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Autore: _Trixie_    31/10/2017    5 recensioni
[Established Johnlock]
«’Giorno» salutò Sherlock, senza alzare gli occhi per guardare John.
Stava lavorando su quella che sembrava un’informe sacca bianca, cucendone i lembi con attenzione.
«Sei stato sveglio tutta la notte?» domandò John, aprendo il frigorifero per iniziare a preparare la colazione. Sherlock annuì.
«Per il caso?»
Sherlock negò con la testa.
«Per fare cosa, allora?»
«Lo vedrai. Più tardi» rispose Sherlock. «Oh, quasi dimenticavo. Potresti uscire a comprare dell’acqua ossigenata?»
«Credo che nella cassetta del pronto socco-»
«Me ne serve di più. Credo che un paio di litri possano bastare» lo interruppe Sherlock. «Non sono sicuro circa il dosaggio, dovrò fare degli esperimenti».
«Che cosa-»
«Più tardi» lo prevenne di nuovo Sherlock, questa volta alzando la testa dal suo lavoro per sorridere all’altro. «E forse dovresti comprare anche delle federe nuove».
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a Kinnabaris per averci buttato un occhio
E essersi assicurata che io non abbia fatto troppi danni.
 
 
 
 
Holmes, Skeletron Holmes
 
 
 
 
«Ora che Rosie si è addormentata possiamo spegnere e-»
«No».
«John!»
«Sherlock!»
«Shh! O finirai per svegliare Rosie» intimò Sherlock in un bisbiglio, coprendo delicatamente con una mano l’orecchio della bambina, la cui testa era appoggiata sul cuscino che Sherlock aveva in grembo.
John gli lanciò un’occhiata tra l’incredulo e l’accusatorio, ma si limitò a sospirare, alzare gli occhi al cielo e tornare a guardare lo schermo della televisione, mentre accarezzava distrattamente i piedi della figlia. La bambina aveva questa abitudine di sdraiarsi su di loro ogni volta che si mettevano sul divano per guardare qualcosa tutti insieme, nonostante accadesse assai raramente e solo quando Rosie sfoderava tutto il suo potere di persuasione su Sherlock.
Quella sera, ad esempio, l’aveva incastrato.
Così, dopo cena, tra i gridolini eccitati di Rosie e la pioggia che batteva gentile sui vetri dell’appartamento, John e Sherlock si erano seduti sul divano per guardare Nightmare Before Christmas. Ovviamente, era stata Rosie a sceglierlo e, altrettanto ovviamente, la decisione era stata unilaterale e non negoziabile.
Tuttavia, a meno di mezz’ora dall’inizio del film la bambina, che ormai aveva raggiunto i sette anni, si era addormentata.
Sherlock sospirò. Come se lui non avesse casi da risolvere e… e… e casi da risolvere ecco, certo, era tutto quello che aveva da fare, ma erano comunque un’occupazione più che valida per non voler guardare un film per bambini che oscillava tra Halloween e Natale.
Sherlock sospirò.
«Oh, andiamo» sussurrò John. «Un po’ di distrazione non può che farti bene. A volte temo di girarmi e vedere il tuo cervello andare in fumo per il troppo pensare».
«Sei un dottore, lo sai che i cervelli non possono… andare in fumo».
«Lo sai cosa intendo».
Sherlock annuì controvoglia.
Lo sapeva, certo che lo sapeva.
Ma stuzzicare e irritare John rimaneva uno dei suoi passatempi preferiti.
«E poi lo sai che a Rosie piace fare le cose tutti insieme. Come una famiglia» aggiunse John, sorridendo e raggiungendo la mano di Sherlock che non stava accarezzando teneramente i ricci della bambina per appoggiarvi sopra la propria. 
«Tu e Rosie dovette smetterla di fare così» bisbigliò Sherlock, dopo aver lanciato un fugace sguardo a John.
«Fare cosa?»
«Sorridere. Mi fa fare… cose».
«Cose? Che cose?»
«Tutte quelle che io non voglio fare, ma che volete fare voi».
 
