Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |      
Autore: Giulia Letizia    31/10/2017    0 recensioni
La vita della diciottenne Miriam Cadmen verrà stravolta quando 4 giovani e affascinanti sconosciuti entraranno nella sua vita, convinti che il suo nome sia Alais Wood, strega immortale, nonché il quinto componente della loro Congrega del 1661.
Da quel momento, sprazzi di vite che non ricorda entraranno invadenti nella sua mente, facendole mettere in dubbio tutto quello che ha sempre considerato reale.
E se la sua vita non è sempre stata quella che crede di aver vissuto fino a quel momento? E se nella sua mente c'è la soluzione ad una delle più potenti maledizioni lanciate nella dimensione terrestre?
Quelli che si definiscono i suoi compagni eterni, riusciranno a riportarla nella coscienza della sua immortalità, oppure la perderanno a favore della tranquillità di una vita mortale?
Venite a scoprirlo nel primo libro della trilogia Le Cronache della Congrega | Il Tempo Perduto.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PROLOGO
(1/3)

*

Stavo soffocando in mezzo alla folla

Vivendo con la testa tra le nuvole

Cadendo al suolo come cenere

Sperando che i miei sentimenti sarebbero annegati

Ma non l'hanno mai fatto, hanno vissuto, sospirato e sono cresciuti, Inibiti, limitati,

Fino a quando si sono spaccati e sono crollati giù come...

Dolore! Mi hai fatto diventare un credente.

Imagine Dragons – Believer

***

Alais era una ragazza completamente diversa da quelle che erano le sue coetanee, e per questo motivo era una di quelle che venivano definite come strane dall'intero paese.

Per prima cosa, preferiva la compagnia di un libro piuttosto che di un uomo. Caratteristica molto strana per un'umile figlia di agricoltori, pensava la gente. Perdere tempo a leggere e a scrivere, a studiare la filosofia e la scienza, piuttosto che affrettarsi a trovare il ragazzo di buona famiglia da sposare per iniziare una tranquilla vita domestica.

I libri l'avevano avvelenata, pensavano altri. Tutte quelle fantasticherie sull'uomo da amare a prima vista con cui scappare via verso avventure fantastiche.

Ecco perché alle donne non bisogna insegnare a leggere, pensavano gli uomini. Poi in testa si mettono strane idee.

Alais inoltre preferiva di gran lunga una passeggiata solitaria tra i boschi piuttosto che riunirsi insieme alle altre ragazze nella sala da tè del paese per farsi insegnare le buone maniere e a come essere mogli ideali.

Poverino l'uomo che se la sposerà, pensavano le donne. Non sarà capace neanche di usare l'ago per aggiustargli dei calzoni.

Per finire, non le interessavano né il giudizio altrui né i pettegolezzi del giorno, cosa molto strana per un paese che si nutriva di giudizi e fatti degli altri.

Ed erano proprio queste caratteristiche a fare di Alais, per la maggior parte del giorno, il centro di ogni discorso tra donne. La additavano in paese e le parlavano alle spalle senza preoccuparsi di tenere bassa la voce. Ma a lei non dava alcun fastidio, e non perdeva neanche tempo ad ascoltarle, con gli occhi grigi sempre puntati verso l'alto impegnata ad indovinare le forme più strane delle nuvole o le costellazioni più insolite.

Se suscitava le ire e le prese in giro delle donne, gli uomini più giovani ne erano invece incuriositi. Alla sua porta si presentavano ogni mese almeno due ragazzi diversi nel tentativo sempre invano di richiedere la sua mano. Era quasi diventata una sfida e tutti avevano la presunzione di definirsi quello giusto, ma nessuno lo era mai. O almeno così sembrava, dato che rifiutava ogni proposta che riceveva – sempre con un sorriso gentile sulle labbra – dopo pochi secondi che il poveretto aveva bussato alla sua porta senza neanche invitarlo a prendere un tè.

La sua famiglia – composta dalla nonna paterna, i genitori e il fratellino Jeramy – ne era abituata, e non la forzava a fare nulla che lei stessa non volesse. Era una famiglia piuttosto aperta e di ampie vedute per essere il 1661 e per abitare in un piccolo paese di una delle colonie spagnole del nuovo mondo.

Era un tardo pomeriggio di una calda giornata di inizio giugno. Il sole si stava preparando a calare nel lago che accostava il paesino, e la diciottenne Alais Wood e il suo fratellino di undici anni erano ancora nei campi attorno alla loro piccola ma accogliente casa di campagna a giocare a nascondino. Alais aveva appena scovato Jeramy, che si era nascosto dietro la serra, e l'aveva catturato cadendo per terra nell'erba e ridendo come solo si può fare quando la mente è libera da ogni pensiero, quando un odore di bruciato iniziò ad avanzare nell'aria.

