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Autore: Eleonora Bonora    01/11/2017    0 recensioni
Estratto dalla storia
«E' davvero questo il modo in cui vuoi rendere fiero tuo padre?»
«No, tu non capisci: non ho altra scelta.»
«Tu non sei così e lo sai bene.»
«Lui è mio padre, è mio dovere rispettare le sue scelte.»
«Caleb, lui è malato.»
La fissò, guardava i suoi occhi chiari e cercava le cose giuste da dire. Ma scelse la codardia e scappò.
«No, ascoltami: dimentica. Dimentica tutto quello che ti ho detto. Non avresti dovuto sapere nulla.»
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Aveva sempre pensato che la sensazione peggiore che un essere umano potesse provare, fosse quella di perdere una persona a lui cara, come i genitori o i figli. Ma si rese conto di essersi sbagliata: non c'è nulla di peggio che sentirsi abbandonata anche da se stessa. Succede in quel momento in cui senti di non poter più reagire, di aver perso. Sai che non hai più via di scampo. A Bonnie era successo cinque sere prima, quando per la prima volta si era sentita debole. La cosa si era ripetuta ogni sera fino a quel momento, in cui la ragazza stava pensando di rassegnarsi abbandonando la speranza. Quella sera, quando aveva deciso di non uscire da quella camera, Adam era entrato. Era davvero infuriato. Le aveva urlato contro, ma lei non aveva risposto. Aveva continuato a guardare il vuoto, senza nemmeno preoccuparsi di sbattere le palpebre nonostante gli occhi le stessero bruciando. Lui l'aveva presa per il polso facendola alzare, le aveva gridato qualcosa ma lei sentiva la sua voce lontana, troppo lontana per capire cosa stesse dicendo. Era nuda davanti a quell'uomo e per la prima volta non le importò minimamente. Voleva solo sparire, essere piccola come un granello di sabbia, anzi più piccola. Invisibile come un piccolissimo strato di polvere. Non voleva sentirsi così sporca. Il suo modo di fare era cambiato drasticamente da quando aveva provato quelle sensazioni. Quasi non le importava più di niente. Rivolgeva sia a Caleb che ad Adam sguardi spenti, non più carichi di odio. Non aveva più la forza nemmeno per quello. Viveva nel silenzio e amava sentirne il rumore. Non rivolgeva parola a nessuno, se non strettamente necessario. Sentiva il mondo ritorcerlesi contro. In quel momento stava, come tutte le altre ragazze, soddisfando le esigenze di Adam, regalandogli uno spettacolo privato. Lui si divertiva parecchio a darle ordini, soprattutto ora che non si preoccupava neanche di opporre resistenza con qualche risposta a tono. «Voi continuate, io vado a vedere cosa potete mettervi questa sera.» annunciò prima di sparire lasciando sole le ragazze. Appena l'uomo non fu più visibile si accasciò a terra, appoggiandosi al muro e chiudendo gli occhi cercando qualche bel ricordo da far riaffiorare. Come il sogno ricorrente in cui nasce suo fratello. Lei aveva nove anni e, nonostante fosse notte, aveva deciso di rimanere sveglia insieme a suo papà in attesa della nascita di Travis. Ricordò che la consapevolezza di avere un'altra persona a cui volere bene la rese felice e in quel momento sembrò provare di nuovo quella gioia. «Ciao, Bonnie giusto?» una voce la riportò alla realtà e fu costretta ad aprire nuovamente gli occhi. Davanti a sé trovò la figura esile di una ragazza forse più grande di lei di qualche anno. Aveva lunghi capelli rossi mossi che le contornavano il viso tondo. I suoi occhi verdi risaltavano sulla carnagione molto chiara. «Sì.» rispose soltanto «Tu sei?» «Allie.» le sorrise «Devo parlarti di una cosa.» «Dimmi.» disse con lo sguardo fisso nel vuoto. «Non adesso. Quando Adam e Caleb vanno via vengo da te.» spiegò andandosene poi con le altre. Bonnie rimase interdetta. Cosa avrebbe dovuto dirle? In quel momento il ragazzo entrò di corsa nel locale cercando qualcuno con lo sguardo. Evidentemente non lo trovò, perché iniziò a chiedere ripetutamente dove fosse Adam, fino a quando una ragazza gli indicò la porta per la quale Bonnie era dovuta passare la prima sera in cui aveva potuto bearsi dell'acqua calda. Il sole prima della tempesta. Caleb