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Autore: QueenOfEvil    30/10/2017    2 recensioni
[Dal testo]:
«Hai diciotto anni, un’indole sicura di te e un nome nuovo di zecca, cambiato all’anagrafe il giorno stesso in cui sei diventato maggiorenne come personale regalo di compleanno -l’unico richiesto, l’unico ricevuto-, che suona ancora strano sulle tue labbra ogni volta che lo pronunci. Rappresenta l’inizio di una nuova vita, per te, un taglio netto con il passato, le fondamenta della tua personale scalata al successo. Ma in quel futuro così promettente che vedi dipingersi davanti a te vuoi portare anche l’unica cosa buona della tua infanzia, l’unica persona che continui a desiderare di incontrare di nuovo: non hai nessuno al tuo fianco, e la solitudine, anche se abitudinaria, è comunque dolorosa. Forse, hai pensato e continui a pensare, quella poteva essere la tua, la vostra, occasione per ricominciare insieme.»
Se qualcuno avesse chiesto a Layton l'ultima volta che aveva visto suo fratello, prima degli eventi di Misthallery, avrebbe detto che era stato quando aveva tre anni, il giorno dell'adozione.
Se poi avesse posto la stessa domanda a Descole, forse la risposta sarebbe stata un po' diversa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Desmond Sycamore, Hershel Layton, Jean Descole, Randall Ascot
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Same old faces, brand new names




What’s past is prologue - William Shakespeare.

 

Stansbury è esattamente come te lo sei aspettato. Piccolo, isolato, provinciale. Tutto quello che la tua amata Londra non è. Le tue labbra disegnano per un attimo sul viso una smorfia di sprezzo, che poi si tramuta in un sorriso decisamente più sincero non appena ricordi a te stesso il motivo per cui hai fatto tutta quella strada: hai pensato a questo momento più di quanto saresti disposto ad ammettere negli anni passati e adesso, all’entrata del paesino, non riesci quasi a credere che sia arrivato.

Sei nervoso, le mani tremano e quando ti aggiusti sul naso gli occhiali, resi necessari dai troppi libri studiati per troppo tempo alla luce troppo fioca delle lampade dell’orfanotrofio, ti senti vagamente un imbecille: hai risolto enigmi decisamente più complicati di una semplice visita, eppure adesso ti stai comportando come un adolescente alle prese con la sua prima cotta. 

Passi dalla strada principale a passo deciso, prima di renderti conto di non avere alcuna idea di dove andare: le persone ti guardano, indifferenti e forse con una punta di curiosità, come sempre accade in una piccola comunità all’arrivo di uno straniero, specialmente se ben vestito e distinto quale sei tu, ma ben presto scrollano le spalle e tornano alle loro occupazioni. Sei solo e hai un disperato bisogno di chiedere informazioni.

Hai diciotto anni, un’indole sicura di te e un nome nuovo di zecca, cambiato all’anagrafe il giorno stesso in cui sei diventato maggiorenne come personale regalo di compleanno -l’unico richiesto, l’unico ricevuto- che suona ancora strano sulle tue labbra ogni volta che lo pronunci. Rappresenta l’inizio di una nuova vita, per te, un taglio netto con il passato, le fondamenta della tua personale scalata al successo. Ma in quel futuro così promettente che vedi dipingersi davanti a te vuoi portare anche l’unica cosa buona della tua infanzia, l’unica persona che continui a desiderare di incontrare di nuovo: non hai nessuno al tuo fianco, e la solitudine, anche se abitudinaria, è comunque dolorosa. Forse, hai pensato e continui a pensare, quella poteva essere la tua, la vostra, occasione per ricominciare insieme. Ed è proprio per questo motivo che ti aggiri fra negozi e case che non conosci, in un ambiente che ti è totalmente estraneo e con la sensazione sempre più forte che tu lì non dovresti essere, che quello  non sia il tuo posto e che faresti meglio tornare indietro al più presto.