«Guarda» indicò Jeramy, liberandosi dalla presa delle mani di Alais intenta a fargli il solletico alla pancia. Sollevò un dito verso il paese, al di là del lago, sopra le cime degli alberi del boschetto che li separava dal centro abitato. «C'è di nuovo tutto quel fumo. Non mi hai ancora detto cosa fanno!»

La ragazza girò lo sguardo in direzione del dito del fratellino e notò con tristezza che Jeramy aveva ragione. Diverse scie di fumo salivano nere come pece verso il cielo, andando a ristagnare sul paese come una cappa protettiva.

Alais arruffò i capelli di Jeramy facendo modo che distogliesse l'attenzione dalle nubi. «Non fanno niente, te l'ho già detto, bruciano solo un po' di roba vecchia. È ora di rientrare a casa, Jer. Hai bisogno di un bel bagno per toglierti di dosso tutta questa sporcizia.»

Il ragazzino sbuffò. «Odio fare il bagno. Posso farlo domani?»

Alais alzò un sopracciglio, divertita. «Oggi è il domani di ieri. Pensi che non me lo ricordo più che hai fatto la stessa richiesta?»

Jeramy sbuffò ancora, stavolta evidentemente sconfitto. «E va bene. Facciamo un'ultima partita, però?»

Alais alzò di nuovo lo sguardo al cielo. Sapeva che a breve, insieme all'odore di fumo e di legna bruciata, ne sarebbe arrivato uno più forte e penetrante; in fondo tutto quello andava avanti da mesi e ormai conosceva bene la procedura. Per evitare che il fratello lo notasse troppo dovevano rientrare subito per riuscire a lavarsi in tempo.

«No, andiamo, se no l'acqua si raffredda» concluse.

Era ormai dall'inizio dell'anno che in realtà il paese non era più lo stesso, che nessun abitante si presentava più uno alle porte dell'altro per una visita di cortesia e che le donne non si riunivano più con la solita frequenza alla sala da tè del paese per raccontarsi i nuovi pettegolezzi. Era da svariati mesi che Alais non si trovava più al centro dei discorsi di tutti, in quel paese in cui non succedeva mai niente.

Questo perché dal dicembre dell'anno precedente qualcosa era successo, e quel paese tanto tranquillo si era trasformato in un posto dove la paura e la sfiducia regnavano ormai sovrane. Si diceva che non ci si poteva più fidare neanche dei parenti stretti perché erano loro i primi a tradire.

Prese per mano il fratello e si avviarono verso la loro piccola abitazione rurale, attraversando i campi che suo padre coltivava con cura da quando era stato un ragazzino. Rientrarono sporchi di fango, abbronzati ed affamati.

Jeramy corse ad abbracciare nonna Beth che lo prese in giro per il suo odore e lo portò sul retro, dove aveva già riempito da parecchie ore la tinozza di acqua presa dal pozzo che grazie al sole caldo era già tiepida e pronta all'uso.

Alais invece si sciacquò solamente il viso e le braccia, per poi mettersi un vestito pulito, e si raccolse i suoi lunghi capelli biondo grano in una morbida treccia. A procedimento completato andò in cucina ad aiutare sua madre che era già intenta a preparare la cena.

La loro non era una casa grande, o ricca. Lo spazio era diviso solamente in tre stanze: una camera che ospitava un letto matrimoniale, in cui dormiva Alais con suo fratello, e un letto singolo destinato alla nonna. Accanto, una stanzetta più piccola in cui dormivano i suoi genitori. E infine la stanza principale, composta da un piano cucina, un tavolo di legno con quattro sedie, e due poltrone malandate dal tempo sistemate vicino ad un piccolo focolare in cui scoppiettavano sempre calde fiamme, indipendentemente dalla stagione. La casa era bassa e poco illuminata, quindi fredda per la maggior parte di ogni giornata. Non era un granché, anzi, ma era tutto quello che Alais avesse mai conosciuto, e l'amore che vi regnava all'interno era più importante di qualsiasi altro arredo.

Diede un bacio a sua madre che stava tagliando delle verdure fresche d'orto e afferrò un pezzo di pane dal tavolo.

«Non mangiarlo! Ci serve per dopo ed è già poco così» la riproverò mentre lei ne addentò un pezzo. Alais mugolò di dolore, e lo allontanò da sé.