 
Quando John si svegliò la mattina seguente, trovò il letto accanto a lui già vuoto.
O, meglio, ancora vuoto.
Il lato dove dormiva Sherlock era in ordine e, come ulteriore garanzia del fatto che l’uomo non era venuto a dormire quella notte, John aveva ancora le sue coperte e non gli erano state rubate da Sherlock, come accadeva un po’ troppo spesso.
Sbadigliando, John si alzò, si infilò la vestaglia e si diresse in cucina, dove trovò Sherlock che stava lavorando a… qualcosa, qualcosa di cui John non era sicuro di voler sapere i dettagli, ma era grato che non fossero organi umani né animali. Fornire spiegazioni logiche e per nulla allarmanti alle insegnanti di Rosie circa le storie che la bambina raccontava diventava sempre più difficile e la scusa di una fervida immaginazione aveva smesso di reggere da quando Sherlock aveva preso l’abitudine di spiegare a Rosie i più minuti e realistici dettagli di anatomia umana.
«’Giorno» salutò Sherlock, senza alzare gli occhi per guardare John.
Stava lavorando su quella che sembrava un’informe sacca bianca, cucendone i lembi con attenzione.
«Sei stato sveglio tutta la notte?» domandò John, aprendo il frigorifero per iniziare a preparare la colazione. Sherlock annuì.
«Per il caso?»
Sherlock negò con la testa.
«Per fare cosa, allora?»
«Lo vedrai. Più tardi» rispose Sherlock. «Oh, quasi dimenticavo. Potresti uscire a comprare dell’acqua ossigenata?»
«Credo che nella cassetta del pronto socco-»
«Me ne serve di più. Credo che un paio di litri possano bastare» lo interruppe Sherlock. «Non sono sicuro circa il dosaggio, dovrò fare degli esperimenti».
«Che cosa-»
«Più tardi» lo prevenne di nuovo Sherlock, questa volta alzando la testa dal suo lavoro per sorridere all’altro. «E forse dovresti comprare anche delle federe nuove».
«Quello che stai cucendo, qualsiasi cosa tu stia cucendo, è forse ciò che rimane delle nostre ridicolosamente costose federe di satin effetto seta antibatteriche e anallergiche?»
«Valgono ogni penny che abbiamo speso» rispose Sherlock, con un sorriso accattivante.
«Oh, Dio» gemette John, avvicinandosi all’altro. «Spero almeno che ne valga la pena» disse, prima di abbassarsi a dare un bacio a fior di labbra a Sherlock, che l’uomo ricambiò senza esitazioni, come ogni mattina.
«Oh, Dio!» esclamò di nuovo John, con una smorfia. «Cosa è questo odore?! Va’ subito a farti una dannatissima doccia!».
«Papà!» esclamò in quel momento una voce infantile, la proprietaria della quale si affrettava a correre verso la cucina, un elefante di peluche sotto il braccio. «Modera il linguaggio!»
John alzò le mani in segno di resa e Sherlock rise, facendo scivolare all’indietro la sedia e spalancando le braccia in direzione di Rosie per prenderla in braccio.
La bambina, a pochi centimetri, fece bruscamente retro marcia, una smorfia in volto.  
«Oh, Dio!» disse, tappandosi il naso con le dita. «Sherlock, puzzi!».
Sherlock, sconcertato, guardò prima John e poi Rosie, facendo saettare le sguardo da uno all’altra e viceversa.
«D’accordo, va bene! Vado a lavarmi!» esclamò, sconfitto «Ma, per vostra informazione, questa non è scarsa igiene. Mi sono accidentalmente versato dell’acido ossalico esterificato sui pantaloni» disse Sherlock, alzandosi e raccogliendo il lavoro di quella notte dal tavolo, per portarlo con sé prima che uno dei due capisse di cosa si trattasse.
«Dove ti sei procurato dell’acido ossalico esterificato nel bel mezzo della notte?!» urlò John, per raggiungere Sherlock, ormai in corridoio.
«Dalla dispensa!»
«E cosa ci faceva in dispensa? La nostra dispensa!»
Ma John non ottenne altra risposta se non quella dell’acqua della doccia e guardò Rosie, sconsolato.
La bambina si limitò a stringersi nelle spalle. In fondo, non rientrava nemmeno nella sua personale lista delle cento cose più strane dette da Sherlock.
 