Insulsaggini, ti dici con una scrollata di spalle, pensando con fastidio alla fatica fatta per arrivare fin qui, per ottenere i recapiti giusti dall’ufficio adozioni e per convincere la responsabile che sì, sarebbe stato più che conveniente per tutti accelerare i tempi per quella ricerca dato che probabilmente il marito non avrebbe voluto sapere da chi lei andasse tutti i martedì sera -e che no, non era la madre malata all’ospizio per anziani-: è stato quasi divertente, devi ammetterlo, vedere come la considerazione che quella donna aveva per te, un semplice ragazzino, è schizzata alle stelle dopo quella confidenza e si è trasformata in qualcosa di molto simile alla paura.

Ti è piaciuta quella sensazione, quel sapore così dolce in bocca mentre la vedevi capitolare, e hai il presentimento che in futuro ti capiterà di sperimentarla ancora e ancora.

Ma sei arrivato alla piazza principale di Stansbury e hai già perso il senso dell’orientamento: non hai un indirizzo con te e anche se ce l’avessi non avrebbe molta importanza. Ti guardi attorno, stringendo i pugni e rassegnandosi a chiedere aiuto a qualcuno tra gli abitanti.

Credi di avere trovato quello che cerchi quando vedi una chioma rossa come il fuoco e un paio di occhiali neri uscire da un negozio, un foulard giallo nuovo di zecca arrotolato alla bell’e meglio attorno alla gola: ha quattro o cinque anni meno di te, l’età è quella giusta, e l’atteggiamento estroverso sembra promettere bene. Forse hai trovato quello che cercavi.

Ti avvicini con noncuranza, improvvisamente non del tutto sicuro di cosa dire e, quando inizi la conversazione con il ragazzo, sei più confuso che mai.

“Ehi, scusa...? Posso... potrei chiederti un favore?”

Il tuo interlocutore si gira e ti rivolge un sorriso amichevole: sì, hai decisamente fatto la scelta giusta.

“Randall Ascot al tuo servizio, chiunque tu sia: non ti ho mai visto da queste parti... appena trasferito?”

“Non esattamente, sono solo di passaggio”

“Oh, questo è strano, nessuno viene qui se non per una ragione ben precisa, di solito: non so se lo hai notato, ma non siamo esattamente una metropoli” scoppia a ridere, prima di riprendere a parlare “Dunque cosa ti ha portato nella nostra sperduta valle?”

Hai preparato, pensando e ripensando a questo giorno, un discorso piuttosto efficace per ogni occasione o inconveniente e praticamente ogni variante prevede una spiegazione lunga ed esaustiva delle disavventure che hai dovuto superare, ma improvvisamente non sei più tanto convinto della tua scelta: per qualche motivo non ancora ben chiaro, l’idea che qualcun altro sappia del tuo arrivo al villaggio, che qualcuno sappia chi tu sia, ti mette profondamente a disagio. Ci sarà tempo per le presentazioni, dopo: adesso vuoi solo abbreviare i tempi.

“Sono solo passato per rivedere un vecchio amico d’infanzia... forse tu lo conosci: si chiama The...” ti mordi la lingua “Hershel. Hershel Layton”

Il tuo interlocutore non può trattenere un moto di sorpresa e passa qualche secondo prima che riprenda la parole. Quanto a te, stai iniziando a perdere la pazienza.

“Beh, sei venuto dalla persona giusta: si dà il caso che io sia il suo miglior amico!” Si mette le mani sui fianchi, mentre tu elabori l’informazione appena ricevuta sulla punta della lingua: amici. Theodore ha degli amici. È un concetto abbastanza scontato, in effetti, e non dovresti stupirti così tanto, ma ti sembra comunque che per te provenga ad un’intera dimensione di distanza.

Forse perché gli unici amici che tu abbia mai avuto, all’orfanotrofio, sono stati i libri.

Recuperi la concentrazione con stizza, accorgendoti che la chioma rossa ha ricominciato a parlare, due dita a prendergli il mento e uno sguardo perplesso “... Però è strano, in tutti questi anni non mi ha mai detto di avere dei contatti al di fuori di Stansbury... tu come hai detto che ti chiami?”