«Mamma, con tutto il rispetto ma ci potresti inserire un chiodo nel muro per quanto è duro» le rispose, gettandolo fuori dalla finestra; arrivò dritto nel recinto dei maiali. «Vado in paese a prenderne un po', tornerò in tempo per la cena» disse avviandosi all'appendi abiti per recuperare la mantella nera che si gettò frettolosamente sulle spalle.

Sua mamma guardò fuori dalla finestra, verso la nube di fumo, e provò a fermarla. «No Alais, hanno già acceso i roghi! Andrai domani mattina, per una sera potremo fare a meno di un pezzo di pane.»

«Mamma... mattina, pomeriggio o sera non cambia niente. Anzi, è più sicuro andare adesso perché saranno tutti stipati nella piazza principale o chiusi in casa. Non mi noterà nessuno, andrò dritta dal panettiere e tornerò indietro. Promesso» disse con un sorriso rassicurante, ed uscì, dando un bacio a suo padre che stava rientrando dai campi.

***

Ci volevano circa dieci minuti per arrivare al paese, cinque se si utilizzava un passo abbastanza sostenuto. E fu questo il tempo che Alais impiegò per arrivare quella sera, camminando dritta nel sentiero che passava tra il piccolo boschetto che li separava dal centro abitato senza perdere tempo a guardare un fiore appena sbocciato o fermarsi ad ascoltare il canto di un uccellino, come era suo solito fare.

Arrivata al limitare delle case non prese la strada principale, per evitare di passare davanti alla piazza, e si intrufolò nelle viette secondarie, strette e dalle pietre irregolari.

Aveva visto giusto: la maggior parte della popolazione era già chiusa nelle proprie case, con le porte e le finestre sbarrate. Le altre, quelle certe della causa che si stava combattendo, affollavano la piazza; riusciva a sentire il loro forte vociare anche da lì.

Alais arrivò alla panetteria appena in tempo per fermare l'aiutante al forno che stava per chiudere la porta, indicando così la fine di una giornata lavorativa. Era un ragazzo che Alais vedeva spesso ora che il panettiere stava invecchiando, anche se se ne stava sempre nel retro bottega ad occuparsi dell'impasto e rare volte serviva la clientela. Di quello si occupava la figlia del proprietario, nonché la ragazza che Alais definiva come la sua unica amica: Cristine. Del ragazzo non sapeva che il nome e qualche dettaglio riferitole da lei.

«Buonasera» lo salutò, allegra. Questi si girò con un sussulto, quasi spaventato. Era normale, di quei tempi. Non ti potevi fidare di nessuno, figurarsi di una sconosciuta che ti sorprendeva alle spalle. «Oh, mi dispiace! Non intendevo spaventarla» aggiunse in fretta lei, imbarazzata.

Il ragazzo la squadrò per un momento. Aveva un bel viso, si rese conto Alais, mentre l'altro rimase in silenzio un lungo istante per scrutarla. Di suo non si era mai soffermata a guardarlo più di tanto, e solo ora si rese conto di come avesse uno di quei volti che esprimevano fiducia.

«Non si preoccupi, signorina» disse alla fine lui, appena convintosi che la ragazza non rappresentasse un pericolo.

Alais si aprì ad un sorriso. «So che è tardi, ma speravo di essere ancora in tempo per prendere una pagnotta, se non è di disturbo» gli spiegò, spostando poi lo sguardo alle spalle di lui, alla porta della bottega già chiusa.

«Ma certo che no, nessun disturbo» le rispose, voltandosi per aprire di nuovo la porta. «Ne sono avanzate molte oggi, ancora fresche. Dopo di lei» sorrise amichevole, facendola passare per prima con un gesto cortese della mano.

Alais si fece avanti, entrando nella struttura di legno, e sentì il ragazzo entrare dietro lei e fermarsi a socchiudere la porta. Poi la sorpassò, in silenzio, e andò al bancone per recuperare una grossa pagnotta che si impegnò ad incartare in un pezzo di vecchio giornale. Nell'attesa, Alais fece passare lo sguardo nella stanza di media grandezza: era già tutto in ordine, le finestre sbarrate, il pavimento e le mensole pulite. Se ne soprese.

«Avete chiuso presto oggi» commentò, avvicinandosi al bancone per consegnare il denaro al ragazzo che, in risposta, le diede il pane pronto da portare via. Profumava di fresco, ed era ancora tiepido, una sensazione piacevole e rassicurante.

