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Autore: IamNotPrinceHamlet    02/11/2017    2 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel capitolo precedente: Meg e Angie invitano a casa loro Grace e Laura per una serata tra ragazze, Meg usa Angie come modella per un dipinto, Jeff e i ragazzi telefonano da Los Angeles, le ragazze fanno il gioco della verità e salta fuori che l’interesse di Eddie per Angie, e viceversa, non era passato inosservato neanche alle altre due amiche. I ragazzi sono in un bar, Sean è uscito in accappatoio e stivali per una scommessa, si parla delle ragazze e dell’eventualità che li raggiungano in tour, una parte è convinta che qualcuno verrà, l’altro gruppo pensa di no, scatta un’ulteriore scommessa, perfezionata dallo stesso Eddie: si farà una serata nella peggiore discoteca dei dintorni a cui i perdenti dovranno partecipare vestiti da Village People. Angie si sveglia sola in casa dopo la serata con le amiche e dopo un sogno molto strano su Eddie, mentre si prepara un bagno riceve le telefonate di Dave Grohl, che le rivela che sta frequentando un’altra ragazza, e dello stesso Eddie mentre è in vasca, Angie si vergogna di dire che è nella vasca da bagno e giustifica i rumori e l’uso del vivavoce con il dover lavare i piatti, i due parlano della cassetta fatta da Angie per Eddie e quando la ragazza si sorprende ad accarezzarsi un seno senza accorgersene mentre lui parla è imbarazzatissima e vorrebbe sotterrarsi, anche se lui non può saperlo.

 

“Tutto a posto, le ore piccole le ho fatte io con gli altri in giro per Los Angeles, praticamente sono tornato un'ora fa” forse un po’ di più in realtà, quasi due. Ho rinunciato alla colazione con gli altri e sono tornato in albergo con una scusa… a dire il vero non ricordo nemmeno se mi sono preso la briga di inventarmi una scusa o meno. Di sicuro nessuno mi ha chiesto niente. Sono arrivato qui e avevo già il telefono in mano quando mi sono sentito improvvisamente stupido e l'ho rimesso al suo posto. Poi l'ho ripreso e ho iniziato a fare il numero, ho messo giù a metà perché mi sono ricordato che dopotutto era mattino presto e forse non era il caso di romperle i coglioni a quell'ora. Ma avevo troppa voglia di sentirla. La conclusione è che ho passato due ore sul letto vestito, con il telefono appoggiato sulla pancia, a contare le macchie sulla carta da parati e a fantasticare su Angie, cosa stesse facendo, se fosse già sveglia, che pigiama avesse indosso, cosa avesse sognato questa notte, indeciso se chiamarla o no. Quando l'orario mi è sembrato accettabile, ho meccanicamente sollevato la cornetta e composto il numero, trovandola fortunatamente sveglia.

“Eheh posso immaginare, ma ora sei in camera?”

“Sì, sono a letto” specifico, non so esattamente perché, forse per creare una maggiore intimità, perché dirle con precisione dove sono e cosa sto facendo mi da l'idea di averla più vicina.

“Aspetta, prendo una rivista e ti leggo qualcosa” sul momento non mi rendo conto di cosa intende dire, sarà la stanchezza o sarà che sono focalizzato sulla sua voce e su quanto sia dannatamente sexy al telefono. Voglio dire, la sua voce è sempre bella, calda e profonda, leggermente afona e calante di tanto in tanto, il che la rende ancora più intrigante. Ma al telefono, non so per quale cazzo di fenomeno acustico, la voce di Angela sembra sempre più presente, più mirata, come se uscisse dalla cornetta e mi entrasse direttamente nel cervello, senza attraversare nessuno spazio esterno, dandomi allo stesso tempo la sensazione di esserne completamente avviluppato. E ho anche la vaga impressione che tenda a salire di mezzo tono quando parla al telefono, non troppo, giusto un pelo, soprattutto sul finale delle frasi. Questa cosa mi fa impazzire e da anche una certa dipendenza, la tengo ore al telefono con la scusa del sonno e del patto da rispettare, quando in realtà crollerei tranquillamente anche da solo, semplicemente perché non riesco a smettere di ascoltarla.

“Oh no no, tranquilla! Non devo dormire! Cioè, sì, dovrei, ma non ti ho chiamata per quello” oggi non voglio limitarmi ad ascoltarla, voglio parlarci.

“Sicuro?”

“Certo, sicurissimo. Ma cos'è questo strano rumore che sento? Sembra acqua” per un attimo ho una specie di dejà vù, solo che non si tratta di un già visto ma di un già sentito. Penso sia il più classico flashback da trip, infatti giuro di aver sentito lo stesso identico sciabordio d'acqua sul portico di Cameron Crowe all'ultimo dell'anno, quando ero strafatto ed Angie mi parlava e io la vedevo come una sirena adagiata sugli scogli, su cui s'infrangevano le onde. O forse è solo che al mio inconscio piace fare questa associazione di idee in modo da farmi ripensare ad Angie vestita solo di capelli e conchiglie.

“Rumore? Ah, sì, ehm, sembra acqua perché… perché è acqua, sto… sono in cucina, sto lavando il casino di piatti, bicchieri e ciotole di ieri sera” risponde lei incerta, forse un po’ imbarazzata per essere stata scoperta, magari non voleva sapessi che stava facendo altro mentre mi parlava. Ma io non mi offendo di certo.

“Ah capisco, povera!” le offro un po’ di sostegno mentre immagino me stesso incastrato tra la sua spalla e il suo collo al posto della cornetta del telefono.

“Anzi, ti dispiace se metto in viva voce? Così posso continuare, sai com'è” aggiunge e la bolla delle mie fantasie scoppia di colpo.

“Ma ti disturbo? Se vuoi ti chiamo dopo…” forse non è imbarazzata, forse sta solo cercando di dirmi tra le righe e molto delicatamente che le sto rompendo i coglioni.

“NO!” grida lei dall'altra parte e mi pare di vederla mentre si agita così tanto che il telefono le sta per scivolare e nel recuperarlo fa ricadere un piatto o un bicchiere nel lavello “Ehm, no figurati, mica mi disturbi, mi fa piacere sentirti”

“Ok… beh come stai? Ieri non c'è stato modo di parlare più di tanto” le chiedo e mentre mi parla dell'università e mi rivela di aver seguito il mio consiglio accettando il voto dell'esame, cerco di capire se sia solo una frase di circostanza o se le faccia piacere veramente.

“Hai fatto bene, sono contento. Senti… volevo chiederti due cose…” azzardo io, visto che non ha ancora detto niente e la cosa mi sembra molto strana.

