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Autore: lady lina 77    02/11/2017    0 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo sedici


Erano passati quasi tre anni dalla lotta contro Lucius e la vita a Pennes era andata avanti sonnacchiosa e tranquilla, senza problemi o scossoni.

Quel che Mattheus aveva preso per un gioco, quando gli era stato proposto di diventare capo-villaggio, si era trasformato pian piano in qualcosa di più serio e impegnativo: era rimasto la solita canaglia che adorava incutere timore nella gente, però aveva anche lavorato seriamente affinché le cose a Pennes andassero bene e funzionassero in modo da rendere tutti sereni, scoprendo per di più che progettare, decidere e lavorare al servizio degli altri gli piaceva.

La gente continuava a sentirsi intimorita da lui, dalla sua magia e dai suoi modi di fare ma il terrore puro e semplice di una volta si era trasformato in timore reverenziale, avevano imparato a rispettarlo e non solo temerlo e, seppur timidamente, a tentare di avvicinarsi un po’ di più a lui, coinvolgendolo, per quanto possibile, nella loro vita.

Era ormai autunno inoltrato, gelido ma ancora privo di neve, l'erba dei crinali aveva mutato il suo colore, diventando una distesa giallo-verdognola che si perdeva a vista d'occhio.

Stiracchiandosi, lo stregone si accinse ad intraprendere il suo ennesimo viaggio verso il lago di Valdurna, il Natale si stava avvicinando inesorabilmente e quel periodo, se ben gestito, poteva essere fonte di ottimi guadagni.

"Coraggio ragazzi" – disse, rivolgendosi a Falko e Drago – "E' ora di diventare gatti e di lavorare".

Falko e Drago sospirarono, non troppo entusiasti. "Secondo noi, se prendi dei cavalli, fai prima".

"Voi vi state lamentando troppo" – borbottò lo stregone, sistemando il carretto. "Bugiardi e scansafatiche... Siete davvero pessime persone" – commentò in tono paternalistico.

"Oh dai, ancora con questa storia?!" - lo interruppe Drago – "E' passato più di un anno e sei stato nostro testimone di nozze".

Mattheus ridacchiò, divertito dal nervosismo dei due; in tre anni non era cambiato niente, o meglio QUASI niente.

"Mi avete fatto fesso per un sacco di tempo. In effetti mi chiedevo come mai passaste tanto tempo dal fornaio e poi ho capito...".

Per un bel po’ aveva creduto che Falko e Drago ritardassero tanto, quando li mandava a prendere il pane, perché interessati alle chiacchiere delle comari di paese che usavano ritrovarsi dal panettiere per spettegolare di tutto e tutti finché in un bel giorno erano tornati dalla spesa con il loro sacchetto pieno di pagnotte e felici come una Pasqua, annunciandogli che si sarebbero sposati con le due figlie gemelle del panettiere con le quali si intrattenevano da mesi.

Era cascato dalle nuvole, doveva ammetterlo, ed anche se non glielo avrebbe mai dato ad intendere era stato davvero felice per loro.

Il matrimonio era avvenuto pochi mesi dopo e lui aveva fatto da testimone di nozze ad entrambi. I nani si erano trasferiti nella casa delle mogli, proprio sopra l'attività di famiglia, ma a parte questo continuavano a lavorare per lui, per amicizia e per una sorta di debito morale che sentivano nei suoi confronti. Ma questo non gli impediva di punzecchiarli e prenderli in giro, di tanto in tanto.

Prese dalla tasca una delle ampolle dell'acqua del lago, rovesciandogliela in testa e trasformandoli in gatti neri.

"Basta parlare di stupidaggini, c'è da lavorare! E anche molto".