Il ragazzo le fece un cenno di assenso ma non disse niente, girandosi per aprire la scatola degli incassi per prelevarvi il resto che doveva darle. Alais allora si avvicinò al retrobottega silenzioso, e chiamò il nome della sua amica.

La sua famiglia abitava sopra la panetteria in si accedeva grazie a delle scale a chiocciola che partivano dal retro, dove vi era il laboratorio e il forno a cui quel ragazzo passava la gran parte delle sue giornate lavorative.

Voleva chiedere a Cristine se le andava di andare con lei al lago, il pomeriggio seguente, ma nessuno rispose. Alais tese un orecchio ma il piano di sopra sembrava deserto ed immobile. Si sorprese anche di questo, domandandosi dove potessero essere a quell'ora del tardo pomeriggio. Sicuramente non alla piazza principale, non erano persone interessate a quegli stupidi vaneggiamenti.

Nel silenzio rimbombò il tintinnio metallico che si poteva senza difficoltà associare alla cadute delle monete sul pavimento, così Alais si girò di scatto per vedere cosa fosse successo: il garzone si era fatto immobile, il palmo della mano spalancato verso terra, sul quale risplendeva il resto che aveva tirato fuori dalla cassetta. Le sue mani tremavano vistosamente.

Alais aggrottò la fronte, e riportò lo sguardo verso il volto del ragazzo, che era incrinato dal sentimento della sorpresa e della preoccupazione. 

«Siete un'amica di Cristine, non è vero?» le domandò, e ora nei suoi occhi verdi si era accesa anche una calda scintilla di dolore.

Lei continuò a fissarlo, incerta. «Sì, sono Alais» gli disse, come se solo quello avrebbe potuto spiegare al ragazzo il legame che intercorreva tra lei e Cristine. «Sapete per caso dove si trova?»

Il viso del giovane si trasformò in una maschera di orrore, e abbassò gli occhi, come per sfuggire al contatto visivo.

«Non lo sapete...» sussurrò, talmente piano che Alais fece fatica a recepire bene le parole.

Prese un respiro profondo, prima di continuare quella conversazione che stava iniziando a rubarle il respiro. «Non so che cosa?» gli chiese, scandendo bene la frase, come se stesse cercando di mantenere calma la propria voce.

«Mi dispiace che la notizia le venga riferita da me in tale modo...» cominciò il ragazzo, sempre in quel debole sussurro che arrivava alle orecchie di lei ovattato e irreale. «La signorina Evergreen è stata presa giusto qualche ora fa» fece una pausa, probabilmente per regolare il tono che aveva vacillato. «È stata presa da loro

Il cuore di Alais saltò un battito. «Loro chi?» chiese.

Aveva però già iniziato a tremare, consapevole di quale sarebbe stata la risposta che sarebbe seguitata a quella domanda. Stava già sforzando se stessa a trattenere le lacrime.

Il ragazzo rialzò la testa, e Alais rincontrò gli occhi di lui, e dentro vi colse un senso di dolore che aveva già iniziato a risuonare dentro di lei. E quando finalmente parlò, la voce che ne uscì fu spezzata e flebile. Un soffio che però travolse Alais come un ciclone. «I Cacciatori, signorina. Cristine è stata presa dai Cacciatori.»

***

Alais fece cadere il pane ai propri piedi e senza dire più una parola si voltò correndo fuori dalla bottega, spalancando la fragile porta come se fosse di piombo.

Appoggiò una mano al muro di fronte e si piegò verso il basso, come dovesse riprendere fiato dopo una lunga corsa. O come se qualcuno le avesse tirato un pugno nello stomaco. La sensazione che provava nelle viscere era sicuramente più vicina alla seconda delle ipotesi.

È stata presa dai Cacciatori. Nella sua testa non riusciva a sentire che quella frase. Non c'era spazio per altro, per nessun pensiero diverso.

Dai suoi occhi iniziarono a scendere pesanti lacrime che le rigarono le guance per poi intraprendere il salto nel vuoto e atterrare a terra. Quasi si immaginò di sentire il loro tonfo, come quando un corpo lanciato tocca la superficie di un lago. O forse quello che sentiva era il rumore che faceva il suo cuore.

Chiuse gli occhi e fece diversi respiri profondi.

Nella sua mente iniziarono a turbinare diversi pensieri, alla rinfusa, senza nessun nesso logico. Si iniziò ad immaginare le diverse possibilità, quello che ora sarebbe potuto accadere, gli esiti che avrebbero potuto esserci... l'unico reale esito.

Il fuoco.

Rabbrividì. Si rimise in piedi e si guardò intorno, era da sola: il ragazzo era ancora all'interno della bottega e tutte le porte di quella via erano sbarrate.