“Va bene, spara”

“La prima è se per caso hai ricevuto qualcosa in questi giorni” mentre parlo cerco di srotolare il filo del telefono che penso si porti dietro minimo tre anni di nodi.

“Qualcosa? Qualcosa cosa?”

“Un pacchetto, per posta…” mi sa che non l'ha ricevuto.

“No, perché? Che pacchetto?” appunto.

“Uhm no, niente” mi mordo la lingua perché la mia curiosità e la mia impazienza mi hanno portato a rovinare parte della sorpresa. E a scatenare l'ira di Angie che, come mi aspettavo, mi urla dietro per obbligarmi a parlare e quasi lo rompe davvero un bicchiere.

“… eheh, no, tranquillo, non spacco nulla” ride lei imbarazzata e non so dove lo ha appoggiato il telefono in questo momento, ma ovunque l'abbia messo so per certo che lei si è voltata dall'altra parte, come se potessi vederla arrossire anche da qui. E in questo momento non vorrei nient'altro che poterla vedere, avvicinarmi alle sue spalle mentre è intenta a lavare i piatti, abbracciarla forte e appoggiare il mento sulla sua spalla e la guancia sulla sua per sentirla calda. Chissà se li sta lavando in pigiama quei piatti, chissà se ha addosso la mia vestaglia preferita. Chissà come sarebbe infilarci le mani sotto e…

“Comunque è un pensiero per te, l'ho spedito prima di partire e a quanto pare ho sopravvalutato la velocità del servizio postale a Seattle” le confesso e mentre lo faccio sono ancora piuttosto incredulo: è possibile che non l'abbia ricevuto? E se invece le fosse arrivato? Magari era… troppo… o magari non le è piaciuto quello che le ho scritto.

“Un pensiero? Per cosa?” per cosa? Come se ci fosse bisogno di un motivo

“Per te, te l'ho detto. Posso passare alla seconda domanda?” cerco di cambiare argomento perché sento che se continuiamo su questo discorso, tra la scarsa lucidità, le mie fantasie su di lei e la mancanza di ore di sonno, potrei spiattellarle tutto in un colpo e magari non avrò le idee ben chiare su cosa farci con i miei sentimenti per lei, ma non li ho certo tenuti per me tutto questo tempo per poi comunicarglieli così a cazzo per telefono.

“Sì…” le cose o si fanno per bene o non si fanno, porca puttana.

B-52s?” sorrido pensando alla cassettina che ho praticamente consumato da quando siamo partiti.

“Ahahahah li adoro! Non ti piacciono?”

“Non è il mio genere, ma sì, è carina” ma lo dovevo dire per forza che non è il mio genere? Ma perché devo fare sempre lo stronzo?

“E poi quel pezzo è azzeccatissimo per il viaggio” io sapevo anche che aveva una serie di doppi sensi al suo interno e una gran parte di quei doppi sensi li sperimenterei volentieri con la ragazza all'altro capo del telefono.

“Devo dire che sono rimasto piuttosto sorpreso”

“Hai sentito solo quella?”

“Ma figurati, l'ho ascoltata tutta durante la prima ora di viaggio…” e mica una volta sola.

“E che ne pensi?”

“Mi è piaciuta molto, ma, ripeto, alcune cose mi hanno stupito” ribadisco e cerco di farle capire che non è che mi sia piaciuta la selezione di canzoni di per sé, non solo, ma adoro il modo in cui le ha messe assieme e, in generale, tutto quello che ci sta dietro. Cioè, si capisce che c'è tutto un lavoro dietro, una scelta non casuale, una sequenza studiata. Insomma, è chiaro che ci ha messo del tempo per farla, tempo in cui deve per forza aver pensato a me, e la cosa mi piace.

“Allora promossa?”

“Super promossa, col massimo dei voti” ma se vuoi ridare l'esame, anche più volte, io non mi offendo eh.

“Grazie prof!”

“E poi ci sei tu lì dentro, insomma, ti rispecchia in tutto, perciò è perfetta” perché tu sei perfetta, è questo il messaggio tra le righe, ma lei non sembra coglierlo, o forse non vuole farlo.

“Avevi detto che volevi conoscere la musica che per me è casa. Ovviamente quella è solo una parte, non ci stava tutto in una C60…” forse non hai capito che io voglio conoscere tutto quanto. Le cose che vorrei sapere di te, probabilmente non basterebbe una vita a pronunciarle tutte, altro che una C60.

“Allora me ne aspetto altre, magari anche di C90, che dici?”

“Eheh va bene, aggiudicato. Però a questo punto dovresti ricambiare anche tu, insomma, anch'io sono curiosa di conoscere la tua casa” la porta di casa mia è già spalancata per te, non serve nemmeno che bussi. Ma una volta conosciuta la mia casa, vorrei che mi prendessi e mi portassi via, da te, a vivere nella tua, nel tuo cuore e nel tuo letto. Cristo, io non lo so che mi prende, so solo che se avessi sentito le sue ultime parole dal vivo, pronunciate con quella voce, magari mentre mi offre un sorriso sghembo, con le mani ancora nell'acqua, forse… anzi, no, senza forse, sicuramente non avrei resistito e l'avrei baciata, toccata, stretta e se lei non mi avesse fermato o respinto sarei andato oltre, avrei anche fatto l'amore con lei su quel cazzo di lavandino.

“Mmm vedrò cosa posso fare” e tra le cose che posso fare, la compilation su cassetta è di certo l'ultima cosa a cui sto pensando in questo momento, anche a giudicare da cosa sta accadendo nei miei pantaloni.

Merda.

“Ci conto. Senti, suonate domani, giusto?” Angie parla, ma io non capisco esattamente il senso delle sue parole, anche perché è come se tutto il mio sangue fosse confluito là sotto, lasciando totalmente scoperto il cervello che al momento viene considerato un organo superfluo “Eddie? Ci sei? Sei sveglio?”

“EH?! Sì sì, scusa, mi ero distratto” torno brevemente in me, mi do una sistematina veloce e mi metto a sedere sul letto raddrizzando il cuscino dietro alle mie spalle, come se bastasse evitare la posizione distesa per azzerare i pensieri sconci.

“Ti stavi addormentando? Forse è meglio se riposi un po'”

“Nah, tranquilla, non sono stanco, dormirò quando sarò morto” o quando se ne andrà a dormire il mio uccello.

“Eheh come dice Warren Zevon”

“Conosci anche lui? Sono sempre più stupito” sono stupito e mentre mi stupisco cerco di pensare alla frangia rossa e alla barbetta del cantautore di Chicago per farmi passare qualsiasi tipo di eccitazione, ma Angie continua a parlare e la cosa non mi aiuta. Ma che cazzo?

