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Autore: clairemonchelepausini    01/11/2017    7 recensioni
Lia Parker era bella, lo sapeva ma non se ne vantava, anzi copriva il suo corpo cosicché non fosse un pretesto per dipingerla in altro modo. Vive la vita senza aver paura di morire. Stuart McGregor, invece, pianifica tutta la sua giornata, deve avere il controllo e niente di meno è un fanatico matematico. Due strade diverse che per pura coincidenza s’incontreranno. Che cosa succede quando colei che non ha paura di morire incontra lui, che è portatore di morte?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NOTE
La storia è stata scritta per la sfida
Dolcetto o scherzetto?
” indetto da Principe Dracula sul gruppo facebook “EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni”.















 
 
«Che cosa potrà esserci di così interessante nella vita di una commessa?» sghignazzò la bionda con le labbra gonfie e le tette rifatte.
«Amica, ma come… Non lo sai?» domandò l’altra seria, scoppiando a ridere dopo due secondi.
E così, ancora una volta, Lia aveva scoperto la verità sulle sue amiche, anche se non potevano più definirsi tali.
«E’ solo l’invidia a farvi parlare» affermò uscendo dal bagno con lo sguardo altezzoso, passando davanti a loro mentre le loro bocche toccavano terra.
Sempre la stessa storia: posto nuovo,  amiche nuove ma identiche situazioni. Cambiava lavoro più volte di quanto cambiava look, ma fare la commessa le piaceva, anche se non dava grandi soddisfazioni lo trovava entusiasmante. Prima di uscire vide la sua figura riflessa nello specchio: era bella, lo sapeva ma non se ne vantava, anzi copriva il suo corpo cosicché non fosse un pretesto per dipingerla in altro modo, peggiore di quanto già sentiva. All’inizio soffriva, affogava il dolore nel gelato al cioccolato con triplo caramello e si chiudeva in casa, ma un giorno smise di piangere e capì che se la vita era dura, lei lo era ancora di più.
«Sono Lia Parker e sono figa più di quanto voi lo sarete mai, ma perché lo sono qui» e indicò il suo cervello per dare più credito alla sua spiegazione, tuttavia le ragazze continuavano a guardarla in modo scioccato.
«E tutto quello che ho è naturale ed è mio» continuò lei prendendole in giro, correva come una purosangue e non si sarebbe fermata.
«Potete anche smetterla di comportarvi come oche, a me non interessa perché tutto mi scivola addosso. Dalla vita ho ricevuto più merda di quanta voi potreste buttarne» disse seria.
Uscì il rossetto rosso dalla borsetta, lo passò con cura sulle sue labbra, le fece scoccare e osservò come risaltava il suo viso. I capelli neri e gli occhi verdi completavano il suo fisico magro risaltato da un paio di jeans stretti e da una maglia lenta e lunga.
Uscì lasciandole a guardarla mentre i suoi passi si facevano sempre più distanti.



“Sei stata forte” si complimentò la sua parte buona, ma lei non sbatté ciglio.
“Sì, ma… avresti potuto fare di più!” la riproverò l’altra parte.



Lia scosse le spalle, cercò di togliersi quelle sensazioni mentre si sedette al bar e ordinò il solito.
«Quello che non ti uccide ti fortifica» affermò in un sussurro a se stessa mentre il liquido ambrato scendeva in gola incendiandola.



                                            


