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Autore: _Trixie_    31/10/2017    5 recensioni
«Henry, sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?» domandò Violet, esitante.
Henry sospirò. «Lo sono» rispose, con decisione. «Non le sopporto più».
«Ma… Vogliono solo essere gentili. E Regina cucina divinamente».
«Non sto dicendo che dobbiamo smettere di uscire con loro, ma che devono smetterla di usarci come scusa per vedersi! È ridicolo! E… raccapricciante. Un appuntamento a quattro con le tue madri?!» domandò Henry, rabbrividendo.
[...] Emma e Regina non potevano continuare a usare figlio e futura nuora come un pretesto per darsi appuntamento l’un l’altra, su questo il ragazzo aveva ragione.
[Giallo per il linguaggio della signorina Swan, come sempre non approvato dal sindaco Mills]
Genere: Fluff, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.B. Halloween è solo un pretesto per scrivere Fluff SQ, non gioca una parte così rilevante. 
Inoltre, ho coscientemente deciso di ignorare tutta la settima stagione, ma di andare avanti nel tempo a partire dal finale della sesta, di circa una decina di anni (come si potrà facilmente capire da certi indizi disseminati nella storia ;D)
Buona lettura, 
T. 

 




Di appuntamenti mancati e dita intrecciate
 
 
 
 
«Henry, sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?» domandò Violet, esitante.
Henry sospirò. «Lo sono» rispose, con decisione. «Non le sopporto più».
«Ma… Vogliono solo essere gentili. E Regina cucina divinamente».
«Non sto dicendo che dobbiamo smettere di uscire con loro, ma che devono smetterla di usarci come scusa per vedersi! È ridicolo! E… raccapricciante. Un appuntamento a quattro con le tue madri?!» domandò Henry, rabbrividendo.
Violet sogghignó e accarezzó la testa del fidanzato appoggiata sulle sue gambe. Sullo schermo della televisione stavano ancora dando un qualche film di cui lei nemmeno ricordava il nome. Sarebbe stato inutile riprendere a guardarlo ora, dal momento che avevano trascorso la maggior parte del tempo discutendo la situazione di Emma e Regina.
Henry non aveva tutti i torti.
Andare a cena a casa del sindaco o uscire in qualche elegante e romantico ristorante con le madri del suo ragazzo – e futuro marito, come urlava l’anello che portava al dito – era divertente, così come i pic-nic nel bosco o andare alle fiere cittadine con tutto il clan Charming-Swan-Mills-Gold. Violet non aveva mai avuto una famiglia numerosa, erano sempre stati lei e suo padre, ma entrambi erano stati accolti con tanto amore da quella disfunzionale combriccola di persone imparentate tra loro nei modi più astrusi che alla ragazza sembrava di avere la felicità sulla punta delle dita.
Ma il fatto era che Emma e Regina non potevano continuare a usare figlio e futura nuora come pretesto per darsi appuntamento l’un l’altra, su questo il ragazzo aveva ragione.
“Emma, ho invitato e Henry e Violet a cena venerdì sera. Perché non vieni anche tu? Se non puoi, possiamo sempre rimandare”.
“Oh, Regina, ho prenotato per me, Henry e Violet nel tuo ristorante preferito, richiedendo espressamente il loro tavolo migliore. Sei dei nostri, vero?”
Già. Era così palese che persino Snow se ne era accorta e non faceva che ridacchiare ogni volta che le due iniziavano a battibeccare in sua presenza.
Come se nessuno si fosse accorto di come si guardavano l’un l’altra di nascosto.
O come Emma corresse immediatamente al numero 180 di Mifflin Street ogni volta che Regina si lamentava di qualche problema in casa come lampadine bruciate o tegole sbeccate.
Per non parlare dell’abitudine di Regina di preparare un’enorme quantità di cibo in occasione delle sue cene solo per poter dare gli avanzi a Emma: “almeno domani mangerai qualcosa di decente”.
Violet sospirò.
«Ci uccideranno. O peggio, si uccideranno tra loro e noi le avremo sulla coscienza».
Henry si alzò per dare un bacio a fior di labbra a Violet. «Non importa. Qualsiasi cosa pur di liberarmi di questa situazione».
 