Alais iniziò a correre, seguendo l'impulso nelle sue vene, e in pochi secondi si ritrovò nella via principale, una bella strada larga, luminosa ed assestata. Corse, senza preoccuparsi di chi potesse guardarla, senza pensare a cosa avrebbe fatto una volta arrivata, senza immaginarsi a cosa avrebbe assistito, senza prepararsi a quello che sapeva avrebbe visto.

In una manciata di minuti arrivò nello stesso luogo da cui aveva cercato di stare lontana. Tutti gli sforzi che aveva fatto per non passarle vicino erano stati vani, alla fine.

La piazza principale – denominata in quel modo perché la più grande di tutto il paese – era un vasto spazio circolare sul quale si affacciava la piccola chiesa cattolica e la casa del primo cittadino, l'uomo che insieme al parroco deteneva il potere del paese.

Al centro della piazza, che in un tempo più allegro era stata solita ospitare il mercato giornaliero, era stato costruito ormai da diverso tempo un lungo e largo palco di legno sul quale erano posizionate delle sedie intorno ad un tavolo, un palo di legno, una forca e una gogna.

Davanti al palco vi era anche un altro palo ai cui piedi vi era legna e paglia pronta da ardere.

La piazza era più gremita rispetto all'ultima volta che Alais era stata lì, diversi mesi prima, da quell'ultima volta che, curiosa di vedere cosa stesse succedendo in città, si era ritrovata per sbaglio e per orrore ad assistere al processo contro una strega.

Alais si fece spazio tra la gente a forza di spintoni, ed arrivò velocemente al delimitare della folla che si era riunita a semi-cerchio, lasciando però un'accurata distanza dal palo e il palco dietro di esso. Guardò lentamente in direzione del primo... e il fiato le si spezzò in gola.

Quello che aveva temuto di vedere, si mostrava ora a lei nella sua cruda realtà: legata a quel palo, e sorvegliata da un boia incappucciato, c'era la sua migliore amica.

Alais la osservò attentamente, incapace di distogliere gli occhi, con la conseguenza di sentirsi male. Ricacciò a fatica la nausea e riuscì in qualche modo a rimanere in piedi, nonostante la sue gambe tremanti.

Cristine mostrava chiaramente segni di percosse. I suoi occhi, neri come la pece, avevano assunto uno strano colore rosso, iniettati di sangue: molti capillari dovevano essere scoppiati. Tra i suoi capelli si faceva quasi fatica ad intravedere il sangue a causa del simile colore di questi, di un naturale rosso brillante, ma sulle tempie vi erano delle incrostature di sangue rappreso, così allo stesso modo del liquido scarlatto le colava dal naso. Le sue braccia scoperte erano piene di lividi, e Alais sospettò che la sua gamba dovesse essere rotta, perché riusciva a vederla piegata in maniera innaturale sotto il vestito di canapa.

Era completamente immobile, incapace persino di tremare, con gli occhi fissi su nessun punto in particolare. Lacrime rosse le scendevano sulla guancia, segno che era cosciente e che stava piangendo in silenzio.

Alais rabbrividì e strinse forte i pugni, fino a farsi male, per riuscire a sentire qualcosa, per rimanere sveglia e presente a se stessa. Attorno a sé sentiva le grida incitate della folla che chiedeva ancora più sangue, che chiedeva ancora più orrore contro quella ragazza di soli diciassette anni.

Sentì anche dei singhiozzi, un lamento sostenuto come una cantilena, e si girò lentamente. I suoi occhi incontrarono la madre di Cristine, a poche persone di distanza da lei. C'era anche il padre, chinato sulla moglie come a farle forza e, Alais riusciva a notarlo, ad oscurarle la visione della loro bambina.

Erano arresi. Ma Alais li capiva: tutti si arrendevano, nello stesso istante in cui i Cacciatori di streghe bussavano alla porta con un mandato di arresto.

Il processo era ovviamente una farsa, senza nessuna possibilità di uscirne innocenti. L'Inquisitore era giudice e difesa e, a dire la verità, anche colui che decideva chi arrestare e processare. Il rito consisteva semplicemente nel leggere i capi di accusa alla sospetta strega, nell'evidenziare delle prove. Spesso, in quelle, era segnalato l'avere i capelli e la pelle chiara. E il più delle volte erano gli unici fattori che portavano le persone a sospettare che il proprio vicino fosse una strega. Altre volte c'era il fatto che la persone fosse stata vista a mezzanotte a raccogliere erbe, altre volte ancora il suo unico crimine era quello di essere una persona solitaria.