 
Stuart aveva programmato quella serata da giorni, tutto era organizzato nei dettagli e le probabilità calcolate gli dicevano che tutto si sarebbe svolto secondo i piani, anche se c’erano variabili impreviste. Sì, perché aveva calcolato anche quelle.
“I cacoli non sbagliano. Non sbagliano mai” ripeté più volte fino a quando il respiro non si calmò.
Osservò quasi convulsamente tutti i clienti del bar, calcolò chi si sarebbe ubriacato, chi sarebbe andato a letto con uno sconosciuto e chi… Non riuscì a finire il solito giro, qualcosa si era spezzata e ciò lo infastidì e… non era un buon segno. Assolutamente no.
La sua mente cominciò ad affollarsi di teoremi, di formule, concetti che nessuno avrebbe capito, istintivamente si avvicinò al bancone, prese un’acqua tonica e si sedette nell’unico posto libero. Provava a vedere l’incidenza del cambio di piani sulla sua tabella di marcia, ma i suoi occhi azzurri si colorarono di nero, era stuzzicato da quella donna che aveva attirato la sua attenzione senza volerlo.
Era così che tutto iniziava.
«La pendenza in questo caso è di 45°, ha un’incidenza del 70%, una costante unica e…» diceva frasi a caso, il respiro accelerò e quella parte di lui che teneva nascosta stava facendo di tutto per emergere.
“No, è troppo presto. Non ora” sussurrava, ma lei non gli dava retta, non l’aveva mai fatto.
Riepilogò gli schemi, dal più facile al più complesso, la sua testa era lì, ma i suoi occhi erano fissi sulla ragazza seduta poco distante da lui che beveva da sola.
Cercò di starle alla larga, ma se l’uomo vuole la bestia, deve averla. Chiuse gli occhi e lentamente immaginò la tabella periodica quando una bionda -senza dubbio rifatta- gli finì addosso.
Stuart era così felice di poter uscire, almeno fin quando la bestia era domata, ma a quanto sembrava non era quella giusta.
Allungò la mano nel suo cappotto, prese un coltellino che teneva sempre con sé, lo sfilò, lo aprì e con una destrezza mai vista prima segnò la donna. Non se ne accorse nemmeno, era un graffio piccolo e quasi indolore, pur se qualche rivolo di sangue uscì dalla ferita.
La lasciò andare, sentiva un richiamo diverso e… per certi versi anche più forte; si girò dall’altra parte, dove aveva visto quella giovane ragazza.
«Posso offrirti da bere?» domandò cauto lui non appena la bionda se ne andò, senza avvicinarsi troppo ma scalando comunque di posto.
«No, grazie» affermò schietta, per quella sera aveva già dato.
Rimase senza parole, era la prima volta che qualcuno rifiutava e così mentre le sue mani iniziarono a prudergli, l’uomo cercò di divincolarsi.
Lia lo guardò di traverso, si accorse solo dopo accigliandosi che non era niente male. Era alto e in forma, con i vestiti che mettevano in risalto le braccia forti, il petto palestrato e... aveva gli occhi azzurro cielo, le labbra carnose ma non troppo e le mani…
“Oddio! Ma che vado a pensare?!” si rimproverò lei, dandosi della stupita per quei pensieri.
Lia ci provò, ma alla fine ritornò a guardarlo di nuovo.
«Con una probabilità certa, se continui così al settimo bicchiere torni a casa ubriaca o…» affermò quasi senza pensarci, una parte di lui forse voleva proteggerla.
Non aveva mai usato l’approccio matematico come tattica di abbordaggio, no ne aveva mai avuto bisogno, ma lei era diversa, se lo sentiva.
«Chi sei? Einstein?» chiese lei alzando le sopracciglia e facendogli capire che non era colpita e che, soprattutto, voleva essere lasciata in pace.
«No, signorina…»
Era così che andava, lui doveva sapere il suo nome, sempre, ma questa necessità dipendeva tanto dalla bestia quanto da lui.
«Lia» e, allungò la mano che lui strinse, il prurito sparì lasciando posto ad una scarica che sentì solo lui.
«Sono… Stuart McGregor» si presentò poco dopo, ma rimasero a guardarsi per una frazione di tempo che divenne comunque imbarazzante.
Non sapeva che dire e così lei si alzò, lasciò i soldi sul bancone e fece per andarsene.
«Non c’è bisogno che qualcuno mi offra da bere. So cavarmela benissimo da sola. Potrà aver avuto pietà di me o era un approccio per rimorchiarmi, ma… non sono comunque interessata» sussurrò vicino al suo orecchio, tanto che lui sentì il respiro sul collo e i suoi occhi ritornarono ad essere scuri, nero pece.
Stuart voleva seguirla, sapeva di doverlo fare, ma non ci riuscì. Era speciale si disse, c’era qualcosa in lei, era come un richiamo.
Il suo sguardo era chiaro, non aveva paura.
E quando giunse a quella conclusione, si ricordò che aveva una missione da portare a termine.