Senti lo stomaco che si stringe a quella frase, anche se razionalmente non riesci a trovarle nessun difetto. Tu stesso, d’altronde, tendi a non fare parola con gli altri della tua situazione, del tuo passato, durante le normali conversazioni ed eludi anche le domande più mirate -non sopporti la pietà altrui e di certo tu non la meriti in ogni caso-: perché quindi tuo fratello non dovrebbe aver pensato la stessa cosa?

Hai un pessimo presentimento, ma decidi di ignorarlo: ti scrolli di dosso il disagio provato fino ad adesso e porgi la mano a Randall, sulle labbra il tuo sorriso migliore.

A questo punto, l’idea di dire la verità ti è completamente passata di mente.

“Oh, ma che sciocco, non mi sono presentato: sono Desmond. Desmond Sycamore” La tua stretta è forte, forse un po’ troppo forte, e nel tuo sguardo passa una scintilla di impazienza: per un attimo, il tuo atteggiamento composto e cordiale viene rimpiazzato da qualcosa di molto diverso. Sei abituato ai tuoi sbalzi di umore, all’affabilità che cede posto all’irritazione e al rancore con una velocità tale da farti pensare di essere contemporaneamente due persone diverse, ma il tuo interlocutore non lo è altrettanto: vedi il suo viso incupirsi appena e il dubbio comparirgli negli occhi. Dubbio su cosa, poi, non sapresti dirlo neanche tu.

Ma è un istante: subito dopo sei di nuovo te stesso, assetto rilassato e sereno, atteggiamento affabile. E anche Randall sembra convinto, tanto che riprende a parlare con foga.

“Allora... vuoi rivedere Hershel, ho capito bene?”

Annuisci e, con imbarazzo, ammetti di esserti completamente perso. La montatura di scivola dal naso, di nuovo, e te l’aggiusti mentre aspetti una risposta.

“Non c’è problema” riflette per qualche secondo, poi sembra illuminarsi “Dovrebbe essere passato da Angela in questo momento, quindi... quindi sì, non sei troppo distante: prendi quella via a destra, svolta al primo incrocio a sinistra e poi continua sempre dritto fino a che non vedi una casetta rosa. A quel punto sei arrivato”

“Grazie, grazie davvero” E sei sincero mentre lo dici: quel ragazzino ti sta simpatico e, dal piglio che sembra avere nei confronti della vita, credi che andrà lontano. Fortuna permettendo.

Te ne stai per andare, quando l’altro richiama la tua attenzione ancora per un attimo “Oh, e quando lo vedi digli che lo aspetterò al solito posto: ho delle novità da mostrargli che sono certo adorerà!” Per un attimo hai la tentazione di fermarti e chiedergli in cosa consistano quelle novità, ma ti riscuoti subito dopo e ti dirigi nella direzione indicatati a passo svelto: non è una faccenda che ti riguardi e hai di meglio da fare che perderti dietro sciocchezze simili. Sei venuto a Stansbury con un solo scopo ed uno soltanto.

Cammini con le mani in tasca e il capo fisso davanti a te, registrando con la coda dell’occhio i particolari della vita quotidiana del paese: ad un certo punto, in particolare, ti accorgi di una signora di mezza età che sta trafficando con una carretta a cui si è probabilmente rotta una ruota. Non riesci a spiegarti perché la gente si ostini a rendersi la vita così difficile, quando con qualche aggiustamento tecnico sarebbe possibile eliminare la maggior parte dei problemi. Sei da sempre appassionato di scienza, d’altronde, e hai scoperto fin da piccolissimo di avere un particolare talento nella costruzione di macchinari: ti sarebbe piaciuto studiare quello, ampliare le tue conoscenze oltre i modellini funzionanti che crei a tempo perso per combattere la noia, ma il destino ha deciso per te molto prima che tu avessi qualche voce in capitolo. E anche se il pensiero dell’archeologia non ti entusiasma, e l’idea di dover passare il resto della tua esistenza a studiare proprio quella civiltà ti dà addirittura la nausea, sai bene di non avere molta scelta. Hai intrapreso una strada ben precisa, ormai, ed è quasi impossibile tornare indietro, ma il pensiero di poter finalmente rivedere tuo fratello, l’unica famiglia che ti è rimasta al mondo, rende più sopportabile anche la rinuncia alle tue passioni. 