Non mancavano poi le prove che venivano date dalle streghe catturate precedentemente: prigionieri che dopo ore di torture, sfiniti e moribondi, confessavano tutti i crimini di cui erano accusati e, su richiesta, facevano tutti i nomi che conoscevano nella speranza di essere finalmente uccisi. Nella speranza che venisse regalata loro una morte veloce e clemente.

Alais, che era cresciuta studiando le scienze e la filosofia, le trovava accuse piuttosto ridicole. Non erano prove. Era solo follia giunta dalla lontana Scozia, follia che si stava diffondendo a macchia d'olio in tutto il mondo. E Alais aveva anche studiato che quelli non erano i primi anni in cui tutto quello accadeva. Era già successo, quasi un secolo prima. E poi era finito. E poi era ricominciato, dal nulla, di nuovo.

Si chiese se Cristine avesse già confessato quei crimini che Alais sapeva non essere veri, se avesse già firmato la propria condanna a morte.

Come se le avesse letto nella mente, sentì la voce dell'Inquisitore affermare che la giovane strega aveva confessato dopo ore di interrogatorio e che la sua punizione era quella di bruciare viva sul rogo, come il capitolo dell'Esodo appoggiava.

"Maleficos non patieris vivere" - Non lascerai vivere le streghe.

Furono queste le parole che uscirono dalla sua bocca, furono queste le parole che Alais conosceva bene. Aveva letto la Bibbia, quando la Caccia era cominciata. L'aveva letta per comprendere bene, per capire se davvero giustificava quei tipi di crimini.

"Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi viene raccolto per essere gettato via e bruciato."

E aveva capito con orrore che lo faceva.

Dalla folla si sollevarono grida, Alais non seppe dire se di vittoria o di imprecazioni. Non stava ascoltando, i suoi occhi erano fissi su quelli dell'amica che si erano spalancati per mostrare puro terrore. Spalancò la bocca per urlare, o probabilmente era stato quello il suo intento, ma quella che ne uscì fu solo una voce agitata e flebile, dove le parole si perdevano tra il sangue che evidentemente doveva avere anche in gola, in bocca.

Sembrava star chiedendo aiuto, sembrava stesse supplicando per la sua vita. Nonostante non riuscisse a capire le parole, Alais immaginò fosse quello ciò a cui stava provando a dar voce perché tutte, arrivate a quel punto, lo facevano.

Senza rendersene conto, Alais fece un passo in avanti, e poi un altro, e un altro ancora. Senza capire bene cosa stesse facendo, si ritrovò di fianco all'amica, con lo sguardo fisso all'insù, al palco, verso il prete, l'Inquisitore e il primo cittadino che erano seduti sulle sedie di legno, dietro al lungo tavolo su cui erano impalate scartoffie, false prove e frettolosi giudizi.

Non seppe da dove le venne la voce, non seppe come le venne, ma quando parlò il suo tono fu chiaro, sicuro, forte. «Lasciatela stare!»

Calò il silenzio, immediatamente e all'unisono, come se la folla fosse stata diretta da un direttore d'orchestra che avesse chiesto loro di interrompere la melodia che stavano suonando: a quei processi tutti urlavano, tutti maledicevano, tutti dicevano le peggio parole... ma lo facevano da lontano, nascosti e mescolati tra la folla. Anonimi. Nessuno era mai arrivato a farsi avanti, ad avvicinarsi così tanto al palco, ad affiancare la condannata.

Alais non seppe come si era mossa, non si ricordava neanche di avere camminato. Eppure si trovava lì, sotto lo sguardo di tutti. «Lasciatela stare, non ha fatto niente! Non è una strega, tutto questo è ridicolo!» ripeté, con il tono più alto che riuscì a produrre.

Il parroco si alzò in piedi, poggiando le mani sul tavolo e piegandosi in avanti per osservarla meglio. «E tu chi sei? Una complice?» le chiese, poi iniziò a trafficare con delle carte. «La strega non ha fatto nessun nome, nonostante l'interrogatorio.»

Nonostante la tortura, vorrai dire, pensò Alais.

«Non sono complice di nessuno! E lei non è una strega, è la figlia di un panettiere» continuò, senza saper bene da dove stesse prendendo la forza per continuare a parlare. Alais pensò ormai di essere spacciata: aveva sentito il boia avvicinarsi a lei, pronto ad afferrarla nel caso ve ne fosse stato bisogno. Ma non le importava. «E ha solo diciassette anni.»