                                            


 
Avrebbe dovuto marchiarla e non lo fece. Poteva cercarla e farlo dopo, ma…
Lo sapeva. Sì, si sarebbero rincontrati.
Nonostante ciò non poteva distogliere la sua attenzione dalla bionda, doveva averla e non sarebbe stato difficile come con Lia: vagava tra i vicoli, al buio e da sola.
Era il suo momento.
Lasciò andare ogni pensiero, divenne chi non avrebbe mai voluto essere: la bestia aveva preso possesso del suo corpo.
La afferrò da dietro, le mise una mano sulla bocca e con l’altra premette una siringa sul braccio che in poco tempo smise di muoversi. Si guardò attorno ma non c’era nessuno, la trascinò sulla macchina e la poggiò su un telo bianco coperto da un altro beige.
Aveva visto il suo sguardo impaurito, era la cosa che lo affascinava di più, nemmeno lui che era un fanatico matematico poteva prevedere ciò che dicevano gli occhi di quelle ragazze.
Era ancora incosciente, la portò nella sua casa apparentemente distrutta e decadente, la sistemò sul letto e iniziò ad accarezzarle il viso, lasciò piccoli baci sul collo, sul seno e sulle labbra. Si fermò e ritornò a toccarla sfiorando le gambe, il seno, i fianchi fino a quando non si fermò sull’intimità di lei.
Appena la sentì muoversi si staccò di colpo, si fermò sulla porta e aspettò che si svegliasse.
«Ti prego!» supplicò lei con gli occhi ancora appannati dalle lacrime, mentre lui incrociava le braccia e la guardava con sguardo di sfida e desiderio.
Voleva fargli molto di più, ma non era lì per quello.
La ragazza rimase in posizione fetale sul letto, provò a muoversi ma aveva  i polsi e le caviglie legati al letto e ora…lui  la guardava.
«Perché lo fai?» domandò lei una volta trovata la voce, ma lui non rispose, odiava chi poneva domande e chi faceva la vittima, così si avvicinò, impugnò il coltello con cui l’aveva marchiata, lo pulì sulla camicia e lo affilò.
Era pietrificata, mentre lui le procurava piccoli tagli su tutto il corpo, voleva urlare ma non ci riuscì, era più forte la paura che la voglia di lottare. Non erano profondi, sembravano piccoli graffi e quando guardò l’opera finita sorrise per il suo lavoro pulito.
Iniziò a straparlare, ripeteva concetti, teoremi  perché aveva scoperto qualcosa, ma quando la ragazza provò a muoversi con più forza i nastri che avvolgevano polsi e caviglia iniziarono a fremere colpiti da scosse elettriche.
Non erano semplici legami; prima la scarica era leggera e poi andava aumentando mentre lui era affascinato da vedere rivoli di sangue uscire dalle ferite ogni volta che veniva colpita dalla corrente.
«Ti prego. Ti prego, non uccidermi» riprovò ancora lei con tono dolce, sensuale come volesse ammaliarlo, ma era difficile perché non era l’uomo, ma la bestia e… lei voleva carne, sangue, dolore.
Le preghiere non finirono, lui senza dire una parola la lasciò e se ne andò; si era addormentata per lo shock e quando lui tornò con una valigetta, lei seppe che era la fine.
Stuart rideva in modo inquietante mentre le sue mani frenetiche slegavano i lacci, voleva salvarla ma d’un tratto si domandò se la bestia non avrebbe preso Lia al suo posto e così fece come ogni volta.
La ragazza si mise seduta e si tolse le scarpe perché pensò che non le avrebbero facilitato la fuga, ma appena si mise in piedi crollò subito sul letto.
«Pensavi che… Pensavi che ti avrei liberata senza darti nulla per farti rimanere?» chiese lui.
Non ricordava nemmeno chi fosse o dove lo avesse incontrato e… sapeva solo che lei non centrava nulla con lui.
Si guardò attorno per vedere se riconosceva la casa, ma la stanza aveva i muri bianchi, la porta era stata chiusa e al suo interno c’era solo un letto, una scrivania dove aveva appoggiato la sua valigia e una sedia.
Era una stanza di facciata.
Lentamente sistemò tutti i suoi giocattoli sul tavolo, li dispose nell’ordine di utilizzo e la ragazza sgranò gli occhi.
Stuart tirò su le maniche della camicia, li arrotolò e prima di prendere un martello piatto e più leggero di uno vero, la guardò e sorrise.
«Come ti chiami?» domandò senza guardarla mentre la sua lingua passava sulle ferite aperte delle braccia e assaporava il suo sapore.
«Co- Co- me- mi- mi- chi- a- mo» balbettò spezzettando le parole, sbattendo i denti per il freddo e la paura che nel frattempo avevano invaso il suo corpo fin dentro le ossa.
Alzò gli occhi verso di lei e fece un cenno del capo, ma lei lo sfidò e non gli rispose.
Brutta mossa, avrebbe dovuto saperlo, perché lui si avvicinò in fretta e la colpì con due schiaffi forti che la fecero svenire. Il rumore di quel contrasto tra la mano e la guancia scosse anche lui, ma dopotutto era quello che meritava.
«Mi- mi chiamo Gin» dopo essersi ripresa disse, provando a chiedergli perdono e supplicandolo di non ucciderla.
Stuart aveva le mani piene di sangue, sentiva ancora il suo cuore battere e lei respirare, non aveva finito così si sedette e aspettò che la sua ora arrivasse.
Stava ripassando il suo corpo, cercando di sapere come e dove tagliare. No, non voleva rovinare il suo bel viso e quel corpo che si trovava, ma doveva lasciare il suo segno.
Lei non era pronta e ci sarebbero volute un paio d’ore affinché lo fosse, così si sciacquò le mani, sistemò la camicia, si mise il suo profumo preferito, indossò il cappotto e uscì da casa.