“Quella la conoscono tutti…”

“Non proprio tutti” sarà che non faccio sesso da… da quanto? Il fatto che non me lo ricordi la dice lunga.

“Comunque ti avevo chiesto del concerto di domani sera. Sei pronto?” mi domanda con lo stesso tono in cui Paul Heaton mi chiederebbe di alzarmi e raggiungere la Carovana dell'amore, o almeno è così che suona alle mie orecchie.

“Prontissimo, non vedo l'ora”

“Beh, se dormi un po’ il tempo passa più velocemente”

“Non mi va di dormire, anzi, dopo aver chiuso con te mi sa che andrò a cercare un po’ di onde, c'è una spiaggia niente male qui vicino” rinfrescarmi le idee, ecco quello che mi serve.

“Ma si fa surf anche adesso? Non fa freddo?” è proprio quello che spero.

“Mmm no, la temperatura è gradevole. E’ l'acqua che è gelata” un bagno ghiacciato è quello che ci vuole per raffreddare i bollenti spiriti.

“Appunto! Come fai?”

“Va beh, basta mettersi la muta”

“Aaaaah, con la muta!”

“Eheheh per forza, se no muori assiderato” anche se in realtà dipende, a volte ci può essere un'acqua fresca ma piacevole anche tra febbraio e marzo.

“Ma le parti che non sono coperte dalla muta non si assiderano ugualmente? Me lo sono sempre chiesta, la testa per esempio”

“Nella mia non c'è molto da congelare, quindi non ho mai avuto problemi” giusto adesso è meno vuota, è piena di immagini hardcore di me con Angie e se rimanessero congelate nella mia mente sarebbe un bel problema.

“Ahahahah questa era un po’ scontata”

“Avete ragione, mia regina, mi perdonate questo scivolone nella comicità spicciola?” scherzo mentre mi do una seconda aggiustatina, che forse dura un po’ più del normale.

“Cazzo!” la sento esclamare di soprassalto.

“Che succede? Tutto ok?” mi sfilo velocemente la mano dalle mutande e lo so che è impossibile, ma per un attimo ho come il terrore che mi abbia visto fare quello che stavo facendo.

“Sì sì, scusa, è che… mi stava cadendo un piatto! L'ho preso al volo eheh”

“Colpa mia che ti distraggo?” non sai quanto mi stai distraendo tu.

“Ma no, figurati! Comunque, ti lascio andare al surf se vuoi” ma col cazzo.

“Ho tutto il giorno per surfare, ci posso andare quando voglio. Adesso preferisco parlare ancora un po’ con te, se ti va” insomma, devo riprendere il controllo di me stesso, basta farsi film porno mentali! Angie non è un oggetto sessuale, è una ragazza che mi piace da morire, nella sua totalità. E poi com'è che questi ormoni si scatenano adesso che siamo lontani migliaia di chilometri?

“Certo che mi va” risponde con un sorriso che esce dalla cornetta e mi avvolge come una coperta calda.

“Perfetto.” proseguo girandomi su un fianco e pregando che Jeff aspetti ancora un po’ prima di rientrare “Allora, vogliamo parlare dei Violent Femmes?”

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Mi sveglio di soprassalto e, anche se non ho la possibilità di guardarmi dall'esterno, mi rendo conto che si è trattato del classico risveglio angosciato da film, in cui apri gli occhi e contemporaneamente ti sollevi ansimando e stringendo le coperte fino a sederti sul letto. Rimango così, col cuore che batte a mille e una bruttissima sensazione che mi opprime e non basta rendermi conto che è stato solo un sogno per farmela passare. Mi alzo, mi faccio la doccia e mi vesto ed evidentemente ci sto ancora sotto perché, quando raggiungo Meg in cucina, la mia coinquilina allarga gli occhi ancora addormentati non appena mi vede.

“Che è successo?”

“Buongiorno anche a te, Meg”

“Che faccia hai?” insiste aprendo il barattolo dello yogurt e leccandone il coperchietto.

“La stessa che ho avuto negli ultimi 18 anni, perché?”

“Hai la faccia scura. Dormito male?”

“Beh, in realtà sì. Ho fatto un sogno bruttissimo” rispondo mentre verso cereali e latte in una tazza.

“Del tipo?” Meg tuffa il cucchiaino nello yogurt senza distogliere il suo sguardo semi-vigile da me.

“Mmm no, non mi va di raccontarlo”

“Non cercherò di interpretarlo, promesso!”

“Eheh no, non è per questo. E’ che… era davvero brutto, ecco, preferisco non parlarne” l'idea stessa di raccontarlo mi inorridisce, come se dirlo a qualcuno lo rendesse in qualche modo plausibile o reale.

“Va bene. Dopo la nottataccia, sei pronta per il turno della mattina?”

“Prontissima! Adoro lavorare al mattino” non perché non mi piaccia dormire, anzi, condivido la passione per il sonno con Meg, nonostante gli incubi indesiderati. E’ solo che al mattino, non so per quale strano motivo, il tempo passa più in fretta, per lo meno quando sei al lavoro. A scuola le mattine sembrano eterne e paiono costituire il 90% della tua vita, invece al lavoro è l'opposto. Forse è perché faccio lavori in cui ho a che fare con dei clienti: le persone che vengono al minimarket o, come nel caso di oggi, alla tavola calda di mattina hanno le idee chiare, escono col chiaro intento di comprare qualcosa o di fare colazione, sanno quello che vogliono, vanno di fretta e non hanno voglia né di perdere tempo né di rompere i coglioni inutilmente o per il solo gusto di farlo; quindi va a finire che servi un sacco di persone una dietro l'altra, ti fai il culo e generalmente fila tutto talmente liscio che le ore passano e nemmeno te ne accorgi e magari il tempo scorre così veloce che non hai tempo di portare a termine tutte le altre mansioni collaterali che dovevi fare.

“Tu sei malata” commenta Meg col cucchiaino in bocca, guardandomi e scuotendo la testa spettinata. E la cosa mi fa venire in mente che…

“Senti, stasera hai qualche impegno?”

“Perché? Dove mi vuoi portare?” mi domanda improvvisamente risvegliata dalla curiosità.

“Da nessuna parte, è che volevo chiederti un favore”

“Non mi porti mai da nessuna parte!” Meg recita la parte della moglie trascurata alla perfezione “Spara, su”

“Mi potresti fare i capelli?”