«Le streghe sono streghe anche a due mesi di vita, signorina. Ci si nasce» continuò il parroco.

«Ti conosco, sei la figlia del fattore, il signor Wood, non è vero?» chiese il primo cittadino.

La conoscevano, ovviamente. Tutti conoscevano la figlia dell'agricoltore più attivo del paese. La prossima a bruciare sarebbe stata lei, in fondo sapeva che la consideravano una ragazza strana e solitaria. E tra le accuse alla stregoneria, la solitudine, era uno dei sospetti principali. Quale altro motivo avevi per stare lontano dalle ragazze della tua età, se non perché avevi qualcosa da nascondere? Era finita. Ma non le importava. Aveva sempre pensato che prima o poi sarebbero venuti a prendere anche lei. Se proprio doveva morire, almeno sarebbe stato per un motivo di cui sarebbe stata fiera.

Stava per ribattere ancora quando Cristine, accanto a lei, le sussurrò di smetterla, e Alais si girò verso di lei. Non l'aveva ancora osservata da così vicino, e vide che il suo viso non era solo pieno di lividi e di sangue, era completamente sfigurato. Le lacrime nei suoi occhi si fermarono, trattenute con fatica.

«Cristine...» si rivolse a lei, ma l'amica le fece segno di no con la testa e le rimandò un leggero sorriso che mancava di alcuni denti.

«So che vorresti essere come l'eroina che leggi nei tuoi libri, ma non puoi. Non qui, non con me. Sono morta nel momento in cui mi hanno presa, non morire inutilmente anche tu» disse, mangiandosi le parole per il sangue che perdeva dalla bocca. Le costrinse uno sforzo enorme parlare, eppure lo fece: era l'ultimo gesto d'amore che avrebbe mai potuto compiere.

«Ma...» provò a dire, ma il groppo che le si era formato in gola non la fece parlare. Portò di nuovo lo sguardo verso le tre autorità che la stavano squadrando, cercando forse di comprendere se fosse una complice di strega o semplicemente una pazza, un'illusa che pensava di poter fare la differenza.

Si sentì afferrare il polso da una mano, una stretta incredibilmente forte e salda. Si girò, trattenendo un urlo, convinta che avrebbe trovato ad osservarla il volto incappucciato del boia, convinta di essere una ragazza morta.

Ma quello che invece vide fu il viso di un giovane ragazzo che non aveva mai visto prima. Non fiatò, e rimase spaesata ad osservarlo, terrorizzata, incredula, interrogativa. Lui la guardò per solo qualche secondo, gli occhi erano decisi e fermi. Intensi. Poi alzò lo sguardo verso il palco e parlò.

«Potenti autorità, signori della città. Mi dispiace per questo inconveniente. Vedete, questa ragazza è una mia cara parente e posso assicurarvi che non ha a che fare con nessun tipo di stregoneria.» Alais era confusa, la sua mente iniziò a vorticare, la sua testa a girare. Non aveva mai visto quel ragazzo in tutta la sua vita. Non lo conosceva. Dove voleva arrivare? «È colpa di questa strega che lei definisce sua amica se si sta comportando da folle. Le sarà sicuramente entrata nella testa in modo da farsi proteggere, qualche specie di magico controllo mentale, sicuramente un ultimo tentativo di farla franca, signori» continuò con una decisione e una calma paralizzante.

Ad Alais venne voglia di tirare un ceffone a quel ragazzo che si permetteva di parlare in quel modo di una diciassette che neanche conosceva. A quel ragazzo che le stava assicurando la morte. Ma non riusciva a muoversi, incapace di sentire più il suo corpo.

Le tre autorità si scambiarono qualche frase mormorata, poi si rivolsero al giovane ragazzo che ancora stava tenendo il polso di Alais con estrema forza. Annuirono.

«Lo capiamo, è già successo che una strega ha cercato di usare dei civili per proteggersi. Abbiamo già fatto delle ricerche sulla famiglia Wood e non ne è uscito niente. Siete liberi di andare, e fate riposare vostra cugina, è molto provata» disse l'Inquisitore, congedandoli con un gesto della mano.

Alais non capì nuovamente cosa stesse facendo, come se il corpo fosse disconnesso dalla propria volontà.

Guardò Cristine che le rimandò uno sguardo pieno di lacrime e un debole sorriso. Ma nei suoi occhi non vi era solo quello: era come se stessero cercando di dirle che andava tutto bene, come se lei la stesse rassicurando quando avrebbe dovuto essere il contrario. Sembrava che la stesse ringraziando. Non per essere intervenuta ma per la loro vita insieme.