 
«Ehi» salutò Emma, arrivando trafelata davanti all’ingresso del cinema.
«Ehi» rispose Regina, con un sorriso.
«Credevo di essere in ritardo. I ragazzi non sono ancora arrivati?» domandò Emma, guardandosi intorno. «O sono già entrati? Il film è già iniziato? Oddio, sono così in ritardo?!» gridò Emma, cedendo al panico e afferrando il braccio di Regina per trascinarla all’interno. «No, no, no, mi dispiace-»
«Signorina Swan»
«-tanto, Regina, per favore, non-»
«Signorina Swan»
«-arrabbiarti con me, non è stata colpa mi-»
«Emma!» urlò infine il sindaco, quando ormai l’altra l’aveva trascinata all’interno del cinema, dove la fila alla biglietteria era quasi terminata. Regina, in ogni caso, aveva già comprato i biglietti per tutti e quattro.
Emma aveva gli occhi spalancati e il cuore in tumulto per la corsa che aveva fatto fino a lì e la paura di essere irrimediabilmente in ritardo e aver rovinato la serata di Regina e sapeva quanto Regina tenesse alle loro serate con i ragazzi e oh, mio Dio, Regina Mills, come fai a essere sempre più bella ogni secondo che passa? Dammi un colpo in testa o non smetterò di fissarti per tutta la sera.
«Sì?» rispose infine Emma, con un filo di voce.
«Il film inizierà tra dieci minuti».
«Cosa?»
«Ti ho dato un orario sbagliato» rispose Regina, stringendosi nelle spalle. «Anticipato di trenta minuti».
«Che cosa?! Regina, tu sei… tu sei… Sei un’ingannatrice!» l’accusò Emma, incrociando le braccia al petto.
«Non lo sono».
«Mi hai mentito! Per messaggio! Per messaggio il mio superpotere non funziona e tu lo sai!»
«Detesto aspettare».
Emma grugnì. «Ingannatrice».
«Non lo sono. Hai intenzione di tenermi il muso per tutta la sera?»
«No» sputò Emma. Poteva anche essere la Salvatrice e aver affrontato draghi e Signori Oscuri, d’accordo, ma persino quello che lei era in grado di fare aveva un limite. E rimanere furiosa con Regina Mills rientrava decisamente nel campo dell’impossibile.
«Bene» rispose Regina, sorridendo soddisfatta.
«Ma visto che il film inizierà tra un’eternità» incalzò immediatamente Emma, decisa a far pesare quell’innocente – e assolutamente necessaria, Emma lo sapeva – bugia a Regina giusto po’, «che ne dici di prendere qualcosa da mangiare? Offri tu, per farti perdonare».
«Dieci minuti, Emma, il film inizierà tra dieci minuti, non un’eternità. E non ho nulla da farmi perdonare. Hai dimenticato il portafoglio, vero?»
Emma scosse la testa. «No».
Regina alzò il sopracciglio, guardando l’altra dritto negli occhi.
«Ero di fretta, d’accordo?! Perché mi hai dato l’ora sbagliata! Se tu fossi stata onesta con me-»
«Saresti arrivata per l’inizio del secondo tempo» la interruppe Regina.
Emma non rispose.
Detestava quando Regina aveva ragione. E, per i suoi gusti, Regina aveva ragione un po’ troppo spesso.
«Non fare così» disse il sindaco, alzando gli occhi al cielo. «D’accordo, non è stato carino darti l’ora sbagliata, offro io. E prometto di non giudicare le tue scelte alimentari, ma solo perché è Halloween».
Emma sorrise.
Comunque su una cosa aveva ragione: Regina doveva farsi perdonare. Regina doveva farsi perdonare di renderla così dannatamente felice che quasi sperava di poter avere la possibilità di starle vicino per il resto della vita.
 