“Eheh ok, stasera tornerò più tardi, ma magari tu comincia a farti lo shampoo, poi quando arrivo te li spunto, tranquilla” Meg si alza e butta il vasetto ormai vuoto dello yogurt nel cestino, trascinandosi poi verso la porta della cucina con una tazza di caffè uscita da chissà dove in mano.

“Ok, grazie. Comunque non è che li spunto, cioè, vorrei tagliarli un po’ di più magari…” rispondo alzando leggermente la voce mentre tamburello con le dita sul tavolo.

“Va bene, te li scalo un po’ sul davanti come l'altra volta, ok?”

“No, ecco, io pensavo proprio di fare un bel taglio. Vorrei cambiare, sono sempre uguale cazzo, mi sono stufata!”

“Un bel taglio… quanto?” Meg torna lentamente sui suoi passi e tira indietro il ciuffo scoprendo gli occhi ancora semi-chiusi.

“Beh un po’… più del solito… tipo alle spalle”

“ALLE SPALLE?? MA SEI SCEMA?!” la mia amica appoggia la tazza sul tavolo con poca grazia e strabuzza gli occhi, finalmente aperti e completamente svegli.

“Perché cazzo gridi? Che c'è che non va? Se devo fare una cosa, tanto vale farla bene, no?”

“Ma guarda che lunghi alle spalle vuol dire fin qui” Meg prende in prestito il cucchiaio con cui non ho ancora iniziato a mangiare i miei cereali e me lo punta all'altezza della testa dell'omero.

“No! Ma dai?! Grazie per la lezione di anatomia, Meg” ribatto riprendendomi il cucchiaio.

“Non fare la spiritosa, Angie. Hai i capelli lunghi fino al culo e anche se sei piccolina la distanza tra le tue spalle e il tuo culo è comunque considerevole. Vorrebbe dire tagliare tanto così” spiega allargando le mani per indicare la lunghezza approssimativa.

“Ti basta per farci una parrucca?”

“Angie, te ne pentiresti amaramente”

“No, invece. Te l'ho detto, mi sono stancata di essere sempre… sempre uguale a me stessa. Sono così da quando sono bambina. E adesso non sono più una bambina, sono un'adulta! Non posso fare un cazzo con questi capelli, il massimo del cambiamento è fare la riga da parte anziché in mezzo o fare la coda. Non si arricciano nemmeno, la piega mi dura mezz'ora. Voglio cambiare, mi sono rotta le palle di questi capelli da bambola. E poi dovermi prendere una serata libera ogni volta che devo lavarli. Mi sembra di essere schiava di questi capelli di merda”

“I tuoi capelli sono bellissimi, se proprio vuoi dargli un po’ di movimento facciamo una permanente leggera leggera, che dici?”

“No! Voglio tagliarli, fine della questione. Ma poi, non sei tu che mi proponi sempre di cambiare pettinatura?”

“Cambiare pettinatura va bene, ma mi rifiuto di farteli fino alle spalle”

“Uffa!”

“Senti, te li taglio fin qui,” continua puntandomi indice e medio poco più su del centro della schiena “un bel cambiamento rispetto ad ora, ma non troppo drastico, così se per caso non ti piacciono fai sempre in tempo a farli ricrescere. Guarda che non sembra, ma i capelli fanno tanto, possono modificare la percezione dell'intero viso, potresti non riconoscerti neanche coi capelli così corti”

“Magari!”

“Te li taglio fin lì, prendere o lasciare” Meg chiude gli occhi e fa un respiro profondo prima di fare la sua ultima offerta, decidendo ignorare la mia battuta.

“Ok ok, prendo”

“Brava”

“Però allora mi fai anche il colore!”

“PURE IL COLORE? Senti, ho capito che vuoi voltare pagina, ma il colore no”

“Ma fai così anche con le clienti del salone? Li farai chiudere”

“Tu sei matta, hai i capelli neri naturali più belli che io abbia mai visto, non te li tocco neanche se mi paghi!”

“DAIIIIII”

“Che cazzo di colore vorresti fare, sentiamo”

“Io pensavo tipo… rosso”

“Ricomincio a sospettare che ti droghi, sappilo”

“O viola!”

“Tipico colore da persona adulta”

“Da quando in qua sei bigotta?”

“Vado a vestirmi và”

“Blu? Dai, giusto qualche ciocca”

“NON TI SENTO!”

“Uno shampoo riflessante?”

 

Dopo una lunga contrattazione portata avanti attraverso la porta del bagno e della sua camera, riesco a strapparle la promessa di un taglio di lunghezza media e delle schiariture, tanto per cominciare. Che poi sa benissimo che potrei andare da qualunque parrucchiere di Seattle e farmi fare qualsiasi cosa ai capelli, ma io so anche che lei non me lo perdonerebbe mai, quindi preferisco evitare. E forse lei sa anche questo. Una volta pronte, con le divise anni Cinquanta sotto i giacconi, stiamo per uscire dalla porta quando sentiamo suonare il campanello.

“Chi cazzo può essere a quest'ora?” mi chiedo imbronciata, ma cambio espressione non appena Meg apre la porta e vedo comparire il protagonista del mio sogno.

“Ehi ciao, Chris!”

“Un buon buongiorno alle mie vicine pref-” il cantante si blocca nel momento in cui lo prendo alla sprovvista placcandolo con un abbraccio stritolante.

“Che diavolo le prende?” domanda, con tutta probabilità indicando me, che ho ancora la faccia affondata nella sua giacca di pelle.

“Boh, è da stamattina che è strana. Vuole rasarsi a zero e farsi una cresta viola, dice che ha fatto un  incubo, mah”

“Non voglio rasarmi a zero” ribatto rivolgendomi per un attimo alla mia coinquilina, senza mollare la presa su Cornell.

“Ah allora hai cambiato fidanzato?” mi chiede Chris, perciò torno a concentrarmi su di lui, guardandolo indispettita.

“Non ho cambiato fidanzato”

“Generalmente le donne si tagliano i capelli quando si sono mollate col tipo”

“Non mi sono mollata con nessuno”

“Stai sempre con lo stesso allora?”

“Non sto con nessuno” ribadisco cercando di mantenere la calma e non arrabbiarmi come al solito alle sue battute.

“E’ per questo che hai bisogno di affetto?”

“Uffa, non posso semplicemente aver voglia di abbracciare un amico??”

“Tu non abbracci mai nessuno. Almeno non da sobria”

“Né da sveglia” aggiunge Meg, che viene prontamente fulminata da un mio sguardo.

“Sai qualcosa che io non so?” le chiede Cornell incuriosito.

