Capitolo 38
(ALL THE THINGS THERE’S NO TIME FOR)
Danny non aveva alcuna voglia di
svegliarsi. Il letto era molto confortevole al momento, e l’incoscienza aveva
una gradevolezza alquanto pigra.
Ma nonostante da diversi anni la sua vita
fosse stata vissuta in modo piuttosto domestico, per quanto bizzarramente
domestico, i sensi e gli istinti della sua parte di lupo avevano un modo di
dormire molto diverso dalla sua coscienza umana.
Era qualcosa che aveva imparato già nei
primi mesi dopo essere diventato un mezzo lupo, con quella naturalezza
costretta con cui la sua nuova natura aveva sembrato poterlo addestrare alla
sua nuova vita con un allenamento costante e totalmente privo di concessioni.
Non aveva imparato che i sensi di un mezzo lupo in un certo senso non dormivano
mai; lo aveva scoperto. Non aveva dovuto cercare di stare al passo; ci si era
ritrovato dentro da un momento all’altro e aveva dovuto iniziare a convivervi.
E dopo tutti quegli anni, ora gli sarebbe risultato strano e improbabilmente
assurdo il dover dormire senza quei sensi in continua allerta in sottofondo.
Non sarebbe nemmeno stato più in grado di immaginare esattamente come si
dormiva quando si era completamente umani; certo, gli era rimasto un vago
ricordo, e ancora poteva concepire razionalmente cosa significasse quando
vedeva qualcuno di quelli che conosceva che dormiva, ma non riusciva più a
provare la sensazione di quel sonno completo.
All’inizio non riusciva a dormire nel vero
senso della parola. Qualcosa nel suo essere doveva ancora capire come venire a
patti con quel modo di dormire con i sensi che rimanevano comunque all’erta: la
sua testa continuava a processare tutte quelle informazioni cercando di tenervi
dietro in modo almeno in parte cosciente, e così non riusciva a dormire sul
serio.
Nel giro di qualche settimana dopo che era
diventato un mezzo lupo era esausto e provato, e ancora, per quanto ogni fibra
del suo corpo desiderasse disperatamente riuscire a dormire sul serio,
riposarsi abbandonandosi alla completa incoscienza, per non ritrovarsi così
ottuso dalla stanchezza lungo tutte le ore che era sveglio del tutto, non
riusciva a dormire completamente nonostante la costante esaustione.
Mara non si era mostrata affatto
comprensiva. Aveva riso con la sua aria superiore, deridendolo, dicendo che
tutti i giovani mezzi lupi erano sempre terribilmente pigri, e così stupidi da
non riuscire nemmeno a capire come si dormisse. Non gliel’aveva veramente
spiegato, tutto ciò che aveva detto era che doveva smettere di cercare di
capire tutto quanto come se fosse in una classe di qualche scuola, che non
c’era nessun metodo, che doveva solo seguire l’istinto. Che ora era una
creatura selvatica, e che nessun animale selvatico si può permettere di dormire
così profondamente, perché nessun luogo sulla terra è mai sicuro del tutto,
quella era solo una sciocca illusione umana, mentre ogni animale selvatico
conserva perfettamente racchiusa in sé l’unica cruda verità: la morte potrebbe
arrivare in ogni momento, e non si può dormire, se non ci si vuole far
sorprendere da essa e morire stupidamente.