                                            



 
Qualcosa era cambiato.
Lia sentiva una strana aria intorno a lei, era come se… stessero comunicando con lei ma non era attenta a ciò che volevano dirle.
Mise le cuffie nelle orecchie, indossò le scarpe e uscì in strada per correre, la sua solita corsa di cinque chilometri, con l’aria che le pizzicava la faccia, il freddo che faceva arrossare le guance e il naso, il profumo della rugiada sull’erba fresca del mattino.
Erano giorni che non sentiva le sue cosiddette amiche, ora capiva che le aveva offese, ma potevano almeno degnarsi di scriverle un messaggio o rispondere ai suoi.
Mentre i suoi pensieri s’intrecciavano a quelle domande senza risposta, alla rabbia e alla frustrazione, le sue gambe correvano più veloci per alleviare il suo dolore.
«Maledizione!» esclamò irritata quando iniziò a rallentare per lo sforzo a cui aveva sottoposto il suo corpo senza il giusto stretching.
Ad un tratto, sentì che non era al sicuro senza riuscire a spiegare cosa provava, le sembrava che non fosse sola anche se non c’era nessuno eppure… il naso le pizzicava e pur se per poco sentì uno strano odore. Sì, un profumo che non conosceva, anche se la sua mente le diceva che l’aveva già sentito.
Scosse le spalle e fece il percorso di ritorno; a casa, gettò da parte le scarpe e accese la tv.
«Da giorni la giovane era scomparsa, solo due giorni fa i genitori avevano lanciato l’allarme; questa mattina la polizia ha trovato il corpo esanime della ragazza. Le piste da seguire sono numerose e si cerca ancora il suo assassino, i genitori non si arrenderanno finché non sarà dietro le sbarre. Ma cosa potrà aver mai fatto la giovane Gin Suisse per meritare tanta crudeltà?»
E mentre Lia stava per togliersi i vestiti bagnati, quella domanda echeggiò in tutto il salone, ma fu solo dopo aver sentito il nome dell’amica che sgranò gli occhi e si guardò attorno alla ricerca di risposte.
Ecco, ora poteva spiegare cos’era quella strana sensazione che tuttavia percepiva ancora.