 
Non appena John uscì dall’appartamento per andare a prendere Rosie a scuola, quel pomeriggio di Halloween, Sherlock si precipitò nella loro camera da letto per prepararsi. Estrasse il completo gessato nero che faceva giusto per l’occasione, una camicia e dei guati bianchi e si vestì con attenzione.
Sistemò tutte le candele che era riuscito a trovare, comprese quelle che aveva rubato alla signora Hudson, nel salotto e le accese.
Si infilò la maschera che aveva ricavato da una delle due federe quella notte, poi tirò le tende delle finestre, facendo piombare la casa nell’oscurità se non per il baluginare delle candele e il suo travestimento da Skeletron Jack, lo spirito di morte, bianco fosforescente.
 
 
«Buh!» disse Sherlock, nel momento in cui John e Rosie aprirono la porta dell’appartamento.
Entrambi urlarono, ma la voce della bambina sovrastò di gran lunga quella del padre, pur se solo per qualche secondo, prima che Rosie si voltasse per imboccare le scale così velocemente che John ebbe solo il tempo di lanciare uno sguardo furioso a Sherlock, avendolo riconosciuto nonostante la maschera fluorescente che portava sul volto, e di precipitarsi a inseguire la figlia.
Le spalle si Sherlock si afflosciarono e l’uomo accese la luce dell’appartamento.
Si tolse la maschera e i guanti.
Sospirò stancamente.
Forse la sua messinscena era stata fin troppo macabra.
Voleva solo fare una sorpresa a Rosie e a John, per Halloween, una di quelle cose in famiglia che a loro piacevano tanto, ma senza che fossero loro a chiederlo, di sua spontanea volontà per… Sì, insomma, per far sapere a entrambi che ci teneva a loro, no?
Sherlock iniziò a camminare su e giù per la stanza, spegnando le candele che incontrava al suo passaggio.
Doveva aver sbagliato qualcosa.
Ma che cos’è?
Oh, beh.
 
 
«Sta bene?» domandò Sherlock, concitato, non appena John rientrò nell’appartamento, senza Rosie.
«È dalla signora Hudson, in salotto».
Sherlock tirò un sospiro di sollievo. «Cosa è successo?»
«L’hai spaventata».
«No».
«Sì, Sherlock» rispose John, spalancando le braccia, in un gesto di impotenza. «Lo so che non era tua intenzione che finisse così, ma… è una bambina di sette anni. Cosa aspettavi che facesse?»
«Non lo so» rispose l’altro, sinceramente. «Pensavo solo fosse una sorpresa… carina».
John scosse la testa, per fargli capire che sapeva bene che le intenzioni di Sherlock erano positive, ma forse aveva esagerato. Giusto un po’.
«Perché non vai a parlare con Rosie? Non vuole salire, è ancora spaventata» suggerì John.
Sherlock annuì.
Prese un respiro profondo, poi annuì di nuovo.
Fece per uscire dall’appartamento e imboccare la porta d’ingresso quando John lo fermò. «Non credi di dimenticare qualcosa?»
«Oh, giusto» disse Sherlock, affrettandosi verso l’uomo per baciarlo. John accennò un sorriso, prima di sospirare.
«Non intendevo questo, anche se è apprezzato».
«Non sei arrabbiato con me?»
«No».
«Cosa ho dimenticato?»
«Infilati almeno la vestaglia, non vorrei che Rosie si spaventasse di nuovo» rispose John, sospirando.
 
