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Autore: FatSalad    31/10/2017    3 recensioni
Quando Vera, studentessa modello seria e determinata, è costretta a cercare in un ragazzo più popolare di lei un alleato per farsi eleggere rappresentante d’istituto, non immagina di dover scendere a compromessi.
D’altra parte ciò che chiede Daniele è solo una festa. Una piccola, semplice, innocua festa…
[Seconda classificata al contest “Feste + Alcol = guai!” Indetto da Hermit_ sul forum di EFP]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Vera strizzò gli occhi un paio di volte e provò a rileggere.
«Sono nella merda.» realizzò.
Rimase con lo sguardo vacuo fisso davanti a sé, finché un rumore non la scosse dal suo stato catatonico e la drammaticità della situazione le piombò addosso tutta d’un colpo. La mano che reggeva il cellulare a mezz’aria cadde sulle coperte con un tonfo sordo, Vera abbandonò il dispositivo come se scottasse e, preso il cuscino in mano, vi urlò dentro tutta la sua disperazione. Quando rimase senza fiato si scoprì a ridacchiare in maniera isterica e, recuperato il cellulare, volle leggere per l’ennesima volta il messaggio che le aveva causato tanto scompiglio.
“Non capisci niente brutto idiota di merca”
Proprio così, non era riuscita nemmeno a scrivere un insulto sensato, aveva scritto “di merca” e il destinatario, mettendo insieme l’ortografia e l’orario assurdo in cui aveva inviato il messaggio, non avrebbe fatto fatica a capire che mentre scriveva era già più che sbronza. Si sarebbe fatto anche due risate, magari, o l’avrebbe presa in giro per qualche tempo, se non che a riceve il messaggio era stato tale “Prof. Secchi”.
Qualcosa era andato tremendamente storto la sera prima e Vera, una ragazza seria, con una carriera scolastica impeccabile, un’ottima media di voti e il ruolo di rappresentante d’istituto, si era cacciata in un casino. La parte peggiore della faccenda era che non ricordava affatto come fosse successo.
Non voleva nemmeno immaginare le conseguenze che quel suo messaggio avrebbe avuto, a pochi giorni dall’esame di maturità.
“Un solo, piccolissimo, minuscolo sbaglio e tutta la fatica di quest’anno può andare a farsi friggere!” pensò, alzandosi dal letto.
Si appoggiò al muro accusando un capogiro e gli occhi le caddero su dei vestiti ammucchiati a terra.
«Stupida gonnellina!» sibilò.
Poi diede un calcio all’indumento, come se la colpa dell’accaduto fosse dell’inerme pezzo di stoffa.
Aveva comprato e indossato quella gonna così corta e scomoda appositamente per l’occasione, per fare bella figura e magari riscattarsi dall’immagine di rigida e noiosa rappresentate d’istituto che tutti avevano di lei, ma chi aveva notato quel suo gesto di audacia, in fin dei conti?
Stava per rispondersi “Nessuno!”, ma dovette ammettere di non esserne poi tanto sicura: non aveva alcun ricordo della serata da una cert’ora in poi.
Fece mente locale. Era sicura di aver passato la maggior parte della serata a vigilare affinché la festa non degenerasse, poi era andata a ripescare Daniele che se la spassava con gli amici per richiamarlo all’ordine e farsi accompagnare in quei giri di ronda. Infine era giunto il momento dell’incoronazione della reginetta e del re, anzi, dei re della scuola e lì il suo vice l’aveva sorpresa chiamandola in causa per un ballo.
Che bella sensazione sentirsi applaudita e apprezzata per il lavoro che aveva svolto durante l’anno per concretizzare l’idea della festa! Certo, mentre era intenta ad organizzare l’assemblea d’istituto, contattare relatori, mantenere rapporti pacifici con i professori e via dicendo nessuno si era degnato di dirle grazie, ma forse la sera prima era stata l’occasione giusta e la ripagava di tutte le sue fatiche.
Tutto ciò che ricordava della festa si concludeva, però, con il ballo con Daniele. Da lì in poi aveva qualche vaga memoria, come sprazzi di luce sotto l’ombra di un albero, niente di definito. Ricordava che, non sapeva come, Daniele l’aveva convinta a ballare insieme ad Antonio, era sicura di aver guardato il ragazzo negli occhi, che erano due noci azzurre incredibili, e che gli aveva sorriso… o almeno così le pareva.