Per le festività natalizie aveva piani ben precisi: Pennes e la val Sarentino offrivano discreti guadagni, ma per Natale, se voleva aumentare i suoi introiti, doveva andare in una grande città; il clima era gelido per cui influenze ed epidemie abbondavano e la gente di Bozen aveva sicuramente bisogno di lui e della sua acqua. Inoltre la gente di città, notoriamente più ricca, era disposta a sborsare molto denaro quando si trattava di salute. E chi era lui per privare gli abitanti della più grande città del Tirolo della sua presenza?

Pennes era tranquilla ed avrebbe potuto fare a meno di lui per qualche settimana.

Si incamminarono pochi passi fuori Pennes. quando vennero fermati da due dei suoi concittadini. Mattheus alzò gli occhi al cielo: quei due, il signor Gruber e il signor Riegler, erano due anziani contadini in lotta fra loro da... bah, chi poteva dirlo? Da che ricordava, non li aveva mai visti andare d'accordo. Litigavano su chi avesse i prodotti agricoli migliori, su chi fra loro producesse il formaggio più saporito, si accapigliavano quando giocavano a carte nella piazza del paese in estate e su qualsiasi altra cosa di cui si trovassero a parlare, per cui, se lo fermavano, avevano di sicuro bisogno che facesse loro da giudice per l'ennesima volta. Da quando era diventato capo villaggio, tre anni prima, capitava in media ogni settimana. "Signori, mi tratterrei con voi volentieri ma..." - indicò i gatti e il carretto – "devo lavorare".

Il signor Riegler, come se non l'avesse nemmeno ascoltato, iniziò ad inveire contro il signor Gruber.

"Il mio campo! Avete presente signor Hansele? Quello che si trova al limitare del bosco, quello dove ho costruito con le MIE mani il porticciolo per prendere agevolmente l'acqua del ruscello che scorre nella mia proprietà. Lui, LUI... LUI usa la mia acqua! Lo fa ogni volta che torna dalla montagna, il maledetto! E non lo fa nella parte del ruscello che scorre fuori dal mio campo no! NO! Lui usa il mio porticciolo e quindi entra nella mia proprietà! Vuole la vita comoda, il signorino!".

"Non è vero!" - inveì Gruber. “Il TUO terreno, razza di taccagno, te lo devi recintare se vuoi che nessuno ci entri! Altrimenti io, quando torno dal bosco, ci passo senza pormi problemi. Non vedo perché dovrei fare il giro largo per un qualcosa che non è delimitato da nulla. Chi mi dice che è tua proprietà?".

Mattheus sospirò. Quei due avevano i capelli bianchi da un bel po’ e teoricamente avrebbero dovuto essere considerati i saggi e la memoria storica del villaggio, invece litigavano come lattanti isterici. Li guardò, picchiettando nervosamente il piede, deciso a porre fine a quella stupida disputa immediatamente. Lo stavano irritando.

"Signor Riegler" sussurrò, ponendo gentilmente una mano sulla sua spalla "Io capisco il vostro disappunto per la continua invasione della vostra proprietà privata. Davvero, parlo seriamente! La proprietà privata è sacra e va rispettata e...".

"Ma..." - lo interruppe Gruber.

Mattheus lo fulminò con lo sguardo.

MA... vedete, in quanto proprietà privata, devo farvi notare che il vostro terreno si trova comunque nella giurisprudenza di Pennes che, come sapete, è amministrata dal sottoscritto. E visto che la vostra proprietà sorge in una terra comunale, voi dovreste pagarci delle tasse in relazione ai guadagni che il vostro campo vi frutta".

Riegler sbiancò. "Ma...".

Mattheus sorrise. Il vecchio era brontolone, ma non era certo stupido e aveva capito benissimo dove lui stava andando a parare.

"Ma ecco, io non sono così crudele da chiedere tasse per il vostro campo, su cui vi spaccate la schiena da mattina a sera a lavorare. Però ecco, potrei cambiare anche idea forse, se le circostanze lo richiedessero... Facciamo così! Voi fate usare il porticciolo a coloro che tornano assetati dalla montagna, che tanto l'acqua nel ruscello ci sarà sempre, non è di vostra proprietà e quindi nessuno vi ruba nulla e io, visto il favore che fate alla comunità, eviterò di chiedervi tasse sulla proprietà".