Quel giorno era già esausta alle sei di pomeriggio, avrebbe voluto strozzare il suo direttore: poteva essere più stronzo di così? No, ovviamente no.
Si rispose da sola e mentalmente rise per il suo dialogo, sembrava una pazza, sua nonna glielo diceva sempre “Non parlare da sola, perché altrimenti finiranno per dirti che sei come me”, ma a lei non importava più di tanto, si metteva a ridere e la abbracciava, scuotendo la testa.
La porta del negozio si aprì e subito dopo udì il suono del campanello, corse alla sua postazione, ma non vide nessuno. Si diede della stupita, tuttavia pochi minuti dopo vide apparire nello specchio dietro di lei la figura di un uomo che aveva qualcosa di familiare. Dove lo aveva conosciuto?
Provò a ricordarselo, ma non ci riuscì e appena alzò di nuovo gli occhi sul riflesso, la figura non c’era più.
“Sto cominciando a impazzire” si disse, e avrebbe voluto negarlo, ma una parte di lei aveva paura che ciò accadesse davvero.
Tutti conoscevano la sua storia, ma lei non era sua nonna o sua zia, lei era semplicemente Lia Parker.
Continuò a lavorare per altre tre ore, poi indossò la sua giacca di pelle e s’incamminò verso casa. I suoi progetti, una volta arrivata, erano un bagno caldo, una pizza e subito a letto; una piccola parte di lei voleva scomparire.
Da troppo tempo stava vivendo senza farlo davvero, ma….
Non poteva mollare.
L'aveva promesso e non avrebbe infranto quella promessa.





                                            


 
«E tu… Tu chi sei?» domandò timidamente la ragazza non appena si trovò un uomo bello ma spaventoso dentro casa sua.
«Come hai fatto a entrare?» chiese ancora una volta, ma lui non rispose, rimase seduto a guardarla per nulla intimorito dalle sue domande.
La mora aprì la borsa e prese il cellulare, ma non arrivò mai a comporre il numero della polizia perché l’uomo era già su di lei a tappare la bocca ed a  bloccare le mani mentre le gambe si dimenavano.
Era troppo forte, anche per lei che faceva palestra tutti i giorni.
Avrebbe dovuto far inserire l’allarme, sentiva di non essere al sicuro, non dopo Gin, ma si diede della stupida per pensare una cosa del genere.
Si disse che a lei non sarebbe successo nulla se solo avesse volato basso e… e così aveva fatto negli ultimi giorni, ma forse non era stato abbastanza.
Stuart usò il suo solito modus operandi: siringa nel braccio, lei si accasciò, la caricò in macchina e la portò a casa sua. Erano giorni che i poliziotti cercavano in giro, ma la sua casa era isolata, cadente e nessuno avrebbe mai pensato che potesse essere lui.
Era un rispettabile professore di matematica, un bell’uomo che viveva con la mamma.
Rise a quel pensiero, mentre accarezzò la ragazza prima di metterla a letto e bloccare polsi e caviglie.
Stesse domande, stessa routine, eppure lui non si stancava mai; tuttavia, questa ragazza era una guerriera che nonostante tutto non voleva mollare.
A ogni dito attaccò delle pinze che stringevano la pelle raggiungendo le ossa, la sua fronte era cosparsa di sudore, i denti stretti e gli occhi fissi sull’uomo che la stava torturando.
«No, non è possibile» continuò a dire lei, mentre lui parlava dei suoi concetti matematici.
«Adesso fermati» gli urlò con fermezza, ma non aveva capito che non era lei a dettare le regole, così fu raggiunta da scariche di elettricità.
Non distolse lo sguardo dalle sue ferite, vide scorrere il sangue da esse, mentre la testa era stata fermata da una sorta di cappello di ferro che gli impediva di muoversi. Respirò a pieni polmoni, ebbe un attimo di sollievo quando lo vide andare via, ma quando rientrò con la sua valigetta, si rassegnò.
«Ma perché c’è l’hai con me? Che cosa ti ho fatto?» continuava a fare domande, a gridare e sputare fuori tutto il veleno che possedeva, ma non l’avrebbe salvata né essere una vittima né dimostrarsi forte.
La bestia ormai aveva scritto il suo destino e anche se l’uomo avrebbe voluto salvarla, non poteva.
Si chiuse la porta alle spalle e uscì.