corse al piano di sopra senza degnare nessuno di uno sguardo. Aveva un'aria estremamente preoccupata e tutte le ragazze ancora guardavano la porta da cui era sparito qualche secondo prima. La bionda raggiunse la ragazza di prima, di cui non ricordava il nome. Voleva togliersi il problema il prima possibile e sapere cosa avesse intenzione di dirle. «Ora puoi dirmi quella cosa: loro non ci sono.» disse andando dritto al punto. «Non so, non vorrei che lo sapessero.» accennò con un volume molto basso della voce. Era davvero così importante e segreta quella cosa? «Se aspetti che non ci sia nessuno hai tempo tutta la vita. Nessuno a parte loro due entra nella mia stanza: quando ci sono dentro è sempre chiusa a chiave.» «Il fatto è che...» venne interrotta dal rumore di una porta che sbatté attirando l'attenzione di tutte le ragazze presenti nella sala. Adam aveva lo sguardo cupo, preoccupato e arrabbiato. Procedeva a passi lenti con la testa bassa, si voltò a destra e a sinistra: forse cercava qualcosa. Dietro di lui arrivò Caleb che sembrò illuminarsi una volta posato lo sguardo sul bancone del bar. «Non fate altro che creare problemi.» borbottò l'uomo stringendo i denti. Intanto, dall'altra parte del locale, Caleb esaminava l'angolo su cui aveva posato lo sguardo qualche secondo prima. «Ringrazia che il locale sia in un edificio vecchio.» disse il ragazzo facendosi sentire dal padre. «Cosa vuoi dire?» «Da piccolo andavo spesso qui. C'è una botola che porta alla cantina, ma è quasi invisibile: si confonde col pavimento scuro. Falle andare lì.» spiegò. «E cosa centra col fatto che il locale sia vecchio? Stiamo parlando di persone che hanno a che fare con queste cose quotidianamente.» «Lascia fare a me.» L'uomo acconsentì, mettendo in chiaro il fatto che se non ci fosse riuscito, ne avrebbe pagato lui stesso le conseguenze. La domanda era: che cosa avrebbe dovuto fare? Perso nei suoi pensieri, scese di sotto e ci rimase per qualche minuto, poi tornò di sopra con uno sguardo soddisfatto. «Seguitemi.» disse soltanto. Una ad una, furono fatte scendere per quelle vecchie scale di legno, che cigolavano ad ogni passo. Quando Bonnie riuscì ad appoggiare entrambi i piedi sul freddo pavimento in pietra, si concesse del tempo per osservare il luogo attorno a sé. Sembrava una cantina per i vini, senza le bottiglie. I muri, anch'essi in pietra, avevano sfumature gialle causate dalla luce flebile della lampadina che penzolava dal soffitto. Probabilmente, la temperatura era più bassa in quella stanza, che all'esterno. Un'infinità di ragnatele contornava gli angoli, dando un'aspetto macabro al tutto. Caleb si diresse verso uno scaffale, che la bionda non aveva notato. Quando lo spostò, una seconda stanza fu visibile. «Entrate e evitate di fare rumore: fidatevi, vi conviene.» Detto ciò, le fece entrare: la stanza era parecchio grande, ma altrettanto buia e non videro più nulla quando lo scaffale coprì parte della parete, bloccando la visuale. Dopo un tempo che sembrò infinito, si creò un irritante brusio, ma evidentemente al di fuori non doveva sentirsi, poiché nessuno si era disturbato a zittirle. Poco dopo sentirono molti passi sopra di loro, ma la maggior parte delle ragazze sembrò non farci caso e tornarono a parlare fra loro. La curiosità di Bonnie non riusciva a trovare pace: voleva capire cosa stesse succedendo. Perché le avevano nascoste lì? Cosa stava succedendo? E cosa doveva dirle Allie? Era successo tutto in qualche ora. Doveva saperne di più. Si avvicinò, senza pensarci due volte, alla ragazza dai capelli rossi che se ne stava in disparte. «Non credo che qualcuno ci senta, adesso.» esordì indicando le ragazze immerse in un discorso apparentemente interessante. L'altra portò lo sguardo nei suoi occhi, acconsentendo alla sua richiesta, pronta a dirle tutto ciò che voleva sapere. Come se quella misteriosa informazione avesse potuto essere una nuova ancora. Ma non era ancora sicura di cantare vittoria: sarebbe potuto essere qualcosa che l'avrebbe fatta crollare definitivamente.
   
 
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