Gruber sorrise, soddisfatto. Riegler annuì non troppo felice, senza tuttavia trovare fiato per controbattere.

Mattheus picchiò le mani sulle loro spalle, amichevolmente. "Bene, visto che è tutto a posto e ci siamo messi d'accordo come grandi amici quali siamo, io torno alle mie faccende. Buona giornata signori".

"Buona giornata" – risposero all'unisono i due, guardandolo allontanarsi.

Mattheus si stiracchiò, rimettendosi in marcia. Negli anni aveva imparato a trattare con la gente di Pennes e a sedare sul nascere ogni discussione inutile. Lo divertiva ancora prendersi gioco di loro e delle loro paure, ma aveva imparato l'arte della mediazione e della conciliazione. Si sentiva un bravo capo villaggio, furbo ma allo stesso tempo giusto.

Il resto della camminata proseguì tranquillo, senza altri intoppi; la giornata era fredda ma serena e forse non avrebbe avuto altre occasioni per fare scorta d'acqua al lago prima dell'inizio delle prime nevicate, per cui era necessario fare scorta per il suo viaggio in quel momento, o non lo avrebbe più potuto fare.

Arrivarono al lago che era ormai mezzogiorno passato. Tutto era tranquillo e silenzioso come sempre, solo il vento, gelido e incontrollato, soffiava fra gli abeti. Le rive del lago erano ricoperte da un leggero strato di ghiaccio e l'idea di immergere la mano che reggeva il secchio da riempire in quell'acqua gelida gli faceva correre brividi lungo la schiena. Sospirò. Prima iniziava, prima finiva e tornava a casa, davanti al suo bel camino acceso.

"Ciao ragazzi".

La voce di Jutta lo raggiunse alle spalle. Si voltò. La fatina volava sulle teste dei due gatti, allegra e all'apparenza incurante del gran gelo che li avvolgeva.

"Certo che io non ti capisco! Potresti startene al calduccio nella tua casetta di fata e invece te ne svolazzi in giro col tuo vestitino a mezze maniche, come se fossimo in piena estate".

Jutta rise, volando sulla sua testa e sedendovisi sopra. "Oh, io non lo soffro per niente il freddo. Solo un po’ quando nevica, la sera. Ma ancora non è sceso neanche un fiocco, quest'anno".

Mattheus sospirò, esasperato da quel suo dannato vizio di sedersi sulla sua testa. Si chinò sforzandosi di far finta di nulla e riempiendo il primo secchio d'acqua.

"Beh, per fortuna! Se nevicasse, io non riuscirei a venire qui ed ho grandi progetti per questo Natale, l'acqua del lago mi serve".

"Fai qualche offerta natalizia per gli abitanti di Pennes?" - chiese la fata.

"Ma quale offerta!? Scherzi, questo è il momento di gonfiare i prezzi e di incrementare i guadagni! Partirò e andrò a Bozen, nelle settimane di Natale. Farò affari d'oro con la mia acqua, in quella città".

La fatina spalancò gli occhi. "Vuoi andare a Bozen? Ma perché? E' Natale!".

"E allora? Il Natale è foriero di buoni affari, se lo sai sfruttare".

"Ah, Mattheus...". Jutta scosse la testa, sconsolata. "Soldi, soldi e ancora soldi! Che ne è del tuo spirito natalizio? Il Natale lo si festeggia a casa propria, al calduccio ed insieme alla propria famiglia o alla propria gente. Che ti salta in mente di andartene a Bozen proprio ora?".

Mattheus sbuffò. Non aveva voglia di affrontare con lei quell'argomento e di sentire le sue paternali. Voleva solo andare a Bozen e cambiare aria e Natale sarebbe stato perfetto per farlo.