Solo col passare dei mesi Danny era
riuscito in qualche modo ad adattarsi a quel per lui all’epoca nuovo modo di
dormire. Non che avesse sviluppato un metodo o qualcosa del genere. Più che
altro, era come se la sua parte di istinto più umano avesse ceduto il ruolo di
conduttore delle danze alla parte più da lupo. E per quanto riguardava la sua
interpretazione logica, quella aveva a malapena arrancato dietro con un’ipotesi
raffazzonata su in qualche modo: forse finalmente aveva imparato con
l’esperienza inconscia a distinguere i messaggi che i suoi sensi captavano
durante il sonno in maniera abbastanza inequivocabile, a interpretarli quel
tanto che bastava per decidere se allarmarsi e svegliarsi o se continuare a
dormire e ignorare le percezioni che dovevano appartenere alla categoria delle
cose incapaci di nuocergli in ogni caso. Il suo cervello forse aveva imparato a
memoria il codice dell’istinto che sapeva lasciar passare oltre tutto ciò che
apparteneva ad un sottofondo di percezioni inoffensive, e svegliarlo solo in
occasione di qualcosa di fuori posto o di in qualche modo potenzialmente
minaccioso.
Tutto ciò che aveva commentato Mara quando
aveva notato che durante le ore da sveglio era meno oppresso dall’ottusità di
una perenne stanchezza da semi-insonnia che lo aveva perseguitato per i primi
suoi mesi da mezzo lupo, era stato un sarcastico ‘Sembra che tu abbia imparato
qualcosa di più di come si sopravvive. Bene, era ora!’
Quando si era abituato a convivere con gli
altri dei ‘4 di picche’, Danny aveva notato qualcosa
di cui, si era reso conto, aveva già perso memoria nel corso dei suoi anni da
mezzo lupo: a tutti gli effetti, anche l’istinto puramente umano era in grado
di discernere nel sonno tra i rumori di sottofondo familiari e quelli fuori
posto in qualche modo.
Certo, non con la stessa esattezza
sensitiva con cui erano capaci di farlo i sensi da mezzo lupo, ma comunque… Yuta era capace di dormire anche mentre lui, Ramo, Kumals e Uther chiacchieravano più o meno ad alta voce, e
di dormire anche profondamente, ma se solo la porta dell’ingresso si apriva o
si chiudeva, eccola aprire gli occhi per vedere chi era arrivato o chi se n’era
andato; Uther riusciva persino nelle sue dormite post-sbronza a svegliarsi se
percepiva Kumals fare il suo nome in tono critico, o
in generale se la voce di Kumals gli si avvicinava,
per l’abitudine di quest’ultimo di cercare di fargli qualche scherzo mentre
dormiva.
Certe volte però sia Yuta
che Uther sembravano fallire: quando erano veramente stanchi e veramente
profondamente addormentati, erano capaci di non sentire proprio niente al di
sotto di un rumore estremamente forte, a partire da una esplosione di medie
dimensioni in poi all’incirca.
Per quanto lo riguardava, Danny aveva
scoperto che persino l’istinto di un mezzo lupo poteva essere mediato da una
certa esperienza più tipicamente umana e domestica: era capace di essere
svegliato da un odore che non conosceva, ma fintanto che gli odori di persone
che percepiva erano quelli che gli erano diventati ormai estremamente
familiari, Kumals poteva avvicinarglisi e combinargli
qualcuno dei suoi scherzi finché voleva, perché non avrebbe considerato il suo
odore come in qualche modo pericoloso in senso stretto.
Naturalmente, tutti loro avevano alquanto
apprezzato quella sua caratteristica quando l’avevano scoperta, e specialmente Kumals. Da quando Danny era diventato in qualche modo parte
dei 4 di picche, gli altri avevano imparato a potersi permettere di dormire
profondamente in qualsiasi situazione di potenziale non completa sicurezza
durante i loro incarichi, perché al primo segnale di qualcosa di fuori posto
Danny si sarebbe sicuramente svegliato, trascinato in un attimo in un’immediata
coscienza completa dai suoi sensi di mezzo lupo che non dormivano mai. Kumals aveva una volta commentato qualcosa scherzosamente a
proposito del suo fungere da cane da guardia o guardiano del bestiame, ma dopo
aver notato il suo non proprio apprezzamento dello scherzo, lo aveva lasciato
cadere; la volta seguente, aveva riformulato la cosa sotto forma piuttosto di
un commento apprezzante e grato.