«Accidenti a me! – si disse quel sabato mattina dopo una doccia – Anzi, accidenti alla birra! No, accidenti a Daniele!»
La testa le girava ancora e nonostante si fosse lavata i denti due volte continuava a sentirsi la bocca strana e lo stomaco in subbuglio. Un angolino della sua mente le suggerì di non andare a scuola quel giorno, dimenticò l’ipotesi, però, non appena sullo schermo del cellulare apparve la notifica di un nuovo messaggio.
“Oggi, finite le lezioni davanti all’ingresso”
Il mittente di quel particolare invito era niente di meno che il professor Secchi e, non appena l’ebbe letto, Vera si sentì gelare.
Passò tutta la mattina chiusa in classe, a fare i conti con il caldo e i postumi della sbornia e non ebbe il coraggio di chiedere a nessuno dei compagni qualche dettaglio sulla parte di festa che il suo cervello aveva deciso di cancellare senza il suo consenso. Si vergognava troppo ad ammettere che a diciannove anni non aveva mai inghiottito un sorso d’alcol e che quindi era completamente andata dopo un’unica birra. Per non parlare di quello che poteva scoprire di aver fatto da ubriaca! Sperava vivamente di non aver offeso in modo irreparabile il professore, o almeno di non avergli detto cose peggiori di quanto scritto nel messaggio.
Il suono dell’ultima campanella, che fece esultare sia studenti che insegnanti, non fece altro che rendere Vera più ansiosa e cupa. Quasi non rispose ai saluti dei coetanei mentre si dirigeva a testa bassa all’ingresso dell’edificio.
“È ora” rimuginava “l’ora del giudizio!”.
Ascoltò il vociare dei ragazzi che uscivano da scuola, il rombo delle auto, il chiacchiericcio e le risate e il ritmo incessante delle lancette dell’orologio, o forse era quello del suo povero cuore.
Le parve che dei passi si stessero dirigendo verso di lei, ma le mancò il coraggio di controllare.
«Ehi!»
«Oh, Daniele…»
Salutò voltandosi brevemente verso il ragazzo, senza sprecare troppa allegria: non ne aveva alcuna.
Quei pochi minuti trascorsi ad aspettare il vicepreside le stavano pesando come anni.
«Che fai?» chiese Daniele incuriosito dal suo atteggiamento o semplicemente dalla postura rigida.
«Aspetto il Secchi. Porca paletta, Daniele! – aggiunse dopo un secondo d’esitazione – Mi sono cacciata in una situazione di melma! Proprio ora che la maturità è alle porte, capisci?! Mi spieghi che cavolo è successo ieri sera? E perché non hai impedito questo disastro? È tutta colpa tua!»
Daniele aggrottò le sopracciglia cercando di mettere ordine a quella raffica di domande. Usò quell’espressione che Vera, all’inizio della loro conoscenza, riteneva minacciosa o arrabbiata, ma che, con il passare del tempo, aveva imparato a decifrare come pensierosa. Forse tutte le strane dicerie sul suo conto erano derivate dal fraintendimento del suo sguardo, che non aveva granché di cattivo, se non nella curva delle sopracciglia che, ahimè, il ragazzo non aveva la possibilità di scegliere.
Daniele le chiese di spiegarsi meglio e Vera, troppo tesa e imbarazzata e terrorizzata per parlare ancora, si risolse di passargli il cellulare e fargli leggere il fatidico messaggio che aveva scoperto di aver inviato nella notte.
Il ragazzo lesse senza mutare espressione di una virgola, poi, alzato lo sguardo su di lei, chiese:
«Vuoi dire che non ti ricordi che cosa è successo ieri sera?»
«Se non l’avessi capito: no, niente. Allora, vuoi essere così gentile da raccontarmi qualcosa?»
Il ragazzo ci pensò su, mise le mani in tasca e alzò lo sguardo verso un punto distante, come se stesse scegliendo le parole giuste da dire.