Perso nei tuoi pensieri, non ti accorgi della figura che ti sta per venire addosso fino a che non è troppo tardi: riesci a mantenere l’equilibrio solo per qualche secondo, poi la forza di gravità ha la meglio su di te e rovini a terra, sbattendo la schiena contro il selciato e maledicendo la tua disattenzione e occasionale goffaggine -non sembra davvero che tu abbia studiato scherma, principalmente da autodidatta, per quasi otto anni-.

“Oh, mi dispiace, mi dispiace tanto: non l’avevo proprio vista arrivare. Ecco, lasci che l’aiuti” Avresti in mente due paroline da dire allo sconosciuto responsabile per la tua collisione con il pavimento, due paroline per nulla amichevoli e parecchio stizzite, ma quando, a tentoni, individui i tuoi occhiali, caduti con te ma fortunatamente integri, e, inforcatili, riesci finalmente a mettere a fuoco il viso del proprietario della mano che, tesa, sta sventolando a pochi centimetri dal tuo viso, qualsiasi segno di rabbia scompare immediatamente.

Occhi piccoli e neri, capelli castani chiaro, talmente ricci e folti da sembrare perennemente elettrizzati: non vedi quel volto da dieci anni, ma non hai dubbi neanche per un attimo sulla sua identità.

Theodore. Dopo tutto questo tempo, finalmente lo hai ritrovato.

Afferri il suo polso e ti fai tirare su, per poi spazzolarti velocemente giacca e pantaloni: aspetti una reazione, un riconoscimento tardivo, che però non sembra arrivare. Al contrario, il ragazzo, tuo fratello, ti guarda perplesso, come se non avesse la più pallida idea di chi tu sia. Il sorriso che ti era nato spontaneo sulle labbra dopo averlo rivisto muore all’istante.

D’altronde, avresti dovuto aspettartelo: non aveva ancora compiuto cinque anni quando vi siete separati e tu sei cambiato tanto, tantissimo, a tal punto che tu stesso allo specchio stenti a riconoscerti a volte. Non è neanche una situazione così difficile da risolvere: basterebbe che ti presentassi, che gli ricordassi il tuo nome, che lo abbracciassi e gli dicessi quanto sei contento di vederlo: si ricorderebbe, allora, ne sei assolutamente sicuro.

Per qualche motivo però non fai nulla di tutto ciò. Invece, stupendo anche te stesso per quello che sembra un controsenso, scuoti la testa e gli rispondi: “Non devi assolutamente scusarti, ero io quello distratto: piuttosto, dammi pure del «tu». Non sono così vecchio.”

Il viso di Theodore si distende in un sorriso, sollevato e imbarazzato insieme: ti ricorda quella volta in cui aveva fatto cadere uno dei vasi di vostra madre e aveva tentato di dare la colpa al gatto. Tu lo avevi coperto, anche se sapevi che probabilmente sarebbe stato tutto inutile.

“Oh, sì, ma certo, scusa ancora in ogni caso” si passa una mano fra i capelli, lanciando un’occhiata alla strada “Ora devo proprio scappare, però: sono già terribilmente in ritardo e se non faccio in fretta non so proprio...”

“Aspetta!” Gli chiedi, quasi intimi “Aspetta, Theodore” vorresti aggiungere “Ci siamo appena ritrovati e già te ne stai andando?” Ma le parole che ti escono dalle labbra sono molto diverse. Molto meno sincere. 

“Tu sembri essere pratico di qui, al contrario di me: avevo un appuntamento con una persona all’entrata del paese, ma ho gironzolato un po’ troppo e mi sono irrimediabilmente perso… non è che potresti darmi una mano?” Non accetta subito, probabilmente sta ancora pensando a quell’impegno così urgente, ma quando lo fa e ti sorride senti una flebile speranza che ancora qualcosa possa essere fatto. Che tuo fratello non sia diventato per te un completo estraneo.

Lo ringrazi e iniziate a camminare velocemente, fianco a fianco, come non capitava da anni: sarebbe il momento giusto per mettere fine a quella farsa, ma decidi di prolungarla ancora un poco, giusto per essere sicuro.