“Eheh no no, era… per dire!” si corregge subito Meg in una maniera talmente finta che chiunque avrebbe sgamato in un nanosecondo.

“Comunque, tutto bene? Insomma, come stai?”

“Io sto bene, dolcezza, tu mi sa che hai ancora la febbre invece” risponde tastandomi la fronte per scherzo.

“Sicuro che vada tutto bene?” insisto cercando di fargli capire che sono seria.

“Sì, Angie, a parte la costante mancanza di cibo nel mio frigorifero, tutto ok”

“Allora sei venuto per questo? Non l'avrei mai detto!” commenta sarcastica Meg, allontanandosi poi verso la cucina.

“Non solo per quello”

“Posso chiederti una cosa, Chris?” gli domando sottovoce, nel momento in cui rimaniamo da soli, ancora abbracciati nell'ingresso.

“Non posso, Angie”

“Non puoi cosa?” chiedo perplessa.

“Sono già impegnato. E poi non sono il tipo giusto per te”

“Pff non era questo che ti volevo chiedere…”

“Ah no?”

“Eheh no, non sono interessata”

“E perché? Non sono niente male” ribatte fingendosi offeso.

“Volevo chiederti se sei felice”

“Eh?”

“Sei davvero felice, Chris?”

“No,” mi risponde improvvisamente serio “a te non posso mentire, dolcezza”

“Oh”

“Posso fregare tutti, ma non te, giusto?” aggiunge stringendomi a sua volta “Non sono felice”

“Chris…”

“Ho una pistola in tasca” questa volta invece me l'ha fatta e adesso sta lì a gongolare per la sua battuta fissandomi col suo sorrisetto ebete.

“VAFFANCULO, CORNELL” mi stacco da lui inviperita, ma anche sollevata, e mi scappa da ridere.

“Oh, adesso ti riconosco, finalmente!” Meg torna proprio in questo momento e ha in mano il bidone del succo d'arancia e un sacchetto di biscotti al cioccolato. Biscotti al cioccolato?

“E quelli da dove saltano fuori?” chiedo meravigliata.

“Dal mio nascondiglio segreto” risponde porgendo il tutto a Chris, che non aspettava altro.

“Grazie, Meg. Però danne qualcuno anche ad Angie, l'astinenza dagli zuccheri non le sta facendo per niente bene”

“Ah-ah”

“E non solo quella da zuccheri”

“CHRISTOPHER!” gli urlo in faccia inseguendolo in giro per l'appartamento per picchiarlo, mentre lui scappa cercando di non far cadere succo e biscotti e, allo stesso tempo, usandoli per farsi scudo, e Meg ci osserva, piegata in due dalle risate.

“E dai scherzavo!” protesta lui guardandomi dall'altro lato del tavolo della cucina e cercando di capire come fare a scappare, visto che gli sto di fronte e gli blocco la via di fuga verso la porta.

“Scherzavi facendo una battuta stupida e maschilista!”

“E no! Stupida sì, maschilista no! Quell'astinenza lì fa uscire di testa tutti, mica solo a te perché sei donna”

“Piantala!”

“Dai, mi arrendo”

“Non aspetto altro” commento sfregandomi le mani.

“Non mi puoi torturare se mi arrendo, mi appello alla Convenzione di Ginevra!”

“Mi ci pulisco il culo”

“Ahahahahahah siete uno spasso, continuate vi prego!” Meg se la ride ancora dalla porta della cucina.

“E va bene, dai, ti chiedo scusa, Angie. Ho sbagliato e ti chiedo umilmente perdono, non lo farò mai più” Chris appoggia il nostro cibo sul tavolo, si porta una mano sul cuore e una in alto per fare questa sottospecie di giuramento.

“Ok”

“Oh grazie!” recupera tutto e si avvicina a me.

“Ti darò una sberla sola, molto forte” rispondo appena ce l'ho sotto tiro e lo prendo sul braccio.

“Ehi! Quelle erano due sberle, non una!” protesta mentre tutti e tre torniamo verso l'ingresso.

“Ops”

“Vorrà dire che quello che ti avevo portato lo terrò per me…” buttà lì distrattamente mentre tiene biscotti e succo con una mano in modo da avere l'altra libera per aprire la porta.

“Perché? Che mi hai portato?” spingo la porta e la richiudo di botto.

“Te l'hanno mai detto che sei inquietante a volte?” chiede serissimo.

“Allora?”

“Tieni un attimo:” Chris mi passa il bidone e il pacchetto di biscotti e si infila una mano all'interno della giacca di pelle “il postino deve aver sbagliato cassetta, non chiedermi come, visto che tra Cornell-Cameron e Pacifico non c'è nemmeno una lettera in comune. Non so da quanto tempo è-” tira fuori un pacchetto e capisco immediatamente di cosa si tratta. Ecco perché glielo strappo letteralmente di mano.

“Oh grazie Chris, lo stavo proprio aspettando!” esclamo ridandogli succo e biscotti.

“Che cos'è? E comunque di lettere in comune ce ne sono, due con Cornell e tre con Cameron. Come mai non gliel'hai fatto notare? La Angie che conosco gliel'avrebbe fatto notare eccome? Ma che cos'è?” Meg mi insegue, mentre vado prima sul divano, poi in cucina e infine in camera col pacchetto.

“Ehi! Non sono più interessante adesso? Nessuno s'interessa della mia felicità? Non mi abbraccia più nessuno?” Chris ci chiama in lontananza.

“No! Vai pure, grazie Chris!” gli rispondo mentre cerco di chiudermi la porta alle spalle, ma Meg infila uno strategico piede per bloccarla.

“Ok, tanto ormai il cibo ce l'ho. Ciao dolcezza, ciao Meg!”

“Ciao!” lo salutiamo in coro quando mi arrendo e faccio entrare anche lei nella mia camera.

“Ah e se lo senti, dì a Eddie che anche a me piacerebbe ricevere un regalino. Insomma, non è bello sentirsi trascurati” Chris ricompare tutto d'un tratto fuori dalla porta della mia stanza facendoci saltare entrambe sul letto dallo spavento, per poi andarsene come se niente fosse.

“E’ un idiota” commento scuotendo la testa.

“Allora è questo che aspettavi! Che ti ha mandato Eddie?” la faccia di Meg si è trasformata di nuovo in quella dello Stregatto e so già che non potrò uscire da questa stanza senza aver prima aperto questo pacchetto davanti a lei, però ci provo lo stesso.

“Non lo so, dopo guardo, adesso è tardi” faccio per infilarlo in borsa e alzarmi, ma Meg mi tira di nuovo giù a sedere sul letto.