 
Emma era seduta a terra accanto alla porta della sala in cui sarebbe iniziato il loro film, aspettando che quello precedente terminasse. Aveva un enorme pacchetto di pop-corn in mano e, di tanto in tanto, ne tirava uno a Regina, in piedi di fronte a lei.
«Dovresti sederti».
«No».
«Perché no?»
«È sporco» rispose Regina, un’espressione disgustata. Emma la trovò adorabile.
«Quei tacchi sembrano dolorosi, da portare. Voglio dire, rendono le tue gambe ancora più belle, ma-» disse Emma, prima di realizzare di aver parlato ad alta voce. «D’accordo, sta’ in piedi. Come vuoi» concluse invece, ingurgitando una quantità sproporzionata di pop-corn. Regina si stupì del fatto che la ragazza non fosse sul punto di soffocare. 
Ed era più facile concentrare la mente su questo pensiero che sul commento che Emma aveva fatto sulle sue gambe.
Era solo un commento, dopotutto. Detto così. Nulla più.
Regina si schiarì la voce.
Fortunatamente, quel leggero velo di imbarazzo fu sollevato dall’apertura delle porte della sala. Emma si alzò in piedi di scatto, facendo cadere buona parte dei suoi pop-corn. Regina sospirò.
«Henry e Violet? Sei sicura che non ci aspettino fuori?»
«No, ho mandato un messaggio a Henry dicendogli dove trovarci. Non ha ancora risposto» disse Regina, estraendo il telefono per controllare di nuovo. «Non è da lui. Nemmeno ritardare».
Emma guardò gli occhi di Regina e si affrettò ad abbandonare i pop-corn a terra e avvicinarsi al sindaco.
Aveva riconosciuto quello sguardo.
La paura che a Henry fosse successo qualcosa, qualcosa di brutto.
Emma sapeva che Regina si detestava per questo, per cedere al panico di fronte al minimo contrattempo o imprevisto che riguardava il loro bambino, ma Emma sapeva anche che Henry aveva rischiato fin troppe volte la vita perché Regina non cedesse al panico.
Prese la mano libera del sindaco tra le proprie.
«Perché non proviamo a telefonargli? Sono sicura che sia solo in ritardo. Dopotutto, dovrà pur aver preso qualcosa da me, no?» tentò Emma, gentilmente.
Regina annuì.
Cercò il numero di Henry e lo chiamò, senza lasciare la mano dell’altra.
Fortunatamente per le coronarie di Regina e le dita di Emma, che il sindaco stringeva con forza crescente, Henry rispose al secondo squillo.
«Henry! Mi hai spaventata, dannazione!» sbottò Regina, il sangue che ricominciava a fluire nel suo corpo.
«Non ha importanza. Tra quanto arriverete, il film sta per-»
Emma studiò l’espressione concentrata di Regina. «Che cosa?! Ti serve aiuto? Avete bisogno di qualcosa? Io e Emma possiamo-»
«Cosa succede?» sillabò Emma, senza voce.
«Aspetta un secondo, tesoro» disse Regina al telefono. «Tua madre ha all’improvviso perso ogni genere di coordinazione facciale. Cosa c’è, Emma?»
Emma alzò gli occhi al cielo. «Cosa succede? Stanno bene?»
«Henry dice che Violet ha la febbre da questa mattina e si sono completamente dimenticati del cinema. Non se la sentono di venire-»
Emma prese il telefono dalla mano del sindaco.
«Signorina Swan!»
«Ragazzino, quando racconti stronzate alle tue madri assicurati almeno che una delle due non abbia visto la tua ragazza fare jogging meno di due ore fa!»
«Emma, le parole!» esclamò Regina.
«Henry, dammi un secondo e sfruttalo per preparare una spiegazione convincente» disse Emma, al telefono, prima di guardare Regina.
«Tuo figlio ci mente e tu riprendi me, Regina? Sul serio?»
«Mio figlio?»
«Ingannatrice» l’accusò di nuovo Emma, tornando a dedicare la propria attenzione a Henry. «Ragazzino?»
Lo sceriffo rimase in silenzio per lunghi secondi, la propria mano ancora stretta in quella di Regina. Stava stringendo la mano di Regina.
Emma stringeva la mano di Regina.
Emma e Regina erano mano nella mano.
Oh, dannazione, il cervello di Emma smise di funzionare e perse ogni parola che Henry disse al telefono. Dannazione, dannazione, dannazione.
E il film stava per iniziare, a giudicare dai titoli di apertura che intravedeva dallo spiraglio della porta socchiusa.
«Ascolta, ragazzino, domani vediamo di chiarire questa faccenda, d’accordo? Qui c’è qualcosa che non mi torna. E avvisa tua madre, la prossima volta!» disse Emma, chiudendo la telefonata bruscamente e restituendo il telefono al sindaco, che la guardò con un misto di confusione e irritazione.
«Probabilmente stavano pomiciando e hanno perso la cognizione del tempo».
«Signorina Swan!»
«Oh, andiamo. Vivono insieme da quasi un anno, ormai».
Regina scosse la testa.
«Dovremmo entrare o ci perderemo l’inizio» disse Emma, dirigendosi verso la porta, tirando dolcemente Regina per la mano.
«Cosa? Non vuoi andare a casa? I ragazzi…»
«Hai i biglietti, no? Non possiamo sprecarli tutti e quattro» disse Emma, stringendosi nelle spalle. «A meno che tu non abbia altro da fare-»
«No!» si affrettò a dire Regina. «D’accordo, allora».
 