“Allora… com’è vivere qui? In campagna, intendo. Sai, vengo da Londra e laggiù le cose sono molto diverse”

Ci pensa un attimo, poi ti risponde: “Tranquillo, direi. Molto tranquillo. Non sono mai stato in una grande città, in realtà, quindi non saprei farti un confronto esatto, ma… sì, non mi lamento. Non credo che sarei capace di vivere in nessun altro posto, adesso come adesso: se nasci e cresci in uno stesso posto, alla fine, quello ti entra sotto pelle, immagino”

Nasci e cresci. Due verbi che ti lasciano per un attimo allibito e rendono il dubbio che avevi avuto in precedenza ancora più forte di quanto non fosse già.

“Non hai mai vissuto altrove?”

“No. O almeno, non che io ricordi” fa uno sforzo di concentrazione, poi scuote la testa “D’altronde, anche i miei genitori sono tipi piuttosto abitudinari: vivono nella stessa casa da quando si sono sposati, più di vent’anni fa. Solo un miracolo potrebbe indurli a traslocare”

Potrebbe essere solo una bugia, un’omissione di particolari dettata dalla diffidenza nei confronti di un estraneo: perché dovrebbe raccontarti il suo passato, d’altronde, se vi siete appena conosciuti? Sì, è sicuramente così che stanno le cose, anche se tu hai imparato a riconoscere i bugiardi molto bene e Theodore, Theodore in quel momento sembra essere assolutamente sincero.

“Figlio unico?” indaghi, tentando di non sembrare troppo interessato alla sua vita privata: non vuoi inquietarlo ancora prima di rivelargli la tua vera identità.

“Indovinato” sospira “Ma, ti dirò, non ho mai sentito la mancanza di qualcun altro: la mia famiglia è piccola, tutto sommato, e stiamo bene così”

Menzogna, menzogna e menzogna: di sicuro sta mentendo. Non può essersi davvero…

“Io invece ho un fratello minore” dici, invece, quasi soprappensiero, nella speranza di scatenare una qualche reazione nel tuo interlocutore “Quanti anni hai detto che hai?”

“Quattordici”

“Oh, che strana coincidenza: avete esattamente la stessa età.” ti fermi un attimo, poi decidi di giocare il tutto per tutto “Si chiama Theodore” Probabilmente non passa più di un istante prima che lui ti risponda, ma a te quell’attimo sembra eterno.

“È davvero un bel nome. E, a proposito di nomi, mi rendo conto di non essermi neanche presentato -e considerando quanto mia madre tiene alla buona educazione se lo sapesse mi ucciderebbe, come minimo-“ sorride, poi ti tende la mano “Io sono Hershel”

La sua ultima frase ti ha raggelato sul posto e, mentre senti una morsa gelata attanagliarti lo stomaco, provi l’irrefrenabile impulso di scoppiare a ridere. Ridere perché sentire il tuo nome pronunciato dalla bocca di tuo fratello con così tanta sicurezza, come se davvero gli appartenesse, è decisamente buffo. Ridere perché avere fatto tutta quella strada, essersi impegnato così tanto, per riuscire a trovarlo e realizzare di avere solo sprecato del tempo è tremendamente divertente.

Ridere perché il fatto che, mentre per anni hai pensato al momento in cui vi sareste potuti rivedere, al momento in cui sareste stati di nuovo una famiglia, lui si è gradualmente dimenticato di te è assolutamente esilarante.

E la cosa migliore, quella che più fra tutte ti fa venire voglia di accasciarti contro un muro e ridere fino alle lacrime, fino ad aver prosciugato tutte le lacrime che hai in corpo, è che non riesci neanche a biasimarlo: anche tu hai desiderato dimenticare, anche tu dimenticheresti i tuoi trascorsi come componente della famiglia Bronev all’istante se solo ti fosse possibile. Ma quella grazia a te non è stata concessa: tu ricordi, ricordi e sei ancorato al passato. Il ragazzo che ti sta davanti, invece, è completamente proiettato verso il futuro.

Sei stato uno stupido a pensare che qualcosa che avesse a che fare con la tua infanzia potesse riservarti altro che delusioni e porte in faccia.