Non preoccuparti del mio spirito natalizio, lo sfodererò a Bozen. Ti ricordo che è una grande città, che nella piazza organizzano un meraviglioso mercatino di Gesù Bambino e che c'è una grande Chiesa dove andrò pure a Messa la notte di Natale, se mi andrà di farlo. Come vedi, il mio spirito natalizio è salvo".

In tutta risposta, Jutta gli tirò una ciocca di capelli.

"Ah, zitto somaro! Tu devi restare qui, con la tua famiglia".

"Non ho una famiglia!".

Jutta indicò i due gatti che sonnecchiavano sul carretto. "E loro? Falko e Drago sarebbero contenti di averti con loro e la loro famiglia, la notte di Natale".

"Hai detto bene, la LORO famiglia. Non la mia!" - obiettò Mattheus.

Jutta scosse la testa.

"Tu per loro sei una famiglia. Ti vogliono bene e ti saranno grati a vita per ciò che hai fatto per loro".

"Ma io voglio lo stesso andare a Bozen".

"Mattheus...". Con un sospiro, la fata volò su un masso, sedendosi sopra incurante del freddo. "Cosa c'è? Sei un'anima in pena... Cosa cerchi, cosa vuoi?".

Sbuffando, Mattheus caricò un altro secchio d'acqua sul carro. "Fare dei buoni guadagni, ecco cosa voglio! C'è qualcosa di male in questo?".

"No, ma...". Jutta si bloccò e poi il suo viso si illuminò in un sorriso. "Guarda, ci sono Belle e Blue!" - esclamò, volando verso i due unicorni che, silenziosi, erano spuntati come dal nulla sulle rive del lago.

Mattheus sorrise, piacevolmente sorpreso, avvicinandosi anch'esso ai due splendidi animali. Belle era bellissima e radiosa ed il piccolo Blue era cresciuto, tanto da essere ormai alto quasi come la madre. Erano gli esseri magici più belli che avesse mai visto, ogni volta che li incontrava ne restava affascinato. Era raro vederli a passeggio, lontani dal loro ambiente e se si erano spinti fino al lago significava che non c'era in giro anima viva oltre a loro, il che non stupiva Mattheus visto il gelo di quei giorni. Li accarezzò sul muso, delicatamente.

"E' molto che non ci vediamo, eh?".

In tutta risposta, il piccolo Blue nitrì contento. Era vivace come tutti i cuccioli e spesso, quando si era recato da loro in quei tre anni, l'aveva inseguito nelle sue corse sfrenate.

Mattheus gli sfiorò il collo dove ancora c'era il nastrino azzurro che Elke gli aveva annodato tre anni prima, il giorno in cui era nato. Quel nastrino era ancora come nuovo, lindo e pulito: la magia degli unicorni lo aveva preservato dallo sporco e dal logorio del tempo rendendolo quasi un tutt'uno col piccolo Blue, come se fosse cresciuto assieme a lui. Con l'indice della mano accarezzò il nastrino, deglutendo, lasciando la presa solo quando si accorse dello sguardo insistente di Jutta.

"Cos'hai da guardare?" - sbottò, seccato.

Jutta alzò le spalle, non smettendo di guardarlo in viso.

"Niente, proprio niente".

Distolse lo sguardo da lei, quasi imbarazzato. Odiava quando Jutta faceva così, quando se ne stava zitta ma in realtà gli stava leggendo nella mente. "Bene". Accarezzò ancora brevemente i due animali e poi li lasciò proseguire nella loro passeggiata, restando ad osservarli mentre si allontanavano in silenzio. Finì di riempire i secchi d'acqua, riempiendo il suo carretto senza aprire bocca, considerando in quel momento il silenzio come il suo migliore amico. Alla fine di tutto quel lavoro era sudato e non sentiva più il freddo. Legò Falko e Drago al carro e fece loro cenno di incamminarsi.