Erano passate già settantadue ore.
La sua fame aumentava, non gli bastavano più le solite vittime, chiedeva troppo e Stuart non era disposto a farlo, ma anche se si ribellava quando entrava in possesso del suo corpo, non riusciva a tenere testa alla bestia.
Era più forte dell’uomo.
Così quel giorno, quando fece la sua passeggiata e incontrò Lia, provò a scappare, ma i suoi occhi divennero neri, le mani gli prudevano e sulla lingua sentiva già il sapore del suo sangue.
Lia svoltò appena in tempo, entrò in casa e chiuse la porta a chiave, solo così quel giorno si salvò, ma Stuart sapeva che non sarebbe durato a lungo.
La bestia la reclamava e lui… non faceva fuggire nessuna vittima. Mai.
Era appena entrata quando si accorse di aver dimenticato la tv accesa al mattino: c’era un’altra notizia terrificante al tg.
«Ragazza trentenne trovata morta vicino al fiume; sconosciuti i motivi del suo assassinio, ma da un primo riconoscimento si può affermare che il corpo senza vita apparteneva alla giovane figlia del miliardario Thompson.».
Senza dire nulla si girò e guardò la foto che stavano trasmettendo: sullo schermo apparve la foto che  lasciò di stucco Lia. Non riusciva a respirare, sentiva il cuore pesarle, i battiti aumentare e un misto di pace dietro a un guizzo di terrore.
«Non è stato trovato l’assassino, ma è chiaro che la morte di Bridget è collegata a quella della giovane Gin Suisse. Le due donne erano amiche ma ancora né i familiari né gli amici sono in grado di spiegare le loro morti improvvise. Da un primo esame è chiaro notare che i corpi riportano le stesse ferite, per cui anche se non possiamo affermare che sia opera di un killer o di un maniaco, confermiamo che si sta cercando la stessa persona».
Se ne stava andando quando udì quelle parole, raggiunse il telecomando e spense quell’inferno per buttarselo alle spalle.
Il getto caldo della doccia rilassò i suoi muscoli stanchi mentre la mente navigava alla ricerca di un perché e di una spiegazione.
D’un tratto la tenda del bagno si mosse, le finestre erano chiuse e un brivido le percorse la schiena.
Non aveva paura di morire, ma sentiva che il vento era cambiato.
Dopotutto, forse, era più vicina ai suoi di quanto credesse.




                                            



 
Lia Parker non si sarebbe lasciata intimidire, così quando trovò davanti la porta un biglietto, lo prese e lo aprì.
«Manca di mentalità matematica tanto chi non sa riconoscere rapidamente ciò che è evidente, quanto chi si attarda nei calcoli con una precisione superiore alla necessità.». (Carl Friedrich Gauss)
Continuò a rigirarsi quel foglio tra le mani, nessun mittente e più ci rifletteva più non sapeva chi fosse, ma aveva capito che nulla era stato lasciato al caso.
D’un tratto le balenò alla mente la figura dell’uomo nello specchio del negozio in cui lavorava, il profumo -di certo maschile- mentre correva e ora… questo. No, non era una coincidenza.
Il suo turno durò solo otto ore, era la sua giornata fortunata, ma quando quella sera si prestò ad andare a casa seppe che avrebbe voluto fare tutto tranne che deprimersi.
La nonna glielo aveva impedito, almeno quando ci riusciva, ma lei era una ragazza testarda e raramente faceva ciò che gli veniva detto. Una volta rientrata, si tolse i vestiti, indosso la tuta, le scarpe da ginnastica, mise il cappuccio in testa e uscì per rilassare la mente.
Quando i suoi pensieri vorticavano così senza darle neanche il tempo di respirare c’era un solo posto che appianava ogni cosa: il cimitero.
È vero, non era il luogo giusto, ma Lia si sentiva bene, poteva correre, riflettere e stare con le persone a lei più care.
Il cancello era chiuso, ma ormai aveva una confidenza con il custode e sapeva che avrebbe trovato la chiave sotto la pianta dopo aver saltato tre buche e girato a sinistra.
Entrò e prima di fare qualsiasi cosa passò dalla nonna e poi dai genitori.



“Mi mancate!” sussurrò, mentre gli occhi si riempivano di lacrime che si affrettò ad asciugare.