Danny non dormiva perciò completamente
quella notte, non nel senso convenzionalmente conosciuto da qualsiasi essere
umano completo. I suoi sensi che di solito rimanevano all’erta anche durante il
sonno si erano adattati perfettamente alla situazione lì presente a Tairans, e lo scoprì senza ombra di dubbio alcuno quando si
svegliò di punto in bianco.
Un attimo prima stava ancora
inconsciamente combattendo con la scelta tra il rimanere tranquillamente
addormentato nella confortevole comodità del letto e del riposo e il doversi
svegliare, e l’istante successivo aveva gli occhi spalancati e i sensi
completamente all’erta, espansi al loro massimo alla ricerca dell’esatto
elemento che aveva scatenato l’istintiva risposta di allarme, ricordandogli che
non aveva mai una reale scelta in quel campo: in qualsiasi frangente, il suo
istinto avrebbe scelto con totale priorità su ogni altra cosa, come se lo
afferrasse per i capelli e lo gettasse dal sonno alla completa veglia, senza se
e senza ma.
E riconobbe immediatamente ciò che lo
aveva svegliato: l’odore di mezzi lupi.
Rimanendo perfettamente immobile, analizzò
meglio l’informazione olfattiva. Naturalmente, poteva sempre appartenere ai due
mezzi lupi che dovevano essere ancora là fuori a fare loro la guardia. Ma un
momento dopo seppe che non poteva essere così: l’odore era troppo forte e
troppo variabile nel suo declinarsi in quello individuale di diversi mezzi lupi.
Ed era troppo vicino.
Lentamente scese dal letto, spiando
brevemente in direzione di Uther, il quale dormiva russando piano. Si infilò le
scarpe e si diresse rapidamente e silenziosamente nel salotto
dell’appartamento, avvicinandosi ad ampi passi alla finestra per guardare fuori
in strada.
Fu allora che il suono si alzò, risuonando
inconfondibile, e Danny raggelò, bloccandosi sul posto.
L’ululato si elevò con la sua tipica nota
di crescita di intensità graduale, appena modulata gutturalmente. Come una sorta
di canto ancestrale, molto più antico di tutte le costruzioni e concezioni
umane che formavano ogni singolo elemento di Tairans
e ogni singola abitudine delle vite degli esseri umani che vi vivevano, si alzò
nell’aria del silenzio notturno della città dormiente; con quella nettezza
sicura che può appartenere a qualcosa che, pur essendo eventualmente in grado
di comprendere che non ha nulla che ne renda lecita non solo l’appartenenza ma
nemmeno la presenza in quel contesto, non se ne fa nessun problema nel momento
in cui è comunque lì e basta.
L’esistere è tutto, senza bisogno di
giustificazioni o spiegazioni o contestualizzazioni: quello era il messaggio
implicito e nudamente semplice che recava l’ululato. Con una sottile minaccia
velata in sottofondo che Danny ebbe la sensazione di poter percepire solo dal
momento che poteva allo stesso tempo sia comprendere chiaramente la natura di
quel messaggio implicito, sia paventare l’effetto d’esso su una mentalità
istintiva umana.
L’ululato si alzava, mentre i rumori della
cittadina tacevano; i lupi erano svegli e ululavano, mentre gli esseri umani
dormivano avvolti nella loro domestica urbanità.
‘La notte è dei lupi, Danny, non degli
umani. E questo non cambierà mai.’ ricordò come dal nulla, le parole punteggiate
dalla voce sinistramente spietata e lapidaria di Mara, il tono netto come se si
trattasse di una verità incontestabile e cristallina nella sua sicurezza,
provenendo da un qualche momento di un passato per lui ora remoto, un frammento
di ricordo che non era più in grado di contestualizzare esattamente.
E Danny sapeva perfettamente che tipo di
ululato era quello. Era un richiamo, quel tipo di richiamo che i lupi o i mezzi
lupi emettevano per segnalare la loro posizione ad un altro di loro attraverso
la distanza, allo scopo di incrociarsi nell’immediato futuro.