«Che vuoi che ti dica? – cominciò poi – Avevi intenzione di spogliarti e lanciare la minigonna al Secchi, continuavi a ripetere che lui con il suo laboratorio di fisica fosse il tuo grande amore. A un certo punto gli hai urlato che adoravi i suoi capelli forforosi e volevi baciargli la testa. Ovviamente ho impedito atti osceni in luogo pubblico, ma tu l’hai presa sul personale.»
«In… in che senso?» chiese Vera con un filo di voce, traumatizzata.
«Nel senso che l’hai considerato un rifiuto da parte del prof e hai cominciato a piangere e ripetere che volevi baciarlo e picchiarlo, a momenti alterni. Dev’essere a quel punto che hai deciso di mandargli un messaggio minatorio.»
«E tu perché non me l’hai impedito?»
Vera aveva ritrovato la voce e un po’ di energia per urlare contro il ragazzo e contro quel resoconto umiliante della serata.
«Ci stava già pensando il tuo codice pin. Che vuoi che ti dica? Dopo cinque minuti che ci provavi ho creduto che non saresti mai riuscita a sbloccare lo schermo e ho abbassato la guardia.»
Vera abbassò lo sguardo e ammutolì di nuovo.
«Va bene, ho capito. Grazie per quello che hai fatto.» disse dopo un breve silenzio, in tono più spento che mai.
«Figurati.»
«Ma perché il Secchi non si fa vedere?» borbottò tra sé la ragazza, ormai consapevole della reale estensione del danno che aveva fatto.
«Chissà, potresti provare a chiamarlo se tarda ancora.» suggerì Daniele.
«Mmm, hai ragione. Aspetterò ancora un po’, poi lo chiamo.»
«D’accordo, io allora vado. Ciao Primavera.»
«Ciao.»
Rimasta di nuovo sola con il proprio imbarazzo, Vera tentò di mettere insieme un discorso di scuse che potesse ristabilire un minimo la sua dignità, ma l’impresa era costantemente disturbata dalle immagini che le parole di Daniele evocavano nella sua mente. Lei che urlava di amare il Secchi, che provava a dargli un bacio tra i capelli sporchi… Santa madre dello shampoo! Era veramente orripilante!
Vera rabbrividì e controllò l’orologio. Non c’era quasi alcun rumore adesso, ma del professore ancora nessuna traccia. Allora si decise a comporre il suo numero e chiamarlo. Se ne pentì al secondo squillo e stava quasi per mettere giù, ma dall’altra parte l’uomo alzò la cornetta.
«Ehm… pronto, professore?» balbettò incerta, avvampando.
«No.»
Vera rimase interdetta. Allontanò il telefono dall’orecchio e fissò il nome sullo schermo.
Eppure diceva “Prof Secchi”.
«Chi parla?» chiese, scettica.
«Non mi riconosci?»
«Daniele?!»
Non era possibile! Era lì con lei fino a poco prima, non aveva alcun senso!
«Già.»
«Ma… come…? Che significa questa storia?» chiese la ragazza brancolando nel buio.
«Che mi hai chiamato ed io ho risposto.»
Questo aveva ancora meno senso!
«Ma perché ho salvato il tuo numero come “Prof Secchi”?»
«Uno scherzo innocente.»
«Cosa?! Eri tu fin dall’inizio?»
«In verità lo sono diventato ieri sera. Mi sono divertito a cambiare qualche nome nella tua rubrica, ma non immaginavo che ti saresti dimenticata tutto. Stavi ridendo quando ho rinominato “Dart Fener” tuo padre…»
«Oddio… meno male! Aspetta, quindi non è vero quello che mi hai raccontato di ieri sera, giusto?» chiese Vera dopo un sospiro, incredibilmente sollevata da quel nuovo risvolto della situazione.
«Altro scherzo innocente. È stato interessante vederti reagire alla vergogna...»
«Interessante? Interessante?! Mi hai fatto passare una mattina d’inferno! Appena ti rivedo io… io… ti picchio!» minacciò la ragazza alzando la voce.
«Mi sa che perderesti.»
«Accidenti, è vero. Allora… - pensò alla cosa più brutta che potesse fargli, poi ebbe l’illuminazione - non ti aiuterò più a conquistare Luisa!»