"Jutta, buon Natale! Ci rivediamo qui fra... un po’" – disse, sbrigativo.

"Buon Natale e buon viaggio. Spero troverai quel che cerchi, a Bozen" – rispose la fata, sospirando.

"Oh, lo troverò di sicuro. Denaro e guadagni a volontà, non riesco ad immaginare un Natale più dolce di questo".


...


Tornarono a Pennes che era ormai buio. Ritrasformò Falko e Drago e dopo averli salutati e mandati a casa loro si chiuse dentro casa sua. Accese il camino nella sua stanza e si gettò sul letto, pensieroso; aveva molto da fare, in vista del viaggio: la cantina era piena d'acqua che il giorno dopo avrebbe travasato nelle provette da portare a Bozen per poi partire. Non vedeva l'ora.

Si rannicchiò fra le coperte, mentre il silenzio lo avvolgeva. Era stanco e di cattivo umore. Non sapeva se era per le parole di Jutta o per quel nastro azzurro al collo di Blue, dato che ogni volta che lo vedeva il suo stomaco si contraeva dolorosamente. Anche lui aveva un nastro identico nel cassetto del suo comodino e ricordava quanto aveva urlato dietro a Elke, quando glielo aveva legato al polso. Eppure lo aveva tenuto e, anche se rifiutava di ammetterlo persino a se stesso, teneva a quell'oggetto più di qualsiasi altra cosa, tanto che lo aveva eletto a suo porta fortuna nei suoi viaggi di lavoro. Aprì il cassetto del comodino, prendendolo fra le mani. Era un nastro liscio, lucido, adatto ai capelli di una ragazza. Sarebbe stato bene ad Elke e di certo ne avrebbe fatto miglior uso rispetto a lui. Aveva ancora con se, nel suo armadio, gli altri nastri appartenuti alla ragazza e il suo arco. Li aveva conservati, forse illudendosi stupidamente che sarebbe tornata indietro a riprenderseli. O forse perché non aveva avuto il coraggio di buttarli via...

Fece scorrere il nastrino fra le dita. Erano passati tre anni da quando Elke se n'era andata e ancora si stupiva di quanto il ricordo di una semplice ragazzina che era entrata nella sua vita per pochi mesi riuscisse a farlo soffrire. Gli era mancata e gli mancava ancora. Pensava a lei ogni tanto, in silenzio; a ciò che erano stati ed alla persona che lei poteva essere diventata. Era in gamba, forte ed intelligente, gentile e ironica, sempre col sorriso sulle labbra e con una grande pazienza davanti ai suoi modi da orso, come li chiamava lei. La verità era che gli sarebbe piaciuto rivederla e riabbracciarla, scherzare con lei ed averla ancora per casa. Era una verità dolorosa che faticava ad accettare, un desiderio che riusciva a stordirlo e a confonderlo e allo stesso tempo talmente forte da toglierli il sonno. La desiderava, in mille modi, e questo gli faceva paura perché non aveva mai provato nulla del genere per nessuno e perché era consapevole che lei non sarebbe mai tornata. Dopo tre anni sarebbe stato stupido anche il solo sperarlo. Ora sapeva che erano stati, l'uno per l'altra, solo una breve parentesi nell'arco delle loro vite,.

"Saresti diventata una bravissima assistente, se fossi rimasta ora sapresti tante cose quante ne so io. Sei stata il mio più grande errore Elke... E non mi perdonerò mai per averlo commesso".


...


All’alba di due giorni dopo la carrozza ed il cocchiere che aveva ingaggiato per andare a Bozen erano davanti a casa sua. Si strinse nel mantello, caricando le sacche contenenti le ampolle dell'acqua sulla carrozza e al contempo maledicendo quel freddo pungente.

Falko e Drago erano venuti a salutarlo, nemmeno loro troppo entusiasti della sua partenza.