 
«Oh, no!» si lamentò Emma, qualche secondo dopo essersi seduta al proprio posto, porgendo il biglietto strappato dall’addetto all’entrata della sala a Regina, in modo da essere sicura di non perderlo.
«Emma? Cosa c’è?» bisbigliò Regina.
Si erano lasciate la mano, quando erano entrate. Ma ora quella del sindaco era appoggiata sul bracciolo condiviso della poltrona, così vicina a quella di Emma…
Lo sceriffo scosse la testa.
«Ho dimenticato i miei pop-corn sul pavimento» disse, avvilita.
«Emma, hai le tasche piene di caramelle. Sono sicura che non morirai di fame».
 
 
«Questa è la seconda volta da quando sono a Storybrooke che vengo al cinema. Una volta ci ho portato Henry. Di nascosto. Da te. Sarebbe dovuto andare a scuola, ma aveva un’interrogazione quel giorno e non aveva studiato e-»
«Emma!» bisbigliò Regina, più in quello che a Emma sembrò un sibilo che un suono umano.
«Sono passati quasi quindici anni!» sussurrò lo sceriffo, prima di staccare la testa alla caramella a forma di coccodrillo che aveva in mano.
Regina scosse la testa.
In realtà, quello che più l’aveva colpita era stato l’inizio di quella frase. La seconda volta.
Questo voleva dire che Emma non era mai andata al cinema con Hook.
Il sindaco lanciò un’occhiata di sottecchi alla ragazza seduta accanto a lei, che sembrava voler fare di tutto, dallo studiare il soffitto a parlare con Regina, pur di non guardare lo schermo di fronte a lei.
Che il cinema non le piacesse?
«Emma?» sussurrò Regina, attirandone l’attenzione. «Ti stai annoiando?»
«Cosa? No!»
«Non ti piace il cinema? È per questo che non vieni mai? Non stai prestando nemmeno un po’ di attenzione al film, se non ti va possiamo andarcene…»
«No!» rispose Emma, a voce un po’ troppo alta, attirandosi gli sguardi infastiditi dell’intera sala. «A Hook non piaceva! E quando se ne è andato… Non c’era nessuno con cui venire».
«Oh» rispose Regina, trovando la mano di Emma al buio e stringendola. Si schiarì la voce. «Ti-Ti manca? Hook, dico».
«No» rispose Emma, senza esitazione. «Sono sollevata, ora, dal fatto che se ne sia andato. Voglio dire, all’inizio ero furiosa con lui, per avermi convinta che quella fosse non solo la sua, ma anche la mia strada per la felicità. E un bel giorno lui ha preso la sua nave e ha deciso di andarsene perché questa vita lo stava uccidendo, per usare le sue parole. Ma… sono passati due anni, ormai. E ci ho messo ben poco per realizzare che la mia felicità era… altrove».
Regina intrecciò le proprie dita a quelle di Emma.
Nessuna delle due disse più una parola.
 