Sebbene questo ululato fosse stato
riconosciuto perfettamente dal suo orecchio come uno di quelli lanciati da un
mezzo lupo in forma umana, in grado di imitare molto bene anche con un corpo
umano il verso dei lupi veri propri.
E riconosceva perfettamente l’impronta
individuale. Era quella di Mara.
Così come comprendeva benissimo a chi era
rivolto. Stava chiamando lui.
Ma la distanza da solcare non era molta. A
giudicare da quanto fosse risuonato chiaro e vicino l’ululato, amplificato
nell’essere riecheggiato dallo spazio a corridoio relativamente stretto della
strada bordate dalle case, Mara doveva essere proprio lì fuori; Danny non aveva
nemmeno bisogno di affacciarsi alla finestra per saperlo con sicurezza.
La successiva cosa che udì, mentre
l’ululato andava lentamente scemando nel suo terminare in discendere, fu un
agitato movimento dal letto della stanza accanto. E la successiva cosa che
Danny fece, senza nemmeno aver bisogno di riflettere, fu muoversi con la
massima velocità consentita dalle sue capacità di mezzo lupo.
Spalancò la porta d’ingresso
dell’appartamento dopo aver aperto rapidamente le serrature, e si lanciò oltre
la soglia d’essa. Girando su se stesso in un’agile
giravolta oltre la soglia, fece in tempo giusto a vedere Uther affacciarsi
sulla soglia della camera da letto e fissare lo sguardo su di lui, prima di
chiudere la porta e girare nella toppa la chiave che aveva afferrato dalla
parte interna della serratura. L’istante successivo, un pesante tonfo
dall’altra parte della porta non lo stupì nemmeno per una frazione di secondo,
né ebbe bisogno di doversi immaginare che cosa potesse averlo provocato, perché
sapeva come se fosse già successo che Uther aveva compreso in pochi istanti che
cosa lui stava facendo, e in altrettanto poco tempo si era lanciato dietro di
lui cercando di impedirglielo.
«Danny!» gridò Uther dall’interno. Il
tutto accompagnato da un paio di pugni contro la porta chiusa. «Che diavolo
stai facendo?» lo udì chiedergli, cercando di aprire la porta con la maniglia.
E come se fosse già successo, Danny sapeva che lui avrebbe comunque tentato,
con le parole e ad aprire la porta già chiusa, anche se entrambi sapevano
perfettamente che sarebbe stato completamente inutile.
Danny rimase un momento in silenzio. Non
gli veniva in mente assolutamente nulla da dire. Come se fosse inutile in
effetti dire qualcosa, più che per il fatto che sapeva perfettamente che non
aveva tempo ora per le cose totalmente impossibili, come cercare di convincere
Uther ad accettare ciò che sarebbe successo, che stava già succedendo.
Tutto era già stato deciso con estrema
facilità, e dopotutto Danny era più veloce di Uther, in quanto mezzo lupo, e i
suoi sensi da mezzo lupo non dormivano mai, a differenza di quelli
completamenti umani di Uther. No, Uther non aveva avuto nessuna reale chance
per impedirgli di farlo, e anche quello entrambi lo sapevano bene, quanto mai
bene. Perché ogni volta che contava, ogni volta che Danny decideva che avrebbe
fatto contare in quel senso le sue capacità da mezzo lupo contro quelle di un
essere umano, nessuno di loro avrebbe mai potuto fermarlo.
«Okay, che diavolo è stato?» domandò Uther
attraverso la porta chiusa.
Danny riconobbe lo sforzo nel tono di
essere ragionevole. Si sentì come se avesse potuto sorridere un poco, ma non ci
riuscì. Era come se fosse rimasto un eco nelle sue orecchie, un eco
dell’ululato che era appena risuonato, il richiamo di Mara per lui; e quell’eco
non concedeva spazio ad assolutamente nient’altro se non alla cruda
consapevolezza che appena fuori da quell’edificio la mezza lupa lo stava
aspettando.