“Credi veramente di potertela cavare così?”

“Ehm no”

“Ok, allora muoviti, non abbiamo molto tempo”

“Ma se non abbiamo tempo…”

“Andiamo in macchina, così facciamo prima”

“Devo fare benzina”

“Prendiamo la mia. Dai, su!”

 

Mi arrendo e tiro fuori il pacchetto e finalmente lo osservo bene, finora non c'ero riuscita in tutto il trambusto. Carta gialla, il colore della follia, che mi riporta subito a una delle nostre prime conversazioni, su cui ha disegnato una cornicetta fatta di onde e scritto il mio nome e indirizzo a pennarello: la A appuntita e stretta, la N larga in orizzontale con le stanghette corte, la G tonda e arricciata, la I piccolissima sovrastata da un puntino invisibile e la E che si estende come una mano tesa. Non mi soffermo sulle altre lettere perché Meg sospira, incrocia le braccia e mi lancia uno sguardo eloquente come per dire ‘E allora?’. Come mio solito apro il pacchetto cercando di non romperlo, ma allo stesso tempo cerco di fare veloce per non fare spazientire Meg. All'interno c'è un altro pacchettino più piccolo e una busta con su scritto ’LEGGI PRIMA QUESTO’.

“C'è anche una lettera, la cosa si fa interessante!” incrocio lo sguardo di Meg che mi rivolge un ammiccante occhiolino.

“Sarà una cassetta” seguo le istruzioni e apro la busta, non leggo ad alta voce, ma non ce n'è bisogno dato che Meg sbircia senza ritegno e io non ci provo neanche a nascondergliela:

 

Signorina Pacifico,

 

o avrei dovuto dire Sua Maestà? Mi sembra di vedere la tua faccia in questo momento e nella mia visione stai sorridendo. Questo perché hai aperto la busta prima di scartare il regalo, so che farai così, che rispetti sempre le regole e ti piace farlo. Se invece avessi deciso di stupirmi e sovvertire le regole e aprire per primo il pacchetto, probabilmente la tua espressione sarebbe un po’ più corrucciata, per non dire incazzata, ma altrettanto gradita dal sottoscritto come visione. Ecco… questo è un regalo per te. E’ esattamente l'1:01 di notte di venerdì 1 Febbraio. Alle 7 partiamo per la California e per l'inizio del nostro primo vero tour. Questo l'ho preso per te con un po’ di coraggio 71 minuti fa. Volevo a tutti i costi che tu l'avessi come simbolo di questa notte, di questo momento, di quel QUI E ORA su cui sono tanto fissato e per cui tu mi prendi così deliziosamente in giro. Io ne ho una… tu ne hai una… siamo legati e siamo vivi. E ancora, che questo possa essere un simbolo anche di quello che siamo e che saremo. Con un altro po’ di coraggio.

 

Con affetto, Eddie

 

 

“Cazzo” mormoro io, totalmente incurante di chi o cosa mi stia attorno.

“O. MIO. DIO.” scandisce Meg teatralmente “Questo è… è…”

“E’ un coglione”

“Un cogl… come un coglione?” la mia amica mi sta probabilmente guardando con due enormi punti interrogativi al posto degli occhi.

“IO LO AMMAZZO” ringhio mentre strappo senza ritegno l'incarto del secondo pacchetto. E’ una scatoletta, ne apro un lato e guardandoci dentro vedo una vecchia lampadina incrostata.

“Cos'è?” sono così sconvolta che non la tiro neanche fuori dalla scatola e la porgo semplicemente a Meg, alzandomi dal letto e cominciando a girare per la stanza prima e per casa poi, imprecando e ripetendo che non è possibile che uno sia così coglione. E non vedo l'ora di dirglielo dal vivo quanto è coglione. Con affetto, s'intende.

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“Quanto ci hai messo a capirlo?” chiedo a Jerry mentre mi metto in tasca i soldi che ho appena vinto.

“Che bluffavi? Eheheh cinque minuti, uno che è bravo a giocare a biliardo si riconosce, anche quando fa finta di essere una schiappa” risponde con la sua tipica risata, mentre riappende le stecche al muro.

Il fumoso bar di Los Angeles in cui siamo finiti è uguale ai tanti altri in cui siamo passati in queste sere e sarà anche l'ultimo della serie, almeno per il momento, perché fra poche ore partiremo per la mia San Diego. Altri posti, altri bar, altri tavoli da biliardo, altri volti vecchi e nuovi, stesso oceano. Non vedo l'ora. Gli altri sono andati via già da un pezzo e con altri intendo non solo i nostri rispettivi compagni di band, ma anche la gran parte dei clienti del locale.

“Però hai insistito lo stesso chiedendo rivincita e controrivincita”

“Non mi piace arrendermi senza combattere.” Jerry accartoccia il pacchetto di sigarette vuoto e ne tira fuori dalla tasca uno nuovo, aprendolo e offrendomene una prima di servirsi “Posso farti una domanda, Eddie?”

“Certo”

“E’ una domanda del cazzo. Cioè, lo penserai sicuramente…” continua mentre prende l'accendino e accende la mia e la sua sigaretta.

“Mettimi alla prova”

“Nella mia posizione, è una domanda che non dovrei nemmeno fare, cioè-”

“Vuoi sapere di Angie?” gli chiedo senza tanti giri di parole appoggiando il sedere al tavolo da biliardo.

“Sì. Come… ehm, come sta?” ammette e poi, notando il mio silenzio, continua “Io ti avevo avvertito che era una domanda del cazzo”

“Sta bene”

“Gli esami?”

“Li ha passati, anche se non era soddisfattissima dei voti”

“Figuriamoci, perfezionista del cazzo” commenta sorridendo e scuotendo la testa.

“Comunque sta bene, poi, ecco, non so cosa vuoi sapere…” dire che mi sento a disagio a parlare di Angie con lui è poco. La situazione è imbarazzante, sto parlando con il chitarrista della band con cui siamo in tour, e con cui condividiamo i manager, della sua ex ragazza, che casualmente è quella che vorrei diventasse la mia ragazza.

“E’ che, insomma, so che voi siete amici e magari vi sentite. L'hai sentita in questi giorni, no?”

“Sì, beh, un paio di volte per telefono” grandi amici io e Angie.

“Penserai che sono uno stronzo e che non sono affari miei”

“Non lo penso” lo penso eccome, ma non te lo dico perché mi faccio i film sulla tua ex e, anche se tu l'hai trattata di merda, non me la sento di infierire.