 
Finché Emma non urlò, facendo ghiacciare il sangue nelle vene di Regina e probabilmente rompendole una o due falangi della mano.
Emma certo non era stata l’unica ad urlare, a causa di un’intensa scena di suspense del film che aveva raggiunto il suo climax.
«Emma, stai bene?» domandò Regina, sporgendosi verso la ragazza per scostarle i capelli dal volto.
La ragazza si limitò ad annuire vigorosamente.
Il cuore di Regina si strinse.
Dunque non era il cinema in sé il problema, ma il tipo di film che Henry e Violet avevano scelto. Ma d’altronde era la sera di Halloween, non avevano avuto molta scelta.
Il colore stava lentamente ritornando sulle guance di Emma e Regina si scoprì a desiderare di poterle baciare, prima l’una e poi l’altra e magari anche il piccolo naso della signorina Swan o le labbra delicate o-
Regina doveva darsi un contegno.
Doveva decisamente darsi un contegno.
E all’improvviso fu spaventosamente cosciente delle sue dita intrecciate a quelle della signorina Swan. Avvampò.
Emma poteva anche credere che la sua felicità fosse altrove e grazie tante quella farsa di un matrimonio con il pirata era giunta al termine, ma Regina non aveva alcun diritto per sperare di essere la felicità di cui parlava la signorina Swan.
Fece per liberare la propria mano da quella di Emma, quando questa rafforzò appena la presa, per farle capire che avrebbe preferito non lasciarla andare, per poi allentarla di nuovo, per lasciare la scelta al sindaco.
Regina non riuscì a trattenere un sorriso.
Lasciò la propria mano in quella di Emma per poi aggiustarsi sulla poltrona in modo da essere più vicina alla ragazza.
«Appoggia la testa sulla mia spalla, Emma» sussurrò poi, tenendo gli occhi fissi sullo schermo e sperando che il proprio cuore non la tradisse, esplodendo fuori dal suo petto proprio in quel momento. «Così puoi nascondere il viso ogni volta che c’è una scena che non ti piace. Lo facevo anche con Henry, quando era piccolo».
«S-Sei sicura?»
Il tono esitante di Emma spinse il sindaco a girarsi verso di lei.
«Non vado da nessuna parte, Emma. Sei al sicuro».
 