Mara era venuta a prenderlo.
Non c’era spazio per un momento di
affezionata auto-contemplazione della familiarità che aveva ormai verso i modi
di Uther, né per ascoltare oltre i tentativi che sapeva avrebbe fatto,
tentativi di ogni sorta per fargli aprire la porta e permettergli di uscire e
andare in strada con lui.
Tutto ciò che gli sarebbe venuto da
rispondergli era che quella era la sua strada ora, e non più quella di Uther,
ed entrambi in fondo sapevano che aveva chiuso quella porta per segnare in modo
incontrovertibile proprio quel punto, e che glielo stava imponendo senza il suo
consenso; così come entrambi in fondo sapevano perfettamente che niente al
mondo gliel’avrebbe fatta aprire.
Per un istante gli attraversò la mente il
rapido pensiero che, per la prima volta da quando era iniziato tutto quello,
era veramente e profondamente lieto che lì ci fossero solo lui e Uther: sarebbe
stata una faccenda decisamente più complicata cercare di tracciare quella linea
di demarcazione nel punto che separava la sua strada da quella di tutti gli
altri, se gli altri 4 di picche fossero stati lì al momento. No, in quel caso
una porta decisamente non sarebbe bastata.
Ma non aveva tempo nemmeno per esitare
oltre. L’odore non mentiva. Là fuori non c’era solo Mara.
E da un momento all’altro tutti quei mezzi
lupi potevano decidere di non aspettare ancora, di sfondare la porta d’ingresso
del condominio e di iniziare a serpeggiare lungo i corridoi, con solo porte
troppo deboli per la forza di un mezzo lupo a separarli dalle persone, che pur
dovevano essersi svegliate, sebbene non stessero palesando la loro presenza in
alcun modo.
Istinto di conversazione, pensò molto
brevemente e distrattamente Danny: anche l’istinto umano possedeva abbastanza
memoria, sufficiente per dettare che quando si udiva un ululato era meglio non
andarvi incontro. L’istinto umano ricordava ancora, anche se le vite molto più
recenti degli umani attualmente in vita non l’avevano mai conosciuto, il sapore
della paura profondamente istintiva instillata dall’alzarsi del verso di un
predatore nato, specialmente nelle ore notturne e silenziose, quando i rumori
umani tacevano, ascoltando raggelati e forse limitandosi ad aggrapparsi con
tutta la disperata forza di cui disponevano alla sottile speranza che quello
non fosse un richiamo del tipo che dava inizio alla caccia, che la preda non
fossero loro, che il lupo non stesse venendo per loro.
«E’ Mara.» disse
solo Danny, la voce appena abbastanza alta da farsi udire attraverso la porta.
Di nuovo, le labbra cercarono di
piegarglisi in un leggero accenno di sorriso amaro, e di nuovo fallirono.
L’ironia amara era perfettamente contemplata da lui in quel momento, e tuttavia
non riusciva a provarla davvero. Non c’era abbastanza spazio, non c’era
abbastanza tempo; e in ogni caso sembrava solo qualcosa di puramente
facoltativo.
Non c’era spazio per niente che non fosse
immediatamente essenziale.
Mara avrebbe potuto prendersi il disturbo
di lanciare un secondo richiamo se non l’avesse visto comparire presto, così
come il rumore successivo che avrebbe potuto udire avrebbe potuto
tranquillamente essere quello della porta del condominio che veniva sfondata e
dei passi di diversi mezzi lupi che iniziavano a salire le scale. Non ci si
poteva mai affidare alla pazienza di Mara, che notoriamente non era affatto una
delle sue qualità, e quello lui aveva avuto occasione di impararlo bene molto
tempo prima. Non ci si poteva affidare alla possibilità che lei fosse venuta
con solo lui come obbiettivo, e che non avrebbe disdegnato di scagliare se stessa o gli altri mezzi lupi su Uther o su chiunque
altro essere umano fosse a portata nelle immediate vicinanze.