Sei tentato di voltargli le spalle ed andartene, il peso della delusione che si sta accumulando piano piano su di te è sul punto di farti abbassare lo sguardo e chinare il capo, ma in qualche modo trovi la forza di stringergli la mano a sua volta e ricambiare la sua espressione serena con l’imitazione di un sorriso sincero.

Ovviamente, non dici il tuo vero nome.

E anche quello con cui ti sei presentato a Randall, quello che è il nome con cui tutti ti conosceranno d’ora in poi e che è registrato all’anagrafe del comune di Londra, non di sembra adatto all’occasione. Quello che esce dalla tua bocca è il primo che ti viene in mente.

“Jean”

“Beh, Jean, è stato davvero un piacere conoscerti. E, guarda, siamo anche già arrivati” L’entrata di Stansbury è effettivamente davanti a voi e non sai se accoglierla con gratitudine o delusione: se da una parte l’idea di separarti da tuo fratello non ti fa piacere, dall’altra senti che non riusciresti a sopportare la sua presenza ancora per molto. Quello non è il tuo posto, non lo è mai stato e non lo sarà mai.

“Direi dunque che le nostre strade si separano qui” affermi, sforzandoti di mantenere un tono allegro “Grazie davvero dell’aiuto e… della visita guidata: è davvero un bel paesino, il tuo, anche se, perdonami l’affermazione, un po’ troppo tranquillo per i miei gusti. Sempre le stesse persone, sempre gli stessi avvenimenti…” E non è questo che avevi desiderato per tuo fratello? La pace, la serenità, tutto quello che tu sapevi che non avresti mai potuto avere?

“Sì, forse hai ragione, ma sta tutto dalla prospettiva con cui affronti le cose, immagino: ti assicuro che, se conoscessi il mio migliore amico, davvero non la penseresti in questo modo. È assolutamente fissato con l’archeologia, fin da quando era piccolo, e adesso si sta mettendo in testa che proprio qui, da noi, sarebbe sepolto un sito segreto di un’importantissima civiltà antica: Akub… Akud… qualcosa del genere. E vorrei davvero che la smettesse di trascinarmi in questo genere di avventure dato che a me tutti questi misteri proprio non piacci…” Il campanile suona, il tuo interlocutore si interrompe: lo vedi impallidire, probabilmente si è appena ricordato del suo impegno, e, neanche il tempo di balbettare due scuse distratte, è già tornato indietro, scomparendo tra le varie stradine.

Sei solo.

Ancora una volta.

Ripensi a quello che ti ha appena detto, al fatto che, suo malgrado, sia rimasto incastrato in una ricerca archeologica contro la sua volontà, e, alla fin fine, riesci anche a sorridere: al destino si scappa molto difficilmente, questo lo hai capito da anni, ma non credevi che questo genere di misteri l’avrebbe perseguitato anche qui, in una località sperduta e dimenticata da tutti.

Giochi da adolescenti, pensi comunque: di certo nulla a che fare con gli Aslant. Nulla di così importante. Nulla di così pericoloso.

Ti allontani dalla strada, verso la macchina che hai noleggiato, e mentre cammini hai la sensazione che una parte di te stia scomparendo lì, sotto i tuoi passi, schiacciata sul selciato: Hershel Bronev è ufficialmente morto, riposi in pace. E qualsiasi altra relazione o parentela appartenente a quegli anni ha appena fatto la stessa fine.

Desmond Sycamore è un nome che ti calza a pennello, d’altronde. Non sembra neanche una maschera.

Jean ha un suono molto più finto, invece. Però, per qualche ragione, ti piace lo stesso. Chissà, potrebbe tornarti utile un giorno.

E forse, solo forse, dovresti tornare a studiare ingegneria e meccanica. Tutto può aiutare, nel cammino che hai deciso di intraprendere.

Rivolgi un ultimo sguardo al paesino dietro di te e rinnovi un augurio vecchio di dieci anni: “Sii felice, fratellino”.

Poi entri nell’auto, inserisci le chiavi e metti in moto, senza più pensare a nulla che non sia il tuo futuro.

Dopo qualche attimo hai lasciato Stansbury, ed Hershel Layton, alle tue spalle.