 
Quando le luci si erano riaccese nella sala, Emma e Regina si erano allontanate repentinamente, come due calamite poste in contatto dallo stesso lato di polarità.
In silenzio, senza scambiarsi e una parola e uno sguardo, uscirono dalla sala e dal cinema, nella fredda aria autunnale, tra bambini e adolescenti che si affrettavano su e giù lungo la strada, Dolcetto o scherzetto? che riecheggiava in ogni angolo di Storybrooke.
«Quindi…» iniziò Emma, le mani affondate nel jeans.
«Non dirò a nessuno che la Salvatrice è rimasta terrorizzata da un semplice film» rispose Regina, un sorriso divertito sul volto.
Emma avvampò. «Ti odio».
«Non è vero».
«Allora odio non riuscire ad odiarti!» rispose Emma, esasperata.
Regina scosse la testa. «Non sono così difficile da odiare, signorina Swan».
«Nemmeno da amare» rispose Emma, in un sussurro.
«Cosa?» domandò il sindaco, che non era affatto sicura di aver capito le parole di Emma. Anzi, era sicura di non averle distinte. Non correttamente, almeno.
«Niente!» disse Emma. «Niente, solo… Dovrei andare a casa, sì, riposare un po’».
«Niente folli feste di Halloween al Granny’s? Ho saputo che da quando le organizza Ruby sono uno degli eventi più attesi dell’anno».
Emma fece una smorfia. «Non credo che tu abbia dimenticato la pessima esperienza che ho avuto lo scorso anno, grazie tante. Ruby dimentica che non tutti hanno il suo metabolismo da lupo e non smaltiscono l’alcol con la sua stessa velocità e efficienza».
Regina sogghignò. «No, non l’ho dimenticato. Cosa urlavi fuori da casa mia? Che se tu fossi stata un vero vampiro sarei stata la tua preda preferita?»
«Oh, dannazione, Regina!» sbottò Emma, nascondendo il viso nelle mani. «Non c’è alcuna necessità di ricordare questo genere di cose. Nessuna!»
Regina rise e scosse la testa. «Imbarazzante. Terribilmente imbarazzante. Per entrambe» concesse il sindaco. «Meglio che vada, ora. Ho del lavoro da fare, domani».
«Oh, certo» rispose Emma, schiarendosi poi la voce. «Ehm, grazie» aggiunse poi, «sia per i pop-corno e le caramelle e il biglietto e-»
«Di nulla, Emma, è stato un piacere».
«Mi sdebiterò» disse lo sceriffo, con decisione.
«Non c’è alcun bisogno».
«Lo so. Ma voglio farlo. Sei stata…» e il cervello di Emma inciampò. Meravigliosa? Fantastica? Adorabile? Amabile? Assolutamente perfetta sotto ogni punto di vista come Mary Poppins, anzi di più?
«Sì, Emma?»
La ragazza si strinse nelle spalle. «A presto, Regina. Buonanotte».
«Buonanotte».
 