E, definitivamente, Danny non poteva
permettere che l’incolumità di tutti quelli che abitavano lungo quella strada
fosse messa a repentaglio. O, almeno, non finché avesse avuto respiro lui
stesso.
«Prendi il fucile.» disse ancora, quasi
distrattamente ormai, mentre già si voltava verso le scale. «Non so quanto
tempo riuscirò a trattenerli.»
Sebbene letteralmente le sue parole non
dicessero niente di più, sapeva che Uther avrebbe capito che cosa intendeva
dire più esattamente.
Perciò non lo stupì particolarmente
sentirlo gridare il suo nome più volte, in tono irato, intervallandosi con
imprecazioni, e i colpi di pugni e calci contro la porta chiusa. Mentre
iniziava a scendere le scale, Danny ringraziò mentalmente e brevemente la
solidità di quella porta: Uther non sarebbe stato in grado di sfondarla così
facilmente.
Danny scese le scale a passo rapido, ma
senza correre nonostante tutto. Avrebbe dovuto farlo, e lo sapeva. Ma
evidentemente, realizzò per un attimo con un certo stupore, la sua parte umana
era ancora capace di competere con la spietata crudezza della necessità di
urgenza senza appello di una situazione, abbastanza da rendere quel momento in
cui sapeva che stava andando incontro alla propria morte di un peso specifico
particolare.
‘Solo gli umani temono la morte. Non i
lupi.’ disse con tono di evidente disprezzo la voce di Mara, di nuovo spuntando
senza preavviso né precisa collocazione da qualche parte delle sue memorie. Le
sue labbra tentarono di nuovo di piegarsi in un accenno di sorriso amaro, nel
realizzare che Mara aveva avuto torto anche su quello, e che ora lui lo sapeva
con certezza.
La relatività stava tradendo un poco la
sua percezione, facendogli sembrare più lungo il percorso che stava compiendo
fino alla porta d’ingresso del condominio, come se il tempo stesse scorrendo
leggermente più lentamente. Un lieve senso di claustrofobia punzecchiò il suo
istinto, poiché quel percorso era troppo chiuso e troppo monodirezionale, solo
un corridoio di scalini e poi di pavimento liscio, con un’unica direzione per
lui, e una sola fine concretizzata dalla porta del condominio davanti a lui,
oltre la quale sapeva che c’era la fine della sua strada.
Ma ancora non riusciva a trovare spazio
per altro, per cose che potevano essere importanti forse in una situazione del
genere, qualcosa da poter ricordare che gli desse un poco di sollievo forse, o
che alleviasse anche giusto per un momento la piena consapevolezza della
distanza che si accorciava e che la sua strada non proseguiva oltre. Non oltre
ciò che lo aspettava aldilà della porta di quel condominio.
Per un istante pensò solo che in qualche
modo, anche se non avrebbe saputo dire come, era singolare che la sua strada
finisse proprio laddove era cominciata quella dei 4 di picche, prima ancora che
lui sapesse della loro esistenza.
E poi, l’ultima cosa che pensò mentre
metteva la mano sulla maniglia della porta e un attimo prima di aprirla e
solcare la soglia, fu che gli dispiaceva semplicemente non poter rivedere
Andrea e gli altri. Magari giusto per una volta.
Ma era un genere di pensiero assurdo; e
tuttavia, per quanto lo sapesse perfettamente, rimase inciso in lui per un
significativo momento, prima di sfumare via, come se non potesse accompagnarlo
oltre quella soglia.
Soundtrack: Where is my mind? (City
Wolf)
Note
dello scribacchiatore: cercherò di
pubblicare il prossimo capitolo in meno di un mese, ma non ci giurerei,
dipenderà da come riesco a sbrigarmela col resto della mia vita (come al
solito, è già bello che scritto ma una revisione è il minimo nah?)