«Sai che perdita…»
«Già… aspetta, come? Non mi hai aiutato alle elezioni per lei?»
«Forse.»
Vera riuscì ad immaginarlo mentre scrollava le spalle.
«Non ti interessa la reginetta della scuola?»
«E a te non interessava l'altro re?»
La domanda per qualche motivo la pietrificò. Inghiottì e non trovò il fiato per rispondere. La questione si stava facendo seria, aveva un impellente bisogno di sapere: che cavolo aveva combinato la sera prima?
«Sei libera stasera?»
«Mh?»
«Stasera sei libera? Volevo andare sulla spiaggia per un bagno notturno.»
Silenzio.
«Primavera? Sei ancora lì?»
«Daniele, puoi dirmi che cosa ho fatto ieri sera?»
E avrebbe tanto voluto chiedere “che cosa ho detto”, anzi, “che cosa mi sono lasciata sfuggire”. Ora che una parte considerevole dello sgomento, dell’imbarazzo e della rabbia se n’era andata, Vera cominciava a rimettere insieme i pezzi e l’immagine che veniva fuori da quel puzzle non le prometteva niente di buono.
«Perché ti ho inviato quel messaggio?» chiese con la gola secca.
«Se vieni stasera te lo dico.»
«Ma… ma abbiamo un esame di stato da preparare, non dovremmo andare a zonzo e…»
«Vuoi sapere cosa è successo ieri sera o no?»
Daniele contò i respiri che ci vollero alla rappresentante d’istituto per giungere finalmente alla sua decisione e gli parvero un’infinità.
«D’accordo.» rispose infine la ragazza con voce sommessa.
Poi mise subito giù, senza aspettare un congedo e sospirò. Sperava vivamente che la sera prima non fosse successo ciò che temeva.
«Vera! – la chiamò una voce alle sue spalle, distogliendola dai suoi pensieri – Che ci fai ancora davanti alla scuola?»
«Niente, professore, me ne stavo andando. Arrivederci.» disse la ragazza salutando il professor Secchi e avviandosi verso casa.
«Arrivederci e complimenti per la festa di ieri sera: siete riusciti a non combinare danni.»
«Ehm… già, grazie.»
Vera non si sforzò nemmeno di sorridere, ormai era certa del contrario: qualche danno l’aveva sicuramente combinato. Che riguardasse solo lei e la sua vita privata non lo rendeva meno rilevante.
 
Daniele chiuse velocemente la telefonata e mise il cellulare in tasca. Sul volto aveva una smorfia, o forse era un ghigno, o meglio, un sorrisetto compiaciuto. Nella sua mente stava già programmando la serata. Sbuffò per mascherare un risolino, non riusciva a togliersi dalla mente le immagini della sera precedente.
Non riusciva ancora a credere che spingendola nelle braccia della sua (presunta) cotta Vera si sarebbe arrabbiata tanto. D’altra parte la conosceva come la rappresentante d’istituto seria e integerrima, che non mentiva, non sbagliava e, a quanto pareva, non reggeva affatto l’alcol.
Giusto, cosa le avrebbe raccontato quella sera? Non sarebbe riuscito a ripetere alcune delle frasi che gli aveva detto. Decise che avrebbe riportato a grandi linee il momento in cui si era gettata su di lui piangendo e accusandolo di essere un cretino perché non aveva capito che era innamorata di lui. Poteva raccontarle di come l’aveva preso per la maglietta per riuscire a fissarlo negli occhi e chiedergli se fosse vero che aveva un figlio, ma avrebbe taciuto il modo in cui si era offerta esplicitamente a lui dicendogli…
«Guarda dove vai, imbecille!»
Un automobilista decisamente alterato bloccò il flusso dei suoi pensieri e Daniele fu sul punto di ringhiargli contro, ma poi si accorse che stava attraversando col rosso e che era quindi nel torto. Si riprese e si tolse di dosso il sorriso ebete che aveva scoperto di indossare.
Prese il cellulare di tasca e diede un’occhiata all’orario, ma si scoprì a sorridere ancora all’immagine di sfondo.
«Sono proprio un imbecille!» borbottò tra sé, oscurando con un tasto la foto di un albero a primavera.

   
 
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