 
Regina aveva lasciato una cesta di caramelle appesa al cancello del numero 108 di Mifflin Street, in modo che i ritardatari trovassero qualcosa durante la loro caccia e lei non venisse disturbata mentre dormiva.
Ammesso che fosse riuscita ad addormentarsi.
Perché non riusciva a smettere di pensare a Emma.
E al peso della sua testa sulla sua spalla, il profumo dei suoi capelli, il profilo del suo volto.
Il sindaco sospirò.
Le dita di Emma intrecciate alle proprie.
Regina si morse il labbro inferiore.
Nonostante lo strano comportamento di Henry e Violet, la serata non era andata così male.
Certo, rifletté Regina, non poteva ripetersi.
C’era una ragione se preferiva evitare di rimanere sola con Emma, incontrandola in luoghi affollati o con Henry e Violet. E la ragione era che, con Emma accanto, Emma e nessun’altro, Regina perdeva inesorabilmente il controllo. E finiva con il pensare a Emma in modo… inopportuno, ecco.
Non poteva permettersi di fare certi pensieri sulla signorina Swan.
Perché certo la signorina Swan non ricambiava e-
Il campanello suonò.
I nervi di Regina si tesero all’istante. Probabilmente era solo un ragazzino deciso a ottenere qualche caramella in più, ma il sindaco faticava a tenere a bada l’idea che potesse essere successo qualcosa a Henry. O a Emma.
Scese velocemente le scale e aprì la porta senza nemmeno controllare dallo spioncino, solo per trovarsi di fronte la signorina Swan in carne e ossa.
«Emma!»
«Dicevi sul serio?» domandò Emma, a bruciapelo.
«Cosa?»
«Che non vai da nessuna parte» spiegò Emma, iniziando a camminare avanti e indietro sul portico del numero 108. «Mi dispiace tanto, non volevo disturbarti e lo so che è ridicolo, ma non faccio che pensare a quello che hai detto durante il film e davvero non riesco a distrarmi, continuo a inciampare sulle tue parole e la tua voce e le tue labbra e forse è Halloween che mi spinge a rendermi ridicola di fronte a te, non lo so, Regina, ma stavo impazzendo, sto impazzendo e ho bisogno di sapere, qualsiasi sia la risposta, ho bisogno di sapere se eri sincera o se lo hai detto solo per confortarmi e-»
«Emma» la fermò Regina, facendo un paio di passi avanti, i piedi sul freddo pavimento esterno, e prendendole la mano. Intrecciò le loro dita.
«Ero seria».
«Davvero?»
«Davvero».
Emma sorrise e il cuore di Regina esplose, così sorrise anche lei.
«Perché Henry ha detto una cosa» aggiunse Emma, questa volta titubante.
«Cosa?»
«Beh, non riuscivo a dormire, così l’ho chiamato per chiarire la faccenda di questa sera».
«Sta bene? E Violet?»
«Stanno bene. Stanno fin troppo bene. Ho fatto qualche domanda. Ho insistito un po’, ho lasciato cadere qualche minaccia al momento opportuno, sai…»
Regina alzò un sopracciglio, interrogativa.
«Io e Henry abbiamo segreti che è meglio che tu non conosca se vogliamo evitare morti o l’astinenza dalle tue lasagne. L’ordine di importanza è crescente».
Regina scosse la testa. «Approfondiremo la questione in un secondo momento, ora vorrei sapere di Henry».
«Ci hanno preso in giro».
«Cosa?»
«Non hanno mai avuto intenzione di venire al cinema con noi questa sera».
«Ma-»
«Volevano che ci andassimo da sole».
«Per-»
«Tu ed io».
«Era chiaro anche senza questa chiarificazione, Emma, ma apprezzo».
«E allora ho pensato…» riprese Emma, esitante, schiarendosi la voce. «Sì, insomma… Hai capito, no?»
«No» rispose Regina, stringendosi nelle spalle.
«Hai capito» ripeté Emma, con più decisione. Regina sorrise, si morse il labbro inferiore.
«Hai pensato che magari potremmo iniziare a fare altre cose, da sole» l’aiutò il sindaco.
Emma annuì, entusiasta. «Tu ed io. Come in noi. Insieme. Solo noi» balbettò lo sceriffo.
«A te piacerebbe?» domandò Regina, in un bisbiglio.
«A me piaci tu, Regina» rispose Emma.
Il sindaco avvampò e scosse la testa. «Non fare la ragazzina, Emma, non siamo due adolescenti».
«Non mi importa. Allora? Ti va? Non lo so, potremmo… andare a cena!»
Regina abbassò gli occhi sulle loro mani, le dita intrecciate.
A lei piaceva davvero tanto intrecciare le proprie dita a quelle di Emma.
Anche se era da ragazzine.
«Mi va».
E Emma la prese per i fianchi e la sollevò, strappando un urlo di sorpresa a Regina e una risata. Lo sceriffo girò su sé stessa, guardando il sindaco, estasiata, che le stringeva le braccia intorno al collo per non cadere.
Poi, con delicatezza, la rimise a terra, senza però lasciarla andare.
«Dovremmo festeggiare» disse Emma.
«Insieme?»
«Dannazione, sì!»
Regina alzò gli occhi al cielo. «Come?»
Emma sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Regina. Le dita del sindaco che giocavano con i suoi capelli, alla base della sua nuca, mandavano piacevoli brividi lungo la sua schiena e il profumo di Regina le stava facendo girare la testa.
Si avvicinò appena, appoggiando la propria fronte a quella di Regina, che prese un sospiro profondo e annuì, quasi impercettibilmente.
Fu solo il primo dei numerosi baci che si scambiarono in quella e nelle notti di Halloween a venire.
 
 
NdA
Decisamente più leggera di quello dello scorso anno, Halloween è stato davvero solo il pretesto per scrivere un po’ di fluff su Emma e Regina.
Spero che si vi sia piaciuta e buon Halloween! <3
A presto,
T. 
   
 
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