“Ma, che tu ci creda o no, anche se sembra assurdo, io ci tengo ad Angie e mi preoccupo per lei. E’ anche per questo che la sto evitando, so che vedermi e pensare a me la fa ancora soffrire. E se la evito, non posso certo palarci e chiederle come sta e cose del genere, capisci”

“Capisco perfettamente, tranquillo. E non è poi così assurdo” certo che ti capisco, stavi con Angie e hai mandato tutto a puttane, è ovvio che ora tu ti senta in colpa.

“Mi fa strano perfino stare qui a parlare con te, che comunque sei suo amico e magari lei si è pure confidata e ti avrà raccontato tutte le cazzate che ho combinato e ora come ora vorresti solo prendermi a pugni” solo ora scrolla la sigaretta nel posacenere e io vorrei dirgli, per favore, Jerry, non darmi suggerimenti. E poi, sapessi quanto fa strano a me!

“Quelle sono cose vostre, io non mi intrometto, non voglio intromettermi” come se non ci fossi già dentro fino al collo.

“Beh ma ti avrà detto qualcosa, insomma, lei… ecco, lei parla di me? Ogni tanto? Non bene immagino” immagini bene.

“Sì, ma non di recente. Ovviamente sei saltato fuori in qualche discorso, ma non mi ha detto più di tanto”

“Ovvio, adesso esce col batterista, magari le serve per dimenticarmi più in fretta”

“Non esce col batterista, sono solo amici” non so neanch'io perché faccio questa precisazione, perché mi dà fastidio anche solo sentire che qualcuno pensi che stia con lui? Per consolare Jerry? Per illuderlo? Perché sono brillo? Perché sono masochista?

“Davvero? Ne sei sicuro?” Jerry spegne la sigaretta e si volta verso di me, interessatissimo alle mie rivelazioni.

“Questo è quello che mi ha detto lei, non vedo perché avrebbe dovuto mentirmi” adesso sono diventato anche lo spacciatore di gossip sulla vita di Angie.

“Bene. Cioè, bene, non che per me cambi qualcosa, s'intende! Era… era per dire” certo, per dire.

“Quindi non vuoi riprovarci con lei?” questa volta sono più diretto.

“Ahahahah riprovarci? Per farmi mandare al diavolo? Non credo proprio!” risponde fingendosi divertito e io non posso che tirare un sospiro di sollievo interno, che però mi si strozza in gola subito dopo “Almeno, non per ora”

“Per ora?”

“Beh, in futuro chissà. Per ora non è possibile, non avrei speranze, mi sono comportato troppo male e la cosa è ancora troppo recente. Ora come ora già il fatto di poter tornare ad essere suo amico mi sembra un'utopia”

“Amico?” ma che cazzo stai dicendo?

“Sì, vorrei essere suo amico, mi basterebbe quello. Che mi personasse e mi volesse come amico, tutto qui”

“Ma tu riusciresti ad esserle amico, solo amico? Riusciresti a vederla come un'amica?” non ci credo neanche se me lo giura sulla sua chitarra.

“Angie non sarà mai solo un'amica per me, ma questo non conta” appunto.

“Sì che conta, invece”

“Quello che vorrei è tornare nella sua vita come una persona positiva, uno che ha un senso, che non sta lì solo per ricordarle i suoi sbagli e farla soffrire, ma che nel suo piccolo può anche farla felice. Questo è quello che conta, non i miei sentimenti. Quelli li posso tenere a bada”

“Sicuro?” come hai tenuto a bada il cazzo quando ci stavi assieme?

“Più che sicuro. Quando stavo con lei pensavo solo a me stesso, anche quando la tradivo, pensavo a che casino sarebbe successo se mi avesse scoperto e vedevo tutto nero, ma solo per me. Immaginavo i possibili scenari in cui venivo scaricato e sputtanato e umiliato e non pensavo minimamente che una cosa del genere avrebbe fatto soffrire anche lei. Lo so, sembra stupido, ma davo per scontato che ci avrei rimesso solo io, che lei mi avrebbe fatto il culo e si sarebbe dimenticata di me il giorno dopo, pensavo che ci sarebbe rimasta male… ma non così male, non so se mi capisci”

“Scarsa autostima o egocentrismo?” o stupidità.

“Eheheh non ne ho idea”

“E quando avrà un ragazzo? O le piacerà qualcuno? Come la prenderai?” butto lì ipotesi del tutto casuali e senza alcun tipo di riferimento a fatti reali.

“Di merda, ovvio. Ma quello me lo terrei per me, anche perché non avrei diritto di dire un cazzo di niente. Potrei solo essere contento se lei è felice”

“Un'amicizia piuttosto masochista quella che ti si prospetta” sempre che stia dicendo la verità e non siano solo chiacchiere da bar.

“Eheh sì, decisamente. Però, non lo so, credo che per una come Angie ne valga la pena. Tu che dici?” mi sa che questo povero stronzo sta dicendo la verità.

“Io? Beh, sì, insomma è una ragazza in gamba” e io sono perdutamente innamorato di lei e anziché essere onesto e confessartelo, sto qui ad ascoltare le tue confidenze sentimentali favorite quasi sicuramente dall'alcol facendo finta di niente, come un cagasotto qualsiasi.

“Già. Scusa se ti ho tirato in mezzo comunque” mi mette una mano sulla spalla e fa segno di uscire dalla saletta del biliardo.

“Nah, figurati” scrollo le spalle e lo seguo.

“E scusa se ti ho tirato un pippone su Angie, Layne si è rotto il cazzo di sentirmi e non è certo un discorso che posso fare con gente come Mike o Sean. E poi l'alcol mi scioglie la lingua”

“Lo immaginavo, tranquillo, nessun problema”

“Ti offro un altro giro per farmi perdonare?” propone indicando il bancone del bar.

“Eheh no, grazie, preferisco tornare al motel”

“Di già? Guarda che è presto, anche se non sembra a giudicare dalla desolazione di questo posto”

“Sì, lo so, ma domattina partiamo all'alba e io ho assoluto bisogno di riposarmi un attimo, fare una doccia e chiamare un paio di amici” in quel paio di amici è compresa anche Angie, ma pure questo preferisco non dirlo al chitarrista, che si accomoda su uno sgabello del bar e mi augura la buona notte.

 

Quando raggiungo la mia stanza sono tentato di chiamarla subito, ma poi ci ripenso e vado prima a farmi la doccia, come se volessi presentarmi nel migliore dei modi a questoappuntamento telefonico. Quando esco dal bagno, però, trovo Jeff concentrato sulla replica di una partita di basket in tv e mi maledico per non aver fatto prima quella cazzo di telefonata. Esco con la scusa di comprare le sigarette, scusa che il bassista non avrà bevuto nemmeno per un secondo, e mi infilo nella cabina telefonica più vicina.