La sua forza si sgretolò quando appena due secondi prima di iniziare il riscaldamento due mani forti la bloccarono da dietro. Lei non urlò, non poteva.
Una mano le bloccava la bocca e l’altra la stringeva a sé, mentre qualcosa di freddo s’infilava nella sua carne e lasciava un liquido che andò a riempire le sue vene.
Non riuscì a divincolarsi, ma volse l’ultimo sguardo ai suoi genitori prima di chiudere gli occhi.
Era pronta, lo era sempre stata.
Lia riuscì con fatica ad aprire gli occhi sebbene la luce troppo forte. Sentì che il luogo in cui si trovava era isolato, non passavano macchine e quindi doveva essere una campagna o una casa abbandonata, percepì che era libera, ma aveva dei segni lungo il copro perché al naso arrivò un odore di sangue e appena si sfiorò capiva che era il suo, ma…
«Oddio!» esclamò, prima che il fiato le mancasse e la testa riprendesse a girare.
Si ostinò a rimanere sveglia, ma qualcosa gli pizzicava il naso, c’era uno strano profumo e… d’un tratto collegò tutto.
Chi poteva avercela con Lia Parker? Non era nessuno, eppure sapeva di mentire.
Tutti conoscevano tutti, era un piccolo paese e poi… se alle spalle si aveva una storia come la sua…
La porta si aprì contemporaneamente a quando lei mise a fuoco la vista.





                                            



 
Stuart era riuscito a domare la bestia, ma il richiamo che sentiva era imprevedibile.  
Guardava quella ragazza innocente dentro la sua macchina, la vedeva stesa nella camera della tortura e non poteva credere che fosse finita così.
La osservò prima di farsi avanti, non aveva tentato la fuga, non si era mossa e ora… lo guardava con gli occhi di chi aveva capito il piano, ma non il suo mandante.
Si alzò, appoggiò la schiena al muro e cercò di mettere più spazio tra i due, anche se si trovavano a capi opposti della stanza.
Lui continuava a guardare i suoi occhi, erano vuoti, spenti come se… Non finì la frase, quell’affermazione destabilizzò l’uomo e la bestia.
«Tu!» disse sorpresa e con un misto d’imbarazzo.
Non parlò, si avvicinò a passo lento, mentre lei tirava le ginocchia a sé come a coprirsi della sua nudità, pur essendo vestita.
«Io… Io…» balbettò Stuart, voleva fermarsi, ma il suo corpo non lo ascoltò.
La bestia agiva, l’uomo pensava.
E quando le sue mani tirarono le sue caviglie, lei chiuse gli occhi. Le mani forti passavano sul suo corpo, accarezzavano ogni sua curva, le tolse la giacca e la osservò con attenzione poco prima di abbassarsi e leccare le sue ferite.
Lia pensò che volesse violentarla, poteva distrarlo o allontanarlo, ma sapeva che non sarebbe uscita da lì viva.
«Sei stato tu» affermò indicandolo mentre all’improvviso capì chi aveva ucciso le sue “amiche”, ma ciò che non capiva era perché.
Lui scosse la testa, voleva aiutarla e lei intravide una luce nei suoi occhi, come una supplica e la domanda che stava per fargli morì in gola, ma lui prese il coltello dalla tasca e lentamente cominciò a tagliare piccoli lembi di pelle. Sì, non troppo in profondità e non troppo lunghi, solo piccoli marchi.
Lia sgranò gli occhi alla vista dei rivoli del suo sangue, non era tanto da dissanguarla ma ebbe un fremito di paura, che si materializzò prima che ricordasse una delle lezioni di nonna sul suo essere responsabile.
«Tu non parli» costatò.
«Lo faccio e lo sai bene, ma forse è meglio che tu non parli» ribadì.
Ecco, un’altra frecciatina.
Lei ci ragionò, pensò alle sue possibilità e notò che erano inesistenti.
Ormai il suo modus operandi era sempre lo stesso, si allontanò e quando tornò, dispose sul tavolo il suo kit per intervenire. Stuart era sbalordito dalla forza dimostrata dalla ragazza e la bestia… Lui stava per impazzire. Nessuno lo aveva trattato con pìù freddezza e insolenza di quella piccola peste e nessuno lo avrebbe fermato nel dargli una lezione.
«La vita è una sola, c’è chi la vive e chi la spreca, eppure io non appartengo a nessuna di esse» affermò, prima di vederlo avvicinarsi con dei mollettoni per le dita, con aggeggi di varie dimensioni, con forme ancora più strane e con delle corde che alla sola vista davano l’impressione di essere elettriche.
I suoi occhi… Stuart arretrò di qualche passo quando li vide. Erano luminosi, le guance appena colorate e gli iridi così pieni di vita, di un rimpianto passato, presente e futuro.
Loro dicevano tutto, ma non ciò che avrebbe voluto trovare lui, la bestia.
«Perché non hai paura?» le domandò, dopo averle legate mani e caviglie al letto.
Lia rimase in silenzio, stava davvero per rispondere, ma alla fine decise di non farlo.
Oh! Non era di buon auspicio, perché la bestia lo prese come segno di sfida.
Iniziò a torturarla in modi terrificanti, lei non sbatté ciglio e questo non fece che farlo infuriare di più.
Non usò solo le tecniche già usate, sperimentò nuovi giochi e metodi per ferire la ragazza senza ucciderla e… il suo aspetto era quasi irriconoscibile.
Lia era stremata, il suo corpo veniva sottoposto a scariche elettriche alte, ad una resistenza dolorosa e pian piano ogni tentativo di resistere stava svanendo.