«Grazie per essere stata mia sorella» si sentì mormorare così piano che non era convinta che Cristine l'avesse sentita. Ma, dal suo cenno del capo, si convinse che la frase fosse giunta alle sue orecchie. Si sentì trascinare via da lei, dalla stretta di quel ragazzo sconosciuto. Il suo corpo dovette mettere in atto qualche tipo di resistenza, di ribellione, nonostante lei dentro si sentisse inerme e leggera, perché il ragazzo le afferrò la vita e la sollevò, riportandola al sicuro tra la folla ancora silenziosa, mentre lei scalciava nell'aria.

Alais non riuscì a staccare gli occhi dall'amica, dal suo viso torturato, distrutto ma fiero. Poi, tutto si trasformò nel peggiore degli incubi: vide il boia accendere una lunga torcia che gettò sulla paglia e sulla legna ai piedi della sua amica, dando così iniziò al falò. Il falò della morte.

Sentì le urla strazianti di lei levarsi al cielo, propagandosi sulla folla che era rimasta muta da quando Alais si era fatta avanti, su quella stessa folla che permetteva tutto quello che era appena accaduto, sostenendo la causa, giudicando e puntando il dito ogni giorno.

Riuscì a sentire il dolore sulla sua pelle, sulla sua anima, e sentì morire una parte di se stessa, come se improvvisamente l'avessero privata di un arto, o di un polmone. Alle sue narici arrivò l'odore di carne bruciata, quell'odore forte e penetrante che sapeva non avrebbe mai dimenticato, perduto.

E poi, la calma.

Improvvisamente le urla di Cristine, le urla che senza dubbio avrebbero tormentato i suoi incubi, si interruppero. E Alais urlò al posto di lei, e nel suo urlo c'era tutto il dolore che l'avrebbe accompagnata per il resto della sua vita, e il ragazzo sconosciuto la sorresse dal dietro mentre lei si piegava in due dal dolore, sentendo il proprio corpo andare in frantumi.

Si accorse a stento che, dopo qualche minuto, la presa del ragazzo si allentò fino a lasciarla andare per altre braccia pronte ad accoglierla al sicuro. I genitori di Cristine si erano avvicinati a lei, e la strinsero forte mentre la loro unica figlia diventava cenere.

Si perse nel loro abbraccio, pianse insieme a loro per un tempo che non riuscì a concepire, muovendo poi lo sguardo pieno di lacrime in cerca del ragazzo che l'aveva trascinata via dall'amica. Lo sconosciuto che con ogni probabilità le aveva appena salvato la vita. Ma lui non c'era più.

Gli occhi di lei vennero attratti invece da una bella donna composta che la stava osservando a qualche metro di distanza. Nonostante i suoi fossero offuscati dalle lacrime, riuscì comunque a vedere gli occhi dell'altra, di un verde brillante contro la notte intensa.

Distolse lo sguardo senza darle troppo peso, immaginava che in quel momento molte persone la stessero osservando con la stessa espressione di curiosità ed interesse dipinta sul volto.

Il rogo si consumò e l'Inquisitore, come se non fosse successo niente di importante, come se non avesse appena contribuito a togliere la vita ad una ragazza che l'aveva appena cominciata, dichiarò che erano pronti per la prossima imputata.

Quando si accendevano i roghi si andava avanti tutta la notte.

I genitori di Cristine, incapaci di vedere altre atrocità, la sciolsero dall'abbraccio e si voltarono per andarsene, in silenzio e con la testa china, sorreggendosi l'un l'altra.

Alais si raddrizzò, evitando accuratamente di guardare in direzione del rogo appena spento; non voleva vedere quello che era rimasto del corpo della sua amica. Si voltò, con gli occhi bassi, dando le spalle all'unica ragazza a cui avesse mai voluto bene, e riprese in silenzio la via di casa.

Il sole era ormai sparito, dovevano essere passati almeno tre quarti d'ora da quando era uscita di casa, e non si stupì di incontrare i propri genitori al delimitare del paese che, evidentemente preoccupati per non averla vista rientrare, erano usciti a cercarla. Riuscì a sentire il loro sospiro di sollievo appena la scorsero, ma poi osservò la preoccupazione attanagliare i loro occhi appena videro le condizioni pietose in cui immaginò dovesse essere. Le corsero incontro, e l'unica cosa che riuscì a sussurrare appena le furono vicini fu che Cristine era bruciata. Vide i loro occhi spalancarsi, di stupore e dolore, e poi svenne tra le braccia di suo padre.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Giulia Letizia