"Dai, cambia idea! Sarà bello festeggiare tutti insieme il Natale".

"Finitela, ho deciso! Starò via solo poche settimane, non è mica la fine del mondo".

Drago scosse la testa. "Sì ma... è Natale! Non dovresti passarlo da solo".

Mattheus sospirò, salendo sulla carrozza. "Passo il Natale da solo da molti anni e l'ho sempre trovato piacevole e rilassante. Non preoccupatevi per me".

Chiuse la porta della carrozza, pensando a quanto aveva appena detto: era stato così per tanti anni, per tanto aveva pensato al Natale come a un periodo di silenzio, contemplazione e meditazione. Ma adesso che cosa provava? Scosse la testa, stupito dal fatto che stesse perdendo tempo a pensare a una cosa tanto stupida.

"Buone feste ragazzi" - disse frettolosamente, picchiando sul soffitto della carrozza, per far segno al cocchiere di partire. Si rannicchiò nel suo mantello di lana, cercando di scaldarsi, guardando fuori dal finestrino le vette delle Dolomiti che lo avrebbero accompagnato in quel viaggio.

Durò quasi una settimana. Bozen non era così lontana da Pennes ma il tragitto fu funestato da violente piogge, tempeste di vento e dalle prime tormente di neve. Quando la città apparve all'orizzonte gli sembrò quasi un sogno. C'erano stati momenti, durante il tragitto, in cui aveva creduto che non sarebbe mai arrivato.

Bozen era grande, piena di gente dalle mille personalità e dalle mille ambizioni; era diversa dalla piccola, sonnacchiosa Pennes, più stimolante ma anche piena di tentazioni pericolose. Mattheus la ricordava bene, ci era stato parecchie volte da ragazzino insieme a Jakob ed al suo amico Werner, che ora ci viveva laggiù. Non lo vedeva da quando si era presentato a casa sua tre anni prima chiedendogli la sua acqua e ficcando il naso nella sua vita. Non l'aveva più né visto né sentito e del resto si sarebbe stupito del contrario. Comunque non era arrivato fin lì per rivederlo e non aveva la minima intenzione di cercarlo per una visita di cortesia. Era lì unicamente per lavorare.

La carrozza si fermò nella piazza principale, piena di bancarelle di legno che vendevano leccornie, decorazioni natalizie e piccoli giochi per bambini. Nevicava debolmente e tutto sembrava magico, ma bastava uno sguardo più attento per capire che non era tutto così perfetto e luminoso: alle case eleganti e raffinate si alternavano case fatiscenti, le strade e la piazza erano sterrate e piene di fango e attorno a lui, oltre le piccole bancarelle e il grosso abete addobbato con nastri e candele, poteva scorgere tanta povertà e miseria, tipica delle cittadine più grandi. Persone senza casa se ne stavano rannicchiate sotto i portici della piazza, cercando calore in piccoli fuochi di fortuna accesi con legnetti trovati qua e là, bimbi scalzi e sporchi correvano fra la gente, senza un adulto che li guardasse e guidasse nella crescita. Bozen era anche questo, non solo grandi e maestose Chiese del centro e i pochi signorotti di paese, in numero così inferiore rispetto a chi moriva di fame. Nelle grandi città ci si conosceva solo in modo superficiale e nessuno si prodigava preoccupandosi per te in caso di bisogno, mentre nei piccoli borghi come Pennes tutti si conoscevano e, nonostante la mentalità chiusa e a volte bigotta, ognuno era pronto ad allungare una mano per aiutare il proprio vicino in difficoltà. Sospirò, pensando che era inutile preoccuparsi e che lui non poteva farci niente. Prese le sue sacche sulle spalle, pagò il cocchiere e mentre calava il buio della sera, si avviò a piedi verso la locanda più confortevole di Bozen, che per quell’anno sarebbe stata la sua casa per Natale.

  
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