 
«Rosie?» chiamò Sherlock, entrando cautamente nel salotto della signora Hudson che, seduta sull’orlo del divano, accarezzava la schiena della bambina, accoccolata con il viso rivolto allo schienale.
Rosie non rispose.
«Ora ti lascio con Sherlock, va bene?» domandò gentilmente la signora Hudson, ottenendo un piccolo cenno di assenso dalla bambina. La donna si alzò e passò accanto a Sherlock, guardandolo con ostilità prima di uscire dal salotto.
Sherlock sospirò, appuntandosi mentalmente di comprare dei fiori per la signora Hudson il giorno seguente.
Fece cautamente un passo avanti e poi un altro, fino a raggiungere il divano su cui si trovava Rosie, che non si era ancora mossa.
Si sedette sull’orlo, proprio dove si trovava la signora Hudson qualche minuto prima.
«Rosie?» chiamò di nuovo, senza tuttavia ottenere alcuna risposta.
Si schiarì la voce.
Forse era una pessima idea.
Forse avrebbe solo peggiorato le cose.
Ma John non era dello stesso pare, quindi…
«Rosie? Ehi, senti» iniziò Sherlock, schiarendosi la voce. «Mi dispiace averti spavent-»
«Non mi hai spaventata!» esclamò subito la bambina, con decisione.
«D’accordo, beh, allora, ecco, sì…» concordò l’uomo immediatamente. «Ma, in via del tutto ipotetica, nel caso in cui qualcuno, che non devi assolutamente essere tu, sia chiaro, ma se qualcuno come… non lo so, come il papà, sì, ecco, se qualcuno come John fosse spaventato, lo sai che non ci sarebbe nulla di sbagliato, giusto?»
«Il papà si spaventa?» domandò Rosie.
«Ah, sì» rispose prontamente Sherlock. «Ogni tanto il papà si spaventa».
«Davvero?»
«Davvero».
«E non si vergogna?» indagò Rosie.
«No, non si vergogna».
Finalmente, la bambina si voltò, gli occhi appena arrossati per il breve pianto che aveva seguito lo spavento iniziale. Studiò con attenzione il volto di Sherlock, come volendo valutare la veridicità della sua risposta, e l’uomo non distolse lo sguardo nemmeno per un secondo.
Era un’abitudine di Rosie, quella di studiare Sherlock a lungo e Sherlock si era presto abituato.
«Perché esiste la paura?» domandò poi Rosie, in tono piatto.
Sherlock deglutì.
Era John quello bravo a rispondere alle domande esistenziali di Rosie senza traumatizzarla, non lui.
Oh, dannazione.
«La paura esiste perché…» iniziò, per poi esitare. Parlarle di sistema nervoso e istinto di conversazione forse non era la strada più adeguata. «Beh, la paura esiste per darci un indizio».
Un indizio non poteva traumatizzarla, no?
Dopotutto aveva visto più indagini investigative che cartoni animati.
«Un indizio?» domandò Rosie.
«Un indizio, sì. Un indizio su qualcosa che non conosciamo» proseguì Sherlock. «Un qualcosa di cui non sappiamo niente. Così abbiamo paura. Ma non è per forza una brutta cosa, anzi. Ci dice di prestare attenzione. Perché, a volte, quel qualcosa che non conosciamo è una cosa brutta e il nostro cervello non vuole che ci faccia del male».
Gli occhi di Rosie si spalancarono.
«Ma non sempre!» si affrettò a precisare Sherlock. «A volte, molto spesso, è una cosa bella».
«Sì?»
«Sì».
«Per esempio? Quando è una cosa bella?» domandò Rosie.
Sherlock aprì la bocca, poi la richiuse.
Aveva un esempio.
Un bellissimo esempio.
Ma non era sicuro fosse l’esempio adatto.
Chiuse gli occhi, cercando di pensare velocemente a-
