova. La
sicurezza di averla completamente nelle proprie mani era impressa nei
tratti stravolti dall’euforia, non c’era spazio per
i dubbi. «Che
cosa succede? Ti dispiace per la mocciosa?»
Già,
rabbia. Da quanto tempo non la sentivo pulsare nelle vene e
infiammare il respiro? Mi fa sentire così viva e pronta a
tutto.
«Forse…
oppure, semplicemente, mi disgusta troppo morire a causa
tua»,
mormorò Amaya. Il sangue colava dai graffi solleticandole la
pelle e
macchiandole gli abiti, il pulsare al capo era diventato quasi
insopportabile; eppure le sue orecchie continuavano a fischiare del
ritmo che l’adrenalina le dettava, le mani prudevano mentre
tutte
le sensazioni tacitate da lungo tempo battevano contro le dita per
sfogarsi.
L’avversario
sorrise nel vedere la sua espressione concentrata, mettendo in mostra
una chiostra di denti acuminati e sporchi di vermiglio.
«Combattiamo!
Forza, mostrami cosa sai fare», sibilò, piegandosi
sulle gambe e
preparandosi a scattare.
Sii
forte. «Con
piacere.»
NOTE
[1] Il Nature Park è mostrato nell’episodio speciale intitolato “Sense”, presente nel volume 10 del manga.