“Pronto” risponde la voce che aspetto di sentire da quattro giorni.

“Ehi, ciao An-” non faccio neanche in tempo a pronunciare il suo nome per intero.

“SEI TU, BRUTTO IDIOTA!”

“Ehm, tutto ok?”

“NO, NON C'E’ NIENTE DI OK!”

“Che succede?”

“Succede che ho a che fare con un pazzo, ecco che succede. Come hai potuto fare una follia del genere? Ti rendi conto!” risponde abbassando leggermente la voce e finalmente unisco i puntini.

“Hai ricevuto il mio regalo” sorrido mentre infilo altre monete nel telefono.

“Dimmi che non ci sei andato sul serio, dimmi che è uno scherzo del cazzo”

“Beh…”

“Dimmi che hai rubato una lampadina da qualche vecchia insegna a caso e me l'hai spedita per vedere una mia reazione”

“Uhm se vuoi te lo dico, però…”

“NON CI POSSO CREDERE!”

“Ma non ti fa neanche un po’ piacere?” comincio a sospettare che non sia stata proprio una grande idea.

“NO!” il sospetto si fa via via meno vago.

“Sono andato lassù per te”

“No, tu ci sei andato per te, per fare il Tarzan della situazione, quando io ti avevo chiesto espressamente di non farlo”

“Tarzan non si arrampicava sui grattacieli, al massimo il King Kong della situazione”

“Non ti mettere a correggermi sui riferimenti cinematografici, Eddie, non sei nella posizione di potertelo permettere al momento!” ribatte Angie dopo una lunga pausa molto drammatica.

“Scusa” quand'è che mi raggiungi? Ho in mente vari modi per farmi perdonare…

“Mi hai spaventata a morte, lo sai?”

“Come hai fatto a spaventarti se non sapevi neanche che ci ero andato? Quando l'hai saputo ero già sceso dallo Space Needle da giorni”

“Non lo so, sta di fatto che mi hai spaventata ugualmente!”

“Allora ti preoccupi per me?”

“Certo che mi preoccupo, specialmente ora che so che sei un folle!”

“E il messaggio? L'hai letto?” cerco di portare il discorso sulla parte più importante, il contenuto di quella cazzo di lettera.

“Sì, e-”

“Scommetto che l'hai letto per primo”

“Sì, l'ho letto per primo. Contento?” moltissimo.

“Abbastanza. L'hai letto e…?”

“E cosa?”

“Hai detto 'Sì, e…’ poi io ti ho interrotto. Sì, e… che ne pensi?” non capisco, a volte ho idea che sia totalmente ignara dei miei sentimenti, altre volte ho l'impressione che mi tenga sulle spine apposta.

“… e penso che è stato un pensiero molto carino, ma che avrei preferito scegliessi qualcos'altro come simbolo della nostra amicizia, non so, qualcosa che si può trovare a meno di 160 metri d'altezza magari, tu che dici?” amicizia. Altro che sulle spine, la mia regina non ha proprio capito un cazzo.

“Mmm non so, non mi viene in mente niente”

“Una compilation su cassetta per esempio”

“Quella era la mia prima idea, poi me l'hai rubata tu. Ho dovuto arrangiarmi”

“Eheheh tu sei completamente pazzo Eddie, lo sai?”

Sì, di te.

“Ho avuto qualche sospetto qua e là, ma se lo dici tu ci credo”

“Come stai? Come vanno i concerti?” ride e mi chiede come sto, allora non è poi così arrabbiata.

“Bene, abbiamo suonato ieri a Long Beach ed è stato figo, c'era bella gente e la security era un po’ meno rompicazzo di quella del Florentine”

“Il prossimo?”

“Domani, a San Diego”

“Ah, finalmente torni a casa!”

“Già, domattina partiamo prestissimo. Fosse per me partirei anche adesso, non vedo l'ora di surfare nella mia spiaggia preferita” rispondo inserendo un altro chilo di monete nell'apposita fessura del telefono.

“Eheh chissà perché, ma sapevo che avresti detto una cosa del genere”

“Sono così prevedibile?”

“Sempre, a parte quando ti metti a scalare lo Space Needle” Angie mi lancia un'altra frecciata, ma io faccio finta di nulla.

“Comunque il posto dove suoniamo è un locale dove praticamente sto di casa, ci ho suonato parecchie volte con le mie vecchie band. Il pacco è che poi lunedì sera suoniamo qui a Hollywood, quindi dobbiamo tornare indietro, però va beh, alla fine sono tre orette di macchina. Se non volessi bene a Kelly Curtis direi che chi ha organizzato queste date è un malato di mente”

“Quindi domani siete a San Diego, lunedì a Hollywood, e poi?”

“Poi mercoledì 12 siamo di nuovo a San Diego, a San Valentino siamo ad Oakland, dopodiché abbiamo un concerto a sera praticamente, San Francisco, Sacramento, poi non mi ricordo se c'era qualcos'altro qui in California o siamo già in Oregon”

“Capito, beh da domani si inizia a fare sul serio allora?”

“Eheh già, finora abbiamo scherzato con due concerti, ma la prossima settimana dobbiamo darci dentro”

“Sono sicura che andrà bene. Dopotutto, se hai scalato lo Space Needle, questo in confronto sarà una bazzeccola”

“Hai intenzione di rinfacciarmelo per molto?”

“Sì, dopotutto non è per questo che mi hai mandato quella lampadina? Come simbolo di quanto mi piace infierire su di te?” puoi infierire quanto vuoi…

“Anche. Tu invece, come te la passi?”

“Bene, dai. E c'è qualche novità, ma te ne parlerò quando ci vediamo”

“Che novità?” mi metto subito in allarme, saranno novità universitarie, lavorative o sentimentali? Ma poi queste novità deve averle proprio adesso che non ci sono?

“Quale parte di te lo dico quando ci vediamo non ti è chiara?”

“E quando ci vediamo?” chiedo speranzoso, domani a San Diego sarebbe la mia risposta preferita.

“Eheh quando tornate a Seattle”

“Mancano più di dieci giorni, sei sadica”

“Ti do un piccolo indizio: non mi sono arrampicata sullo Space Needle”

“Vaffanculo, Angie” dico con la stessa intonazione e lo stesso trasporto con cui le avrei detto ti amo. Anche se forse sarebbe stato più utile dirle Ti amo con lo stesso tono con cui l'avrei mandata affanculo.

“Ahah anch'io ti voglio bene, Eddie” o forse no.

  
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