Questa volta, però, sei assolutamente sicuro che sarà per sempre.





«Ehi, Hershel, ti ho aspettato per ore! Si può sapere dove ti eri cacciato?»

«Scusa, Randall, ma mia madre voleva che andassi dal fornaio e… però potevi anche venire a chiamarmi, se avevi tutta questa necessità di vedermi!»

«Ma come, il tuo amico non ti ha avvertito?»

«Quale amico?»

«Ma sì, il tuo amico! Quello che ti cercava e che mi ha chiesto indicazioni… quello strano, ecco»

«Strano?»

«Sì, strano: sembrava tutto amichevole e poi, all’improvviso, mi ha rivolto uno sguardo che… brr, ho i brividi ancora adesso. Bipolare, ecco cosa mi è parso. E tu dovresti davvero fare attenzione a chi frequenti»

«Non ho idea di cosa tu stia parlando: l’unica persona che ho incontrato, oggi, è un ragazzo che si era perso e a cui ho dato indicazioni. Un certo Jean»

«A me ha detto di chiamarsi Desmond»

«Beh, mi sembra un po’ strano che qualcuno dica di volermi incontrare e poi faccia finta di non conoscermi… non credo proprio che si trattasse di lui, tanto più che Jean mi è sembrato proprio una brava persona»

«Sì, può effettivamente darsi che tu abbia ragione»

 «Probabilmente il tuo sconosciuto avrà cambiato idea o si sarà sbagliato e… perché mi stai guardando così?»

«Secondo te cosa voleva dirti? Desmond, intendo»

«E come faccio a saperlo? In ogni caso, se ha lasciato perdere così in fretta non doveva essere nulla di importante»

«Già, probabilmente hai ragione, nulla di importante…»

«…»

«…»

«…»

«Allora, vuoi vedere cosa ho scoperto? Sono sicuro che lo adorerai: è incredibilmente affascinante. Le rovine di Akubadain sono uno dei più grandi enigmi della storia»

«E tu ovviamente credi di riuscire a risolverlo» 

«Non “credo”, uomo di poca fede, io lo farò, puoi starne certo: nulla potrà fermarmi!”

«Nulla nulla?»

«Oh, Hershel, mi conosci: mi calerei nel pozzo più nero, nella voragine più profonda se questo mi aiutasse a fare un po’ di luce su questo mistero»




 





L'autrice più indecisa del mondo vi porge i suoi saluti:
Come avrete notato, ho eliminato la mia storia precedente e ho appena deciso di postare questa. Il motivo è molto semplice: mi sono resa conto che non era quello il momento che volevo raccontare. Descole, o Desmond, o Hershel, che dir si voglia, è il mio personaggio preferito di tutta la saga del Professor Layton (insieme al Professore, mi sembra ovvio) e ho amato il suo rapporto con Hershel (Theodore) alla follia -il mio cuore piange ogni volta che vedo la scena dell'adozione-, ma mi è sempre sembrato strano che, dopo tutto quell'affetto dimostrato verso suo fratello, poi non abbia cercato di rivederlo neanche una volta negli anni a seguire (insomma, quando ancora era giovane e non aveva deciso di fare del boa piumato il suo capo di vestiario fondamentale)... così ho deciso di dare una spiegazione mia a quello che è successo. Ho controllato e, a quanto pare, i bambini non formano ricordi permanenti fino ai cinque anni di età, quindi è perfettamente plausibile che Hershel non ricordi nulla della sua vita precedente, per quanto doloroso possa sembrare e... beh, Descole è abbastanza OOC qui, ma spero non troppo: d'altronde, ha vent'anni di meno e non ha ancora perso né la moglie né la figlia. Credo che a diciotto anni non pensasse ancora a radere al suolo città con squadroni di robot assassini, no?
E dopo tutto questo sproloquio, non posso che augurarmi che questa piccolezza vi sia piaciuta e che, visto l'ammoveh che ho riversato su questa pagina digitale, qualche anima pia decida di lasciarmi un commentino, giusto per dirmi cosa ne pensa e se ho fatto proprio tanto schifo.
A presto (e prometto che questa volta non cancellerò nulla)
L_A_B_SH

   
 
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