Lia Parker! Non puoi arrenderti così!”urlarono insieme le due parti della sua mente, le stesse che erano sempre state in disaccordo.
“E’ finita” sospirò, mentre dai suoi occhi chiusi scese una lacrima bagnando il suo viso di porcellana.



«Perché non hai paura? Perché continui a non fare nulla per liberarti? Perché non parli?» domandò con furia l’uomo riempiendola di schiaffi, costringendola a svegliarsi e continuando a colpirla finché non avesse ricevuto una risposta.
Era un insulto, la bestia non poteva tollerarlo.
«Perché il mio destino è stato scritto nell’esatto momento in cui ti ho incontrato» rispose ansimante con le ultime forze poco prima di accasciarsi.
Lia sentì il calore irradiarsi intorno a lei, delle mani che la sfioravano e una luce accecante travolgerla.
Era arrivata a casa. Finalmente.




                                            


 
«Oh… No! Non è possibile» esclamò, prima che la ragazza si accasciasse e i suoi occhi si posarono sulla spalla di lei.
Una voglia a forma di bacio?
Stuart corse in cucina e aprì il portafoglio.
Non era necessaria la conferma, ma quando la foto appianò ogni dubbio, per la prima volta capì perché era diversa.








Un anno dopo…








L’aula era gremita, c’erano giornalisti, avvocati, amici, ogni persona della città in quel momento voleva essere lì. Eppure c’era qualcuno che faceva a cazzotti con quella realtà.
«Stuart McGregor. L’imputato si alzi» proclamò a gran voce il giudice con occhi di fuoco.
Calò il silenzio, era arrivato il momento.
Ma… un attimo ancora.
«Lia Parker, adesso può entrare» sentenziò la donna, prima di guardarla con occhi dolci lasciando lo smarrimento su quello degli altri.
Aveva visto la fine, l’aveva toccato ed era vicina da avere tutto, ma era stata portata indietro dalla stessa persona che la stava uccidendo.
Nessuno avrebbe potuto dire che colei che non aveva paura di morire sarebbe stata salvata, due volte, da chi era portatore di morte.
Beh, forse non lo sapeva ancora, ma quello fu il momento in cui Lia Parker rinacque.
 




















Spazio d'autrice:
Buonasera a tutti ^_^
Approdo in un genere a me non solo nuovo, ma quasi sconosciuto. Dovete sapere che non amo gli horror, non mi piaccciono e sopratutto mi fanno terribilmente paura.
Detto ciò non so cosa ne pensate di questo scricciolo qui, non ne sono convinta cioè che non so quanto rientra negli horror, se fa paura o ecc... Spero solo che vi piaccia, è il mio primo esperimento e quindi... Non so che dire =D
Questa idea è nata quasi per caso, avrei voluto approfondire tante altre cose, ma prima doveva essere una OS e poi c'era il limite di parole e quindi... Spero di esserci riuscita almeno un pò....

Grazie a tutti coloro che passeranno a dare un'occhiata, lasciare un commento o anche solo di sfuggita.
Un grande ringraziamento va a mia cugina, mia sorella, le mie amiche e tutti coloro che mi seguono e supportano.

Grazie davvero di cuore. *_*
Alla prossima,
Claire

 
   
 
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