«Non è mai una cosa bella, non è vero?»
«No! No, no, Rosie, sì, può essere bella! Ad esempio…» Sherlock prese un respiro profondo. John lo avrebbe ucciso. Ma meglio morto che deludere le aspettative di Rosie. «Ad esempio quando ho capito di volere tanto, tanto bene al tuo papà» disse, a voce bassa.
«Eri spaventato da papà?» domandò Rosie, divertita, come se trovasse ridicola l’idea che qualcuno potesse essere spaventato dal suo papà.
«No, non proprio da papà, ma dal bene che volevo al tuo papà. Vedi, crescendo conoscerai molte persone e alcune saranno più speciali di altre».
«E il papà è speciale?»
«A modo suo, sì» concesse Sherlock.
«E ti faceva paura perché è speciale?»
«Mi faceva paura perché non ero sicuro che lui mi avrebbe voluto bene, tanto quanto gliene voglio io» spiegò Sherlock.
«Oh. Avevi paura che non ti amasse!» esclamò Rosie.
Sherlock spalancò la bocca. Poi la richiuse.
Annuì, evitando lo sguardo di Rosie.
«E come hai fatto a smettere di avere paura?»
«Beh» iniziò Sherlock. «La paura è un indizio e se hai un indizio, vuol dire che hai un’indagine da iniziare, no? Così ho indagato. Ho fatto domande, esperimenti, agguati».
«Al papà?»
Sherlock annuì di nuovo.
Rosie assunse un’espressione pensierosa, come se stesse mettendo insieme i pezzi e le risposte di Sherlock. Rimase in silenzio per qualche minuto e l’uomo attese pazientemente, sapendo che la bambina sarebbe arrivata da sola alla sua conclusione, che infatti non lo deluse.
«Come hai fatto a far illuminare la maschera, prima?» domandò infine Rosie, cautamente.
Sherlock sorrise. Aveva capito. «Con un miscuglio di acqua ossigenata, difenil ossalato e pigmento bianco».
«Oh. Per questo puzzavi questa mattina?»
Sherlock annuì.
«E credi che possiamo… far illuminare un’altra maschera? Con il miscuglio?»
«Possiamo» confermò Sherlock. «Ho preparato una maschera tutta per te, dobbiamo solo farla illuminare».
«Davvero?!» domandò Rosie, mettendosi a sedere di scatto.
«Davv-» iniziò Sherlock, ma il fiatò uscì dai suoi polmoni non appena la bambina gli si gettò al collo per abbracciarlo.
«Possiamo farlo subito?» chiese poi, già sciogliendosi dalle braccia di Sherlock che si erano chiuse dolcemente intorno a lei per correre al piano superiore.
«Come se avessi scelta» disse Sherlock tra sé e sé, sorridendo.
Si alzò a sua volta, con l’intenzione di seguire Rosie, quando si accorse, voltandosi, che John era appoggiato allo stipite della porta del salotto.
«Da quanto sei qui?»
«Da un po’».
Sherlock scosse la testa, si schiarì la voce.
«Speciale, eh?» domandò John, incapace di smettere di sorridere.
«Sta’ zitto».
«Dovrei origliare le tue conversazioni con Rosie più spesso».
«No-»
«Sherlock!» urlò Rosie, dal piano superiore.
«Oh, devo scappare, la piccola dittatrice richiede la mia presenza» tagliò corto Sherlock, affrettandosi a superare John, che ancora rideva, e salendo i gradini verso il piano superiore a due a due.
 
 
 
NdA
Buon Halloween!
Un appunto circa il finale di due paragrafi: “Ma che cos’è? / Oh, beh.” e “Skeletron Jack, lo spirito di morte”. Entrambi sono tratti dal film, Nightmare before Christmas (Tim Burton).
Spero che la shot vi sia piaciuta,
a presto,
T. 
   
 
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